italiano |
INTRODUZIONE
L'Italia
primonovecentesca eredita per molti versi la situazione di fine Ottocento,
anche se accentuano alcune tendenze e linee di sviluppo; pur rimanendo un paese
sostanzialmente agricolo, ad esempio, cominciano ad affermarsi le strutture di
un'economia più modernamente europea. Se è vero infatti che il
decennio 1880 - 1889 può generalmente considerarsi come una fase di
intensificata attività e di espansione per l'industria, occorre tuttavia
riconoscere come solo quindici anni che vanno dal 1898 al 1913, dopo la grave
crisi precedente, abbiano segnato un'evoluzione di notevole momento
dell'ambiente sociale. Due date fondamentali sono rappresentate dalla
fondazione della Fiat nel 1899 e dall'esposizione universale di Torino nel
Già negli ultimi anni dell' '800 la crisi economica aveva provocato, sia nelle città che nelle camne gravi tumulti, duramente repressi dalle forze dell'ordine. Nel 1898 i milanesi erano insorti per un nuovo aumento del costo della vita, ma le rivendicazioni erano state soffocate nel sangue dal generale Bava Beccarsi, che aveva fatto puntare i cannoni sulla folla. Dopo gli scioperi nelle camne settentrionali, come conseguenza della crisi agraria, c'erano state, in Sicilia, le agitazioni dei "fasci dei lavoratori" , organizzazioni sindacali, nate come protesta nei confronti delle intollerabili condizioni di vita nei latifondi e nelle miniere ( 1892 - 1893 ).
Con l'assassinio di Umberto I, ucciso a Monza nel 1900 dall'anarchico Gaetano Bresci, e con l'elezione del nuovo re Vittorio Emanuele III, la situazione mutò sensibilmente. La vittoria delle sinistre, nelle elezioni del medesimo anno, portò alla formazione di governi più moderati e liberali, come quelli di Giuseppe Saracco e di Giuseppe Zanardelli, che abolì le leggi restrittive nei confronti dei lavoratori. Ma il tentativo più impegnativo e consapevole di avviare a soluzione di questi problemi venne portato avanti dal governo di Giovanni Giolitti che, ricevuto l'incarico nel 1903, si fece promotore in senso progressista, di una più organica politica di equilibrio e di accordo fra le classi. Per attutire i contrasti, cercò di conciliare la borghesia liberale con i socialisti, inaugurando una concezione dello Stato come mediatore dei conflitti sociali e non come strumento di repressione poliziesca. Ben presto Giolitti attuò importanti provvedimenti di legislazione sociale a tutela dei lavoratori, con particolare riguardo anche al lavoro delle donne e dei minori, avviando anche una politica di risanamento e di attenta amministrazione. La favorevole situazione economica, che si era nel frattempo determinata, portò ad un progresso dell'agricoltura e, soprattutto, dell'industria, in campo siderurgico, tessile e idroelettrico, con l'apertura di nuovi settori, come quello elettromeccanico ed automobilistico, destinati ad assumere un'importanza crescente.
L'Italia, per quanto riguarda in particolare l'ambiente cittadino, poteva così finalmente presentare il volto della modernità, rivelando le linee più marcate di un paesaggio industriale, modificato dall'elettricità e dalle altre innovazioni tecniche. Un nuovo gusto della vita, favorito dall'aumento del benessere, caratterizzava presso le classi alte quella che venne appunto definita la belle èpoque, l'età dei divertimenti e dei piaceri.
Nonostante i provvedimenti che Giolitti cercò di adottare, finì per aggravarsi la questione meridionale: aumentò anche, di conseguenza, l'emigrazione che coinvolse, nel periodo 1901 - 1913, ben otto milioni di italiani, privi di mezzi di sussistenza ed analfabeti, imbarcatasi per lo più verso le Americhe senza alcuna garanzia o tutela.
Ripresero vigore le tendenze della destra e dei nazionalisti, mentre i socialisti, nel congresso di Reggio Emilia del 1912, espulsero i gruppi favorevoli all'impresa, confermando il loro tradizionale pacifismo; all'interno, tuttavia, si fecero strada forti tendenze massimaliste, capeggiate dall'economista e studioso del pensiero marxiano Arturo Labriola.
Nel 1912, inoltre, Giolitti aveva varato la nuova legge elettorale, che istituiva il suffragio universale maschile, portando tre milioni e mezzo a otto milioni il numero degli elettori, in gran parte favorevoli al Partito socialista (gli operai della città) e al partito cattolico (i contadini), fondato nel 1901, come movimento della Democrazia Cristiana, dal sacerdote Romolo Murri, con intenti di impegno sociale, in opposizione alla vecchia mentalità della Chiesa. La politica di equilibrio stava venendo meno e Giolitti, per fronteggiare la probabile avanzata dei socialisti, alle elezioni del 1913 si alleò con i cattolici, stipulando il cosiddetto "patto Gentiloni", dal nome del presidente dell'Unione elettorale cattolica. Ma le forti resistenze opposte, dopo la riuscita dell'accordo, dagli elementi più conservatori indussero Giolitti a dimettersi dal nuovo governo, in attesa che si presentassero condizioni più favorevoli, per poter proseguire la politica liberale e riformista. Il precipitare degli avvenimenti internazionali, tuttavia, veniva a incidere profondamente sulla situazione italiana, mutandone il corso.
