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Con
Tasso introdusse magie, nobili gesta, di cavalieri, dame guerriere, avventure,
fughe, inseguimenti, ricerche, amori, accogliendo cos'è l'eredità
della tradizione cavalleresca, che pochi decenni prima aveva raggiunto l'apice
del suo splendore con l'Orlando furioso. La poesia fluisce limpida dall'inesausta
fantasia del poeta. I personaggi che più gli furono cari, quelli
più umanamente veri ed artisticamente validi sono quelli che hanno
trovato vita e realtà in quel amore che il Tasso disperatamente
agognava e che sempre gli sfuggì e, nella Gerusalemme tutti amano senza
essere riamati e le loro vicende ne compongono una sola, nella quale la gioia
di amare è turbata dalla pena di non essere riamati.
Nell'elemento amoroso il poema attinge i momenti migliori, poiché la poesia
nasce dall'anelito segreto del cuore. Di contro la poesia resta freddamente
tecnica quando deve cantare di battaglie, di duelli, di incantesimi. L'idea di
un poema relativo alla prima crociata, fu concepita dal Tasso verso il 1560,
mentre si trovava a Venezia col padre, favorirono il progetto i ricordi dei
racconti leggendari ascoltati da bambino a Cava dei Tirreni, presso la tomba di
Urbano II, il papa che bandì la prima crociata ed il timore dei turchi,
assai sentito a Venezia ed in Europa, nell'atmosfera religiosa creata dalla
controriforma. L'argomento del poema suscitò un vasto consenso, anche perchè
sembrava realizzare l'ideale rinascimentale di rinnovare l'epopea classica di
Omero e di Virgilio.
Tasso scrisse un primo abbozzo che restò interrotto. Il progetto fu
ripreso nel 1564, e concluso nel 1575 con il titolo Il Goffredo,
infatti, il titolo di Gerusalemme liberata è quello delle prime edizioni
pubblicate, contro la volontà del poeta, mentre il Tasso era
rinchiuso al sant'Anna. Nel 1576, iniziò la travagliata revisione del
poema, che approdò al rifacimento, pubblicato con il titolo di Gerusalemme
conquistata. Il Tasso, nella liberata, proietta su uno sfondo rigorosamente
storico, il tema tradizionale della lotta fra cristiani e musulmani,
coniugando, secondo il suo progetto (discorsi sull'arte poetica) l'avventura,
la storia e la religione per scrivere un grandioso poema, al quale il tema
epico-religioso conferisce una struttura unitaria. Alla struttura epica di
base, si intrecciano varie storie d'amore, tenere, patetiche, tragiche, sensuali,
che contrappongono il tema sentimentale a quello austeramente eroico e
originano una serie di peripezie che tentano una sintesi fra epopea e romanzo.
L'argomento del poema doveva essere il verisimile, ossia una verità
ideale vista nella prospettiva dell'etica cristiana. L'unità
è fornita dall'impresa voluta ed aiutata da Dio, e la varietà
dal mutare degli interessi egoistici e delle passioni. La vicenda è
arricchita e complicata dall'intervento del meraviglioso e dall'intrecciarsi
delle storie d'amore che introducono il tema cavalleresco dell'avventura e sono
paradigmatiche della condizione umana, combattuta fra sensualità
ed etica cristiana. Nella liberata, l'amore rappresenta la tentazione,
l'abbandono alla sensualità ed a una felicità solo
terrena, in contrasto col tema serio, guerriero e religioso della crociata,
cosicché il contrasto si presenta come dramma cristiano di peccato e
redenzione.
Il mondo di Armida e quello della crociata sono interdipendenti, poiché la
visione austeramente etica della vita spinge i personaggi verso l'evasione in
un paradiso terreno, privo dolore, mentre felicità , piacere, amore
e gloria si rivelano estremamente effimeri. Nasce da tale constatazione la
poesia del rimpianto, della rinuncia, della vita vista come illusione di felicità
cui segue inevitabile il disinganno e spesso la morte. Nel poema l'amore
è contrastato, la precarietà dell'esistenza rende eroiche
le ure eticamente più elevate, la natura a volte rispecchia la
desolata condizione umana, altre volte appare colma di vane lusinghe. Tasso
esalta la rinuncia eroica, consapevole, generosa e la fede in un ideale. Per il
Tasso eroismo significa grandezza d'animo, generosità
cavalleresca, capacità di lottare e di sacrificarsi, sofferenza,
coraggio, dignità nell'affrontare la sconfitta e la morte,
coscienza della difficoltà di vivere. I personaggi rappresentano
passioni ed ideali che spesso palesano il dramma esistenziale del poeta.
