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LA SITUAZIONE STORICA E SOCIALE

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LA SITUAZIONE STORICA E SOCIALE


INTRODUZIONE

L'Italia primonovecentesca eredita per molti versi la situazione di fine Ottocento, anche se accentuano alcune tendenze e linee di sviluppo; pur rimanendo un paese sostanzialmente agricolo, ad esempio, cominciano ad affermarsi le strutture di un'economia più modernamente europea. Se è vero infatti che il decennio 1880 - 1889 può generalmente considerarsi come una fase di intensificata attività e di espansione per l'industria, occorre tuttavia riconoscere come solo quindici anni che vanno dal 1898 al 1913, dopo la grave crisi precedente, abbiano segnato un'evoluzione di notevole momento dell'ambiente sociale. Due date fondamentali sono rappresentate dalla fondazione della Fiat nel 1899 e dall'esposizione universale di Torino nel 1911, in cui il cinquantenario dell'unità italiana veniva celebrato attraverso una rassegna delle conquiste del progresso scientifico e tecnologico.

Già negli ultimi anni dell' '800 la crisi economica aveva provocato, sia nelle città che nelle camne gravi tumulti, duramente repressi dalle forze dell'ordine. Nel 1898 i milanesi erano insorti per un nuovo aumento del costo della vita, ma le rivendicazioni erano state soffocate nel sangue dal generale Bava Beccarsi, che aveva fatto puntare i cannoni sulla folla. Dopo gli scioperi nelle camne settentrionali, come conseguenza della crisi agraria, c'erano state, in Sicilia, le agitazioni dei "fasci dei lavoratori" , organizzazioni sindacali, nate come protesta nei confronti delle intollerabili condizioni di vita nei latifondi e nelle miniere ( 1892 - 1893 ).



Con l'assassinio di Umberto I, ucciso a Monza nel 1900 dall'anarchico Gaetano Bresci, e con l'elezione del nuovo re Vittorio Emanuele III, la situazione mutò sensibilmente. La vittoria delle sinistre, nelle elezioni del medesimo anno, portò alla formazione di governi più moderati e liberali, come quelli di Giuseppe Saracco e di Giuseppe Zanardelli, che abolì le leggi restrittive nei confronti dei lavoratori. Ma il tentativo più impegnativo e consapevole di avviare a soluzione di questi problemi venne portato avanti dal governo di Giovanni Giolitti che, ricevuto l'incarico nel 1903, si fece promotore in senso progressista, di una più organica politica di equilibrio e di accordo fra le classi. Per attutire i contrasti, cercò di conciliare la borghesia liberale con i socialisti, inaugurando una concezione dello Stato come mediatore dei conflitti sociali e non come strumento di repressione poliziesca. Ben presto Giolitti attuò importanti provvedimenti di legislazione sociale a tutela dei lavoratori, con particolare riguardo anche al lavoro delle donne e dei minori, avviando anche una politica di risanamento e di attenta amministrazione. La favorevole situazione economica, che si era nel frattempo determinata, portò ad un progresso dell'agricoltura e, soprattutto, dell'industria, in campo siderurgico, tessile e idroelettrico, con l'apertura di nuovi settori, come quello elettromeccanico ed automobilistico, destinati ad assumere un'importanza crescente.

L'Italia, per quanto riguarda in particolare l'ambiente cittadino, poteva così finalmente presentare il volto della modernità, rivelando le linee più marcate di un paesaggio industriale, modificato dall'elettricità e dalle altre innovazioni tecniche. Un nuovo gusto della vita, favorito dall'aumento del benessere, caratterizzava presso le classi alte quella che venne appunto definita la belle èpoque, l'età dei divertimenti e dei piaceri.

Nonostante i provvedimenti che Giolitti cercò di adottare, finì per aggravarsi la questione meridionale: aumentò anche, di conseguenza, l'emigrazione che coinvolse, nel periodo 1901 - 1913, ben otto milioni di italiani, privi di mezzi di sussistenza ed analfabeti, imbarcatasi per lo più verso le Americhe senza alcuna garanzia o tutela.

Ripresero vigore le tendenze della destra e dei nazionalisti, mentre i socialisti, nel congresso di Reggio Emilia del 1912, espulsero i gruppi favorevoli all'impresa, confermando il loro tradizionale pacifismo; all'interno, tuttavia, si fecero strada forti tendenze massimaliste, capeggiate dall'economista e studioso del pensiero marxiano Arturo Labriola.

Nel 1912, inoltre, Giolitti aveva varato la nuova legge elettorale, che istituiva il suffragio universale maschile, portando tre milioni e mezzo a otto milioni il numero degli elettori, in gran parte favorevoli al Partito socialista (gli operai della città) e al partito cattolico (i contadini), fondato nel 1901, come movimento della Democrazia Cristiana, dal sacerdote Romolo Murri, con intenti di impegno sociale, in opposizione alla vecchia mentalità della Chiesa. La politica di equilibrio stava venendo meno e Giolitti, per fronteggiare la probabile avanzata dei socialisti, alle elezioni del 1913 si alleò con i cattolici, stipulando il cosiddetto "patto Gentiloni", dal nome del presidente dell'Unione elettorale cattolica. Ma le forti resistenze opposte, dopo la riuscita dell'accordo, dagli elementi più conservatori indussero Giolitti a dimettersi dal nuovo governo, in attesa che si presentassero condizioni più favorevoli, per poter proseguire la politica liberale e riformista. Il precipitare degli avvenimenti internazionali, tuttavia, veniva a incidere profondamente sulla situazione italiana, mutandone il corso.

L'Europa si stava avviando verso il primo conflitto mondiale, che può essere considerato anche come uno dei possibili sbocchi dello sviluppo scientifico - industriale: le attrezzature dell'industria erano in parte finalizzate alla produzione di armamenti e alle esigenze belliche, alle quali verranno interamente convertite durante la guerra. Ma proprio la guerra, con le sue stragi ed i suo orrori, avrebbe inflitto un duro colpo al mito ottocentesco e positivistico della scienza, considerata come un fattore sicuro ed inesauribile di progresso, destinato a risolvere i problemi dell'umanità. La fine delle ostilità restituiva un'Europa prostrata ed impoverita, preda di squilibri e di conflitti ancora più profondi, che avrebbero favorito le tragiche conseguenze dei decenni successivi.


IL GOVERNO GIOLITTI

Tra il 1901 e il 1909 Giovanni Giolitti  fu il grande arbitro della vita politica italiana, come prima di lui lo erano stati Agostino Depretis e Camillo Cavour. Egli assunse la carica di presidente del Consiglio nel novembre del 1903 e la conservò sino al dicembre del 1909. da uomo politico navigato e sperimentato quale era, non difettava certo di empirismo e i opportunismo. La sua disinvoltura nel manipolare la maggioranza parlamentare, nell'accaparrarsi, con mezzi leciti e meno leciti, i voti di quei deputati che erano disposti a barattarli in cambio di favori al loro collegio e l'appoggio delle clientele politiche meridionali, la sua spregiudicatezza infine nel predeterminare il risultato delle elezioni, specie nelle circoscrizioni del Mezzogiorno, gli valsero l'accusa di trasformismo. Ma in realtà non faceva nulla di più di quello che avevano fatto tutti i suoi predecessori. A differenza di molti di essi, egli possedeva però delle convinzioni politiche generali molo salde e non smarriva mai il senso dell'orientamento generale, né confondeva mai la tattica con la strategia.

Uno dei punti fermi delle sue convinzioni politiche era l'avversione ad ogni politica estera "imperiale" e la sua ferma persuasione che per risolvere i suoi gravissimi problemi interni l'Italia avesse soprattutto bisogno di tranquillità e di pace.