L'Europa si stava avviando verso il primo conflitto mondiale, che può essere considerato anche come uno dei possibili sbocchi dello sviluppo scientifico - industriale: le attrezzature dell'industria erano in parte finalizzate alla produzione di armamenti e alle esigenze belliche, alle quali verranno interamente convertite durante la guerra. Ma proprio la guerra, con le sue stragi ed i suo orrori, avrebbe inflitto un duro colpo al mito ottocentesco e positivistico della scienza, considerata come un fattore sicuro ed inesauribile di progresso, destinato a risolvere i problemi dell'umanità. La fine delle ostilità restituiva un'Europa prostrata ed impoverita, preda di squilibri e di conflitti ancora più profondi, che avrebbero favorito le tragiche conseguenze dei decenni successivi.
IL GOVERNO GIOLITTI
Tra il 1901 e il 1909 Giovanni Giolitti fu il grande arbitro della vita politica italiana, come prima di lui lo erano stati Agostino Depretis e Camillo Cavour. Egli assunse la carica di presidente del Consiglio nel novembre del 1903 e la conservò sino al dicembre del 1909. da uomo politico navigato e sperimentato quale era, non difettava certo di empirismo e i opportunismo. La sua disinvoltura nel manipolare la maggioranza parlamentare, nell'accaparrarsi, con mezzi leciti e meno leciti, i voti di quei deputati che erano disposti a barattarli in cambio di favori al loro collegio e l'appoggio delle clientele politiche meridionali, la sua spregiudicatezza infine nel predeterminare il risultato delle elezioni, specie nelle circoscrizioni del Mezzogiorno, gli valsero l'accusa di trasformismo. Ma in realtà non faceva nulla di più di quello che avevano fatto tutti i suoi predecessori. A differenza di molti di essi, egli possedeva però delle convinzioni politiche generali molo salde e non smarriva mai il senso dell'orientamento generale, né confondeva mai la tattica con la strategia.
Uno dei punti fermi delle sue convinzioni politiche era l'avversione ad ogni politica estera "imperiale" e la sua ferma persuasione che per risolvere i suoi gravissimi problemi interni l'Italia avesse soprattutto bisogno di tranquillità e di pace.
Giolitti, nel primo decennio del secolo potè attendere con relativa tranquillità all'esperimento di politica liberale e di rinnovamento che, dopo le oscure giornate del '98, il paese da lui si attendeva. Anch'egli era idealmente ancora attaccato alla prospettiva risorgimentale di un rinnovamento dal basso della società italiana, che investisse in primo luogo il mondo delle camne, ma era troppo poco dottrinario e troppo politico per non avvedersi che lo sviluppo industriale italiano e la nascita del movimento operaio erano fenomeni irreversibili e che l'industria ed i sindacati erano ormai i gruppi di pressione più organizzati e le forze più dinamiche dell'intera società italiana. Di qui il disegno a favorire e sollecitare una collaborazione politica tra le forze della borghesia liberale e quelle gravitanti attorno al Partito socialista italiano.
Mentre il
Parlamento si occupava di legislazione sociale votando la legge sul lavoro
delle donne e dei fanciulli e sulla costituzione di un ufficio nazionale del
lavoro, nel paese e nella stampa si agitavano con fervore di partecipazione i
grandi temi della questione italiana, il problema meridionale, il suffragio
universale, la riduzione delle spese militari. Ma le resistenze a questo nuovo
corso non mancarono. Da una parte, infatti, vi erano i grandi proprietari
fondiari del Mezzogiorno, presi alla sprovvista dall'ondata di scioperi,
dall'altra gli industriali che non volevano elevare i salari dei loro
dipendenti e taluni di essi giunsero a protestare contro la legge sul lavoro
delle donne e dei fanciulli. Ma ricevettero ben presto sconfitte, basti pensare
agli scioperi della Valle padana nel 1902 che si conclusero con molte disfatte
e così pure il grande sciopero dei tessili di Como dal settembre dello
stesso anno. Di fronte a questi insuccessi, il blocco di forze che si era
formato attorno al partito socialista cominciò a sgretolarsi nelle sue
varie componenti. Infatti, esso ben presto si trovò ad essere diviso al
proprio interno tra varie correnti. Le principali erano quella dei riformisti,
della quale Turati era l'esponente più autorevole, disposta a
continuare la collaborazione indiretta con Giolitti, e quella egli "intransigenti",
che richiedevano a gran voce un'opposizione integrale. Inizialmente,
quest'ultima venne sconfitta nel congresso del partito socialista tenutosi ad
Imola nel 1902, ma ben presto acquistò nuovamente terreno e, quando
Turati venne officiato da Giolitti per entrare a far parte di un nuovo
gabinetto, egli dovette rifiutare, consapevole che se avesse accettato si
sarebbe inimicato ogni popolarità. Anche in questa occasione, Giolitti
non derogò dalla norma che si era prefisso di non cedere alle lusinghe degli
stati d'assedio. Si limitò, infatti, a sciogliere
Giolitti
aveva, però, rinunciato al suo disegno politico e, pertanto, ritiratosi
dal potere, lasciò che per circa un anno i suoi oppositori di destra ed
i dirigenti rivoluzionari del PSI si logorassero nel vano tentativo di
costruire una maggioranza e un programma comune. Solo del maggio del 1906 egli
riprese le redini del governo. Fu proprio da questo periodo in poi che il suo
sistema, detto appunto "sistema giolittiano" raggiunse il
massimo del suo funzionamento, tanto che i socialisti non gli furono più
ostili e talvolta lo sostennero. Vennero affrontati i problemi della
legislazione sociale, con l'approvazione di provvedimenti relativi al lavoro
femminile, al lavoro nelle risaie e nelle industrie insalubri, al lavoro
notturno e ai contratti di lavoro. Per quanto concerne il Mezzogiorno, leggi
speciali per
SCOPPIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
Lo
scoppio della prima guerra mondiale è dato dall'attentato all'arciduca
d'Austria Francesco Ferdinando da parte di uno studente serbo (Gavrilo Princip)
nel 1914.