Il Tasso non dimentica mai la serietà del poema epico, lo scrupolo
unitario che gli impone di giustificare ogni avventura ed il suo stile è
caratterizzato da un'eloquenza classica e misurata, ma diviene fortemente
evocativo quando rappresenta turbamenti, affanni, malinconie. Rispetto alla
narrazione ariostesca, quella del Tasso non è mai fine a se stessa, non
indulge alla contemplazione bonaria e divertita, non si abbandona alla libera
gioia del narrare l'inesauribile moltiplicarsi degli eventi.
Nel sesto anno della
crociata, Goffredo di Buglione, per ispirazione divina, raduna i cavalieri
cristiani, dimentichi ormai dell'impresa e li guida contro Gerusalemme. Segue l'assedio
della città difesa da re Aladino, Clorinda, Argante, Solimano. Fra
i crociati si distinguono Tancredi e Rinaldo, il capostipite della casa d'Este.
Cielo e inferno partecipano alla vicenda, i demoni seminano fra i crociati
discordie e suggestioni peccaminose.
Infine si verifica una tremenda siccità , e il mago Ismeno lancia
un incantesimo sulla selva dalla quale i crociati traggono il legname per le macchine
da guerra. Rinaldo, liberato dalle panie di Armida che gli ha ispirato una
passione sensuale, dopo essersi confessato e purificato, scioglie l'incanto
della selva.
I crociati sferrano l'assalto decisivo a Gerusalemme e distruggono l'esercito
egiziano venuto in aiuto alla città , liberando il sepolcro di
Cristo.
1. La regola delle tre unità Come procedette il poeta? Il primo punto nodale era costituito dall'esigenza di tener fede alla norma delle cosiddette unità aristoteliche, in particolare al principio dell'unità d'azione, che per il Tasso era scontato si dovesse applicare anche all'epica. I tentativi finora compiuti di un'applicazione rigorosa di questa norma, nel senso di una rinuncia a priori a rendere mobile e varia la trama della vicenda, erano ingloriosamente falliti. Tasso aveva davanti agli occhi la mediocrità di un'opera come l'Italia liberata dai Goti di Giangiorgio Trissino, al quale rimproverava cordialmente di non aver saputo percepire i gusti del pubblico e di non aver sentito il bisogno di introdurre nel proprio poema il criterio della varietà. Per non correre il rischio di offrire al pubblico un'opera insopportabile, egli ricercò una conciliazione tra unità e varietà, e la trovò semplicemente contemdo la natura del mondo creato. Come nel mondo è dato osservare un'incredibile varietà di climi e di paesaggi, di piante e di animali, pur mantenendo il mondo una sua indefettibile unità di costituzione, di forma, di essenza e di struttura, così la molteplicità dei fattori che entrano in un poema (eventi naturali e azioni umane, espressioni di sentimenti e interventi del Cielo.) fa capo ad una trama unitaria e compatta, nella quale i diversi elementi si combinano in una fitta rete di rapporti e di corrispondenze. Non era più proponibile un poema come il Furioso dell'Ariosto, la cui trama è frantumata in una miriade di episodi e di personaggi che non si inseriscono in una storia unitaria. Era necessario che la vicenda si sviluppasse attorno ad un centro ideale (unità di luogo), che fosse compatta nel suo svolgimento temporale, escludendo salti e discontinuità, limitando al massimo le prolessi* e le analessi* (unità di tempo) e soprattutto fosse incentrata su un unico tema fondamentale (unità d'azione). Quest'ultimo, perché fosse evitato il rischio della monotonia o della prevedibilità, poteva essere arricchito da numerosi episodi secondari (unità nella varietà), purché fosse sempre evidente la relazione con il tema fondamentale.
3.2. Il rapporto storia-invenzione Il secondo problema che l'autore si pose riguardava non tanto la scelta del tema, che doveva essere storico, quanto il rapporto tra storia e invenzione poetica. Il problema, che avrebbe appassionato nell'Ottocento i cultori del romanzo storico, a cominciare da Scott e Manzoni, venne risolto dal Tasso con la scelta del verosimile. Ciò che distingue lo storico dal poeta è proprio questo: il primo deve ricercare e raccontare i fatti, nel rispetto assoluto dell'obiettività; al secondo spetta il compito di arricchire il racconto di tutte quelle invenzioni che possano suscitare il diletto del lettore. L'arte non deve imitare i fatti realmente accaduti, ma quelli che sarebbero potuti accadere; il poeta può attingere perciò liberamente alla sua fantasia, mescolando senza scrupoli realtà e finzione, fatti documentati e leggende, avvenimenti reali e prodotti dell'immaginazione, purché sia rispettato il principio di verisimiglianza nella globalità della storia. In altre parole il poeta può travestire liberamente la verità storica con la sua immaginazione, purché base della favola sia sempre il vero; se nei singoli episodi dell'opera può anche spaziare in una dimensione del tutto fantastica, l'insieme deve risultare storicamente plausibile, rispettare cioè lo spirito degli avvenimenti storici.
3.3.
Il fine educativo
Il Tasso visse, come si è detto, in un'epoca nella quale era molto forte
l'esigenza di un richiamo ai valori religiosi, come mezzo per un autentico
rinnovamento dei costumi. Se la teoria delle tre unità aveva ubbidito
nel primo Cinquecento ad una tendenza propria del classicismo rinascimentale,
quella cioè a fissare in norme rigide e vincolanti il principio di
imitazione dei modelli, nel clima moralistico della Controriforma essa
rispondeva invece alla necessità di educare i lettori ai princìpi
della morale cristiana. Il tragediografo,
così come il poeta epico, non dovevano più scrivere unicamente
per il diletto dei cortigiani né rivolgersi soltanto ad un pubblico dotto e
letterato: destinataria dell'opera diventava l'intera società moderna e
cristiana, che avrebbe dovuto trovare in essa, più che una mera fonte di
diletto, un ammaestramento morale, che illuminasse il significato e il fine
stesso della vita. Delle due funzioni
assegnate alla poesia da Orazio nel suo già ricordato precetto miscere
utile dulci venne senz'altro privilegiata la prima, l'utile, che
afferma il primato del docere, rispetto alla seconda, il dulce,
che contempla l'esigenza di delectare, cioè di procurare piacere
al lettore.
3.4.
Il disegno del poema
Il Tasso, una volta definita la sua poetica di base - rispetto delle
unità cosiddette aristoteliche, scelta della materia storica rielaborata
secondo il criterio del verosimile, intento pedagogico -, poetica che sarebbe
andato ulteriormente definendo e perfezionando nel corso della stesura del
poema, si dedicò all'elaborazione del grandioso progetto della Liberata.
L'opera avrebbe
avuto per argomento l'atto finale della prima crociata, la conquista della
città santa (tema storico; unità d'azione); lo
svolgimento della vicenda doveva esaurirsi nello spazio di pochi giorni e avere
carattere continuativo (unità di tempo); centro dell'azione e
costante punto di riferimento sarebbe stata Gerusalemme (unità di
luogo). Quanto al messaggio religioso e morale (fine pedagogico),
esso risultava evidente dalla scelta stessa dell'argomento, che invitava i
cristiani a riscoprire la propria unità e a trovare il coraggio di
combattere per la propria fede contro le minacce interne ed esterne. Il tema
era di grande attualità, se si considera il pericolo allora incombente
di un'espansione dei Turchi in Europa, ma non è escluso che il Tasso si
proponesse altresì di difendere l'integrità della Chiesa di Roma
contro le spinte disgregatrici della Riforma luterana.
5.1. Le fonti classiche
La rassegna delle fonti parte doverosamente da Omero, il padre dell'epica.
Dall'Iliade sono ripresi i due classici motivi dell'assedio e del
duello. Come nel poema omerico, anche in quello del Tasso la vicenda si svolge
per la maggior parte sotto le mura di una città assediata - là
Troia, qui Gerusalemme - , dall'alto delle quali si osserva l'esercito nemico e
si assiste ad episodi di valore. E' significativa, ad esempio, l'analogia tra i
canti terzi dei due poemi: nell'Iliade è Elena che, dall'alto di
una torre, indica al re Priamo i principali guerrieri greci; nella Liberata
svolge questa funzione di presentatrice Erminia, che, ella pure dall'alto di
una torre, fornisce al re Aladino informazioni sull'identità e sulle
caratteristiche dei campioni cristiani. Della felice vena descrittiva del Tasso
in materia di duelli e fatti d'arme si è già trattato a proposito
del Rinaldo. Qui gioverà ricordare che, come nell'Iliade,
e successivamente nell'Eneide, un duello pone fine alla vicenda,
così nel poema tassesco l'uccisione di Argante ad opera di Tancredi
(canto XIX) priva Gesuralemme dell'ultimo baluardo. E si possono individuare
analogie pure nelle parole di compianto che gli eroi vinti pronunciano sulla
sorte del proprio popolo. Ma l'elemento che più avvicina i tre poemi,
quello che maggiormente qualifica la loro appartenenza al genere epico,
è sicuramente la glorificazione del passato, come fondamento della
presente grandezza: come i Greci avevano trovato le radici della propria
unità nella comune partecipazione alla spedizione troiana e i Romani
avevano santificato le proprie origini mediante la missione del pius Aeneas,
così dalmemoria - I processi di memorizzazione dall'acquisizione al richiamo - Studi comparati" class="text">la memoria della vittoriosa crociata i popoli cristiani
avrebbero dovuto trarre gli auspici per ritrovare la propria compattezza e
unità.
Un cenno a parte merita l'Odissea,
nella quale si ritrovano gli archetipi di ambienti e situazioni cari all'epica
cinquecentesca. La 'schiavitù' d'amore di Rinaldo nell'isola
di Alcina richiama il soggiorno di Ulisse nell'isola di Calipso (o in quella di
Circe) e una natura meravigliosa fa da sfondo agli amori dei due eroi.
Dal poema di Virgilio, oltre
ai motivi sopra accennati, il Tasso ricavò spunti per creare la
fisionomia poetica del personaggio di Goffredo, che forse ingiustamente molta
critica ha giudicato scialbo e quasi secondario; in realtà è
attorno al pio Goffredo che ruota l'azione degli altri crociati, così
come Enea è modello e punto di riferimento per comni e alleati. L'incipit
stesso del poema (Canto l'arme pietose e 'l capitano) ricalca quello
dell'Eneide : Arma virumque cano.
L'Eneide ispirò
A Virgilio il Tasso si
rifà anche per ciò che concerne il tono, costantemente elevato e
sublime, volendo anche in questo - oltre che nella scelta della materia storica
e nel perseguimento dell'intento morale - differenziarsi dalla precedente epica
rinascimentale (Boiardo, Ariosto), nella quale avevano larga parte il comico e
il grottesco. Sempre a moduli virgiliani, infine, si ispira l'autore della Liberata
per la rappresentazione del 'meraviglioso', che non è
fiabesco, come nell'Ariosto, ma religioso e cristiano: il divino tassesco
assume spesso tratti e aspetti dell'Olimpo virgiliano, privato naturalmente di
qualsiasi connotazione mitologica. Ma va anche precisato che il poema del Tasso
modifica notevolmente, con conseguenze che coinvolgono l'intero sviluppo della
vicenda, il pregetto virgiliano per quanto riguarda la forza soprannaturale
d'opposizione: nell'Eneide essa è rappresentata da Giunone, che
frappone ostacoli alla missione di Enea e che tuttavia alla fine è
persuasa da Giove stesso ad acconsentire all'affermazione di Enea nel Lazio;
nella Liberata invece ad avversare l'impresa dei crociati sono le forze
dell'Inferno, presentate fin dalla prima ottava come irriducibili, per quanto
destinate alla sconfitta.
Si potrebbero citare diversi
altri poeti classici dai quali il Tasso attinse elementi stilistici di vario
genere; senza voler entrare nei dettagli, basterà ricordare i lirici
(Catullo, l'Orazio dei Carmina) e più in particolare gli elegiaci
(Properzio, Tibullo, Ovidio).
