italiano |
Introduzione p.1
Contestualizzazione storico-politica e culturale dell'opera p.2
modulo primo
Analisi degli elementi narrativi:
. Riassunto del romanzo p.3
. Riassunto sintetico p.4
. Riassunto di un modulo p.4
. Struttura narrativa p.5
. Combinazione degli elementi narrativi p.5
modulo secondo
Analisi degli elementi descrittivi:
. Informazioni sui personaggi p.6-7
. Informazioni sugli spazi p.8
. Informazioni sui tempi p.9
. Informazioni sui fenomeni e di oggetti che sembrano
assumere una determinata importanza p.9
modulo terzo
Analisi degli elementi discorsivi:
. Velocità del racconto p.10
. Narratore p.10
. Analisi della forma discorsiva p.11
modulo quarto
Analisi degli elementi stilistici:
. Lessico p.12
. Sintassi p.12
. Registro p.12
. Sottocodici p.12
. Varietà p.12
. ure retoriche p.12
modulo quinto
Informazioni sull'autore:
. Biografia dell'autore p.13
. Bibliografia dell'autore p.17
Conclusioni p.18
Allegato:
Testo sulla criminalità organizzata p.19
Intervista a Sciascia p.21
Introduzione
"Il giorno della civetta" (Leonardo Sciascia, Milano, Einaudi, 1978) esce per la prima volta nel
1961. In questo libro Leonardo Sciascia affronta il doloroso e scottante tema della mafia con
battagliero e appassionato impegno a causa del grande amore verso la sua terra. Inoltre con questo
romanzo, come ha sottolineato l'autore, per la prima volta la mafia viene messa al centro di un'opera
narrativa destinata ad un vasto pubblico. Il libro ebbe un grande successo e contribuì a stimolare la
discussione su un fenomeno criminale che il potere politico tendeva allora ad ignorare. "Ma la
mafia era ed è altra cosa: un «sistema» che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici e di
potere di una classe che approssimamene possiamo dire borghese. La malavita non sorge e non si
sviluppa nel «vuoto» dello Stato ( cioè quando lo Stato, con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o
manca) ma «dentro» lo Stato. La mafia insomma altro non è che una borghesia parassitaria, una
borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta. Sciascia stesso confessa la prudenza che dovette
adottare per non incorrere in accuse di oltraggio e vilipendio e per evitare le ' possibili intolleranze
' di coloro che si ritenessero colpiti dalla sua rappresentazione. Inoltre depreca di non aver potuto
scrivere ' con quella piena libertà ' di cui un autore avrebbe il diritto di valersi.
Sotto le apparenze di un romanzo poliziesco, il romanzo di Sciascia, è un racconto drammatico e
politico; vengono infatti messe di fronte due concezioni di vita: quella del capitano Bellodi, che
simboleggia l'Italia della Resistenza, la nuova società democratica, che crede negli ideali di
giustizia e di civile convivenza; di contro quella del capo mafia, con i suoi amici, piccoli e grandi,
simbolo dell'antica oppressione dei privilegi di casta tipici della Sicilia. Questo romanzo è la storia
di un delitto di mafia ma al tempo stesso un lucido atto di accusa, tanto più coraggiosa in quanto
fatta in un'epoca in cui all'esistenza reale della mafia non si credeva sul serio. E' il più classico
romanzo sulla mafia scritto in Italia.
Recentemente è stato criticato in quanto da un'immagine quasi 'mitica' e dunque 'positiva' del
boss mafioso protagonista. Una rilettura del libro tuttavia conferma che il romanzo non solo è bello,
ma anche ben fatto sul piano della ricostruzione storica e politica. Nel narrare, Sciascia, non si
concede ambiguità e fronzoli, ma fissa lo sguardo sempre e soltanto sulle nervature del significato,
fossero anche in un minimo gesto o dettaglio.
Dal romanzo è stato tratto anche un film (nel 1968) di Damiano Damiani, con Giuliano Gemma e
Claudia Cardinale, che è uno dei più classici film sulla mafia italiana.
Contestualizzazione storico-politica e culturale dell'opera
Sciascia ha scritto questo suo romanzo all'inizio degli anni sessanta .(Prima uscita nel 1961)
In quegli anni in Italia, soprattutto in Sicilia la mafia era la padrona di tutto.
I politici erano quasi tutti corrotti e per questo motivo lo Stato era in mano alla malavita.
Le persone, a quell'epoca, non credevano ancora alla mafia e Sciascia, grazie alla sua opera, ha
aperto gli occhi a molte persone.
Se Sciascia avesse scritto lo stesso libro ai giorni nostri sarebbe stato preso per un semplice
racconto a storie; mentre scrivendo il suo romanzo in quegli anni ha prodotto un vero e proprio
capolavoro, in quanto non era evidente avere il coraggio di scrivere ciò che lui a scritto.
La mafia: termine di origine incerta (potrebbe derivare dal toscano maffia o dal francese mauvais o dal nome
della tribù Mà-afir insediandosi a Palermo durante la dominazione araba) che indica in senso
proprio una particolare forma di criminalità organizzata. È un fenomeno sviluppatosi in Sicilia
nell'Ottocento e che ha successivamente investito importanti settori della vita economica e politica
nazionale e internazionale. Della mafia contadina si sono conservate fino a oggi la struttura per
«famiglie», i vincoli di omertà e la punizione violenta di chi trasgredisce le regole.
Sono invece cambiate nel tempo le attività mafiose .
Analisi degli elementi narrativi:
Riassunto del romanzo
In una piccola città del centro della Sicilia, mentre l' autobus sta per partire per Palermo, un colpo
da arma da fuoco interrompe il silenzio dell'alba; la vittima del proiettile è Salvatore Colasberna, un
piccolo imprenditore edile.
Il capitano Bellodi, comandante della comnia dei carabinieri di C., interroga i parenti della
vittima e il confidente di S., Calogero Dibella detto il Parrinieddu, che rivela al carabiniere due
nomi : Ciccio La Rosa e Rosario Pizzucco. Solitamente il confidente è una persona che dopo un
delitto viene convocato dalla polizia per avere qualche informazione sulla vittima; naturalmente
questa comunicava delle informazioni che non potevano, in nessun modo, ostacolare i loschi affari
dei potenti. Questa volta però qualcosa va storto e a sua insaputa il Parrinieddu dice qualcosa di
troppo sul conto di Pizzucco.
Intanto viene denunciata la ssa di un certo Nicolosi. Bellodi durante l'interrogatorio a cui
viene sottoposta la moglie scopre che quel giorno, poco prima di uscire, il marito aveva visto
Zicchinetta (un furfante) scappare allarmato.
A quel punto il capitano, ritenendo Zicchinetta e Pizzucco i colpevoli del delitto, li vuole
interrogare ma non tiene conto del fatto che Dibella (il Parrinieddu), prima di sire, ha
lasciato un biglietto con scritto i nomi di Pizzucco e Don Mariano.
Quindi Bellodi interroga Pizzucco e stende un falso verbale nel quale il piccolo boss mafioso
ammette che Zicchinetta aveva ucciso Colasberna e Nicolosi; successivamente Zecchinetta legge il
verbale e dichiara di aver ucciso Colasberna e che Pizzucco aveva ucciso Nicolosi.
Intanto alcuni potenti boss mafiosi decidono di scagionare Zicchinetta con il fine di mantenere
"pulita" la reputazione dell'altrettanto potente Don Mariano; infatti essi comprano alibi di ferro e
grazie alla protezione della mafia fanno passare l'omicidio come passionale, l'unica pista che i
carabinieri ed il capitano Bellodi avevano tralasciato.
Quest'ultimo andrà a Parma, suo paese d'origine, ma presto sentirà il bisogno di ritornare in Sicilia
per fare giustizia.
Riassunto sintetico
1. Un uomo, Salvatore Colasberna, viene ucciso su un autobus.
2. La polizia interroga i testimoni ma nessuno sa niente.
3. Alla centrale di polizia arrivano molte lettere anonime e il capitano Bellodi, durante l'
interrogatorio del confidente, riesce a scoprire i nomi di 2 mafiosi: Pizzuco e Ciccio La
Rosa.