Ad un certo punto l'Austria protesta con
La Russia comincia ad accumulare un grande esercito che si pone ai confini
austriaci e così l'Austria dichiara guerra anche alla Russia. In seguito
entra in guerra anche
TRIPLICE ALLEANZA:
Germania - Austria - Italia
TRIPICE INTESA:
Francia - Inghilterra
Nel frattempo, sul
fronte orientale
Gli eventi che sbloccano la situazione sono le entrate in guerra degli altri
Stati: nel 1915 entra il Giappone perché era diventato una potenza militare e
industriale che voleva contendere alla Russia l'espansione in oriente e si
allea con
Nel 1917 entrano anche gli Stati Uniti. Nel maggio del 1915 l'Italia entra in
guerra. Era finita la dittatura giolittiana in seguito alle elezioni con
suffragio maschile creando una situazione difficile perché la maggioranza si
divide sempre di più in singoli frammenti portando così alla
crisi del trasformismo. Innanzitutto rientrano nella vita politica i cattolici.
Con Pio x si erano scoraggiati i movimenti democratici perché si metteva troppo
dalla parte degli operai e invece lui voleva una soluzione più moderata.
Tramite il papa, i cattolici rientrano nella vita politica attraverso il PATTO
GENTILONI: patto tra moderati e parlamentari. Con questo patto i cattolici erano
chiamati a votare in parlamento che erano favorevoli a sostenere la chiesa con
i suoi insegnamenti e argomenti della chiesa (ad es. insegnamento privato
contro il divorzio). Si attua una strategia politica.
I cattolici rientrano nella vita politica solo con un accordo, ma non erano
liberi di votare.
Pio x vuole inserire nella politica i cattolici cercando però di essere
sostenuto. I cattolici si alleano con la destra conservatrice e si radicalizza,
di più il dibattito parlamentare anche perché lo stesso partito
socialista era in crisi perché sul partito c'erano delle correnti riformiste e
più intransigenti. In Italia ci fu un dibattito perché c'era chi voleva
cercare di cambiare il socialismo e basarlo su riforme; non doveva essere solo
un partito dei lavoratori ma doveva mirare alla giustizia sociale, a riforme
senza basi ideologiche così forti.
Avviene una scissione tra socialisti e riformisti, che si ritirano e
costituiscono partito a se stante IL PARTITO SOCIALISTA RIFORMISTA ITALIANO e
dall'altra parte c'è il partito socialista vero e proprio.
Le elezioni del 1913 avevano peggiorato le cose, però aveva favorito la
scissione del socialismo e del Parlamento. La tecnica del trasformismo non
garantiva equilibrio e questo provoca le dimissioni di Giolitti e al suo posto
ci fu Salandra: era un interventista perché riteneva che l'Italia non
doveva perdere tempo.
Questa è la situazione italiana durante lo scoppio della Prima Guerra
Mondiale. Quando scoppiò la guerra ci fu un dibattito tra interventista
e neutralisti. Volevano restare neutrali i socialisti intransigenti, riformisti
No. I giolittiani anche volendo essere neutrali avevano dall'altra parte gli
interventisti costituiti da destra storica, i cattolici moderati, mentre il
papa Benedetto XV aveva lanciato un appello per la pace. Gli interventisti
erano anche repubblicani irredentisti, rivoluzionari, gli intellettuali che
vedevano nell'intervento un aspetto diverso.
I nazionalisti vedevano una crescita del potere italiano; gli irredentisti e
l'intellettuale vedevano una rivendicazione contro l'Austria, una liberazione
sociale come se la guerra fosse stata un ideale che avrebbe unito il popolo
italiano. Lo considerarono come strumento per diffondere delle riforme
d'uguaglianza sociale. Fu presentato questo in modo così convincente che
anche i neutrali furono coinvolti. Ci fu una vera e propria manipolazione, la
guerra è presentata come un ideale a cui l'Italia deve rispondere fu una
mobilitazione di massa e fu anche una proanda ideologica in cui si presentava
in un certo modo un fenomeno. L'intervento fu deciso dal re, il Parlamento
votò a favore della neutralità.
Fronte occidentale: Francia - Germania.
Fronte orientale: Russia.
Salandra
si era dimesso e il re si era intromesso in questo vuoto, rifiutò il
ritiro del capo del governo e decise l'intervento. Salandra aveva fatto gia nel
patto di Londra un accordo con
Il maggio del 1915 entra in guerra l'Itali e si scontra
subito con l'esercito austriaco che si pone ai confini e si crea cosi un nuovo
fronte (Altopiano del Carso) perché l'Italia puntava su Trieste che ancora
apparteneva all'Austria.