Giolitti, nel primo decennio del secolo potè attendere con relativa tranquillità all'esperimento di politica liberale e di rinnovamento che, dopo le oscure giornate del '98, il paese da lui si attendeva. Anch'egli era idealmente ancora attaccato alla prospettiva risorgimentale di un rinnovamento dal basso della società italiana, che investisse in primo luogo il mondo delle camne, ma era troppo poco dottrinario e troppo politico per non avvedersi che lo sviluppo industriale italiano e la nascita del movimento operaio erano fenomeni irreversibili e che l'industria ed i sindacati erano ormai i gruppi di pressione più organizzati e le forze più dinamiche dell'intera società italiana. Di qui il disegno a favorire e sollecitare una collaborazione politica tra le forze della borghesia liberale e quelle gravitanti attorno al Partito socialista italiano.

Mentre il Parlamento si occupava di legislazione sociale votando la legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli e sulla costituzione di un ufficio nazionale del lavoro, nel paese e nella stampa si agitavano con fervore di partecipazione i grandi temi della questione italiana, il problema meridionale, il suffragio universale, la riduzione delle spese militari. Ma le resistenze a questo nuovo corso non mancarono. Da una parte, infatti, vi erano i grandi proprietari fondiari del Mezzogiorno, presi alla sprovvista dall'ondata di scioperi, dall'altra gli industriali che non volevano elevare i salari dei loro dipendenti e taluni di essi giunsero a protestare contro la legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli. Ma ricevettero ben presto sconfitte, basti pensare agli scioperi della Valle padana nel 1902 che si conclusero con molte disfatte e così pure il grande sciopero dei tessili di Como dal settembre dello stesso anno. Di fronte a questi insuccessi, il blocco di forze che si era formato attorno al partito socialista cominciò a sgretolarsi nelle sue varie componenti. Infatti, esso ben presto si trovò ad essere diviso al proprio interno tra varie correnti. Le principali erano quella dei riformisti, della quale Turati era l'esponente più autorevole, disposta a continuare la collaborazione indiretta con Giolitti, e quella egli "intransigenti", che richiedevano a gran voce un'opposizione integrale. Inizialmente, quest'ultima venne sconfitta nel congresso del partito socialista tenutosi ad Imola nel 1902, ma ben presto acquistò nuovamente terreno e, quando Turati venne officiato da Giolitti per entrare a far parte di un nuovo gabinetto, egli dovette rifiutare, consapevole che se avesse accettato si sarebbe inimicato ogni popolarità. Anche in questa occasione, Giolitti non derogò dalla norma che si era prefisso di non cedere alle lusinghe degli stati d'assedio. Si limitò, infatti, a sciogliere la Camera e convocare nuove elezioni. Queste si svolsero all'insegna dell'indignazione dei benpensanti contro gli eccessi della piazza e si risolsero in un successo per i candidati governativi e in un arretramento per quelli socialisti.

Giolitti aveva, però, rinunciato al suo disegno politico e, pertanto, ritiratosi dal potere, lasciò che per circa un anno i suoi oppositori di destra ed i dirigenti rivoluzionari del PSI si logorassero nel vano tentativo di costruire una maggioranza e un programma comune. Solo del maggio del 1906 egli riprese le redini del governo. Fu proprio da questo periodo in poi che il suo sistema, detto appunto "sistema giolittiano" raggiunse il massimo del suo funzionamento, tanto che i socialisti non gli furono più ostili e talvolta lo sostennero. Vennero affrontati i problemi della legislazione sociale, con l'approvazione di provvedimenti relativi al lavoro femminile, al lavoro nelle risaie e nelle industrie insalubri, al lavoro notturno e ai contratti di lavoro. Per quanto concerne il Mezzogiorno, leggi speciali per la Sicilia, la Basilicata e la Calabria vennero approvate, e nel 1905 fu approvato anche il progetto dell'acquedotto pugliese. Le acque della vita politica italiana tornarono, però, ad essere agitate ed il paese entrava in una nuova e difficile fase della sua storia.


SCOPPIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

Lo scoppio della prima guerra mondiale è dato dall'attentato all'arciduca d'Austria Francesco Ferdinando da parte di uno studente serbo (Gavrilo Princip) nel 1914.
Ad un certo punto l'Austria protesta con la Serbia per quest'attentato mandando un ultimatum: trovare il responsabile dell'uccisione dell'arciduca, ma la Serbia rispose in maniera non soddisfacente poiché essa rifiutò che i responsabili dell'attentato fossero giudicati da un tribunale austriaco. Così l'Austria dichiarò guerra.
La Russia comincia ad accumulare un grande esercito che si pone ai confini austriaci e così l'Austria dichiara guerra anche alla Russia. In seguito entra in guerra anche la Germania alleata con l'Austria e per una catena d'alleanze la Francia dichiara guerra alla Germania in favore della Russia. La Germania aveva elaborato un piano: un attacco immediato: la Germania doveva passare attraverso il Belgio per invadere la Francia. Per passare attraverso uno stato neutrale (Belgio), la Germania doveva isolare il diritto internazionale, poiché un paese neutrale non poteva essere toccato. La Germania incontra una difficoltà: opposizione del Belgio ed entrata in guerra dell'Inghilterra. Nonostante tutto la Germania riesce ad invadere la Francia e la guerra di movimento, si trasforma in GUERRA D'URSULAperché la resistenza francese blocca l'avanzata tedesca e si forma un fronte occidentale.
TRIPLICE ALLEANZA: Germania - Austria - Italia
TRIPICE INTESA: Francia - Inghilterra