4. Un possibile testimone dell' omicidio, Paolo Nicolosi, se. La moglie sostiene che lui
aveva parlato di 2 spari e detto un soprannome: Zicchinetta.
5. La polizia scopre che egli è Marchica, un ex carcerato con numerosi precedenti penali.
6. Il confidente viene ucciso.
7. Pizzuco, Marchica e don Arena vengono arrestati e interrogati. Presto però la polizia dovrà
rilasciare Marchica perché ha un alibi.
8. La polizia rilascia anche gli altri 2 sospetti e Bellodi decide di non occuparsi più del caso.
9. Un giorno il capitano incontra un suo amico che voleva riaprire il caso per difendere la sua
patri dalla mafia.
Riassunto di un modulo
modulo I°
Il libro inizia con la partenza di un'autolinea dalla Piazza della città. Le porte si stanno chiudendo
quando il bigliettaio vede un uomo correre per riuscire a prendere l'autobus. Mentre egli sta per
salirvi cade a terra colpito da due colpi di lupara. La gente presente sull'autobus, terribilmente
spaventata, scappa dal luogo dell'omicidio. Pochi minuti dopo il maresciallo arriva sul posto e con
tono arrabbiato fa domande insistenti alle poche persone rimaste. Uno di questi è il venditore di
panelle che, a quanto pare, ha visto due lampi luminosi provenienti dalla chiesa, situata a circa
trenta metri dall'autobus. Il maresciallo si rende conto che non riesce a cavare un ragno dal buco,
allora chiama il capitano Bellodi, che è nuovo della regione.
Dalle prime informazioni che i due si scambiano al telefono si capisce che non sarà un caso facile
da risolvere.
Iniziano così le indagini per trovare l'assassino . .
Struttura narrativa
Le parti divise dagli spazi bianchi alternano lo svolgimento dei fatti e delle indagini che si
svolgono in Sicilia tra i comuni di S. e di C. con la descrizione di circostanze che avvengono
contemporaneamente in luoghi diversi da dove si svolge l'azione e che coinvolgono persone che
sulla stessa hanno potere ma non coinvolgimento in prima persona. A volte si tratta di telefonate tra
personalità importanti della politica o della magistratura, a volte discussioni di onorevoli su ciò che
sta capitando in Sicilia. E' spesso Roma il luogo dove si svolgono gli incontri descritti.
Sono due storie parallele che apparentemente non hanno contatti, ma si alimentano l'una con l'altra,
finché, alla fine, si separano: una è la storia dei perdenti, l'altra dei vincenti.
Combinazione degli elementi narrativi
Prologo : Alle 6.30 del 16 gennaio Salvatore Colasberna viene ucciso.
Complicazioni : Paolo Nicolosi se e la moglie ne denuncia la ssa.
Nodo : I tre indiziati vengono interrogati e portati in prigione.
Scioglimento : I tre indiziati vengono rilasciati a causa dell'occultamento delle prove.
Epilogo : Bellodi rientra a Parma ma sente il bisogno di ritornare in Sicilia per
fare giustizia.
Analisi degli elementi descrittivi
Informazioni sui personaggi
Il capitano Bellodi: E' il protagonista del romanzo. Comandante della Comnia
Carabinieri di S.. E' un giovane alto, dal colorito chiaro, un
"continentale" di Parma. Ex partigiano e repubblicano convinto, serve
e fa rispettare la legge. Ha indossato la divisa durante la guerra e poi
non l'ha più lasciata trascurando così la professione di avvocato. E' un
uomo che non si compiace del suo potere, ma del potere sente il peso
della responsabilità. Non vuole che si scherza sul lavoro, non accetta
quasi mai i consigli degli altri, ama fare cose che gli altri non si
aspettano. Il capitano è un uomo che non cede alle intimidazioni che
gli vengono fatte dalla mafia. E' una persone che si dedica molto al
lavoro e anche per questo è spesso malato.
Il maresciallo: Prima che arrivasse il capitano faceva tutto di testa sua, i suoi sistemi
di interrogatorio erano medievali, crudeli e intimidatori.
Anche se ubbidisce sempre al capitano non ama le sue maniere come
ad esempio offrire un caffè durante un interrogatorio.
In ogni caso egli si rivela un buon aiutante al fine delle indagini.
Don Mariano Arena: E' un uomo anziano, poco istruito e con una forte personalità. E' a
capo di una delle due cosche mafiose presenti a S.. Ha un forte senso
del potere che gestisce con arroganza e prepotenza. Usa le persone che
gli stanno attorno senza alcuno scrupolo morale: per lui la vita umana
non ha nessun valore e ovviamente, ancor meno, lo hanno i sentimenti
ed è proprio per questo che egli è temuto. Sulla paura fonda il proprio
potere riuscendo a manovrare ogni attività locale e muovendo le
persone come burattini. Gode di alte protezioni sia in ambiente
politico sia nell'ambiente della magistratura e di queste protezioni si
avvale per uscire vittorioso dallo scontro con il capitano Bellodi.
Calogero Dibella: Viene chiamato Parrinieddu (piccolo prete) a causa della sua
parlantina. E' il confidente. Era stato un pregiudicato, un volgare
ladro di pecore, ma ora fa il mediatore di prestiti ad usura, un lavoro
che a confronto del precedente gli sembra onesto. Per i suoi precedenti
è in grado di incutere timore nei debitori ma la paura vera l'ha dentro
di sé, il pensiero della morte non lo abbandona mai. Dopo aver
confidato al comandante Bellodi i nomi di due possibili implicati
nell'omicidio Colasberna, il terrore si impadronisce di lui. Parrinieddu
viene ucciso da un sicario della mafia con due colpi di pistola.
La vedova Nicolosi: E' una bella donna, con capelli castani e occhi nerissimi. Il suo volto è
delicato e sereno ma sulle sue labbra è sempre presente un sorriso
malizioso. Non è per niente timida e parla un dialetto poco
comprensibile per il capitano. Fa il nome di Zicchinetta al comandante
Bellodi dicendo di averlo sentito dire da suo marito.
Paolo Nicolosi: L'uomo sparito ed in seguito ritrovato morto in fondo ad un pozzo. Ha
visto Zicchinetta scappare appena dopo l'omicidio.
Marchica Diego: E' soprannominato Zicchinetta a causa del suo amore per il gioco
d'azzardo. Paga i suoi debiti di gioco con denaro di dubbia
provenienza. E' anche un pregiudicato ed un bracciante disoccupato.
E' un uomo che gode di alte protezioni.
Pizzuco: Uomo appartenente alla cosca di don Mariano.
Fratelli Colasberna: Chiamati a testimoniare in caserma provano una tale vergogna di
trovarsi in questo posto tanto da dimenticare il dolore per la morte del
fratello. Quando si accorgono che il capitano Bellodi è un
"continentale" provano un sentimento di sollievo e
contemporaneamente di disprezzo per un uomo che certamente non
capisce niente della Sicilia. Sono terrorizzati dal verbale che viene
scritto dal carabiniere Sposito perché ancora non si sono scrollati di
dosso l'antica paura e diffidenza nei confronti della scrittura. Durante
l'interrogatorio negano tutto, anche l'evidenza.
Salvatore Colasberna: L'imprenditore ucciso alla fermata dell'autobus con due colpi
di lupara.
Carabiniere Sposito: Diplomato in ragioneria, è la colonna della stazione dei
Carabinieri di S.. Parla a vanvera ma spesso da dei consigli utili senza
accorgersene.
Il venditore di panelle: Ha assistito all'omicidio e subito dopo si è dileguato in fretta.
Il bigliettaio dell'autobus: E' la persona che ha visto più da vicino la morte di Colasberna. Ne è
sconvolto anche perché viene da Siracusa e quindi ha poca pratica con
situazioni simili. E' reticente: cerca di non rispondere alle domande
del maresciallo fingendo di non ricordare.
L'autista dell'autobus: Dopo l'assassinio chiama i carabinieri, ma risponde evasivamente alle
loro domande.
Passeggeri dell'autobus: All'apparire dei carabinieri scendono dall'autobus e furtivamente si
allontanano dalla piazza.