Avvengono i primi scontri sul fiume Isonzo, vicino Trieste (4 battaglie). Il
comandante dell'esercito italiano era Luigi Cadorna. Queste battaglie non sono
risolutive ma la guerra diventa subito guerra di logoramento: guerra d'Ursula
(guerra combattuta nelle trincee).
Nel frattempo, nel fronte orientale (
Intanto l'Inghilterra ha istituito un blocco navale: bloccava il passaggio
delle merci nel Mare del Nord. Cosi la flotta tedesca per bloccarla combatte
contro l'Inghilterra ma non ha successo. Questo scontro non risolve niente. A
questa punto viene rialimentata l'opposizione alla guerra: si riorganizzano i
socialisti che si opponevano e favorivano la pace.
IL DOPOGUERRA IN ITALIA
L'Italia mirava ad
ottenere anche
Successivamente fu occupata la città di Fiume ma il governo non
accettò ciò, la spedizione fu guidata da D'Annunzio il quale
sosteneva la vittoria italiana fu mutilata. A Fiume D'Annunzio anticipò
una sorta di fascismo. L'Italia intanto internamente aveva gravi problemi:
1)Inflazione: svalutare della moneta;
2)Crisi economica: prezzi troppo alti;
3)Crisi sociale: provocato dal
contrasto tra le diverse classi sociali. I lavoratori volevano rivendicarsi in
quanto c'era il malcontento dei contadini e del ceto medio; gli imprenditori, i
commercianti che si erano indeboliti si vedevano più vicini al
proletariato e lontani dai capitalisti;
4)Crisi politica: il partito
socialista era in crisi; c'era una scissione in diversi gruppi, uno dei quali
formò nel 1921 il partito comunista d'Italia, nato nel Congresso di
Livorno È
dunque questo ora il periodo in cui nasce il Fascismo. Al governo
italiano era tornato Giolitti propose alcune iniziative:
1)La rivoluzione dell'impresa fiumana: intervenne in via diplomatica, si
accordò con
2)Atteggiamento nei confronti della borghesia: alla ricerca della giustizia
prese dei provvedimenti che ai borghesi non piacquero.
3)Innalzamento della tassa di successione: ata quando si riceve
un'eredità;
4)Rese nominali i titoli di stato: è come se lo stato fosse un'impresa e
ci sono delle azioni. C'erano prima privati che compravano azioni ma di questi
privati non se ne conosceva il nome, favorendo così lo stato. Rendendo
nominali i titoli si dovevano are delle tasse, vedendo così chi aveva
un reddito molto alto e a questi venivano "inflitte" più tasse.
Con questi provvedimenti andò a intralciare gli interessi della
borghesia.
Giolitti governò nel biennio '20 - '21. fu costretto poi al fallimento
perché questa politica che cercava di eguagliare la situazione, finì per
scontentare tutti perché in quel periodo cominciava lo squadrismo fascista. Mussolini
era direttore del partito, socialista. Si schierò per l'intervento in
guerra allontanandosi così dal partito socialista, in quanto i
socialisti erano contrari all'entrata in guerra dell'Italia. Fondò un
nuovo giornale "IL POPOLO D'ITALIA". Si avvicina a posizioni nazionaliste:
questo sfocerà nel partito fascista. Il partito fascista era
inizialmente solo un movimento, chiamato "I FASCI DI COMBATTIMENTO": questi erano
chiamati così perché il fascio è il simbolo dell'unione della
nazione e il fascio si richiama anche al " Fascio Littorio":nell'antica Roma i
magistrati erano accomnati da persone che portavano fasci,simbolo
dell'autorità dei magistrati. I fascisti assumono questo simbolo perché
il punto di riferimento era l'antica Roma dove l'Italia aveva raggiunto la sua
massima grandezza. I fasci di combattimento erano un movimento ispirato alla
giustizia sociale anche attraverso una lotta:si volevano eliminare gli
squilibri all'interno della società italiana.
L'ambiguità che fece crollare il fascismo è data dal fatto che
volevano conciliare l'ambizione di una patria potente con quello della
giustizia sociale. Poi però dai primi fenomeni di squadrismo, il
fascismo si appoggiò alla borghesia,individuando i nemici della
nazione,non solo esterni ma anche interni. I nemici interni erano i SOCIALISTI
e i COMUNISTI che indebolirono l'Italia perché sminuivano il concetto di
nazione. Invece tutti dovevano essere diretti verso lo stesso obiettivo senza
lotta di classe. Furono quindi questi i principali obiettivi della violenza
fascista organizzata.
Le squadre si mossero a livello agrario; furono iniziate dai fascisti
appoggiati dagli agrari che volevano l'impedimento di qualsiasi insurrezione
nelle camne. La violenza organizzata è importante perché dopo la
guerra non era più possibile una politica non bellica (solo una
proanda), perché si erano abituati al meccanismo della guerra e tutti erano
abituati ad usare la violenza. Questa violenza fu tollerata anche dagli organi
di polizia,perché il pericolo rosso era temuto un po' da tutti. Dal 1921
cominciano queste violenze e nel frattempo entra in crisi il governo di Giolitti
in quanto la sua ideologia del trasformismo non poteva più essere
attuata e aveva perso anche l'appoggio del Parlamento.
Nel 1921 viene fondato il PARTITO POPOLARE ITALIANO da DON
LUIGI STURZO: voleva che aderisse tutto il popolo e non solo i
cattolici con un'aspirazione alla giustizia sociale. Il governo di Giolitti
cadde perché non aveva appoggiato né i socialisti né i borghesi ma era rimasto
neutrale.