Nel frattempo, sul fronte orientale la Russia subisce delle sconfitte per opera dell'Austria, però l'esercito austriaco non da solo riesce ad affrontare l'esercito russo, così una buona pare dei contingenti tedeschi si spostano nel fronte orientale. La guerra subisce uno stallo: sul fronte occidentale c'è guerra d'Ursula, sul fronte orientale si fronteggiano due potenze.
Gli eventi che sbloccano la situazione sono le entrate in guerra degli altri Stati: nel 1915 entra il Giappone perché era diventato una potenza militare e industriale che voleva contendere alla Russia l'espansione in oriente e si allea con la Germania e l'Austria contro la Russia. A fianco della triplice intesa entra la Grecia e il Portogallo. Il confitto si allarga fino ad essere un conflitto mondiale.
Nel 1917 entrano anche gli Stati Uniti. Nel maggio del 1915 l'Italia entra in guerra. Era finita la dittatura giolittiana in seguito alle elezioni con suffragio maschile creando una situazione difficile perché la maggioranza si divide sempre di più in singoli frammenti portando così alla crisi del trasformismo. Innanzitutto rientrano nella vita politica i cattolici.
Con Pio x si erano scoraggiati i movimenti democratici perché si metteva troppo dalla parte degli operai e invece lui voleva una soluzione più moderata.
Tramite il papa, i cattolici rientrano nella vita politica attraverso il PATTO GENTILONI: patto tra moderati e parlamentari. Con questo patto i cattolici erano chiamati a votare in parlamento che erano favorevoli a sostenere la chiesa con i suoi insegnamenti e argomenti della chiesa (ad es. insegnamento privato contro il divorzio). Si attua una strategia politica.
I cattolici rientrano nella vita politica solo con un accordo, ma non erano liberi di votare.
Pio x vuole inserire nella politica i cattolici cercando però di essere sostenuto. I cattolici si alleano con la destra conservatrice e si radicalizza, di più il dibattito parlamentare anche perché lo stesso partito socialista era in crisi perché sul partito c'erano delle correnti riformiste e più intransigenti. In Italia ci fu un dibattito perché c'era chi voleva cercare di cambiare il socialismo e basarlo su riforme; non doveva essere solo un partito dei lavoratori ma doveva mirare alla giustizia sociale, a riforme senza basi ideologiche così forti.
Avviene una scissione tra socialisti e riformisti, che si ritirano e costituiscono partito a se stante IL PARTITO SOCIALISTA RIFORMISTA ITALIANO e dall'altra parte c'è il partito socialista vero e proprio.
Le elezioni del 1913 avevano peggiorato le cose, però aveva favorito la scissione del socialismo e del Parlamento. La tecnica del trasformismo non garantiva equilibrio e questo provoca le dimissioni di Giolitti e al suo posto ci fu Salandra: era un interventista perché riteneva che l'Italia non doveva perdere tempo.
Questa è la situazione italiana durante lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Quando scoppiò la guerra ci fu un dibattito tra interventista e neutralisti. Volevano restare neutrali i socialisti intransigenti, riformisti No. I giolittiani anche volendo essere neutrali avevano dall'altra parte gli interventisti costituiti da destra storica, i cattolici moderati, mentre il papa Benedetto XV aveva lanciato un appello per la pace. Gli interventisti erano anche repubblicani irredentisti, rivoluzionari, gli intellettuali che vedevano nell'intervento un aspetto diverso.
I nazionalisti vedevano una crescita del potere italiano; gli irredentisti e l'intellettuale vedevano una rivendicazione contro l'Austria, una liberazione sociale come se la guerra fosse stata un ideale che avrebbe unito il popolo italiano. Lo considerarono come strumento per diffondere delle riforme d'uguaglianza sociale. Fu presentato questo in modo così convincente che anche i neutrali furono coinvolti. Ci fu una vera e propria manipolazione, la guerra è presentata come un ideale a cui l'Italia deve rispondere fu una mobilitazione di massa e fu anche una proanda ideologica in cui si presentava in un certo modo un fenomeno. L'intervento fu deciso dal re, il Parlamento votò a favore della neutralità.
Fronte occidentale: Francia - Germania.
Fronte orientale: Russia.  Salandra si era dimesso e il re si era intromesso in questo vuoto, rifiutò il ritiro del capo del governo e decise l'intervento. Salandra aveva fatto gia nel patto di Londra un accordo con la Triplice Intesa in cui se vincevano volevano il Friuli - Venezia - Giulia.
Il maggio del 1915 entra in guerra l'Itali e si scontra subito con l'esercito austriaco che si pone ai confini e si crea cosi un nuovo fronte (Altopiano del Carso) perché l'Italia puntava su Trieste che ancora apparteneva all'Austria.
Avvengono i primi scontri sul fiume Isonzo, vicino Trieste (4 battaglie). Il comandante dell'esercito italiano era Luigi Cadorna. Queste battaglie non sono risolutive ma la guerra diventa subito guerra di logoramento: guerra d'Ursula (guerra combattuta nelle trincee).
Nel frattempo, nel fronte orientale (la Russia) continuano le sconfitte. Nel 1915 viene strappata alla Russia la Polonia e poi nell'anno dopo la Russia sembra riprendersi con vittorie che incoraggiano l'entrata in guerra della Romania ma che viene subito sconfitta, così come la Serbia e la Polonia. Nel fronte occidentale nel 1916 avvenne una gran carneficina: scontro tra Tedeschi e francesi sulla roccaforte francese di VERDUN e quest'attacco tedesco che iniziò a febbraio portò a vari scontri fino a giugno. Mentre si finiva questa carneficina, l'Italia subiva un attacco a sorpresa da parte degli austriaci, quella che viene chiamata STRAFEXPEDITION (spedizione politica). Gli austriaci volevano punire gli italiani perché si erano uniti con la Francia, rompendo così alleanza. Gli austriaci volevano cogliere di sorpresa, così non attaccarono dal fonte orientale (dal Carso) ma dal Trentino; questa spedizione creò in Italia una gran paura perché era tanto tempo che l'Italia non subiva degli attacchi da parte di uno stato straniero ma nonostante ciò l'Italia riuscì a bloccare l'esercito austriaco fermandosi sull'altopiano d'Asiago.
Intanto l'Inghilterra ha istituito un blocco navale: bloccava il passaggio delle merci nel Mare del Nord. Cosi la flotta tedesca per bloccarla combatte contro l'Inghilterra ma non ha successo. Questo scontro non risolve niente. A questa punto viene rialimentata l'opposizione alla guerra: si riorganizzano i socialisti che si opponevano e favorivano la pace.

IL DOPOGUERRA IN ITALIA

L'Italia mirava ad ottenere anche la Dalmazia; quando rivendicò questo, dopo il trattato di Versailles, l'Italia si vide negare questa possibilità e abbandonò la conferenza di Parigi non partecipando più alla spartizione del territorio.
Successivamente fu occupata la città di Fiume ma il governo non accettò ciò, la spedizione fu guidata da D'Annunzio il quale sosteneva la vittoria italiana fu mutilata. A Fiume D'Annunzio anticipò una sorta di fascismo. L'Italia intanto internamente aveva gravi problemi:
1)Inflazione: svalutare della moneta;
2)Crisi economica: prezzi troppo alti;
3)Crisi sociale: provocato dal contrasto tra le diverse classi sociali. I lavoratori volevano rivendicarsi in quanto c'era il malcontento dei contadini e del ceto medio; gli imprenditori, i commercianti che si erano indeboliti si vedevano più vicini al proletariato e lontani dai capitalisti;
4)Crisi politica: il partito socialista era in crisi; c'era una scissione in diversi gruppi, uno dei quali formò nel 1921 il partito comunista d'Italia, nato nel Congresso di Livorno
È dunque questo ora il periodo in cui nasce il Fascismo. Al governo italiano era tornato Giolitti propose alcune iniziative:
1)La rivoluzione dell'impresa fiumana: intervenne in via diplomatica, si accordò con la Jugoslava pretendendo la zona del territorio dell'Istria e sgomberando l'esercito di D'annunzio.
2)Atteggiamento nei confronti della borghesia: alla ricerca della giustizia prese dei provvedimenti che ai borghesi non piacquero.
3)Innalzamento della tassa di successione: ata quando si riceve un'eredità;
4)Rese nominali i titoli di stato: è come se lo stato fosse un'impresa e ci sono delle azioni. C'erano prima privati che compravano azioni ma di questi privati non se ne conosceva il nome, favorendo così lo stato. Rendendo nominali i titoli si dovevano are delle tasse, vedendo così chi aveva un reddito molto alto e a questi venivano "inflitte" più tasse.
Con questi provvedimenti andò a intralciare gli interessi della borghesia.
Giolitti governò nel biennio '20 - '21. fu costretto poi al fallimento perché questa politica che cercava di eguagliare la situazione, finì per scontentare tutti perché in quel periodo cominciava lo squadrismo fascista. Mussolini era direttore del partito, socialista. Si schierò per l'intervento in guerra allontanandosi così dal partito socialista, in quanto i socialisti erano contrari all'entrata in guerra dell'Italia. Fondò un nuovo giornale "IL POPOLO D'ITALIA". Si avvicina a posizioni nazionaliste: questo sfocerà nel partito fascista. Il partito fascista era inizialmente solo un movimento, chiamato "I FASCI DI COMBATTIMENTO": questi erano chiamati così perché il fascio è il simbolo dell'unione della nazione e il fascio si richiama anche al " Fascio Littorio":nell'antica Roma i magistrati erano accomnati da persone che portavano fasci,simbolo dell'autorità dei magistrati. I fascisti assumono questo simbolo perché il punto di riferimento era l'antica Roma dove l'Italia aveva raggiunto la sua massima grandezza. I fasci di combattimento erano un movimento ispirato alla giustizia sociale anche attraverso una lotta:si volevano eliminare gli squilibri all'interno della società italiana.
L'ambiguità che fece crollare il fascismo è data dal fatto che volevano conciliare l'ambizione di una patria potente con quello della giustizia sociale. Poi però dai primi fenomeni di squadrismo, il fascismo si appoggiò alla borghesia,individuando i nemici della nazione,non solo esterni ma anche interni. I nemici interni erano i SOCIALISTI e i COMUNISTI che indebolirono l'Italia perché sminuivano il concetto di nazione. Invece tutti dovevano essere diretti verso lo stesso obiettivo senza lotta di classe. Furono quindi questi i principali obiettivi della violenza fascista organizzata.
Le squadre si mossero a livello agrario; furono iniziate dai fascisti appoggiati dagli agrari che volevano l'impedimento di qualsiasi insurrezione nelle camne. La violenza organizzata è importante perché dopo la guerra non era più possibile una politica non bellica (solo una proanda), perché si erano abituati al meccanismo della guerra e tutti erano abituati ad usare la violenza. Questa violenza fu tollerata anche dagli organi di polizia,perché il pericolo rosso era temuto un po' da tutti. Dal 1921 cominciano queste violenze e nel frattempo entra in crisi il governo di Giolitti in quanto la sua ideologia del trasformismo non poteva più essere attuata e aveva perso anche l'appoggio del Parlamento.
Nel 1921 viene fondato il PARTITO POPOLARE ITALIANO da DON LUIGI STURZO: voleva che aderisse tutto il popolo e non solo i cattolici con un'aspirazione alla giustizia sociale. Il governo di Giolitti cadde perché non aveva appoggiato né i socialisti né i borghesi ma era rimasto neutrale.
Alla fine del 1921 era nato il PARTITO NAZIONALISTA FASCISTA. Nel 1922 si organizza la marcia su Roma in cui i fascisti di tutt'Italia si riunirono manifestando la loro grandezza. Il re diede l'incarico a MUSSOLINI di formare il nuovo governo che fu definito "totalitarismo imperfetto":questo perché il duce doveva sempre formalmente rispondere al re.
L' "epoca dei fascismi" vede il trionfo di regimi autoritari di destra non solo in Italia, ma anche in Portogallo (1925), in Germania (1933), in Giappone (1938), in Sna (1939). Il fascismo e il nazismo sono due fenomeni politici nuovi che pongono in crisi i valori del liberalismo tipici della civiltà europea, creando regimi totalitari di massa, caratterizzati dal nazionalismo, dalla soppressione della libertà e deldemocrazia - Le elezioni - I gruppi parlamentari - Il governo - La Corte Costituzionale" class="text">la democrazia, da una politica aggressiva ed imperialistica e da ideologie intolleranti e razziste. Un altro fenomeno nuovo è la sa, dopo la rivoluzione del 1917 in Russia, di uno stato socialista che egualmente rinnega i principi del liberalismo. Anzi, in URSS, la costruzione di una società socialista si orienta, sotto Stalin, in senso autoritario e dispotico.