Onorevoli ed eccellenze: Si interessano e commentano il succedersi degli eventi ed il progredire
delle indagini in Sicilia.
Informazioni sugli spazi
Il romanzo di Sciascia è ambientato in spazi reali.
Le tre principali città dove si svolge la vicenda sono Roma, Palermo e Parma. L' autore nomina
anche tre paesi siciliani, ma solo le loro iniziali: B., C., S.. Altri luoghi nominati dall' autore sono:
p.za Garibaldi, Montecitorio, il commissariato di polizia, i luoghi degli interrogatori, la fermata del
pullman.
La presentazione degli spazi avviene sempre in maniera esplicita tramite il discorso indiretto;
l'autore usa una breve descrizione, che rende subito l'idea dell'ambiente in cui si trovano i
personaggi
Di seguito vi mostro alcuni esempi di descrizioni di luoghi:
Pagina 26 " . lo spazio della grande stanza, quasi vuota di mobili e pavimentata di quelle
antiche mattonelle valenziane che per il colore dello smalto (e per il freddo che c'era) parevano di
ghiaccio . "
Pagina 36 " . il paesaggio nitido: gli alberi, i campi, le rocce davano l'impressione di una gelida
fragilità, come se un colpo di vento o un urto potesse frantumarli in un suono di vetro. E come vetro
l'aria vibrava dal motore della seicento; e grandi uccelli neri volavano dentro un labirinto di vetro,
improvvisamente virando o strapiombando o verticalmente avvitando in su di loro volo come tra
invisibili pareti. La strada era deserta . "
* Leonardo Sciascia, "Il giorno della civetta", Milano, Einaudi, 1978
Pagina 43 " . la striscia di sole che cadeva, il pulviscolo dorato, sul tavolo, illuminava il frullo
delle ragazze in bicicletta nelle strade dell' Emilia, la filigrana degli alberi in un cielo bianco; e
una grande casa dove la città si abbandonava alla camna, dolcissima nel lume della sera e del
ricordo . "
Pagina 64 " . aveva sede in un vecchio convento: pianta rettangolare, e su ogni lato due file di
camere divise da un corridoio, una fila che aveva finestre intorno al cortile, un'altra le cui finestre
guardavano sulle strade . "
Informazioni sui tempi
L' autore non vuole precisare gli anni precisi in cui è ambientata la vicenda, ma si intuisce dopo il
1955, ci dice invece che incomincia il 16 gennaio alle 6.30 e finisce nel 1972. Quindi la durata è di
circa 17 anni.
L'autore a volte vuole descrivere anche il tempo meteorologico, ecco alcuni esempi:
Pagina 26 " . La serata era gelida, nell'ufficio del capitano una stufetta elettrica dava una così
tenue ala di calore . "
Pagina 36 " . La giornata era fredda ma luminosa . "
Pagina 116 " . Cominciava a scendere un nevischio pungente, il cielo bianco prometteva nevicata
lunga"
Pagina 118 "Parma era incantata di neve . "
Informazioni sui fenomeni e di oggetti che sembrano assumere
una particolare importanza
Pagina 10 " . Era della provincia di Siracusa, in fatto di morti ammazzati aveva poca pratica . "
Questa frase sta a significare che sono soprattutto gli abitanti di Palermo ad avere "confidenza" con
gli omicidi; come se la mafia esistesse solo lì.
Pagina 118 "<< In Sicilia le nevicate sono rare>> pensò: e che forse il carattere della civiltà
era dato dalla neve o dal sole, secondo che neve o sole prevalessero . "
Questa frase mostra la differenza caratteriale tra gli abitanti del nord Italia e quelli del sud.
Pagina 16 " . Continentale . ."
Bellodi è di Parma, dunque viene dal "Continente", nel senso che non è originario della Sicilia.
Per questo motivo ha un'altra mentalità.
Analisi degli elementi discorsivi
Velocità del racconto
Questo romanzo è caratterizzato dall' avere alcuni sommari, durante i flashback o analessi, poche ellissi e molte digressioni (specie di paesaggi). La tecnica più usata è la scena, nei vari dialoghi e
interrogatori. Da ciò deduco che il ritmo è molto lento, anche se qualche volta viene velocizzato da
sommari ed ellissi.
L' autore ha deciso di far coincidere il rapporto fabula-intreccio (diegesi), infatti l' ordine è
cronologico, tuttavia in alcune parti troviamo dei flashback.
Esempi di flashback (analessi)
Pagina 42 A proposito della sparizione di Nicolosi vengono ricostruite le circostanze dell'uccisione
di Colasberna e la fuga dell'assassino.
Pagina 56 Presentazione di Marchica e delle sue malefatte. Dal rapporto si deduce di quante
protezioni gode Marchica.
Il flashback porta a conoscenza del lettore fatti avvenuti in precedenza e chiarisce comportamenti e
avvenimenti successivi.
Nel primo caso ci permette di mettere in relazione avvenimenti che in seguito risultano
fondamentali per la prosecuzione delle indagini.
Nel secondo caso il lettore viene a conoscenza della posizione di prestigio di cui gode Marchica
all'interno della cosca mafiosa. Ciò, alla fine del romanzo, chiarisce la svolta che prende l'indagine
e la demolizione della ricostruzione dei fatti del comandante Bellodi.
Narratore
Il narratore è esterno onnisciente (focalizzazione zero), difatti si intuisce che sa già come andrà a
finire la vicenda. Lo possiamo dedurre dal fatto che non è uno dei personaggi del racconto e narra
alla terza persona singolare (eterodiegetico).
Analisi della forma discorsiva
Nel suo libro Sciascia usa il discorso diretto. I molti dialoghi tra due persone sono una caratteristica
di questo romanzo.
Ecco un esempio di dialogo tra il capitano Bellodi e don Mariano:
Pagina 95-96
- Che gliene pare? - domandò il capitano.
- Niente - disse don Mariano restituendogli la fotografia.
- Niente?
- Proprio il niente che è niente.
- Non le sembra un'accusa?
- Accusa? - disse meravigliato don Mariano. - A me pare niente: un pezzo di carta col mio nome
sopra.
- C'è anche un altro nome.
- Già: Rosario Pizzuco.
- Lo conosce?
- Conosco tutto il paese.
- Ma Pizzuco in particolare?
- Non in particolare: come tanti.
- Non ha rapporti di affari con Pizzuco?
- Mi permetta una domanda: Lei che affari crede che io faccia?
- Tanti, e diversi.
- Non faccio affari: vivo di rendita.
- Che rendita?
- Terre.
- Quanti ettari ne possiede?
- Ventidue salme e . : facciamo novanta ettari.
- Danno buona rendita?
- Non sempre: secondo l'annata.
Analisi degli elementi stilistici
Lessico
Sciascia in questo suo romanzo usa un lessico tutto sommato semplice, direi quasi un lessico
"popolare".
Di seguito ecco alcuni significati di parole sconosciute:
trigonella : fieno
stallatico : letame di animali allevati in stalla
celia : scherzo
zecchinetta : gioco d'azzardo che si fa con sectiune siciliane
abigeato : furto di tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria
intemerata : rimprovero lungo e violento
loica : logica
rabesco : insieme di linee capricciose, bizzarre e intricate
sentore : informazione vaga e indistinta
sibillino : oscuro, misterioso, enigmatico
solleone : estate torrida, grande caldo estivo
Sintassi
La sintassi è scorrevole, le frasi si concatenano bene e permettono una chiara comprensione del
testo. Si nota che pure la punteggiatura rende più comprensibile il testo.
Registro
Sciascia utilizza un registro medio così da rendere il romanzo comprensibile a tutti senza troppe
difficoltà.
Sottocodici
Sono parole che assumono diversi significati a seconda del contesto in cui vengono usate.
Esempio di sottocodice:
Cosca : la fitta corona di foglie del carciofo(nel libro sta a significare il nucleo dei mafiosi).
Varietà
Sciascia usa un italiano "standard", non ci sono cambiamenti. Anche nei dialoghi che avvengono a
Roma, Parma o Palermo(la parlata si differenzia molto a seconda di uno di questi posti) lo scrittore
usa sempre lo stesso italiano.
ure retoriche
Onomatopea: consiste nella riproduzione di suoni naturali attraverso il suono della parola stessa (es. fumetti)
Quaquaraquà: lo scrittore usa questa onomatopea per far capire che Dibella è una persona che parla parecchio.