Alla fine del 1921 era nato il PARTITO NAZIONALISTA FASCISTA. Nel 1922 si
organizza la marcia su Roma in cui i fascisti di tutt'Italia si riunirono
manifestando la loro grandezza. Il re diede l'incarico a MUSSOLINI di formare
il nuovo governo che fu definito "totalitarismo imperfetto":questo perché il
duce doveva sempre formalmente rispondere al re. L' "epoca
dei fascismi" vede il trionfo di regimi autoritari di destra non solo
in Italia, ma anche in Portogallo (1925), in Germania (1933), in Giappone
(1938), in Sna (1939). Il fascismo e il nazismo sono due fenomeni politici
nuovi che pongono in crisi i valori del liberalismo tipici della civiltà
europea, creando regimi totalitari di massa, caratterizzati dal nazionalismo,
dalla soppressione della libertà e deldemocrazia - Le elezioni - I gruppi parlamentari - Il governo - La Corte Costituzionale" class="text">la democrazia, da una politica
aggressiva ed imperialistica e da ideologie intolleranti e razziste. Un altro
fenomeno nuovo è la sa, dopo la rivoluzione del
Alla crisi del liberalismo si aggiunge quella del liberismo in seguito alla Grande crisi del 1929 - 1932. la stagnazione o depressione che ne deriva viene infatti fronteggiata con misure di direzione statale dell'economia che impongono un drastico freno alle leggi spontanee e che quindi rovesciano il principio basilare del liberismo.
Come data
di chiusura della seconda fase e dell'intero periodo possiamo indicare il
Sul
piano politico, la morte di Stalin (1953), il processo di "destalinizzazione"
in URSS e nei partiti comunisti, le rivolte in Polonia e in Ungheria contro i
regimi filosovietici di quei paesi incrinano l'unità dei partiti di
sinistra e così può avere inizio, in Italia, il processo che
porterà il PSI a staccarsi dal PCI ed ad andare al governo con
Sul piano economico, prende avvio un "boom" che modificherà nel giro di pochi anni il volto della nazione italiana adeguandola allo standard dei maggiori paesi industrializzati.
Contemporaneamente, nel nostro paese si sviluppa la televisione di Stato, mentre l'editoria diventa una vera e propria industria. In seguito a tale rivoluzione industriale, sviluppatasi già a partire dalle seconda metà degli anni Cinquanta, comincia a trasformarsi anche la condizione degli intellettuali che si massifica e si "proletarizza".
Una svolta profonda è segnata anche dalla guerra. Dalla Resistenza contro i fascisti e i nazisti, dall'irruzione delle masse sulla scena politica, dal passaggio dalla monarchia alla Repubblica e dalla riconquista della libertà e delle democrazia. Ma, pur rappresentando una data cruciale sul piano politico, il 1945 non apportò radicali cambiamenti economici e sociali.
In Europa e negli Stati Uniti il "boom" economico era cominciato dieci anni prima rispetto all'Italia e si prolungherà sino al 1973.
L' 1 settembre 1939 iniziò l'invasione del territorio polacco da parte
delle armate tedesche che passarono di vittoria in vittoria, specie in
considerazione del fatto che l'armamento dei due eserciti era di un tale
divario da non consentire ai polacchi che una disperata eroica re-sistenza.
Varsavia venne raggiunta dai tedeschi il 9 settembre; il 17 anche
Entrata in guerra
dell'Italia (10 Giugno 1940)
Ormai per
Infine ci si impelagò in avventure che si rivelarono assai dannose
sia sul piano puramente militare che su quello del prestigio internazionale. Il
25 ottobre 1940 Mussolini decise di attaccare
La situazione
italiana
La guerra era davvero mondiale e nella vastità del conflitto il
settore italiano sembrava di importanza minore, ma questa valutazione
strategica non era certamente valida per i soldati italiani combattenti in
Africa settentrionale, in Russia e contro la guerriglia jugoslava; ne tanto
meno per la popolazione civile che in molte città viveva l'esperienza
tragica dei bombardamenti aerei diurni e notturni. L'Etiopia era perduta, in
Grecia ed in Africa settentrio-nale anche avevano dovuto chiedere l'aiuto dei
tedeschi (in Libia si era avuto l'intervento dell'Afrikakorps direttamente
comandato dal generale Rommel). La nostra flotta, priva del radar, non poteva
competere con quella inglese che ormai era padrona del Mediterraneo. Invece di
affrontare in modo adeguato i problemi relativi al nostro settore Mussolini
inviò una armata (l'Amir) in terra di Russia con conseguenze disastrose
data la mancanza di mezzi per una guerra di movimento e di attrezzature per
poter superare il gelido inverno russo. Durante tutta la condotta della guerra
si può affermare che mentre il coraggio del soldato italiano e il suo
spirito di sacrificio risultarono certo non inferiori a quelli degli altri
combattenti, fece chiaramente spicco l'insipienza dei comandanti,
l'impreparazione gene-rale, il pressappochismo di una classe politica e
militare che ineluttabilmente avrebbe por-tato alla sconfitta. Se poniamo la
fine del 1942 come l'inizio del rovesciamento delle sorti della guerra lo
facciamo perché con la fine dell'anno vediamo su tutti i fronti una generale
inversione di tendenza. Abbiamo detto che con la fine dell'estate 1942 nel
Pacifico inizia la controffensiva americana, vediamo ora che in Africa
settentrionale a novembre si ha non solo la controffensiva inglese a El Alamein
ma si ha lo sbarco americano in Marocco e in Algeria quasi una prova generale
di quell'attacco alla fortezza tedesca nell'Europa conti-nentale, una prova di
quel secondo fronte richiesto dai russi per poter vedere diminuita la pressione
germanica contro di loro. Le truppe italo-tedesche di stanza in territorio
africano si arresero il 13 maggio 1943, ora gli anglo-americani si preparavano
ad attaccare diretta-mente l'Europa.