Alla crisi del liberalismo si aggiunge quella del liberismo in seguito alla Grande crisi del 1929 - 1932. la stagnazione o depressione che ne deriva viene infatti fronteggiata con misure di direzione statale dell'economia che impongono un drastico freno alle leggi spontanee e che quindi rovesciano il principio basilare del liberismo.

Come data di chiusura della seconda fase e dell'intero periodo possiamo indicare il 1956. a metà degli anni Cinquanta alcuni fatti cominciano infatti a modificare radicalmente la situazione economica, sociale, politica e culturale italiana:

Sul piano politico, la morte di Stalin (1953), il processo di "destalinizzazione" in URSS e nei partiti comunisti, le rivolte in Polonia e in Ungheria contro i regimi filosovietici di quei paesi incrinano l'unità dei partiti di sinistra e così può avere inizio, in Italia, il processo che porterà il PSI a staccarsi dal PCI ed ad andare al governo con la DC. Si comincia quindi a prospettare un governo di centro sinistra al posto del tradizionale centrismo.

Sul piano economico, prende avvio un "boom" che modificherà nel giro di pochi anni il volto della nazione italiana adeguandola allo standard dei maggiori paesi industrializzati.

Contemporaneamente, nel nostro paese si sviluppa la televisione di Stato, mentre l'editoria diventa una vera e propria industria. In seguito a tale rivoluzione industriale, sviluppatasi già a partire dalle seconda metà degli anni Cinquanta, comincia a trasformarsi anche la condizione degli intellettuali che si massifica e si "proletarizza".

Una svolta profonda è segnata anche dalla guerra. Dalla Resistenza contro i fascisti e i nazisti, dall'irruzione delle masse sulla scena politica, dal passaggio dalla monarchia alla Repubblica e dalla riconquista della libertà e delle democrazia. Ma, pur rappresentando una data cruciale sul piano politico, il 1945 non apportò radicali cambiamenti economici e sociali.

In Europa e negli Stati Uniti il "boom" economico era cominciato dieci anni prima rispetto all'Italia e si prolungherà sino al 1973.


LA SECONDA GUERRA MONDIALE La Seconda Guerra mondiale, durata dal 1939 al 1945, fu il secondo grande conflitto del XX secolo, in cui furono coinvolti quasi tutti i paesi del mondo e che vide duri scontri anche al di fuori dell'Europa. Iniziò il 1° settembre 1939 con l'attacco alla Polonia da parte della Germania nazista, che già aveva stretto patti con l'Italia e con il Giappone, e si era annessa l'Austria e la Cecoslovacchia. Ai tre paesi si opposero, conquistando la vittoria finale, le truppe di Inghilterra, Francia, Russia, Stati Uniti e paesi alleati. Decisivo fu l'im-piego da parte degli Stati Uniti della prima bomba atomica, sganciata il 6 agosto 1945 sulla città giapponese di Hiroshima. In seguito al conflitto la Germania fu divisa in due parti, la Repubblica Federale, sotto la sfera d'influenza dei paesi occidentali, e la Repub-blica Democratica, sotto quella dell'Unione Sovietica. I morti complessivi furono quasi 50 milioni, di cui quasi 10 sterminati nei campi di concentramento nazisti.

L' 1 settembre 1939 iniziò l'invasione del territorio polacco da parte delle armate tedesche che passarono di vittoria in vittoria, specie in considerazione del fatto che l'armamento dei due eserciti era di un tale divario da non consentire ai polacchi che una disperata eroica re-sistenza. Varsavia venne raggiunta dai tedeschi il 9 settembre; il 17 anche la Russia entrò in guerra contro la Polonia e tre giorni dopo si ebbe il congiungimento delle truppe russo-tedesche. Il 6 ottobre la Polonia cessava di esistere come nazione ed il popolo polacco avrebbe dovuto attendere la fine della guerra per veder ricostituito il proprio stato, affron-tando sei anni di tremende sofferenze. La rapida vittoria all'est e la situazione all'ovest, do-ve si combatteva una non guerra tra le armate tedesche della linea Sigfrido e quelle franco-inglesi della linea Maginot, permise a Hitler di proporre la pace agli inglesi e ai francesi, pace che venne respinta. Le stasi sul fronte e la ricusazione dell'offerta di pace permise a Hitler di affrontare e risolvere la questione norvegese (dalla Norvegia la Germania si rifor-niva di materiali strategici e gli anglo-francesi cercarono di impedirlo con la posa di mine nelle acque territoriali norvegesi). La Germania invase la Danimarca e la Norvegia ottenne ancora una volta una schiacciante rapida vittoria. Si giunse così al 10 maggio 1940 quando scattò sul fronte occidentale il grande attacco tedesco che secondo i piani del generale Von Manstein doveva portare all'annientamento delle truppe anglo-francesi. In 5 giorni fu occupata l'Olanda, poi il Belgio; quindi i tedeschi sfondarono il fronte alleato a Sedan dilagan-do sino alla Manica e accerchiando il resto degli eserciti alleati. In questo frangente venne da parte inglese attuata l'operazione di salvataggio delle truppe alleate circondate a Dunkerque (dal 26 maggio al 4 giugno 1939 furono portati, con ogni mezzo, al di là della Ma-nica, 330.000 uomini).

