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Italo Svevo
Gli studi in Germania
Aron Hector Schmitz (Italo Svevo è uno pseudonimo letterario) nacque a Trieste, allora territorio dell'Impero asburgico, nel 1861, da un'agiata famiglia borghese. Il padre, Francesco, commerciante in vetrami, era lio di un funzionario imperiale austriaco di origine ebraica; la madre, Allegra Moravia, era anch'essa di famiglia ebraica, proveniente dal Friuli. Gli studi del ragazzo furono indirizzati dal padre verso la carriera commerciale: nel collegio in Germania studiò materie utili per quel tipo di attività e si impadronì perfettamente del tedesco. Contemporaneamente però si dedicò anche ad appassionate letture di scrittori tedeschi, Goethe, Schiller. Heine, Jean Paul, dimostrando così il suo fondamentale interesse letterario.
Nel 1878, a diciassette anni, ritornò a Trieste e si iscrisse all'Istituto Superiore per il Commercio. Però la sua aspirazione era di divenire scrittore: collaborò al giornale triestino «L'Indipendente», di orientamento liberal-nazionale e irredentista. Politicamente era vicino alle posizioni irredentistiche, come gran parte della borghesia triestina, e manifestava anche interesse per il socialismo.
Il fallimento paterno e la declassazione
Nel 1880, in seguito ad un investimento industriale sbagliato, il padre fallì: Svevo conobbe così l'esperienza della declassazione, passando dall'agio borghese ad una condizione di ristrettezza. Fu costretto a cercar lavoro e si impiegò presso una banca. Nel 1886 strinse amicizia con Umberto Veruda. pittore bohémien brillante ed estroverso, che esercitò profonda influenza su di lui (e fornì il modello per il personaggio di Stefano Balli in Senilità).
II matrimonio e il salto di classe sociale
Nel 1895 morì la madre, a cui lo scrittore era molto legato. Al suo capezzale, quasi in un simbolico scambio di consegne, incontrò una cugina, molto più giovane di lui, Livia Veneziani, e se ne innamorò, fidanzandosi con lei nel corso dello stesso anno. Il matrimonio segnò una svolta fondamentale nella vita di Svevo. I Veneziani erano facoltosi industriali, proprietari di una fabbrica di vernici antiruggine per navi, che era ben inserita nel mercato internazionale. Così Svevo, per uscire dalle ristrettezze in cui viveva, abbandonò l'impiego alla banca ed entrò nella ditta dei suoceri. Fu un salto di classe sociale: da una modesta e grigia condizione piccolo borghese Svevo si trovò proiettato nel mondo dell'alta borghesia.
L'abbandono della letteratura
Divenuto uomo d'affari e dirigente industriale, lasciò l'attività letteraria, guardandola con sospetto, come qualche cosa di insidioso e malsano. In realtà il proposito di abbandonare la scrittura letteraria non fu da lui osservato con rigore. Innanzitutto il bisogno di scrivere riaffiora sotto il pretesto del fine pratico di «capirsi meglio» (come si legge subito dopo le righe citate dalla ina di diario). Ma, accanto alle annotazioni diaristiche, alle lettere, agli appunti, agli abbozzi di saggi filosofici, che possono essere coperti da quell'alibi, compaiono anche scritture letterarie.
L'incontro con Joyce
Negli anni tra l'ingresso nell'attività industriale e lo scoppio della guerra si verificarono anche due eventi capitali per la formazione intellettuale di Svevo. Il primo fu l'incontro con James Joyce: questi, esule dalla sua Irlanda, insegnava a Trieste presso la Berlitz School, e Svevo prese da lui lezioni di inglese, lingua di cui aveva bisogno per í suoi viaggi. Tra il giovane scrittore irlandese e l'ormai maturo industriale triestino nacque una stretta amicizia, fervida di scambi intellettuali e destinata a durare nel tempo.
L'incontro con la psicanalisi
L'altro evento fondamentale fu l'incontro con la psicanalisi, che avvenne fra il 1908 e il 1910: il cognato aveva sostenuto una terapia a Vienna con Freud, e questo fu il tramite attraverso cui Svevo venne a conoscenza delle teorie psicanalitiche, che egli stimava inefficaci sul piano medico ma utili in letteratura per l'analisi dell'inconscio.
La coscienza di Zeno
Durante la guerra poiché la fabbrica di vernici fu requisita per ordine delle autorità austriache, Svevo si trovò libero da ogni incombenza pratica e poté riprendere la sua attività intellettuale. Sotto questa spinta scrisse La coscienza di Zeno, che venne pubblicato nel 1923. Come già era avvenuto peri due romanzi precedenti, ancora una volta l'opera non suscitò alcuna risonanza. Esasperato per questo silenzio, che sentiva profondamente ingiusto, Svevo mandò il romanzo a Parigi all'amico Joyce, che, riconosciutone immediatamente lo straordinario valore, si adoperò per imporlo all'attenzione degli intellettuali francesi.
Il successo in Francia
Ad opera anche di due fini intenditori di cose italiane, Valery Larbaud e Benjamin Crémieux, che promossero una traduzione francese della Coscienza e nel 1926 curarono un numero tutto dedicato a Svevo della rivista «Le Navire d'Argent», lo scrittore triestino arrivò a conquistare larga fama in Francia e su scala europea.
L'articolo di Montale
In Italia lo scrittore non ottenne alcun riconoscimento. L'unica eccezione, o quasi, fu costituita da un giovane poeta, Eugenio Montale, che gli dedicò un ampio saggio sulla rivista «L'esame» nel 1925, riconoscendo immediatamente la sua grandezza.
La morte in un incidente d'auto
L'11 settembre del 1928, però, ebbe un incidente d'auto a Motta di Livenza, presso Treviso e due giorni dopo morì, in conseguenza delle ferite riportate.
L'inetto
I tre romanzi di Svevo "Una vita", "Senilità", "La coscienza di Zeno", presentano sfaccettature diverse della ura dell'inetto, una persona che non si è mai realizzata, non ha mai ottenuto successo in campo lavorativo o umano, si è sempre lasciato superare dalle personalità più rampanti. Si tratta sempre di personaggi che si arrovellano , si consumano dal ragionamento senza riceverne giovamento. Questo loro essere più riflessivi che attivi li porta però alla consapevolezza del declino della società; per questo non accettano gli schemi comuni e sono ai margini della competizione della vita. Per giustificare la propria inettitudine sono soliti crearsi alibi.
Senilità
La vicenda Il protagonista, Emilio Brentani, trentacinquenne, vive di un modesto impiego presso una società di assicurazioni triestina e gode di una certa reputazione in ambito cittadino per un romanzo pubblicato anni prima, dopo il quale però non ha scritto più nulla. Egli ha attraversato la vita con prudenza, evitando i pericoli ma anche i piaceri, appoggiandosi alla sorella Amalia, con cui vive e che lo accudisce «come una madre dimentica di se stessa», e all'amico Stefano Balli, scultore. uomo dalla personalità forte, che compensa l'insuccesso artistico con un'eccezionale fortuna con le donne, e che rappresenta per il debole Emilio una sorta di ura paterna. L'insoddisfazione per la propria esistenza vuota e mediocre spinge però Emilio a cercare il godimento nell'avventura, che egli crede «facile e breve», con una ragazza del popolo, Angiolina, da lui conosciuta casualmente. Emilio si propone semplicemente di divertirsi senza impegnarsi, imitando l'amico Balli. In realtà si innamora perdutamente della ragazza, idealizzandola e trasformandola nella sua fantasia in una creatura angelica (la chiama infatti con nomi dolci e le insegna il francese per renderla più simile alle donne dei romanzi che ha letto). Quando la fanciulla va a servizio da una famiglia può dedicare poco tempo ad Emili; tuttavia il Balli la vede frequentare l'ombrellaio e ciò crea continue liti della coppia. La scoperta della vera natura di Angiolina, che ha numerosi amanti e sì rivela cinica e mentitrice, scatena la sua gelosia, che assume veri e propri caratteri ossessivi. Ma egli non riesce a staccarsi dalla ragazza: un tentativo di separazione lo getta in uno stato di prostrazione profonda, privandolo di quella energia vitale che aveva trovato nel rapporto, e che egli definisce «gioventù». Di conseguenza riallaccia la relazione, ma il possesso fisico, a cui finalmente arriva (in verità per iniziativa di Angiolina che, sapendo che Emilio non l'avrebbe sposata, decide di divenire moglie del Volpini in modo da giustificare la perdita della verginità) lo delude e lo lascia insoddisfatto, perché ha avuto non la ura ideale che ama, ma la donna reale, di carne, che disprezza. È sempre più disgustato da Angiolina che, oltre a mentirgli sistematicamente, si rivela rozza e volgare. L'amico Balli si interessa anch'egli ad Angiolina, prendendola come modella per una sua statua; e la ragazza si innamora puntualmente di lui. La gelosia patologica di Emilio si concentra allora tutta sull'amico. Nel frattempo la sorella Amalia vive un'avventura parallela e analoga alla sua: la grigia zitella, che non ha mai conosciuto la vita e il godimento, si innamora di Stefano Balli, l'affascinante artista bohémien, e, non osando rivelare i suoi sentimenti, trova apamento solo nei sogni. Emilio, accortosene, allontana l'amico da casa sua, ma in tal modo distrugge la vita della sorella. Amalia cerca l'oblio nell'etere, minando così il suo fisico già debole, che soccombe alla polmonite. Ad accudire Amalia è chiamata l'infermiera Elena, una persona forte , che vuole imporre la propria personalità sui malati. Emilio lascia il capezzale di Amalia morente, per recarsi all'appuntamento con Angiolina, deciso ad abbandonarla definitivamente e a dedicarsi tutto alla sorella. Ma l'addio non avviene con la dolcezza e la dignità sognate: Emilio, scoprendo un ennesimo tradimento di Angiolina, si lascia trasportare dall'ira e la insulta violentemente. Per tre volte le dice di dire quello che è ma quando ella fugge le tira sassolini con rabbia. Dopo la morte di Amalia, Emilio torna a rinchiudersi nel guscio della sua «senilità», guardando alla sua avventura come un «vecchio» alla sua «gioventù». E nei suoi sogni fonde insieme le due fondamentali ure femminili della sua vita, Amalia ed Angiolina, in un'unica ura, pensosa e intellettuale, che diviene anche il simbolo della sua utopia socialista.
Il quadrilatero dei personaggi principali
Emilio e Amalia I personaggi di Emilio e Amalia sono corrispondenti. Essi infatti hanno la stessa visione romantica dell'amore, che non hanno mai vissuto, ma riescono ad immaginare, per effetto di una sorta di bovarismo, grazie alla lettura di svariati romanzi. Questi vivono un'esistenza grigia e si prospetta per loro solo la senilità; la gioventù mai vissuta si appresta quindi a terminare. Ma la ura di Angiolina travolge la vita di Emilio e di riflesso scuote fortemente anche quella di Amalia.
Il Balli Il Balli è un uomo atletico, affascinante. Dice di fare arte primitiva che non riesce ad attrarre la critica. Compensa però l'insuccesso artistico con un grande successo con le donne. Egli infatti le strapazza e queste lo adorano. Egli prende continuamente in giro Angiolina chiamandola Giolona, nomi assai poco romantico agli occhi di Emilio, e, durante una cena a quattro con l'amante Margherita ed Emilio, le dice che non ha un bel naso. Ciò non fa che acuire l'interesse di Angiolina nei suoi confronti. Emerge in questa occasione come le personalità di Angiolina e del Balli siano forti rispetto al debole Emilio; insieme questi sarebbero una coppia vincente e forse fra di loro vi è effettivamente reciproco interesse.
Angiolina fanciulla bellissima ma persona molto modesta: non rovina gli uomini con cui ha una relazione ma si accontenta di riceverne regalini a cui risponde dicendo deo gratias. Nel parlare infatti ricorre di frequente, e in modo buffo, a formule della messa. La casa di Angiolina è molto povera ma ammobiliata con oggetti lussuosi. Ella ha il padre ammalato e una sorellina che le assomiglia moltissimo. In camera di Angiolina vi sono foto di tutti i suoi amanti ma ella dice ad Emilio che sono cari amici di famiglia. Ella però non sa mentire anche se fonda la propria vita sulle bugie. Emilio tuttavia finge di crederle mentendo anche a se stesso. Inizialmente Emilio si propone come pigmalione della fanciulla insegnandole il francese, il comportamento più opportuno da tenere in ogni situazione, specialmente in amore, e le idee socialiste(anche se ella, lia del popolo, le rifiuta).la situazione è paradossale perchè Emilio ha una conoscenza della vita e dell'amore molto teorica, sicuramente inferiore a quella della fanciulla.
Contrasto salute-malattia si tratta di un luogo comune della letteratura decadente. In questo caso è rappresentato dal quadrilatero dei personaggi: Emilio e Amalia, nel loro continuo rovello interiore, sono profondamente ammalati nello spirito; Emilio non sa gestire l'acquisto di salute della sorella dovuto all'innamoramento per il Balli. Angiolina e il Balli sono il ritratto della salute fisica e sembrano non avere i pensieri e le preoccupazioni dei Brentani.
La coscienza di Zeno
L'inetto Il protagonista-narratore è una ura di 'inetto' che negli anni giovanili conduce una vita oziosa e scioperata, passando da una facoltà universitaria all'altra( chimica-legge-chimica), senza mai giungere ad una laurea e senza dedicarsi ad alcuna attività seria. Il nome stesso rimanda all'inettitudine: Zeno=zero, Cosini=piccole cose. I successi che ha nella vita non sono merito suo ma avvengono per caso: diviene ricco in modo inaspettato e disonorevole facendo incetta di merce durante la guerra per poi rivenderla; sposa la donna più giusta per lui ma solo per ostinazione e perchè le sorelle di lei lo avevano rifiutato.
Lo scrivere come terapia Nella prefazione del romanzo la voce narrante è quella del dottor S.( ovvero Sigmund), psicanalista di Zeno Cosini, che avendo prescritto al paziente di scrivere le proprie riflessioni, decide di pubblicarle come vendetta perchè questi ha interrotto le cure. Promette però la metà del ricavato della vendita del libro se questi riprenderà la terapia. In realtà nessuno psicanalista prescriverebbe al paziente di scrivere le proprie riflessioni poichè chi scrive del passato mente sempre, condizionato dagli eventi futuri e dal desiderio di apparire in un certo modo. Nello specifico Zeno mente al dottore per dimostrare di non avere il complesso di Edipo che gli aveva diagnosticato. In realtà egli prova grande rivalità verso tutte le ure paterne compreso il dottore stesso, al quale disobbedisce comprando un libro di psicanalisi quando questi glielo aveva proibito, e il suocero.
Il padre Il padre, facoltoso commerciante, non ha la minima stima per il lio, e nel testamento lo consegna in tutela al fidato amministratore Olivi, un uomo di fiducia, sancendo così la sua irrimediabile immaturità e la sua irresponsabilità infantile. I rapporti del lio col padre sono improntati alla più classica ambivalenza: pur amandolo sinceramente, Zeno, con il suo ozio e la sua inconcludenza negli studi, non fa che procurargli amarezze e delusioni, rivelando così inconsci impulsi ostili ed aggressivi. Quando il padre è già sul letto di morte, Zeno approfitta dell'ordine del dottore di tenerlo a letto per imporgli con forza l'immobilità, una forma di dispetto e vendetta per tutte le umiliazioni subite. Il padre lascia cadere un poderoso schiaffo sul viso del lio che lo assiste, e Zeno resta nel dubbio angoscioso se il gesto sia il prodotto dell'agonia (edema celebrale) o sia invece l'ultima punizione, l'ultimo segno del disprezzo del padre, e cerca quindi disperatamente di costruirsi alibi e giustificazioni per dimostrare a se stesso di essere privo di ogni colpa nei confronti del padre e della sua morte che in realtà, nel suo inconscio, fortemente desiderava tanto da chiedere al medico di non accanirsi troppo nella cura poichè questo avrebbe solo prolungato la sua sofferenza(in realtà questo è solo un alibi).
Il fumo Il vizio del fumo, a cui Zeno collega intollerabili sensi di colpa, ha nel suo fondo inconscio proprio l'ostilità contro il padre, il desiderio di sottrargli le sue prerogative virili e di farle proprie (Zeno bambino comincia a fumare rubando un sigaro dal panciotto padre); la madre pur accorgendosene, ne è complice. Egli tenta più volte di smettere ma invano. Desidera legare l'ultima sigaretta ad una data importante come ad esempio il passaggio da una facoltà all'altra. Attratto poi dalla cabala, che conosceva poichè ebreo,cerca date particolari per smettere. Si reca addirittura in una moderna clinica dove viene segregato senza sigarette ma inconsciamente desidera fallire. Si convince quindi che la moglie abbia una relazione col dottore e cerca ad ogni costo di tornare a casa. Racconta quindi all'infermiera che lo sorveglia che se fuma 10 sigarette diviene tremendo con le donne. Questa allora gliene porta 11 e lo aspetta nella sua camera. In questo modo riesce a fuggire.
Il matrimonio Privato della ura paterna, Zeno va subito in cerca di una ura sostitutiva, e la trova in Giovanni Malfenti, uomo d'affari conosciuto al cafè della borsa dove egli bighellonava, che incarna l'immagine tipica del borghese, abile e sicuro nell'attività pratica, dalle poche ma incrollabili certezze, dominatore incontrastato del suo mondo. Zeno decide di sposare una delle sue lie, si direbbe solo per 'adottarlo' come padre. Si innamora della più bella, Ada, ma, incapace di dichiararsi, perde tempo, immagina romanticherie per lei, suona il violino(in cui non è affatto bravo) per lei, ma questa ama il bellissimo Guido Speier che inizia a frequentare casa Malfenti come Zeno. La madre delle ragazze accusa dunque Zeno di stare compromettendo la maggiore, Augusta e lo invita a prendere una decisione. Egli decide allora di dichiararsi durante la seduta spiritica di quella sera, approfittando del buio. Egli però per errore si dichiara ad Augusta. Allora Zeno pilota la seduta spaventando Guido, che la interrompe, e causando la bizza della piccola Anna, la sorellina di 8 anni di Augusta. Approfittando del caos si dichiara ad Ada. Respinto in malo modo da lei, rivolge la domanda di matrimonio alla sorella minore Alberta, e, al rifiuto anche di questa, fa la sua proposta alla sorella più brutta, Augusta. In realtà Augusta era la moglie che Zeno aveva scelto inconsciamente: si rivela infatti la donna di cui egli ha bisogno, sollecita e amorevole come una madre, capace di creargli intorno un clima di dolcezza affettuosa e di sicurezza.
Salute-malattia Augusta, come il padre, ha un limitato ma solido sistema di certezze, che ne fanno un perfetto campione di 'sanità' borghese. È l'antitesi di Zeno, che è invece irrimediabilmente 'diverso', incapace nel suo intimo di integrarsi veramente in quel sistema di vita e di concezioni, anche se vi aspira con tutte le sue forze, in un disperato desiderio di normalità e 'salute'. Zeno è 'malato': la sua malattia è la nevrosi, che simula tutti i sintomi della malattia organica. Egli proietta nella malattia la propria inettitudine, ed attribuisce la colpa dei propri malanni al fumo. In realtà Zeno è uno dei pochi a non essere ammalato di inconsapevolezza e per questo decide di abbandonare la cura. Zeno dimostra la tendenza a somatizzare le ansie infatti un giorno, dopo esser stato allontanato da casa Malfenti, incontra un amico che gli dice che per camminare il ginocchio compie 54 movimenti diversi. Da quel momento Zeno inizia a zoppicare.
L'amante e la moglie un giorno Zeno incontra l'amico Enrico Copler, che gli propone un'opera di beneficenza. Chiede infatti all'amico un'offerta per una povera ragazza, Carla, che studia musica ma non può permettersi un pianoforte. Prima di concedere questa offerta Zeno chiede di vedere la ragazza. Carla è una fanciulla bella, semplice ed accorta. Con lei Zeno ha una relazione che non danneggia il proprio matrimonio, ma lo migliora poichè egli riversa su Augusta le dolcezze che prova per Carla(anche egli tenta di fondere le due donne). Il senso di colpa lo porterebbe a lasciare l'amante ma non ne è capace, anzi diviene gelosissimo del maestro di musica della giovane. Un giorno Carla vuole vedere per capriccio la moglie di Zeno, che egli gli aveva descritto come bellissima, simile ad Ada. Allora Zeno, che sa che la cognata lascia la casa della suocera sempre alla stessa ora, dice a Carla di recarsi là, spacciando Ada per Augusta. Quel giorno però Ada esce di casa piangendo perchè ha appena scoperto il tradimento del marito; le cade anche il fazzoletto che Carla le porge. La ragazza, credendo di essere la causa di tanto dolore, rinuncia a Zeno e sposa il maestro di musica. Inizialmente Zeno pensa al suicidio, poi però accetta rassegnato.
Storia di una associazione commerciale Zeno si mette in affari con Guido. Per la contabilità assumono Carmen, una ragazza bella ma non capace. Zeno si fa avanti ma la ragazza lo rifiuta per Guido, che ha dei problemi con la moglie che, dopo aver partorito due gemelli, si è ammalata del morbo di Baserdov che l'ha deformata. Gli affari vanno male e Guido, per ottenere l'aiuto economico di Ada finge di suicidarsi due volte. Per il secondo tentativo chiede consiglio a Zeno, che ha studiato chimica, a proposito del veronal: chiede se sia più pericoloso quello puro o quello al sodio. Zeno risponde quello al sodio ma non è sicuro e non si prende la briga di controllare. In effetti egli sbaglia e Guido prende tenta il suicidio con il veronal puro. Dato l'allarme la moglie, che ha capito che Guido ha nuovamente bisogno di denaro, non gli crede. Quando capisce la gravità della situazione chiama il medico che però, a causa del diluvio e di una serie di incidenti, arriva troppo tardi. Dopo la morte del cognato, lavorando assiduamente, Zeno riesce a recuperare in soli due giorni la cifra di cui lui ed il socio avevano bisogno, per la quale Guido aveva tentato il suicidio.
L'odio per Guido L'errore di Zeno non fa che confermare l'odio che egli provava per il rivale, che aveva avuto Ada e Carmen, sapeva suonare il violino.. Dopo la cena di fidanzamento guido, per fare una bravata, si era sdraiato sull'orlo di uno strapiombo e Zeno era stato fortemente tentato di buttarlo di sotto. Egli inoltre, con l'Ulivi, sbaglia corteo funebre, rendendosene conto solo all'arrivo alla chiesa greca, quando ormai il funerale di Guido era terminato(atto mancato).
Lettera del 3/5/15 Zeno desidera smettere con la psicanalisi e contesta il dottore. Riporta una serie di sogni significativi: una volta sogna di mangiare il collo di Carla, che offre anche alla moglie. Ciò evidenzia un certo feticismo e lo scherno della moglie. Un'altra volta sogna di vedere, dentro una grande gabbia, una bellissima donna bionda e formosa seduta su di una poltrona. Egli sogna di mangiare questa donna che, a detta del dottore, sarebbe sua madre, cancellandola e liberandosi del complesso di Edipo. Tuttavia il fatto che la mangi può significare anche possesso, quindi egli non è affatto guarito. Il dottore sembra però soddisfatto e Zeno inizia allora a riferire di sue immaginazioni (facendole passare per sogni) per fargli credere di essere guarito; riferisce dunque un sogno simile al precedente in cui egli mangia il piede sinistro della madre per lasciare il destro al padre.
Lettera del 26/6/15 Zeno ricorda come il 23/5, uscendo, abbia incontrato dei soldati austriaci che gli abbiano impedito di tornare a casa a Licinico, dove poco tempo prima aveva rivolto delle avances ad una giovane contadina. In seguito vede Gorizia in fiamme e capisce che la guerra ha avuto inizio.
Lettera del 24/3/16 Zeno è riuscito ad arricchirsi con la guerra, la malattia dell'umanità a cui ha partecipato pur essendo consapevole. Egli infatti sosteneva che la guerra non fosse altro che una espressione del Darwinismo sociale. Tuttavia egli crede che questo sia giusto solo finchè gli uomini lottano l'uno contro l'altro usando solo le proprie forze; nel momento in cui il progresso cambia i mezzi a disposizione per la lotta le leggi naturali si sfasano, si perde la selezione naturale. Se inizialmente egli si sente profondamente malato e se ne compiace, non riesce ad essere sano come Augusta, e per questo la invidia, alla fine decide di allinearsi con i sani, che costruiscono armi, aderendo così alla logica della guerra. Realizza infatti che è impossibile guarire perchè in realtà tutti sono malati, perchè non è possibile curarsi dalla vita e il mondo è destinato a perire. La vera salute è quindi la distruzione totale.
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