La
guerra in Grecia Infine ci si
impelagò in avventure che si rivelarono assai dannose sia sul piano
puramente militare che su quello del prestigio internazionale. Il 25 ottobre
1940 Mussolini decise di attaccare
La guerra in Russia
Infatti Hitler aveva già programmato l'operazione Barbarossa che
avrebbe dovuto signifi-care l'annientamento dell'esercito sovietico.
Così si arrivò alla completa occupazione della Jugoslavia e della
Grecia dove, con la fine di aprile 1941, ogni resistenza ufficiale veniva a
cessare. Con il 22 giugno 1941
Pearl Harbour (Dicembre 1941)
Ma non fu così: l'inverno russo e una maggiore resistenza offerta
dai combattimenti sovie-tici fecero fallire i piani di Hitler alla fine del
1941. Va considerato che un altro fatto acca-duto a migliaia di chilometri di
distanza doveva influire in modo decisivo sugli sviluppi della guerra. Il 7
dicembre 1941 il Giappone attaccò di sorpresa la flotta americana nella
base di Pearl Harbour coinvolgendo direttamente gli Stati Uniti, con il loro
immenso po-tenziale industriale, nel conflitto, segnando quindi decisamente una
svolta nella conduzione e nello sviluppo della guerra. Anche nel Pacifico, come
in Europa per
Le vittorie giapponesi
Nella terra ferma si ebbe l'occupazione della Birmania. Alla fine di luglio
del
La guerra in Italia La ura del re, del principe ereditario, di Badoglio e di tutta una casta politica e militare ampiamente compromessa con il fascismo e che, nell'assoluta incuria per centinaia di mi-gliaia di soldati italiani abbandonati sui vari fronti di guerra e nei territori occupati, nel completo disinteresse per la nazione e, solo con lo scopo di salvaguardare le proprie vite, avevano gettato l'Italia nel caos, non escono bene da questa serie di episodi. Ma in ultima analisi quella era stata la classe politico militare che aveva portato al fascismo, che aveva condotto la nazione in guerra nel massimo dell'impreparazione e che chiudeva in modo non degno la propria parentesi storica. In Italia i tedeschi attuarono una prima linea di resistenza sulla cosiddetta linea Gustav (Garigliano, Cassino e Sangro) e da questa linea gli Alleati non riuscirono a passare se non nel maggio 1944 raggiungendo Roma il 4 giugno. Si arrivò così ad una nuova linea di resistenza tedesca che si stendeva lungo l'Appennino toscoemiliano da sopra Livorno per Bologna sino alle paludi di Comacchio. Qui si dovette attendere l'aprile del 1945 per completare la liberazione d'Italia. Negli anni tragici dell'occupazione nazista e del governo repubblicano fascista di Salò, l'Italia seppe esprimere per mezzo della lotta partigiana il senso della propria dignità e giustificare il diritto a quel riscatto politico che le competeva. La resistenza, dopo l'armistizio si trasformò in una lotta aperta contro l'esercito tedesco, passato alla posizione di esercito occupante. Dopo le prime rivolte po-polari avvenute a Roma e a Napoli, (le quattro giornate di Napoli), si costituirono in Piemonte, nel Veneto, in Emilia e in Liguria le prime organizzazioni partigiane. Dopo la di-chiarazione di guerra alla Germania da parte dell'Italia (13 ottobre 1943) e il riconoscimento della cobelligeranza italiana da parte degli anglo-americani, il Comitato di libera-zione nazionale dell'alta Italia assumeva la guida della lotta partigiana al nord contrappo-nendosi anche sul piano legale allo pseudo governo fascista.
I partigiani Nonostante le
numerose difficoltà e i dissensi politici sorti in senso al Comitato, le
forze partigiane trovarono nelle Marche e nella Toscana grandi centri di
azione. Nel maggio del '44 le formazioni partigiane settentrionali si
organizzarono come esercito regolare e costituirono il Comando del corpo
volontario della libertà. Nell'estate del '44 affrontarono alcune
battaglie tra cui la più importante fu quella di Monte Fiorino, mentre
il tentativo di liberare Siena e Firenze provocò le più feroci
reazioni da parte dei tedeschi in tutta
La Resistenza italiana
'GAP' e
'SAP'
13 divisioni bloccate
L'esercito tedesco, nonostante l'alta efficienza delle sue unità, la
ferrea disciplina e la pre-senza delle forze speciali, quali le «SS»,
accusò fin dai primi mesi i colpi ricevuti dalle bande di partigiani.