Entrata in guerra dell'Italia (10 Giugno 1940)
Ormai per la Francia era la fine: il 10 giugno anche l'Italia entrò in guerra a fianco della Germania, il 14 giugno i tedeschi occuparono Parigi; il 22 giugno la Francia firmò l'armistizio. Ora contro il nazismo ed il fascismo (che, va ricordato, il 1 novembre 1936 avevano stipulato l'asse Roma-Berlino e che il 22 maggio 1939 avevano firmato il patto d'acciaio tra le due potenze) si ergeva solo l'Inghilterra. In Inghilterra era subentrato alla presidenza del consiglio un uomo che avrebbe influenzato con la propria grande personalità tutto il resto del conflitto: Winston Churchil. L'Inghilterra subì dall'agosto all'ottobre una tremenda serie di bombardamenti aerei da parte della Luftwaffe. La battaglia di Inghilterra fu affrontata con grande decisione dagli inglesi, una decisione tale da sconsigliare Hitler a tentare uno sbarco sull'isola. La caccia inglese inflisse perdite assai pesanti all'attaccante tedesco. Per quanto concerne l'Italia va subito detto che le nostre forze armate, assolutamente impreparate a una guerra moderna, si trovarono disperse su vari fronti: prima quello contro la Francia, poi quello in Libia e quindi quello in Africa orientale. Non solo c'è da rilevare come il nostro stato maggiore pensasse più ad una guerra difensiva che non offensiva, così che ci si trovò a perdere l'impero che era totalmente isolato dalla madre patria, a subire una serie di rovesci in Libia, a non saper risolvere il problema di Malta, munita roccaforte inglese nel mezzo del Mediterraneo.
Infine ci si impelagò in avventure che si rivelarono assai dannose sia sul piano puramente militare che su quello del prestigio internazionale. Il 25 ottobre 1940 Mussolini decise di attaccare la Grecia partendo dall'Albania, con la convinzione di ottenere una facile vittoria (quasi a compensare in qualche modo i successi tedeschi). Ma l'esercito greco non solo resistette validamente ma occupò addirittura il territorio albanese. Così fu necessario l'inter-vento tedesco attraverso la Jugoslavia e direttamente in Grecia per togliere dai guai l'alleato e per potere affrontare senza preoccupazioni su altri fronti il problema russo. Non va dimenticato che, malgrado il patto di non aggressione esistente tra la Russia e la Germania, l'occupazione di territori all'est era pur sempre per Hitler il modo di dare spazio alla Germania nelle terre orientali. Infatti egli aveva già programmato l'operazione Barbarossa che avrebbe dovuto signifi-care l'annientamento dell'esercito sovietico. Così si arrivò alla completa occupazione della Jugoslavia e della Grecia dove, con la fine di aprile 1941, ogni resistenza ufficiale veniva a cessare. Con il 22 giugno 1941 la Germania attaccò la Russia ed anche in questa cam-na si assistette ad un susseguirsi di successi dei Tedeschi che all'inizio dell'inverno si trovarono sotto le mura di Mosca. Centinaia di migliaia di soldati russi vennero fatti prig-ionieri o annientati e sembrò che nulla potesse fermare le armate naziste. Ma non fu così: l'inverno russo e una maggiore resistenza offerta dai combattimenti sovietici fecero fallire i piani di Hitler alla fine del 1941. Va considerato che un altro fatto acca-duto a migliaia di chilometri di distanza doveva influire in modo decisivo sugli sviluppi della guerra. Il 7 dicembre 1941 il Giappone attaccò di sorpresa la flotta americana nella base di Pearl Harbour coinvolgendo direttamente gli Stati Uniti, con il loro immenso po-tenziale industriale, nel conflitto, segnando quindi decisamente una svolta nella conduzione e nello sviluppo della guerra. Anche nel Pacifico, come in Europa per la Germania, l'inizio della guerra segnò una serie di successi giapponesi i quali occuparono la Thailandia, la Malesia giungendo ad occupare la grande base inglese di Singapore il 15 febbraio 1942. I giapponesi occuparono Hong-Kong, le Filippine, la Nuova Guinea, il Borneo, Sumatra per quanto interessava il teatro del Pacifico.


La situazione italiana
La guerra era davvero mondiale e nella vastità del conflitto il settore italiano sembrava di importanza minore, ma questa valutazione strategica non era certamente valida per i soldati italiani combattenti in Africa settentrionale, in Russia e contro la guerriglia jugoslava; ne tanto meno per la popolazione civile che in molte città viveva l'esperienza tragica dei bombardamenti aerei diurni e notturni. L'Etiopia era perduta, in Grecia ed in Africa settentrio-nale anche avevano dovuto chiedere l'aiuto dei tedeschi (in Libia si era avuto l'intervento dell'Afrikakorps direttamente comandato dal generale Rommel). La nostra flotta, priva del radar, non poteva competere con quella inglese che ormai era padrona del Mediterraneo. Invece di affrontare in modo adeguato i problemi relativi al nostro settore Mussolini inviò una armata (l'Amir) in terra di Russia con conseguenze disastrose data la mancanza di mezzi per una guerra di movimento e di attrezzature per poter superare il gelido inverno russo. Durante tutta la condotta della guerra si può affermare che mentre il coraggio del soldato italiano e il suo spirito di sacrificio risultarono certo non inferiori a quelli degli altri combattenti, fece chiaramente spicco l'insipienza dei comandanti, l'impreparazione gene-rale, il pressappochismo di una classe politica e militare che ineluttabilmente avrebbe por-tato alla sconfitta. Se poniamo la fine del 1942 come l'inizio del rovesciamento delle sorti della guerra lo facciamo perché con la fine dell'anno vediamo su tutti i fronti una generale inversione di tendenza. Abbiamo detto che con la fine dell'estate 1942 nel Pacifico inizia la controffensiva americana, vediamo ora che in Africa settentrionale a novembre si ha non solo la controffensiva inglese a El Alamein ma si ha lo sbarco americano in Marocco e in Algeria quasi una prova generale di quell'attacco alla fortezza tedesca nell'Europa conti-nentale, una prova di quel secondo fronte richiesto dai russi per poter vedere diminuita la pressione germanica contro di loro. Le truppe italo-tedesche di stanza in territorio africano si arresero il 13 maggio 1943, ora gli anglo-americani si preparavano ad attaccare diretta-mente l'Europa.

La guerra in Grecia Infine ci si impelagò in avventure che si rivelarono assai dannose sia sul piano puramente militare che su quello del prestigio internazionale. Il 25 ottobre 1940 Mussolini decise di attaccare la Grecia partendo dall'Albania, con la convinzione di ottenere una facile vittoria (quasi a compensare in qualche modo i successi tedeschi). Ma l'esercito greco non solo resistette validamente ma occupò addirittura il territorio albanese. Così fu necessario l'inter-vento tedesco attraverso la Jugoslavia e direttamente in Grecia per togliere dai guai l'alleato e per potere affrontare senza preoccupazioni su altri fronti il problema russo. Non va di-menticato che, malgrado il patto di non aggressione esistente tra la Russia e la Germania, l'occupazione di territori all'est era pur sempre per Hitler il modo di dare spazio alla Ger-mania nelle terre orientali.

La guerra in Russia
Infatti Hitler aveva già programmato l'operazione Barbarossa che avrebbe dovuto signifi-care l'annientamento dell'esercito sovietico. Così si arrivò alla completa occupazione della Jugoslavia e della Grecia dove, con la fine di aprile 1941, ogni resistenza ufficiale veniva a cessare. Con il 22 giugno 1941 la Germania attaccò la Russia ed anche in questa cam-na si assistette ad un susseguirsi di successi dei Tedeschi che all'inizio dell'inverno si trovarono sotto le mura di Mosca. Centinaia di migliaia di soldati russi vennero fatti prig-ionieri o annientati e sembrò che nulla potesse fermare le armate naziste.