Sappiamo infatti che "quaquaraquà" è il verso dell'oca quando starnazza. (ina 102)
Similitudine: è un paragone tra oggetti, persone, qualità, introdotto da avverbi, locuzioni avverbiali, verbi ( "come", "sembra", "pare", "simile a"). Pagina 91* " . illuminato d'innocenza come un arcangelo Gabriele . "
Lo scrittore con questa similitudine vuol far capire che quando don Mariano uscirà di prigione sarà
ancora pulito. Arcangelo Gabriele = bontà e innocenza
Pagina 103 " . il brigadiere cominciava a stancarsi: si sentiva come un cane costretto a seguire il
cammino del cacciatore attraverso una pietra arsa, . ."
Questa similitudine significa che il brigadiere era molto stanco ma doveva continuare ugualmente.
Metafora: la metafora si basa su una libera associazione di idee e può considerarsi un paragone abbreviato, nel quale non e il "come" e il paragone rimane implicito (paragone: "sei furbo come una volpe"; metafora: "sei una volpe"). Rispetto alla similitudine si stabilisce una relazione più immediata di somiglianza fra un aspetto del significato di una parola e un aspetto del significato dell'altra parola. La metafora si costituisce a partire da una o più proprietà comini ai significati di due termini.
Pagina 15 " . bruciavano di vergogna per il luogo in cui si trovavano . "
Questa metafora significa che avevano tanta vergogna.
Pagina 29 " . e il piombo della sua morte intanto colava . "
Questa ura retorica significa che la mafia stava già pensando di uccidere Calogero Dibella.
Informazioni sull'autore
Biografia
1921: Leonardo Sciascia nasce a Racalmuto, un paese della provincia d'Agrigento ricco
solo di miniere di zolfo e di sale. Suo padre è contabile in una miniera. Sciascia è il
maggiore di tre fratelli; passerà buona parte della sua infanzia in comnia delle zie,
responsabili di un'educazione prevalentemente laica. Anni Trenta: precocemente
infastidito dai rituali del regime fascista, il giovane Sciascia legge libri che
resteranno per lui fondamentali (Manzoni, Hugo, Casanova, Courier, Diderot), va
molto al cinema e a teatro, a Caltanissetta - dove frequenta l'Istituto Magistrale -
entra in contatto con ambienti antifascisti. Le sue letture si allargano ai narratori
americani (Dos Passos, Hemingway, Faulkner), ad Ungaretti e Montale, ai poeti
simbolisti francesi, a filosofi come Spinoza.
1936: scoppia la guerra di Sna, un'altra esperienza decisiva nella formazione di
Sciascia, che dedicherà uno dei suoi racconti più belli, 'L'antimonio', alla sofferenza
dei disoccupati siciliani mandati da Mussolini a morire per Franco.
1941: s'impiega presso il consorzio agrario di Racalmuto, come addetto all'ammasso del
grano. Quest'impiego gli darà modo di toccare con mano la tragica povertà di
contadini, salinari e zolfatari: ne darà testimonianza letteraria nelle 'Parrocchie di
Regalpetra'.
1944: dopo avere abbandonato la facoltà di Magistero di Messina, si sposa con Maria
Andronico, una collega maestra; dal matrimonio nasceranno due lie, Laura e Anna
Maria. Comincia a pubblicare poesie, fogli di diario e articoli politico-letterari in
alcuni giornali di provincia.
1948: il fratello di Sciascia, Giuseppe - direttore di una miniera ad Assoro -, si uccide a
venticinque anni. E' un lutto che segnerà nel profondo la vita di Leonardo, che eviterà
quasi sempre di parlare del fratello e della sua morte, della quale non riuscì a
spiegarsi la ragione.
1949: Sciascia comincia a insegnare nelle scuole elementari di Racalmuto. Farà il maestro
fino al 1957, senza una particolare passione per l'insegnamento ma non perdendo mai
di vista l'umanità dei suoi alunni, annoiati da una scolarizzazione quasi forzata,
profondamente lontana dai loro bisogni primari. Nello stesso '49 Sciascia è tra i
fondatori della rivista nissena 'Galleria', che dirigerà dal 1950 fino alla morte,
garantendosi la collaborazione di prestigiosi scrittori e critici, fra i quali Pasolini.
1950: Sciascia pubblica il suo primo libro, 'Favole della dittatura', prosette in forma di
favola esopiana che precedono di due anni l'uscita della sua unica raccolta di versi,
'La Sicilia, il suo cuore', e dell'antologia 'Il fiore della poesia romanesca', edita con
una prefazione di Pasolini.
1953: Sciascia pubblica il saggio 'Pirandello e il pirandellismo' e comincia a collaborare
con la 'Gazzetta di Parma', recensendo - fra l'altro - con precoce intelligenza critica
'Finzioni' di Jorge Luis Borges. Suoi articoli escono anche su 'L'Ora', 'Letteratura'
e 'Nuova Corrente', più tardi su 'Tempo Presente' e 'Officina'.
1955: la rivista 'Nuovi Argomenti' pubblica le sue 'Cronache scolastiche', ispirate alla sua
esperienza di maestro. L'editore Vito Laterza invita Sciascia a lavorare ancora sul
passato e sul presente di Racalmuto per ricavarne un libro intero. 'Le parrocchie di
Regalpetra' esce così nel 1956, favorevolmente accolto da critici importanti. Vince
anche il premio Crotone.
1957: Sciascia vince il premio 'Libera Stampa' di Lugano, uno dei pochi cui abbia mai
accettato di partecipare, per i due racconti 'La zia d'America' e 'Il Quarantotto'.
1958: questi racconti, insieme a 'La morte di Stalin', vengono raccolti nel libro 'Gli zii di
Sicilia', edito da Einaudi nella collana dei 'Gettoni' diretta da Elio Vittorini. Nel '61,
una nuova edizione del libro sarà arricchita da 'L'antimonio'.
1961: Sciascia pubblica il romanzo 'giallo' 'Il giorno della civetta' che è, ancora oggi, il
suo libro più famoso, il più venduto, il primo a essere tradotto all'estero; un romanzo
nel quale per la prima volta la mafia viene rappresentata nel suo momento di
passaggio dal dominio delle camne al dominio delle città. Nello stesso anno
Sciascia raccoglie alcuni saggi di critica letteraria nel libro 'Pirandello e la Sicilia'.
1963: Sciascia pubblica 'Il Consiglio d'Egitto', un atipico romanzo storico, ispirato a reali
vicende della Palermo di fine Settecento.
1964: è l'anno di 'Morte dell'inquisitore', inchiesta storica fondata su documenti d'archivio
relativi al monaco racalmutese Diego La Matina, condannato come eretico
dall'Inquisizione snola. Nello stesso anno Sciascia si accosta al teatro riscrivendo
in italiano una commedia dialettale ottocentesca, 'I mafiusi di la Vicaria' di Giuseppe Rizzotto e Gaspare Mosca, che utilizza come un canovaccio per ribaltarne il significato filomafioso.
1965: scrive la sua prima pièce, 'L'onorevole', testo che non ebbe fortuna sulle scene ma
che, riletto oggi, assume un forte rilievo profetico circa le vicende della 'Tangentopoli' italiana; pubblica anche 'Feste religiose in Sicilia', un saggio assai polemico sulla religiosità dei siciliani accomnato da fotografie di Ferdinando Scianna.
1966: Sciascia pubblica un altro fortunato romanzo poliziesco, ½ ciascuno il suo', un'altra
storia di una mafia 'ormai urbana e totalmente politicizzata'. Nello stesso anno
Sciascia confessa a Calvino, in una lettera, una personale condizione di disagio che si
sostanzia del proprio essere siciliano, abitante cioè di un'isola talmente rappresentata
e sviscerata dall'arte e dalla letteratura da essere diventata evanescente, anzi morta o
'desertificata'.