Infatti importanti contingenti di truppa (13 divisioni) non poterono es-sere
utilizzate al fronte, dove combattevano le truppe regolari, perché
indispensabili all'in-terno per fronteggiare le formazioni partigiane che
minavano continuamente la sicurezza dei rifornimenti, ed i gruppi armati e gli
organizzatori clandestini della città, che ostacola-vano seriamente la
produzione bellica. I partigiani si erano procurati le armi prelevandole dai
depositi dell'esercito italiano. Ma si trattava di fucili e di poche altre armi
leggere che non potevano reggere il confronto con quelle dei nazisti. C'era poi
il problema delle muni-zioni. A queste deficienze sopperirono in seguito gli
Alleati, in particolare con le forniture di armi, munizioni, denaro ed
ufficiali di collegamento ai partigiani del settentrione. Solo nel corso degli
ultimi quattro mesi di guerra, gennaio-aprile 1945,
Il contributo della
Resistenza
Per 19 mesi consecutivi le forze della Resistenza attaccarono il nemico
ovunque questi si trovava, creando zone libere in diverse province e precedendo
le armate degli Alleati nella Liberazione di città e centri minori. Il
contributo di sacrificio e di sangue della Resistenza italiana fu elevatissimo:
45.000 partigiani caddero in combattimento, 23.000 furono tortu-rati e
trucidati dai nazisti e dai fascisti dopo essere stati arrestati in camna o
nelle città; oltre 20.000 furono i feriti; 19.000 civili, uomini, donne
e bambini vennero passati per le armi. Ed ancora bisogna aggiungere gli 8.000
politici ed i 30.000 e più militari che non fe-cero ritorno dai campi di
prigionia della Germania. Le perdite umane degli Alleati, nell'in-tera camna
d'Italia, furono inferiori a quelle della Resistenza.
La Resistenza europea
L'ultimo conflitto mondiale fu caratterizzato dal fenomeno della
Resistenza. La macchina bellica tedesca che aveva polverizzato l'esercito
polacco e quello francese, quello belga, olandese, danese, norvegese, jugoslavo
e greco e che aveva respinto l'Armata Rossa fino alle porte di Mosca, occupando
quasi tutto il territorio della Russia europea, fu tuttavia co-stretta, prima o
poi, ad affrontare ovunque importanti gruppi di resistenti armati, pronti ad
una guerra fino all'ultimo sangue. Alla Resistenza partecipò una
moltitudine spinta del-l'impeto naturale di salvarsi dalla prigionia e dalla
tirannide tedesca, ma anche da una fer-vida aspirazione alla libertà, ed
una minoranza che ebbe il coraggio di prendere le armi e di iniziare la
guerriglia contro i Tedeschi che occuparono la propria nazione.
Movimento antinazista
Questo vastissimo movimento antinazista nacque dalla brutale politica
instaurata dagli oc-cupanti e, forse, dalla disperazione stessa. La coscienza,
l'organizzazione e la speranza della vittoria finale vennero in seguito.
Pertanto, inizialmente, i gruppi di partigiani europei non avevano alcun
collegamento, nemmeno nel proprio paese. Il primo centro propulsore dei primi
nuclei organizzati dalla resistenza europea fu Londra, ove il S.O.E. (Secret
Operations Executive) cercò di raccogliere e di potenziare
l'attività di quadri militari legit-timisti della Cecoslacchia, della
Polonia, dell'Olanda, del Belgio e della Francia, operando, però, in
modo da mantenerli rigorosamente entro i vecchi limiti dello spionaggio e del
sabotaggio, e mirando soprattutto a creare alle spalle del nemico una schiera
di esperti nella lotta clandestina, non prevedendo una più larga
partecipazione popolare. A fianco del S.O.E. e sotto il suo controllo,
agì il servizio informativo gollista, il B.C.R.A. (Bureau Central de
Renseignements et d'Actions).
Reazioni popolari
Un primo mutamento qualitativo nella struttura della Resistenza si
verificò in occasione dell'invasione della Grecia e della Jugoslavia
dove la reazione popolare fu vasta ed imme-diata ed il clima generale
diventò subito incandescente. Contemporaneamente, all'altro ca-po
dell'Europa, si sviluppò lo stesso fenomeno: in Olanda nacque il
movimento dei «Gueux» (i pezzenti) che trasse il nome dai fautori della feroce
rivolta dei Paesi Bassi sotto la dominazione snola, nel XVI secolo. In
Belgio, il Borgomastro di Bruxelles fornì uno dei primi e più
clamorosi esempi di disobbedienza civile agli ordini dei tedeschi. Costretto a
dimettersi egli fece afgere un proclama pubblico in cui dichiarava: «Io
sono, io resto e resterò il solo Borgomastro legittimo di Bruxelles.
Calma, coraggio e fiducia. Restate uniti, la vostra unione farà la
forza».