Pearl Harbour (Dicembre 1941)
Ma non fu così: l'inverno russo e una maggiore resistenza offerta dai combattimenti sovie-tici fecero fallire i piani di Hitler alla fine del 1941. Va considerato che un altro fatto acca-duto a migliaia di chilometri di distanza doveva influire in modo decisivo sugli sviluppi della guerra. Il 7 dicembre 1941 il Giappone attaccò di sorpresa la flotta americana nella base di Pearl Harbour coinvolgendo direttamente gli Stati Uniti, con il loro immenso po-tenziale industriale, nel conflitto, segnando quindi decisamente una svolta nella conduzione e nello sviluppo della guerra. Anche nel Pacifico, come in Europa per la Germania, l'inizio della guerra segnò una serie di successi giapponesi i quali occuparono la Thailandia, la Malesia giungendo ad occupare la grande base inglese di Singapore il 15 febbraio 1942. I giapponesi occuparono Hong-Kong, le Filippine, la Nuova Guinea, il Borneo, Sumatra per quanto interessava il teatro del Pacifico.

Le vittorie giapponesi
Nella terra ferma si ebbe l'occupazione della Birmania. Alla fine di luglio del 1942 l'eser-cito giapponese aveva conquistato territori per otto milioni di chilometri quadrati raggiun-gendo obiettivi che sembravano impossibili. I giapponesi occupavano Hong-Kong, le Filippine, l'Indocina, Singapore e parte dell'arcipelago melanesiano, giungendo fino ai confini dell'India e penetrando nell'interno della Cina. Con questa nazione il Giappone era in guerra già da molti anni, nel tentativo di distruggere le forze nazionaliste cinesi di Ciang-kai-Sheck e quelle comuniste di Mao-tse-Tung. Ma questo non significava la scon-fitta degli Stati Uniti che anzi cominciarono a far sentire il peso della loro potenza proprio durante la battaglia del mar dei Coralli e durante la battaglia di Midway (maggio-giugno 1942) battaglia quest'ultima che invertì la tendenza nel Pacifico, sino a che con il mese di agosto ebbe inizio la controffensiva americana.


La guerra in Italia La ura del re, del principe ereditario, di Badoglio e di tutta una casta politica e militare ampiamente compromessa con il fascismo e che, nell'assoluta incuria per centinaia di mi-gliaia di soldati italiani abbandonati sui vari fronti di guerra e nei territori occupati, nel completo disinteresse per la nazione e, solo con lo scopo di salvaguardare le proprie vite, avevano gettato l'Italia nel caos, non escono bene da questa serie di episodi. Ma in ultima analisi quella era stata la classe politico militare che aveva portato al fascismo, che aveva condotto la nazione in guerra nel massimo dell'impreparazione e che chiudeva in modo non degno la propria parentesi storica. In Italia i tedeschi attuarono una prima linea di resistenza sulla cosiddetta linea Gustav (Garigliano, Cassino e Sangro) e da questa linea gli Alleati non riuscirono a passare se non nel maggio 1944 raggiungendo Roma il 4 giugno. Si arrivò così ad una nuova linea di resistenza tedesca che si stendeva lungo l'Appennino toscoemiliano da sopra Livorno per Bologna sino alle paludi di Comacchio. Qui si dovette attendere l'aprile del 1945 per completare la liberazione d'Italia. Negli anni tragici dell'occupazione nazista e del governo repubblicano fascista di Salò, l'Italia seppe esprimere per mezzo della lotta partigiana il senso della propria dignità e giustificare il diritto a quel riscatto politico che le competeva. La resistenza, dopo l'armistizio si trasformò in una lotta aperta contro l'esercito tedesco, passato alla posizione di esercito occupante. Dopo le prime rivolte po-polari avvenute a Roma e a Napoli, (le quattro giornate di Napoli), si costituirono in Piemonte, nel Veneto, in Emilia e in Liguria le prime organizzazioni partigiane. Dopo la di-chiarazione di guerra alla Germania da parte dell'Italia (13 ottobre 1943) e il riconoscimento della cobelligeranza italiana da parte degli anglo-americani, il Comitato di libera-zione nazionale dell'alta Italia assumeva la guida della lotta partigiana al nord contrappo-nendosi anche sul piano legale allo pseudo governo fascista.


I partigiani Nonostante le numerose difficoltà e i dissensi politici sorti in senso al Comitato, le forze partigiane trovarono nelle Marche e nella Toscana grandi centri di azione. Nel maggio del '44 le formazioni partigiane settentrionali si organizzarono come esercito regolare e costituirono il Comando del corpo volontario della libertà. Nell'estate del '44 affrontarono alcune battaglie tra cui la più importante fu quella di Monte Fiorino, mentre il tentativo di liberare Siena e Firenze provocò le più feroci reazioni da parte dei tedeschi in tutta la Toscana. Le lotte si spostarono nel nord oltre la cosiddetta linea Gotica e qui i partigiani si affiancarono in modo determinante all'esercito alleato. Si arrivò così al 25 aprile 1945 quando l'avanzata alleata e l'insurrezione partigiana portarono alla completa liberazione d'Italia e segnarono la fine di Mussolini fucilato a Giulino di Mezzegra sul lago di Como il 28 aprile.

La Resistenza italiana
La Resistenza italiana nacque subito dopo l'8 settembre del 1943. Fu la spontanea, multi-forme reazione della grande maggioranza del popolo italiano alla ventennale dittatura fas-cista, all'alleanza con la Germania nazista e all'andamento disastroso della guerra. Alla Re-sistenza partecipò una moltitudine, spinta dell'impeto naturale di salvarsi dalla prigionia tedesca, ma anche da una fervida aspirazione di liberazione, ed una minoranza che ebbe il coraggio di prendere le armi e d'iniziare la guerriglia contro i loro alleati, i fascisti della Repubblica di Salò. Il Movimento annoverò nelle sue file migliaia d'italiani, uomini e donne, operai, contadini, professionisti e sacerdoti. Questo esercito di anonimi si prodigò in mille modi, spesso a rischio della propria vita, per dare aiuto, rifugio, cibo e vestiario ai perseguitati e ai ricercati dai nazisti, ai gruppi di sabotatori che agivano nelle città occu-pate, agli organizzatori del fronte sindacale che operavano nelle fabbriche, ai partigiani che impegnarono, per venti mesi, in una logorante guerriglia, 13 divisioni tedesche e fasciste.

'GAP' e 'SAP'
La Resistenza italiana nacque il giorno stesso in cui il governo Badoglio proclamò l'armi-stizio fra l'Italia e le potenze alleate. Non ci furono tempi vuoti di mezzo; ed è questo fatto che viene a confermare, in sede storica, l'esistenza per tutto il ventennio, di una sorda ri-bellione alla dittatura fascista e d'un mai sopito sentimento naturale alla libertà. Le bande armate operarono in montagna ed in pianura. I Gap (Gruppi d'azione patriottica) e le Sap (Squadre d'azione partigiana) agirono per lo più nei centri abitati, grandi e piccoli, con at-tentati alle istituzioni del nemico e con azioni di sabotaggio. Quindi Gap, Sap e bande di partigiani costituirono l'esercito combattente della Resistenza. La maggioranza di queste formazioni erano legate ai vari C.L.N. (Comitati di Liberazione Nazionale), organi squisi-tamente politici; i dati relativi alle organizzazioni politiche a cui facevano capo le forze di Resistenza (Partito Comunista, Partito d'Azione, Partito Socialista, Democrazia Cristiana ecc.) non sono certi, in quanto i dati forniti dalle loro associazioni o dai partiti politici, non concordano con dati in possesso del Ministero della Difesa, così anche il numero dei cadu-ti, dei feriti e dei dispersi. Comunque un'analisi ativa consente di affermare che i combattenti della Resistenza Italiana furono circa 270.000.

13 divisioni bloccate
L'esercito tedesco, nonostante l'alta efficienza delle sue unità, la ferrea disciplina e la pre-senza delle forze speciali, quali le «SS», accusò fin dai primi mesi i colpi ricevuti dalle bande di partigiani. Infatti importanti contingenti di truppa (13 divisioni) non poterono es-sere utilizzate al fronte, dove combattevano le truppe regolari, perché indispensabili all'in-terno per fronteggiare le formazioni partigiane che minavano continuamente la sicurezza dei rifornimenti, ed i gruppi armati e gli organizzatori clandestini della città, che ostacola-vano seriamente la produzione bellica. I partigiani si erano procurati le armi prelevandole dai depositi dell'esercito italiano. Ma si trattava di fucili e di poche altre armi leggere che non potevano reggere il confronto con quelle dei nazisti. C'era poi il problema delle muni-zioni. A queste deficienze sopperirono in seguito gli Alleati, in particolare con le forniture di armi, munizioni, denaro ed ufficiali di collegamento ai partigiani del settentrione. Solo nel corso degli ultimi quattro mesi di guerra, gennaio-aprile 1945, la Special Force orga-nizzò 865 lanci di materiale da guerra ai partigiani del nord. Due terzi di tali lanci riusciro-no, cioè 551 per complessive 1200 tonnellate e precisamente 650 tonnellate di armi e mu-nizioni, 300 tonnellate di esplosivo e 250 tonnellate di altri materiali. Anche in riferimento a questi aiuti l'efficacia della Resistenza armata fu maggiore nel nord d'Italia. In proposito si possono distinguere due zone separate approssimativamente da una linea che va dalla foce del Cecina, in Toscana, ad Ancona, nelle Marche. A nord, includendo non solo l'Italia settentrionale, ma anche la valle dell'Arno e parte delle Marche, la resistenza raggiunse quell'alto livello di organizzazione e di efficienza che ne giustificò la definizione di «Stato libero in territorio occupato». A sud della linea Cecina-Ancona, nelle diciassette province, che all'epoca dell'occupazione tedesca gravitavano intorno a Roma, la Resistenza più che un movimento organico fu la somma di un gran numero di attività e d'iniziative popolari, quali ad esempio l'insurrezione di Napoli ed i vari attentati contro i tedeschi e fascisti. Per 19 mesi consecutivi le forze della Resistenza attaccarono il nemico ovunque questi si tro-vava, creando zone libere in diverse province e precedendo le armi degli Alleati nella libe-razione di città e centri minori. Nell'aprile del 1945 il C.L.N.A.I. (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) mobilitò l'intero schieramento della Resistenza in appoggio all'ulti-ma grande offensiva alleata in Italia. Le forze tedesche e fasciste in ripiegamento vennero impegnate dai partigiani, mentre le grandi città del nord insorgevano ad una ad una. Agli aspri combattimenti nell'ultimo tratto dell'Appennino ed in Liguria fecero eco le insurre-zioni del 23-26 aprile a Genova, Torino e Milano; del 27 a Padova; del 28 a Venezia; del 30 a Treviso, Belluno e Trieste; del primo maggio a Udine e negli altri centri posti sulla via della ritirata nemica.

Il contributo della Resistenza
Per 19 mesi consecutivi le forze della Resistenza attaccarono il nemico ovunque questi si trovava, creando zone libere in diverse province e precedendo le armate degli Alleati nella Liberazione di città e centri minori. Il contributo di sacrificio e di sangue della Resistenza italiana fu elevatissimo: 45.000 partigiani caddero in combattimento, 23.000 furono tortu-rati e trucidati dai nazisti e dai fascisti dopo essere stati arrestati in camna o nelle città; oltre 20.000 furono i feriti; 19.000 civili, uomini, donne e bambini vennero passati per le armi. Ed ancora bisogna aggiungere gli 8.000 politici ed i 30.000 e più militari che non fe-cero ritorno dai campi di prigionia della Germania. Le perdite umane degli Alleati, nell'in-tera camna d'Italia, furono inferiori a quelle della Resistenza.

La Resistenza europea
L'ultimo conflitto mondiale fu caratterizzato dal fenomeno della Resistenza. La macchina bellica tedesca che aveva polverizzato l'esercito polacco e quello francese, quello belga, olandese, danese, norvegese, jugoslavo e greco e che aveva respinto l'Armata Rossa fino alle porte di Mosca, occupando quasi tutto il territorio della Russia europea, fu tuttavia co-stretta, prima o poi, ad affrontare ovunque importanti gruppi di resistenti armati, pronti ad una guerra fino all'ultimo sangue. Alla Resistenza partecipò una moltitudine spinta del-l'impeto naturale di salvarsi dalla prigionia e dalla tirannide tedesca, ma anche da una fer-vida aspirazione alla libertà, ed una minoranza che ebbe il coraggio di prendere le armi e di iniziare la guerriglia contro i Tedeschi che occuparono la propria nazione.

Movimento antinazista
Questo vastissimo movimento antinazista nacque dalla brutale politica instaurata dagli oc-cupanti e, forse, dalla disperazione stessa. La coscienza, l'organizzazione e la speranza della vittoria finale vennero in seguito. Pertanto, inizialmente, i gruppi di partigiani europei non avevano alcun collegamento, nemmeno nel proprio paese. Il primo centro propulsore dei primi nuclei organizzati dalla resistenza europea fu Londra, ove il S.O.E. (Secret Operations Executive) cercò di raccogliere e di potenziare l'attività di quadri militari legit-timisti della Cecoslacchia, della Polonia, dell'Olanda, del Belgio e della Francia, operando, però, in modo da mantenerli rigorosamente entro i vecchi limiti dello spionaggio e del sabotaggio, e mirando soprattutto a creare alle spalle del nemico una schiera di esperti nella lotta clandestina, non prevedendo una più larga partecipazione popolare. A fianco del S.O.E. e sotto il suo controllo, agì il servizio informativo gollista, il B.C.R.A. (Bureau Central de Renseignements et d'Actions).

Reazioni popolari
Un primo mutamento qualitativo nella struttura della Resistenza si verificò in occasione dell'invasione della Grecia e della Jugoslavia dove la reazione popolare fu vasta ed imme-diata ed il clima generale diventò subito incandescente. Contemporaneamente, all'altro ca-po dell'Europa, si sviluppò lo stesso fenomeno: in Olanda nacque il movimento dei «Gueux» (i pezzenti) che trasse il nome dai fautori della feroce rivolta dei Paesi Bassi sotto la dominazione snola, nel XVI secolo. In Belgio, il Borgomastro di Bruxelles fornì uno dei primi e più clamorosi esempi di disobbedienza civile agli ordini dei tedeschi. Costretto a dimettersi egli fece afgere un proclama pubblico in cui dichiarava: «Io sono, io resto e resterò il solo Borgomastro legittimo di Bruxelles. Calma, coraggio e fiducia. Restate uniti, la vostra unione farà la forza».

I campi di sterminio
Nell'Unione Sovietica i primi sintomi di sviluppo della Resistenza coincisero con la più radicale svolta del regime nazista. Al principio del 1941, infatti, dopo il fallimento della battaglia di Londra, nella prospettiva di una guerra che si sarebbe protratta oltre i limiti previsti, Hitler aveva deciso di dare la soluzione finale « al problema ebraico », la «Endlösung», cioè lo sterminio totale degli undici milioni di ebrei che vivevano in Europa. Prima campi di sperimentazione furono la Polonia e l'Unione Sovietica dove già si trova-vano i commandos speciali, gli «Einsatzgruppen», con il compito di provvedere all'elimi-nazione degli ebrei e dei comunisti, a man mano che la Wehrmacht occupava i territori. I dati forniti da Reitlingher illustrano l'applicazione data all'ordine di Hitler: 30.000 fucilati a Kiev, dagli 80 ai 120.000 a Riga e altre decine di migliaia a Korno, a Minsk e Pinsk nella Russia Bianca, a Leopoli, a Vinnitza, a Kharkov ed a Dniepropetrowsk in Ucraina; altri ancora a Rostov. Complessivamente oltre un milione di ebrei e di comunisti vennero fuci-lati o impiccati nei territori dell'Unione Sovietica. Evidentemente quella politica di stermi-nio fu una leva potente che spinse decine di migliaia di uomini e di donne sovietici, con le armi in pugno, nelle grandi foreste e nelle immense pianure. Uomini e donne decisi a ven-dicare le vittime innocenti ed a combattere fino all'ultimo il nemico. Anche il governo del paese reagì alle prime notizie dello sterminio inserendo la Resistenza nel quadro delle isti-tuzioni statali. Il 18 luglio 1941, dopo i primi massacri della popolazione civile, il Comi-tato Centrale del Partito Comunista Sovietico prese la decisione di organizzare la lotta die-tro le file nemiche e ne diede il compito al Comando dell'esercito. La decisione prevedeva la « creazione di una situazione insostenibile per l'Armata tedesca mediante la disorganiz-zazione dei suoi collegamenti, delle sue linee di comunicazione e degli stessi distaccamenti militari, aiutando in ogni modo distaccamenti partigiani a cavallo o a fanteria.».

Varsavia l'eroica
In Polonia, a Varsavia, in pochi giorni vennero eliminati 350.000 ebrei, dei 450.000 rinchiusi nel ghetto dai nazisti fin dal primo giorno dell'occupazione. Di fronte a tali massacri anche in Polonia la Resistenza, rappresentata inizialmente dall'organizzazione clandestina «Armia Krajowa» (Esercito Nazionale), alla quale si aggiunse al principio del 1942 il movimento partigiano di sinistra «Gwardia Ludowa» (Guardia Popolare), aumentò le file dei combattenti. Non si trattava più di una scelta politica, ma della scelta fondamentale fra la fede nell'umanità e nella negazione della condizione umana. Il 20 ottobre 1941, a Kraguievac in Bosnia, i tedeschi massacrarono tutta la popolazione maschile dai 16 ai 60 anni: 2.300 persone. In precedenza erano stati deportati in Germania 300.000 soldati jugoslavi. La risposta dei popoli fu sempre la medesima: i movimenti partigiani di Tito e del generale monarchico Mihailovic si rafforzarono e la guerriglia venne intensificata. Così avvenne in Grecia, dove nel settembre del 1941 venne costituito l'E.A.M. (Fronte Nazionale di liberazione) in cui confluirono le organizzazioni politiche di sinistra e di centro. In dicembre l'E.L.A.S. (l'Organizzazione Armata dell'E.A.M.) operava contro i nazisti con una forza di 20-25.000 partigiani. La Resistenza in Francia iniziò nell'estate del 1941 con i primi attentati contro ufficiali nazisti e francesi collaborazionisti.

I partigiani in Francia
Nel 1942 entrarono in azione le prime formazioni di «maquis». Il movimento si estese e le azioni di sabotaggio si moltiplicarono con il moltiplicarsi delle rappresaglie dei tedeschi: 20.000 ebrei francesi vennero deportati dal territorio occupato dai germanici, altri 15.000, rifugiatisi nella zona libera, seguirono la stessa sorte, dopo che il governo di Vichy li ebbe consegnati ai tedeschi. La medesima situazione si verificò in Cecoslovacchia. Alla sop-pressione del governatore nazista Heydrich da parte di partigiani cechi, l'occupatore rispose con il massacro di Lidice, dove 184 uomini e 7 donne vennero fucilati sul posto. Tutta la popolazione fu deportata nei campi di concentramento, compresi i bambini, e la cittadina venne bruciata e rasa al suolo. Per rappresaglia vennero uccisi anche 1.800 ebrei di Praga e 1.800 detenuti politici. Ma le forze della Resistenza cecoslovacca non disarmarono. In tutta Europa agirono circa un milione e mezzo di combattenti della Resistenza; un altro milione condusse la guerriglia nei territori dell'Unione Sovietica invasa. Sul piano militare il co-mando tedesco fu costretto ad impiegare nei fronti interni ben più di due milioni e mezzo di soldati, il che contribuì enormemente ad indebolire la prima linea riducendo le possibilità d'attacco e di difesa.

La fine della guerra
Va detto che dal '44 il fronte italiano era diventato del tutto secondario nella strategia alleata dato che il 6 giugno gli anglo-americani avevano effettuato (con una operazione aeronavale colossale) lo sbarco in Normandia aprendo così quel secondo fronte che avrebbe segnato la fine della Germania nazista. L'esercito germanico stretto tra i russi ad est e gli Alleati ad ovest dovette abbandonare i territori occupati e si trovò a combattere in Germania in un folle tentativo di vana resistenza. I russi e gli Alleati si congiunsero in Austria, i russi arrivarono a Berlino il 23 aprile e qui si concluse la resistenza tedesca che dopo il suicidio di Hitler (30 aprile) non poteva avere più senso. In Europa il conflitto era terminato; in Asia e nel Pacifico la disfatta giapponese si stava chiaramente delineando ma quello che decise il Giappone a chiedere la resa incondizionata fu l'uso da parte americana prima su Hiroshima e poi su Nagasaki, di due bombe nucleari, ordigni di distruzione e di morte che venivano impiegati per la prima volta nella storia dell'umanità e che posero termine al secondo conflitto mondiale. La data per la storia è il 2 settembre 1945.

Dalla guerra 'calda' alla guerra 'fredda'.
La storia del dopoguerra, cioè di quel periodo che inizia con la fine della II guerra mondiale sino ad oggi, è caratterizzata da due fatti essenziali: primo la 'guerra fredda' fra Occidente ed Oriente, a cui fa seguito la distensione; secondo, la decolonizzazione, cioè la fine degli imperi coloniali e il sorgere di nazioni indipendenti, talune del tutto nuove. Il mondo si risvegliava dal terribile incubo della seconda guerra mondiale che aveva causato circa 50 milioni di morti, immense distruzioni, esaurimento e crollo economico di molti paesi soprattutto europei. Il conflitto si era concluso in Europa praticamente il 2 maggio 1945, con la caduta in mano sovietica di Berlino. All'ammiraglio Doenitz, successore di Hitler, suicidandosi il 30 aprile, non restò che firmare la resa incondizionata l'8 maggio 1945. Il Giappone, che invece dimostrava ancora una forza notevole in soldati (2 milioni) e in mezzi (9.000 aerei e una flotta potente), fu costretto alla resa da un nuovo, sconosciuto, micidiale ordigno: la bomba atomica. La distruzione di Hiroshima (6 agosto) e di Nagasaki (9 agosto 1945) costrinsero il mikado (l'imperatore) ad accettare la resa incondizionata (2 settembre 1945). La tremenda carneficina iniziata il 1° settembre 1939 era terminata.


La fine della guerra Va detto che dal '44 il fronte italiano era diventato del tutto secondario nella strategia alleata dato che il 6 giugno gli anglo-americani avevano effettuato (con una operazione aeronavale colossale) lo sbarco in Normandia aprendo così quel secondo fronte che avrebbe segnato la fine della Germania nazista. L'esercito germanico stretto tra i russi ad est e gli Alleati ad ovest dovette abbandonare i territori occupati e si trovò a combattere in Germania in un folle tentativo di vana resistenza. I russi e gli Alleati si congiunsero in Austria, i russi arrivarono a Berlino il 23 aprile e qui si concluse la resistenza tedesca che dopo il suicidio di Hitler (30 aprile) non poteva avere più senso. In Europa il conflitto era terminato; in Asia e nel Pacifico la disfatta giapponese si stava chiaramente delineando ma quello che decise il Giappone a chiedere la resa incondizionata fu l'uso da parte americana prima su Hiroshima e poi su Nagasaki, di due bombe nucleari, ordigni di distruzione e di morte che venivano impiegati per la prima volta nella storia dell'umanità e che posero termine al secondo conflitto mondiale. La data per la storia è il 2 settembre 1945.




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