1967: Sciascia si trasferisce a Palermo dove si crea intorno a lui un nutrito cenacolo di
scrittori e artisti che darà vita a interessanti esperienze culturali, prima fra tutte la
casa editrice Sellerio. Per Sellerio Sciascia dirigerà, nei fatti ma mai nominalmente,
le collane 'La civiltà perfezionata' e 'La memoria'. Nello stesso anno pubblica
l'antologia 'Narratori di Sicilia', scritta in collaborazione con Salvatore Guglielmino,
e traduce il dialogo 'La veglia a Benincarlò' di Manuel Azaña, un testo che Sciascia
giudica 'la più alta, nobile e solitaria espressione dell'angoscia del far politica che
ogni uomo politico dovrebbe sentire'.
1969: scrive 'Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D.', un testo che dà la
misura di quanto Sciascia sia capace di alludere al presente (l'invasione dei carri
armati sovietici in Cecoslovacchia: l'A.D. della dedica è Alexander Dubcek, il leader
della Primavera di Praga) parlando del passato (una contesa fra autorità politica ed
ecclesiastica nella Sicilia del Settecento). Comincia a collaborare con il 'Corriere
della Sera'. Nel '72 passerà alla 'Stampa', per poi alternare fasi di collaborazione
esclusiva a uno dei due giornali a fasi in cui distribuiva i suoi articoli fra l'uno e
l'altro quotidiano.
1970: Sciascia va in pensione e pubblica la raccolta di saggi 'La corda pazza', dedicata a
scrittori ed artisti siciliani, nell'ambito della quale spicca il concetto di 'sicilitudine',
la condizione dell'uomo siciliano perennemente insidiato dall'insicurezza. Ma la sua
visione narrativa del mondo sta cambiando: non è più esclusivamente legata ai
problemi della Sicilia ma diventa sempre più universale, polemica, 'di secondo
grado' e connotata dalla riflessione etica (cresce l'influsso di Montaigne).
1971: pubblica 'Il contesto', un implacabile e amaro apologo in forma di romanzo e di
parodia, che suscita feroci polemiche con i critici vicini al Pci, adirati dalla sua tesi di
fondo: che cioè nel viluppo, nel 'contesto' di poteri criminali che governano lo Stato
in modo onnipotente, anche il maggior partito d'opposizione decide coscientemente
che la ragion di Stato coincide con 'la ragion di partito'. Nello stesso anno Sciascia
scrive 'Atti relativi alla morte di Raymond Roussel', un piccolo libro molto
importante perché, nel cercare di risolvere il mistero della morte a Palermo dello
scrittore francese, riprende e precisa, dopo 'Morte dell'inquisitore', i contorni di quel
genere letterario (risalente al Manzoni della 'Storia della colonna infame') che è
l'inchiesta storico-letteraria basata su documenti letterari, giornalistici o d'archivio.
1973: raccoglie i suoi racconti più brevi, già editi negli anni sessanta in svariate sedi, nel
libro 'Il mare colore del vino'.
1974: pubblica 'Todo modo', implacabile romanzo-pamphlet sull'Italia democristiana e
gesuitica, infarcito di riferimenti artistico-letterari.
1975: nonostante le frequenti polemiche con i critici di fede comunista, Sciascia accetta di
candidarsi come indipendente nelle liste del Pci nelle elezioni comunali di Palermo.
Eletto, si dimetterà presto, disgustato dalla politica del 'compromesso storico' fra Pci
e Dc. Nello stesso anno pubblica 'La ssa di Majorana', un'inchiesta dedicata
alla fine misteriosa del geniale fisico catanese Ettore Majorana che è anche
l'occasione per sviluppare polemiche riflessioni sulla responsabilità storiche della
scienza. Ne deriverà un'accesa polemica col fisico Edoardo Amaldi.
1976: pubblica 'I pugnalatori', un'altra indagine d'archivio dedicata a una congiura
palermitana del 1862 che Sciascia però legge in chiave attualizzante, con riferimento
alla cosiddetta 'strategia della tensione' degli anni Sessanta-Settanta.
1977: Sciascia comincia a trascorrere alcuni mesi dell'anno a Parigi, dove si concluderà il
viaggio esistenziale del protagonista del suo nuovo romanzo, 'Candido ovvero un
sogno fatto in Sicilia', 'un'operazione liberatoria' da miti ingombranti come il
cristianesimo, il comunismo, la psicoanalisi, perfino l'Illuminismo. Un romanzo che
nasce come riscrittura del capolavoro di Voltaire e finisce per essere una
testimonianza efficace di tensioni e problemi dell'Italia contemporanea.
1978: dall'evento più tragico degli 'anni di piombo' nasce 'L'affaire Moro', il pamphlet col
quale Sciascia analizza le lettere che Moro prigioniero inviava a familiari, colleghi e
amici, e ne ricava un'analisi critica dell'atteggiamento deciso, con il determinante
appoggio del Pci, dal governo italiano guidato da Giulio Andreotti: non trattare con
le BR la liberazione del prigioniero.
1979: Sciascia pubblica tre libri, apparentemente diversi ma in realtà molto simili, per la
vena polemica che circola fra le loro ine: 'Nero su nero', una sorta di diario in
pubblico composto di lacerti spesso quasi epigrammatici; 'La Sicilia come
metafora', una lunga intervista autobiografica curata dalla giornalista francese
Marcelle Padovani; 'Dalle parti degli infedeli', una breve inchiesta storica sulla
persecuzione che le gerarchie ecclesiastiche misero in atto nei confronti di monsignor
Ficarra, un vescovo siciliano che si opponeva a un uso politico del mandato
pastorale. Ma il 1979 è soprattutto l'anno in cui Sciascia accetta la proposta del
Partito Radicale per una candidatura alle elezioni politiche. L'esperienza
parlamentare sarà per lui soprattutto un mezzo per indagare sul caso Moro, come
membro della commissione parlamentare d'inchiesta. Alla fine dei lavori della
commissione, nel 1982, Sciascia non condividerà le conclusioni del relatore di
maggioranza ed esprimerà tutte le sue perplessità in una relazione di minoranza,
pubblicata in appendice a una ristampa dell'Affaire Moro.
1981-l986: negli anni del mandato parlamentare Sciascia non scrive romanzi ma solo libriintervista
('Conversazione in una stanza chiusa' con lo scrittore piemontese Davide
Lajolo), raccolte di saggi (lo straordinario 'Cruciverba'), divagazioni memoriali o bibliofile ('Kermesse' - poi ampliato in 'Occhio di capra' -, ricordi, parole, motti
racalmutesi, cui andrà il premio Nonino; la fantasticheria su 'Stendhal e la Sicilia';
'Per un ritratto dello scrittore da giovane', un omaggio a Borgese), 'cronachette' ('Il
teatro delmemoria - I processi di memorizzazione dall'acquisizione al richiamo - Studi comparati" class="text">la memoria', dedicato alla vicenda pirandelliana dello smemorato di
Collegno; 'La sentenza memorabile', sull'analogo caso del francese Martin Guerre;
'Cronachette', che vince il premio Bagutta; 'La strega e il capitano', su un caso di
stregoneria nella Milano seicentesca, scoperto a margine dei testi manzoniani): c'è
una vera e propria sfiducia ideologica nella possibilità che il romanzo possa
interpretare con i mezzi consueti una realtà tanto complessa e che richiede
un'immersione così coinvolgente in essa.
1982: dopo l'assassinio mafioso del prefetto di Palermo, generale Dalla Chiesa, lo scrittore,
rifiutatosi di elogiare incondizionatamente la sua azione, viene accusato dal lio del
generale, Nando Dalla Chiesa, di voler 'fare il gioco della mafia'. Una vicenda
analoga si ripeterà nel 1987, quando Sciascia - di fronte alla camna contro la
mafia del sindaco di Palermo Leoluca Orlando e alla promozione a procuratore della
repubblica di Marsala di Paolo Borsellino, un giudice del pool antimafia di Palermo
preferito a un altro magistrato più anziano che però non aveva mai preso parte a
processi contro la mafia -, vorrà suonare un campanello d'allarme in difesa del
rispetto rigoroso delle leggi e contro la possibilità che si utilizzi 'l'antimafia come
strumento di potere', un pò com'era successo in epoca fascista. Sciascia è investito da
un uragano di accuse, tutte volte a sottolinearne la 'oggettiva' complicità con la
mafia: si distinguono in questo coro il Coordinamento antimafia di Palermo e il
giornalista Giampaolo Pansa. Lo scrittore replica puntualmente, sottolineando di aver
fatto, a proposito di Borsellino, un discorso di metodo procedurale e non di merito
(come d'altronde il giudice aveva perfettamente capito).
1983: compie un viaggio in Sna, ricavandone una serie di articoli per il 'Corriere della
Sera', i migliori dei quali, insieme a splendide foto di Scianna, comporranno il libro
'Ore di Sna', curato nel 1988 da Natale Tedesco. Nello stesso anno viene
arrestato, sulla base delle infondate accuse di alcuni camorristi collaboratori di
giustizia, il presentatore televisivo Enzo Tortora: Sciascia si dichiara certo della sua
innocenza, e presiede un comitato 'per la giustizia giusta' che propone la candidatura
di Tortora alle elezioni del 1984 per il parlamento europeo (il presentatore sarà eletto
nelle liste radicali).
1986: pubblica 1912+1, una 'cronachetta' più lunga e divertita del solito, dedicata a un
celebre caso giudiziario di primo Novecento.
1987: il problema della giustizia diventa centrale nella riflessione di Sciascia, grazie anche
all'attenzione con cui segue l'attività internazionale di Amnesty International.
Pubblica 'Porte aperte', un affascinante libro contro la pena di morte, ispirato alla
vicenda del magistrato racalmutese Salvatore Petrone. Esce nella collana Classici
Bompiani il primo tomo delle sue 'Opere' complete, curate dal fedele critico
francese Claude Ambroise secondo un piano editoriale concordato con Sciascia
stesso. Gli altri due volumi usciranno postumi.
1988: Sciascia, da tempo malandato in salute, scopre di soffrire di una rara forma tumorale
al midollo osseo, che lo costringerà a cure lunghe e dolorose. Commovente
testimonianza di tale calvario è il romanzo 'giallo' 'Il cavaliere e la morte', un
capolavoro intarsiato di riflessioni sul presente e sul futuro dell'Italia e dell'umanità.
1989: poco prima di morire, nel mese di novembre, Sciascia pubblica diversi libri: 'Una
storia semplice', uno smilzo racconto poliziesco, morale e politico insieme;
'Alfabeto pirandelliano', delizioso libretto dedicato all'autore per lui più importante;
la raccolta di saggi 'Fatti diversi di storia letteraria e civile'; ½ futura memoria (se
la memoria ha un futuro)', che raccoglie i suoi principali interventi di polemica
politica e civile degli anni ottanta, compresi quelli su mafia e antimafia.
Nella cartina possiamo notare dove Sciascia è nato (Racalmuto) e anche dove si svolge
buona parte del racconto. (Nei pressi di Palermo)
Bibliografia
Romanzi
"Favole della dittatura', Bardi, Roma, 1950
'La Sicilia, il suo cuore', Bardi, Roma, 1952
'Pirandello e il pirandellismo', Salvatore Sciascia, Caltanissetta, 1953
'Le parrocchie di Regalpetra', Laterza, Bari, 1956
'Gli zii di Sicilia', Einaudi, Torino, 1958 (con l'aggiunta de 'L'Antimonio' nel 1960)
'Il giorno della civetta', Einaudi, Torino, 1961
'Pirandello e la Sicilia', Salvatore Sciascia, Caltanissetta, 1961
'Il Consiglio d'Egitto', Einaudi, Torino, 1963
'Morte dell'inquisitore', Laterza, Bari, 1964
'L'onorevole', Einaudi, Torino, 1965
'A ciascuno il suo', Einaudi, Torino, 1966
'Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D.', Einaudi, Torino, 1969
'La corda pazza', Einaudi, Torino, 1970
'Il contesto', Einaudi, Torino, 1971
'Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, ESSE (Sellerio), Palermo, 1971
'Il mare colore del vino', Einaudi, Torino, 1973
'Todo modo', Einaudi, Torino, 1974
'La ssa di Majorana', Einaudi, Torino, 1975
'I pugnalatori', Einaudi, Torino, 1976
'Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia', Einaudi, Torino, 1977
'L'affaire Moro', Sellerio, Palermo, 1978
'Nero su nero', Einaudi, Torino, 1979
'Dalle parti degli infedeli', Sellerio, Palermo, 1979
'Il teatro della memoria', Einaudi, Torino, 1981
'La sentenza memorabile', Sellerio, Palermo, 1982
'Kermesse', Sellerio, Palermo, 1982 (poi 'Occhio di capra', Einaudi, Torino, 1984)
'Cruciverba', Einaudi, Torino, 1983
'Stendhal e la Sicilia', Sellerio, Palermo, 1984
'Cronachette', Sellerio, Palermo, 1985
'Per un ritratto dello scrittore da giovane', Sellerio, Palermo, 1985
'La strega e il capitano', Bompiani, Milano, 1986
'1912+1', Adelphi, Milano, 1986
'Porte aperte', Adelphi, Milano, 1987
'Il cavaliere e la morte', Adelphi, Milano, 1987
'Ore di Sna', Pungitopo, Marina di Patti, 1988
'Alfabeto pirandelliano', Adelphi, Milano, 1989
'Una storia semplice', Adelphi, Milano, 1989
'Fatti diversi di storia letteraria e civile', Sellerio, Palermo, 1989
'A futura memoria', Bompiani, Milano, 1989
Libri-intervista:
'La Sicilia come metafora', Mondadori, Milano, 1979
'Conversazione in una stanza chiusa', Sperling & Kupfer, Milano, 1981
'La palma va al Nord', Quaderni radicali, Roma, 1981
'Fuoco all'anima (Conversazioni con Domenico Porzio), Mondadori, Milano, 1992
Antologie a cura di Leonardo Sciascia:
'Il fiore della poesia romanesca' (Premessa di Pier Paolo Pasolini), S.Sciascia, Caltanissetta, 1952
'Narratori di Sicilia' (con Salvatore Guglielmino), Mursia, Milano, 1967
'Delle cose di Sicilia' (quattro volumi), Sellerio, Palermo, 1980, 1982, 1984, 1986
Conclusione
Prima che leggessi questo libro di Sciascia la mia conoscenza sulla mafia era quella "dei film",
ossia la mia concezione di mafia era quella dell'italiano, che abita negli Stati Uniti, che regola i
propri interessi a colpi di mitragliatore.
Dopo aver letto il libro però, ho capito che la mafia è tutt'altra cosa e che non esiste solo negli USA
ma in tutto il mondo e soprattutto a Palermo.
In questa città la mafia, a mio parere, è parte integrante della società, esiste in qualsiasi posto e in
qualsiasi ente; controlla e dirige tutte le attività della città, facendo i propri interessi finanziari.
Le persone e soprattutto le società che non si "associano" a queste così dette "cosche", vengono
fatte fallire o addirittura vengono uccisi dei membri appartenenti a queste società (come capitato nel
libro di Sciascia).
Secondo me Sciascia, con questo libro, vuol denunciare le autorità del posto che non muovono un
dito per debellare questa piaga dell'umanità; infatti il comandante Bellodi è di Parma.
Penso comunque che la polizia di Palermo non possa fare più di tanto se non vuole che le succeda
qualcosa di poco piacevole .
Io sono dell'opinione che se tutte le polizie del mondo unissero le loro forze riuscirebbero a
scongere la mafia, ma purtroppo i corrotti ci saranno sempre!
In conclusione posso affermare che il libro di Sciascia, da me letto, sia molto interessante, questo
perché lo scrittore è riuscito a costruire una storia attorno allo scottante tema della mafia.
Allegato
La criminalità organizzata
La mafia
«La chiamano onore, ma è disprezzo, ferocia, tradimento»
La definizione è del vescovo di Agrigento, ed è stata pronunciata ai funerali di un giudice (uno dei
tanti, dei troppi) ucciso dalla criminalità organizzata: «Peggio di Hitler. La chiamano onore, ma è
vestita di ferocia, di disprezzo, di tradimento». Non meno dura, circostanziata la denuncia dell' ex.