I campi di sterminio
Nell'Unione Sovietica i primi sintomi di sviluppo della Resistenza
coincisero con la più radicale svolta del regime nazista. Al principio
del 1941, infatti, dopo il fallimento della battaglia di Londra, nella
prospettiva di una guerra che si sarebbe protratta oltre i limiti previsti,
Hitler aveva deciso di dare la soluzione finale « al problema ebraico », la
«Endlösung», cioè lo sterminio totale degli undici milioni di ebrei che
vivevano in Europa. Prima campi di sperimentazione furono
Varsavia l'eroica
In Polonia, a Varsavia, in pochi giorni vennero eliminati 350.000 ebrei,
dei 450.000 rinchiusi nel ghetto dai nazisti fin dal primo giorno
dell'occupazione. Di fronte a tali massacri anche in Polonia
I partigiani in Francia
Nel 1942 entrarono in azione le prime formazioni di «maquis». Il movimento
si estese e le azioni di sabotaggio si moltiplicarono con il moltiplicarsi
delle rappresaglie dei tedeschi: 20.000 ebrei francesi vennero deportati dal
territorio occupato dai germanici, altri 15.000, rifugiatisi nella zona libera,
seguirono la stessa sorte, dopo che il governo di Vichy li ebbe consegnati ai
tedeschi. La medesima situazione si verificò in Cecoslovacchia. Alla
sop-pressione del governatore nazista Heydrich da parte di partigiani cechi,
l'occupatore rispose con il massacro di Lidice, dove 184 uomini e 7 donne
vennero fucilati sul posto. Tutta la popolazione fu deportata nei campi di
concentramento, compresi i bambini, e la cittadina venne bruciata e rasa al
suolo. Per rappresaglia vennero uccisi anche 1.800 ebrei di Praga e 1.800
detenuti politici. Ma le forze della Resistenza cecoslovacca non disarmarono.
In tutta Europa agirono circa un milione e mezzo di combattenti della
Resistenza; un altro milione condusse la guerriglia nei territori dell'Unione
Sovietica invasa. Sul piano militare il co-mando tedesco fu costretto ad
impiegare nei fronti interni ben più di due milioni e mezzo di soldati,
il che contribuì enormemente ad indebolire la prima linea riducendo le
possibilità d'attacco e di difesa.
La fine della guerra
Va detto che dal '44 il fronte italiano era diventato del tutto secondario
nella strategia alleata dato che il 6 giugno gli anglo-americani avevano
effettuato (con una operazione aeronavale colossale) lo sbarco in Normandia
aprendo così quel secondo fronte che avrebbe segnato la fine della
Germania nazista. L'esercito germanico stretto tra i russi ad est e gli Alleati
ad ovest dovette abbandonare i territori occupati e si trovò a
combattere in Germania in un folle tentativo di vana resistenza. I russi e gli
Alleati si congiunsero in Austria, i russi arrivarono a Berlino il 23 aprile e
qui si concluse la resistenza tedesca che dopo il suicidio di Hitler (30
aprile) non poteva avere più senso. In Europa il conflitto era
terminato; in Asia e nel Pacifico la disfatta giapponese si stava chiaramente
delineando ma quello che decise il Giappone a chiedere la resa incondizionata
fu l'uso da parte americana prima su Hiroshima e poi su Nagasaki, di due bombe
nucleari, ordigni di distruzione e di morte che venivano impiegati per la prima
volta nella storia dell'umanità e che posero termine al secondo
conflitto mondiale. La data per la storia è il 2 settembre 1945.
Dalla guerra
'calda' alla guerra 'fredda'.
La storia del dopoguerra, cioè di quel periodo che inizia con la
fine della II guerra mondiale sino ad oggi, è caratterizzata da due
fatti essenziali: primo la 'guerra fredda' fra Occidente ed Oriente,
a cui fa seguito la distensione; secondo, la decolonizzazione, cioè la
fine degli imperi coloniali e il sorgere di nazioni indipendenti, talune del
tutto nuove. Il mondo si risvegliava dal terribile incubo della seconda guerra
mondiale che aveva causato circa 50 milioni di morti, immense distruzioni,
esaurimento e crollo economico di molti paesi soprattutto europei. Il conflitto
si era concluso in Europa praticamente il 2 maggio 1945, con la caduta in mano
sovietica di Berlino. All'ammiraglio Doenitz, successore di Hitler,
suicidandosi il 30 aprile, non restò che firmare la resa incondizionata
l'8 maggio 1945. Il Giappone, che invece dimostrava ancora una forza notevole
in soldati (2 milioni) e in mezzi (9.000 aerei e una flotta potente), fu
costretto alla resa da un nuovo, sconosciuto, micidiale ordigno: la bomba
atomica. La distruzione di Hiroshima (6 agosto) e di Nagasaki (9 agosto 1945)
costrinsero il mikado (l'imperatore) ad accettare la resa incondizionata (2
settembre 1945). La tremenda carneficina iniziata il 1° settembre 1939 era
terminata.
La fine della guerra Va detto che dal
'44 il fronte italiano era diventato del tutto secondario nella strategia
alleata dato che il 6 giugno gli anglo-americani avevano effettuato (con una
operazione aeronavale colossale) lo sbarco in Normandia aprendo così
quel secondo fronte che avrebbe segnato la fine della Germania nazista. L'esercito
germanico stretto tra i russi ad est e gli Alleati ad ovest dovette abbandonare
i territori occupati e si trovò a combattere in Germania in un folle
tentativo di vana resistenza. I russi e gli Alleati si congiunsero in Austria,
i russi arrivarono a Berlino il 23 aprile e qui si concluse la resistenza
tedesca che dopo il suicidio di Hitler (30 aprile) non poteva avere più
senso. In Europa il conflitto era terminato; in Asia e nel Pacifico la disfatta
giapponese si stava chiaramente delineando ma quello che decise il Giappone a
chiedere la resa incondizionata fu l'uso da parte americana prima su Hiroshima
e poi su Nagasaki, di due bombe nucleari, ordigni di distruzione e di morte che
venivano impiegati per la prima volta nella storia dell'umanità e che posero
termine al secondo conflitto mondiale. La data per la storia è il 2
settembre 1945.
Privacy
|
© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta