italiano |
Per consolarmi,
il signor Anselmo Paleari mi volle dimostrare con un lungo ragionamento che il
bujo era immaginario.
- Immaginario? Questo? - gli gridai.
- Abbia pazienza mi spiego.
E mi svolse (fors'anche perché fossi
preparato a gli esperimenti spiritici, che si sarebbero fatti questa volta in
camera mia, per procurarmi un divertimento) mi svolse, dico, una sua concezione
filosofica, speciosissima, che si potrebbe forse chiamare lanterninosofia.
Di tratto in tratto, il brav'uomo
s'interrompeva per domandarmi:
- Dorme, signor Meis?
E io ero tentato di rispondergli:
- Sì, grazie, dormo, signor
Anselmo.
Ma poiché l'intenzione in fondo era buona,
di tenermi cioè comnia, gli rispondevo che mi divertivo invece
moltissimo e lo pregavo anzi di seguitare.
E il signor
Anselmo, seguitando, mi dimostrava che, per nostra disgrazia, noi non siamo
come l'albero che vive e non si sente, a cui la terra, il sole, l'aria, la
pioggia, il vento, non sembra che sieno cose ch'esso non sia: cose amiche o
nocive. A noi uomini, invece, nascendo, è toccato un tristo privilegio:
quello di sentirci vivere, con la bella illusione che ne risulta: di
prendere cioè come una realtà fuori di noi questo nostro interno
sentimento della vita, mutabile e vario, secondo i tempi, i casi e la fortuna.
E questo
sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che
ciascuno di noi porta in sé acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su
la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta
tutt'intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal
quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe, se il
lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera,
fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci
accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra
illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell'Essere, che
avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione?
- Dorme, signor Meis?
- Segua, segua pure, signor Anselmo: non
dormo. Mi par quasi di vederlo, codesto suo lanternino.
- Ah, bene Ma poiché lei ha l'occhio
offeso, non ci addentriamo troppo nella filosofia, eh? e cerchiamo piuttosto
d'inseguire per ispasso le lucciole sperdute, che sarebbero i nostri
lanternini, nel bujo della sorte umana. Io direi innanzi tutto che son di tanti
colori; che ne dice lei? secondo il vetro che ci fornisce l'illusione, gran
mercantessa, gran mercantessa di vetri colorati. A me sembra però,
signor Meis, che in certe età della storia, come in certe stagioni della
vita individuale, si potrebbe determinare il predominio d'un dato colore, eh?
In ogni età, infatti, si suole stabilire tra gli uomini un certo accordo
di sentimenti che dà lume e colore a quei lanternoni che sono i termini
astratti: Verità, Virtù, Bellezza, Onore, e che so io E
non le pare che fosse rosso, ad esempio, il lanternone della Virtù
ana? Di color violetto, color deprimente, quello della Virtù
cristiana.
Il lume d'una idea comune è alimentato dal sentimento collettivo; se questo sentimento però si scinde, rimane sì in piedi la lanterna del termine astratto, ma la fiamma dell'idea vi crepita dentro e vi guizza e vi singhiozza, come suole avvenire in tutti i periodi che son detti di transizione. Non sono poi rare nella storia certe fiere ventate che spengono d'un tratto tutti quei lanternoni. Che piacere! Nell'improvviso bujo, allora è indescrivibile lo scompiglio delle singole lanternine: chi va di qua, chi di là, chi torna indietro, chi si raggira; nessuna più trova la via: si urtano, s'aggregano per un momento in dieci, in venti; ma non possono mettersi d'accordo, e tornano a sparliarsi in gran confusione, in furia angosciosa: come le formiche che non trovino più la bocca del formicajo, otturata per ispasso da un bambino crudele. Mi pare, signor Meis, che noi ci troviamo adesso in uno di questi momenti. Gran bujo e gran confusione! Tutti i lanternoni, spenti.
A chi dobbiamo rivolgerci? Indietro, forse? Alle lucernette superstiti, a quelle che i grandi morti lasciarono accese su le loro tombe? Ricordo una bella poesia di Niccolò Tommaseo:
La
piccola mia lampa
Starà su me, sepolto, |
Ma come, signor Meis, se alla lampa nostra manca l'olio sacro che alimentava quella del Poeta? Molti ancora vanno nelle chiese per provvedere dell'alimento necessario le loro lanternucce. Sono, per lo più, poveri vecchi, povere donne, a cui mentì la vita, e che vanno innanzi, nel bujo dell'esistenza, con quel loro sentimento acceso come una lampadina votiva, cui con trepida cura riparano dal gelido soffio degli ultimi disinganni, ché duri almeno accesa fin là, fino all'orlo fatale, al quale s'affrettano, tenendo gli occhi intenti alla fiamma e pensando di continuo: «Dio mi vede!» per non udire i clamori della vita intorno, che suonano ai loro orecchi come tante bestemmie. «Dio mi vede» perché lo vedono loro, non solamente in sé, ma in tutto, anche nella loro miseria, nelle loro sofferenze, che avranno un premio, alla fine. Il fioco, ma placido lume di queste lanternucce desta certo invidia angosciosa in molti di noi; a certi altri, invece, che si credono armati, come tanti Giove, del fulmine domato dalla scienza, e, in luogo di quelle lanternucce, recano in trionfo le lampadine elettriche, ispira una sdegnosa commiserazione.
Ma domando io ora, signor Meis: E se tutto questo bujo, quest'enorme mistero, nel quale indarno i filosofi dapprima specularono, e che ora, pur rinunziando all'indagine di esso, la scienza non esclude, non fosse in fondo che un inganno come un altro, un inganno della nostra mente, una fantasia che non si colora? Se noi finalmente ci persuadessimo che tutto questo mistero non esiste fuori di noi, ma soltanto in noi, e necessariamente, per il famoso privilegio del sentimento che noi abbiamo della vita, del lanternino cioè, di cui le ho finora parlato? Se la morte, insomma, che ci fa tanta paura, non esistesse e fosse soltanto, non l'estinzione della vita, ma il soffio che spegne in noi questo lanternino, lo sciagurato sentimento che noi abbiamo di essa, penoso, pauroso, perché limitato, definito da questo cerchio d'ombra fittizia, oltre il breve àmbito dello scarso lume, che noi, povere lucciole sperdute, ci projettiamo attorno, e in cui la vita nostra rimane come imprigionata, come esclusa per alcun tempo dalla vita universale, eterna, nella quale ci sembra che dovremo un giorno rientrare, mentre già ci siamo e sempre vi rimarremo, ma senza più questo sentimento d'esilio che ci angoscia? Il limite è illusorio, è relativo al poco lume nostro, della nostra individualità: nella realtà della natura non esiste. Noi, - non so se questo possa farle piacere - noi abbiamo sempre vissuto e sempre vivremo con l'universo; anche ora, in questa forma nostra, partecipiamo a tutte le manifestazioni dell'universo, ma non lo sappiamo, non lo vediamo, perché purtroppo questo maledetto lumicino piagnucoloso ci fa vedere soltanto quel poco a cui esso arriva; e ce lo facesse vedere almeno com'esso è in realtà! Ma nossignore: ce lo colora a modo suo, e ci fa vedere certe cose, che noi dobbiamo veramente lamentare, perbacco, che forse in un'altra forma d'esistenza non avremo più una bocca per poterne fare le matte risate. Risate, signor Meis, di tutte le vane, stupide afflizioni che esso ci ha procurate, di tutte le ombre, di tutti i fantasmi ambiziosi e strani che ci fece sorgere innanzi e intorno, della paura che c'ispirò!
DALL'ALBERO ALL'UOMO
È una teoria di Baleari e riguarda lo stato dell'albero che vivendo o né sentendosi vivere non ha né coscienza di sé né della vita.
Per l'uomo invece il sentirsi vivere è una disgrazia.
CADUTA DELL'IDENTITA' DEL SOGGETTO E DELL'OGGETTIVITA' DEL REALE.
Il sentimento che ogni uomo ha della vita diventa un LANTERNINO, anzi tanti lanternini quante sono le coscienze individuali.
Ogni uomo ha bisogno di credere nella luce del proprio lanternino perché lo illude di certezze consolidate che lo spingono ad un approccio con il reale e che, invece, però nelle loro realtà queste certezze sono effimere e provvisorie.
Queste certezze al minimo urto si infrangono lasciando nell'uomo un doppio senso del vuoto, quello derivante dallo smarrimento del lanternino in cui credevano, dalla presa di coscienza, cioè quello che credevano si è dissolto in un attimo.
ILLUSIONE INDIVIDUALE A QUELLA COLLETTIVA.
Il crollo delle certezze. Questa illusione in cui il singolo uomo cade e si sperde viene rapportata ai grandi periodi della storia (LANTERNONI) e si trasforma in ideologia. Queste ideologie sono transitorie, nel gioco dell'Illusione queste ideologie crollano insieme ai lanternini individuali.
I lanternoni (sentimenti, onore, bellezza) vengono ridotti solo ad un nome senza valore.
Questo demitizzazione dei lanternoni avviene durante il periodo di transizione dove si assiste alla duplice crisi: Conoscenza individuale e conoscenza collettiva.
Tale stato fu presente nell'Età Giolittiana e questi ideali fecero capire la testimonianza di una delusione per la perdita degli ideali risorgimentali.
Accanto ai grandi lucernoni crollano pure le lucernette speciali (o superstiti, cioè della religione e della fede) per le quali non c'è posto in una società dissacrata.
Esse sopravvivono solo in chi vuole credere nelle sedute spiritiche. Con la religione crollano pure le opposizioni dello scientismo positivistico che pretende di interpretare con le sue lampadine elettriche e con il messaggio della scienza, l'oscuro labirinto dell'animo umano.
L'uomo deve convincersi che il mistero e l'angoscia che lo circondano sono il risultato di una proiezione della sua coscienza individuale. Essa lo imprigiona in un "cerchio d'onda" e lo spinge a temere la morte. Erroneamente considerata come estinzione, escludendo l'ipotesi che fa spegnere il lanternino, solo accettando tale ipotesi l'uomo può reinserire la coscienza nei ritmi della vita universale da cui era stato provvisoriamente escluso dall'accensione di quel maledetto lumicino piagnucoloso e solo attraverso questa autoconvinzione potrà liberarsi dal "sentimento d'Esilio" che è l'angoscia.
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