Presidente della Repubblica, Cossiga: «Questo tipo di criminalità organizzata sembra aver
acquistato il controllo di parte del territorio nazionale. Non si tratta più di crimini comuni, ma di un
attentato alla sicurezza dello Stato e della Repubblica L'unità nazionale è aggredita e minacciata».
Nelle regioni dove questa è più organizzata, secondo dichiarazioni del capo della polizia rese al
Senato, esistono 434 «cosche», quasi sempre in conflitto tra loro, comprendenti più di 15.000
delinquenti attivi. 19.000 sono i latitanti, in aumento delitti e guadagni, sangue e miliardi. Ecco una
prima «mappa» (cioè descrizione) del fenomeno.
La grande rapina
La malavita organizzata prospera sugli spaventosi guadagni consentiti dal traffico di droga,
dispensando disperazione, vizio, morte. Ma questa non è la sua sola fonte di profitto. La «grande
rapina» è stata possibile anche grazie alle ingenti somme (decine di migliaia di miliardi) stanziate
agli inizi degli anni '80 per ricostruire i paesi distrutti o danneggiati nel Sud dal terremoto. Lo Stato
ha fornito i fondi, i Comuni hanno appaltato i lavori, la mafia e la camorra hanno fatto man bassa,
ottenendo incarichi, concessioni ed esclusive «poco pulite» da amministratori compiacenti.
Fino a poco tempo fa la mafia viveva di estorsioni, cioè imponeva la sua «protezione» a ditte grandi
e piccole che in cambio dovevano (e oggi ancora in gran parte debbono) versare una determinata
somma alla settimana, pena l'incendio o la dinamite. Oggi, secondo la Magistratura e la
Commissione parlamentare antimafia, la criminalità organizzata sta passando sempre più
attivamente dalla «protezione» alla «partecipazione». In una città siciliana, ha accertato la
Commissione antimafia:
«i mafiosi sono entrati con forza in tutte e principali attività commerciali. Acquistano grandi
negozi, rilevano bar e boutiques, vogliono quote di società e si impadroniscono di grandi
solide aziende che mai pensavano di andarli a cercare. Oppure si nascondono, dopo averla derubata
di negozi e aziende, dietro gente insospettabile che è costretta anche a rappresentarli davanti al fisco
e alla legge».
La 'mattanza'
I vari gruppi mafiosi (le «cosche,,, costituite quasi sempre su base famigliare) si danno battaglia per il predominio sul territorio e per assicurarsi i migliori «carichi» di
droga o di sigarette e gli appalti più redditizi. Ne consegue una «mattanza», cioè una strage
incessante: ogni giorno i killer (molte volte giovanissimi) assassinano questo o quell'esponente del
clan rivale e poi, a loro volta, cadono sotto i colpi degli avversari. La legge che vige è quella del più
forte, del più feroce, del più spietato. Mafia e camorra infatti non risparmiano donne e bambini, se
appartengono a un clan nemico o se rappresentano testimoni «scomodi».
Mafia e politica
In occasione delle elezioni amministrative del 1990 prefetti e carabinieri hanno segnalato che le
liste presentate in vari Comuni erano «inquinate» perché includevano i nomi di vari boss mafiosi. I
quali sono stati eletti in diverse località e quindi ora decidono appalti, forniture e spese. «Dire che
tutti i politici siano inquinati
non è giusto» ha affermato di recente il vescovo di Acerra «Quello che però mi meraviglia è che i
partiti siano restii a togliere di mezzo quelli che danno sospetto».
L'azione dello Stato
Tardiva, poco convinta e priva di una strategia adeguata: ecco l'opinione di gran parte della stampa.
La giustizia, proprio nelle zone «calde», appare priva di mezzi e quindi vicina alla paralisi. In virtù
di nuove norme di legge, quasi trentamila detenuti sono stati scarcerati perché erano trascorsi i
termini dì tempo in cui si doveva celebrare il processo.
In tutto, sempre secondo le dichiarazioni del capo della Polizia, le persone «pericolose» messe in
libertà erano molte decine di migliaia.
Ma vi è di più. Non sono poche le situazioni in cui magistrati e funzionari sono lasciati soli, in
«prima linea», a condurre la lotta contro la criminalità organizzata e spesso ano con la vita il
proprio coraggio e attaccamento al dovere e la colpevole inerzia di altri. E' l'opinione di un
combattivo giornalista, Giorgio Bocca: rievocando il sacrificio del generale Dalla Chiesa,
commissario straordinario per la lotta alla mafia, ricorda che egli fu «abbandonato da tutti» in
special modo dal «potere, che gli aveva fatto il vuoto intorno», perché egli aveva bloccato «i
passaggi obbligati che controllano gli affari e i voti». Il generale segui la sorte di altri (Falcone,
Borsellino, ) che avevano osservato fino agli estremi il giuramento di fedeltà alla Repubblica: nel
settembre del 1982 venne assassinato dalla mafia insieme alla scorta e alla giovane moglie. Quella
notte in diversi carceri italiani i mafiosi detenuti brindarono alla loro morte.
Che cosa fare?
La lotta e la possibile vittoria contro la criminalità organizzata, è stato detto anche autorevolmente,
sono legate ad alcune condizioni. Occorre fare leggi più severe; rafforzare la magistratura e le forze
dell'ordine, creando anche uno speciale corpo investigativo e assicurando un coordinamento
unitario; promuovere una «rivolta delle coscienze» di tutti gli italiani contro la degenerazione della
nostra società e interventi atti a mutare le condizioni di alcune regioni meridionali. E ancora,
passare dalla «cultura» della mafia, fatta di sopraffazione, corruzione e delitto, a una cultura della
vita. Infine, superare la crescente sfiducia nelle istituzioni, cioè «moralizzare» la vita pubblica. Solo
così potrà essere restituita ai giovani e ai giovanissimi la fiducia nei «grandi ideali di giustizia e di
solidarietà», sono parole di Giovanni Paolo II, «per costruire una nuova umanità in un disegno di
rinnovamento e di pace».
Intervista a Leonardo Sciascia.
di Jurg Altwegg
'Non c'é nulla che mi infastidisca quanto l'essere considerato un esperto di mafia, o come oggi si
usa dire, un 'mafiologo'. Sono semplicemente uno che é nato e vissuto in un paese della Sicilia
occidentale e ha sempre cercato di capire la realtà che lo circonda, gli avvenimenti, le persone. Sono
un esperto di mafia così come lo sono di agricoltura, di emigrazione, di tradizioni popolari, di
zolfara: a livello delle cose vissute e in parte sofferte.' (Leonardo Sciascia, Corriere della Sera, 19
settembre 1982). Sso dieci anni fa, non è soltanto per rendere un doveroso omaggio al
'Maestro di Regalpetra' - da noi amato, oggi se possibile con più intensità, con maggiore
consapevolezza - che abbiamo deciso di ripubblicare una sua intervista sulla mafia,rilasciata alla
Frankfurter Allgemeine Zeitung-Magazin nel 1987 e apparsa inedita per l'Italia nel 1992 sulla
rivista Suddovest. Non solo l'omaggio. Riteniamo, infatti, che attorno all'argomento mafia in questi
dieci anni si sia addensata molta cattiva letteratura, cattiva mitologia: il comune senso grossolano
della storia, vago di fole, si sazia oggi delle acquisizioni processuali e degli oracoli del pentimento
di massa, come ieri delle parabole edificanti dei picciotti dritti. Mai come in questi giorni in cui una
desolante restaurazione succede all'illusione giudiziaria, sentiamo il bisogno della lama lucida e
affilata dell'intelligenza di Sciascia, delle sue annotazioni a futura memoria. Ci illudiamo, con lui,
che la memoria possa avere un futuro.
Iniziamo dal rapporto tra la mafia e il fascismo. Quale fu il comportamento dei
fascisti di fronte alla mafia?
I fascisti cercarono di scacciare la mafia, di eliminarla: essi stessi erano già una mafia. Ci fu una
vera lotta di concorrenza. Ma, ben altrimenti, lo Stato non ha mai realmente cercato di combattere la
mafia. Al contrario ad esso si deve una grossa responsabilità nell'estensione di questo cancro. Si può
persino dire che la mafia si è sviluppata in seno allo Stato. Si sente parlare sempre ogni volta degli
errori in cui lo Stato è incorso nella lotta contro la mafia - ma si trattasse solo di 'errori' ! Dopo
l'era fascista la cosiddetta lotta alla mafia assume qualche volta forme spettacolari, spesso ridicole.
Così si inviarono pattuglie nella macchia siciliana, come se i boss dovessero nascondersi lì.
Come funziona la mafia?
Io ho conosciuto personalmente alcuni mafiosi. Ho avuto la possibilità di intervistare Genco Russo,
che dopo don Calò era considerato il vero e proprio capo della mafia siciliana. Nel colloquio con lui
ho capito molte cose. Proprio all'inizio egli mi disse: 'dimentichiamo la parola mafia. Parliamo
piuttosto di amicizia. Lei è venuto da me per farmi alcune domande. Ma beviamoci prima un caffè.
Quando io verrò a visitarla al suo paese, allo stesso modo anche lei mi offrirà un caffè. E' così che si
formano le amicizie'. Questo Genco Russo era un contadino, una personalità, carico di saggezza e
pessimismo. Il suo linguaggio era fortemente urato, fiorito. Si sentiva che egli rappresentava una
cultura, era impregnata di un sistema di idee e di valori. Nel colloquio con lui ho capito perché gli
sforzi dei partiti di sinistra di combattere la mafia sono rimasti senza frutti: essi non erano in
condizione di suscitare una rivoluzione culturale. Erano incapaci di sostituire la cultura della mafia
con un'altra cultura. Essi credevano infine che si potesse essere socialisti o comunisti senza operare
una rottura di fondo con la visione del mondo che ha la mafia. In un paese progredito come
Bagheria, il segretario del partito socialista commise un delitto, che poteva spiegarsi solo con il
fatto che egli aveva interiorizzato il codice d'onore mafioso: sua lia, che era vedova, aveva una
relazione con un uomo più giovane. Il segretario socialista lo ha ucciso. E a Piazza Armerina un
membro del partito comunista ha ucciso l'amante di sua lia.
Perché la mafia è così affascinante?
Non vi è solo l'aspetto politico, vi è anche quello letterario. Ed io devo riconoscere che in me, come
in molti siciliani, si può diagnosticare un rapporto contraddittorio con la mafia. Naturalmente io
respingo la mafia come fenomeno sociale, e sarebbe auspicabile che i mafiosi, simpatici e meno
simpatici, fossero mandati in prigione. Ma come fenomeno letterario essa è effettivamente
affascinante. La mafia rappresenta una visione tragica dell'esistenza. Essa richiese una grande
serietà ed intransigenza nel comportamento. Si espone ai rischi e li collega ad una pretesa di totalità
che si trova presso i mafiosi di ogni grado gerarchico. Essa incarna ciò che Montesquieu chiamava
le 'virtù della classe dominante'. Ma i mafiosi sono virtuosi in un senso anche molto più semplice.
E' impossibile per loro il prodursi del più lieve scandalo. Non c'è divorzio, niente droghe, niente
simpatie per l'estrema sinistra. Essi odiano il disordine e il disprezzo delle norme. Il mafioso è
puritano, sia in campo sociale che individuale. In una società che assiste completamente impotente
alla dissoluzione dei suoi valori, il mafioso vive in un sistema coerente, che certamente sarebbe
piaciuto a Calvino.
La mafia come setta calvinista in una società cattolica?
In effetti. Un universo letteralmente fertile.
Secondo la sua veduta la lotta contro la mafia dovrebbe prendere piede sul piano
culturale?
Il più grande nemico della mafia è lo shock culturale che Pier Paolo Pasolini ha descritto.
L'omologazione culturale attraverso la televisione, che proa nuovi modelli edonistici di
comportamento. Film e televisione lasciano intravedere al giovane mafioso il miraggio di una vita
in cui le pretese di piacere e di consumo sono soddisfatte. Egli vuole godere la vita. Vuole avere più
libertà e trarre profitto dalle molte possibilità della società del benessere. C'è un conflitto
generazionale, ma purtroppo la rottura non si afferma in nome di una nuova cultura, di una nuova
visione del mondo, bensì come tentazione verso una vita più comoda.
Questo ha effetti sul modo di funzionare della mafia?
Poiché il modello culturale funziona sempre meno, la mafia deve esercitare una funzione di polizia
sempre più forte. Al di fuori dei delitti di mafia che sono diventati sempre più numerosi, anche a
causa dei maggiori disordini all'interno della propria organizzazione, Palermo è una città
relativamente tranquilla. C'è molto meno piccola criminalità che a Napoli o a Catania. Ci sono
certamente dei furti, ma essi vengono fatti are aspramente - dalla mafia. Può accadere che un
piccolo ladro venga punito con la morte dalla mafia. La mafia ha bisogno di tranquillità per poter
portare avanti i suoi grandi affari. Anche nel sottosviluppo economico essa trova ogni interesse - più
disoccupati ci sono, più grande è il potere della mafia. La vecchia mafia che era rigidamente
strutturata, si sapeva in ogni paese che era il capo. Egli faceva anche da paciere. Ma la struttura
gerarchica funziona sempre meno. Ci sono gruppi rivali che non rispettano nessun ordine, ma
vogliono subito un rapido guadagno. Un tempo i proprietari di negozi e di ristoranti, gli esercenti
venivano spremuti solo una volta, adesso più volte. Essi non sono i soli che rimpiangono la vecchia
mafia.
Lei protesta contro le leggi eccezionali nella lotta alla mafia. Perché?
Io sono contro le leggi eccezionali. In Itali si ritiene che siano un toccasana, ma per lo più non
servono a nulla. C'è una tentazione di introdurre leggi speciali, anche adesso, per il grande processo
di mafia di Palermo. Vista la sua durata infinita, si cerca per esempio di regolare più severamente il
carcere preventivo. Ma ciò vorrebbe dire: la mafia resterebbe, e noi avremmo un pezzo di Stato di
diritto in meno.
Allora è preferibile incorrere nel rischio che certi mafiosi sfuggano attraverso le
maglie della legge?
Certamente. Poiché altrimenti c'è il rischio che anche cittadini completamente innocenti vengano
rinchiusi in gabbia per mesi o per anni. Ma si può tenere per certo che il grande processo contro la
mafia a Palermo è una cosa seria, al contrario del processo contro la camorra a Napoli. L'accusa si
basa su riscontri obiettivi e non solo su rivelazioni di ex mafiosi pentiti a cui è stata promessa
l'impunità. Ma esso deve rimanere un processo come un altro, senza eccezioni, senza regole
speciali.
Lei non ha mai avuto paura che la mafia potesse ucciderla?
No. Sono stato minacciato solo una volta. E fu al tempo in cui a Palermo venne ucciso il
procuratore della repubblica Scaglione. Io mi trovavo a Milano e trasmisi informazioni ad Arrigo
Benedetti, che poi vennero pubblicate anche sul 'Mondo'. Benedetti si richiamava nel suo articolo a
mie affermazioni e allora ricevetti una lettera che egli pubblicò ugualmente. In questo scritto io
venivo minacciato : se Sciascia - vi si leggeva - in Sicilia non si trova bene, lo spediamo noi
volentieri altrove dove si sentirà molto meglio Altrimenti con me la mafia non si è fatta mai viva.
Come intellettuale lei è divenuto in Italia un'istituzione, un contropotere. Cosa può
fare in questa funzione?
Quello che faccio: scrivere.
Crede Lei effettivamente al senso dello scrivere?
Certamente. Io credo nella ragione, nella libertà, nella giustizia. Io credo in un mondo in cui questi
ideali possano realizzarsi, anche quando non sarà un mondo perfetto. Ma la storia della Sicilia è una
storia di sconfitte: sconfitte della ragione, sconfitte degli uomini che questa ragione incarnano. La
mia propria storia è un seguito di sconfitte. Ovvero, per esprimersi più moderatamente: di
disillusioni. Da qui proviene il mio scetticismo.
(Pubblicata sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung-Magazin del 31/07/1987 Traduzione. dal tedesco diPeppe Balistreri)
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