Le fonti medioevali e umanistiche
- Già si è detto, a proposito del Rinaldo, quanto debba
Profonda, si potrebbe dire quasi
capillare, è la conoscenza che il Tasso dimostra di possedere del poema
dantesco, a giudicare dai frequenti riferimenti alla Commedia presenti
nella Liberata. Dante gli ispirò in particolare immagini e
allegorie inerenti al tema religioso. Si consideri, a titolo d'esempio, la
frequenza di echi e suggestioni dantesche nell'episodio della purificazione di
Rinaldo sul monte Oliveto (canto XVIII, ottave 11-l7). L'alba è
imminente (12,3-4: '.l'oriente rosseggiar si vede / ed anco
è il ciel d'alcuna stella adorno') quando il guerriero si
accinge all'ascensione del sacro monte, la quale rappresenta già di per
sé un cammino di purificazione: è evidente l'analogia con il viaggio
purgatoriale di Dante, che ha inizio all'alba (Purg. I,
115-l17), l'ora della speranza che risorge, ed è costituito
dall'ascensione di una montagna sacra, il Purgatorio appunto, con effetti di
purificazione e di redenzione. Rinaldo indossa una sopravesta di color
cinerino (11,6; 16,1-2: '.le sue spoglie / .parean
cenere al colore '), che è simbolo di penitenza e richiama il
colore della veste del dantesco angelo portinaio, che ha il compito di
amministrare il sacramento della penitenza al contrito pellegrino (Purg.
IX, 115-l17). Durante la salita alza gli occhi per contemplare quelle mattutine
/ bellezze incorrottibili e divine (12,7-8) e fra sé medita sulla
stoltezza degli uomini, che sembrano insensibili ad un così meraviglioso
spettacolo. Simile nella sostanza è il senso dell'apostrofe che Virgilio
rivolge all'umanità nel finale del canto XIV del Purgatorio (vv.
148-l51). Il crociato quindi, prima di rivolgere la sua preghiera a Dio, le
luci fissò nell'Oriente (14,4), similmente all'anima che, nella
valletta del Purgatorio, ficcando gli occhi verso l'oriente (Purg.
VIII, 11) intona l'inno Te lucis ante; poi implora la grazia di
Dio 'sì che 'l mio vecchio Adam purghi e rinovi ' (cfr.
Purg. IX, 10). Il rito di purificazione consiste nell'abluzione
con la rugiada tanto per Rinaldo (15,6-8) quanto per Dante (Purg.
I, 121-l27). I due espianti ne vengono rigenerati come da un secondo
battesimo, riacquistando un colore puro (16,1-4; cfr. Purg. I,
128-l29). Il candore delle spoglie rinnovate di Rinaldo ricorda quello della
veste dell'angelo nocchiero in Purg. II, 16-24 e la
similitudine del fiore che riacquista freschezza grazie alla rugiada del
mattino (16,5-8) richiama alla mente la celebre similitudine dei fioretti
in Inf. II, 127-l29. Inoltre, prima di avviarsi su per il
monte, Rinaldo penitente si confessa a Pietro l'Eremita (9, 3-4),
così come Dante, prima di iniziare il cammino di espiazione nel
Purgatorio vero e proprio, si prostra davanti all'angelo confessore e sale i
tre gradini che simboleggiano la perfetta penitenza (Purg. IX,
94-l11). Entrambi i personaggi, infine, si lasciano guidare nel loro cammino
dal sole, simbolo evidente della Grazia di Dio che illumina le vie del
peccatore verso la redenzione (14,4; 15,1-2; cfr. Purg. I,
106-l08 e XIII, 16-21).
Quanto al modello
petrarchesco, occorre tener presente che tutta la produzione lirica del
Cinquecento è caratterizzata da una vera e propria dipendenza tematica e
formale dal Canzoniere. Al Tasso non si pone l'esigenza di un'imitazione
a livello formale dato che
Un ultimo cenno, in merito al
reperimento delle fonti, va dedicato ai poeti dell'età umanistico -
rinascimentale. Notevole fu la suggestione che l'Ariosto, ultimo grande
esponente della poesia rinascimentale, esercitò sul Tasso sia attraverso
l'Orlando furioso sia con le Rime. Né vanno dimenticati, sempre
nell'ambito dei generi lirico ed epico, il Boiardo e il Poliziano,
nell'ambito storiografico il Machiavelli e il Guicciardini, oltre a diversi
altri autori di opere storiche, grazie alle quali il Tasso può risalire
ai grandi storici dell'età classica, in primis Livio e Tacito. La
lezione degli storici si traduce, nel testo della Liberata, soprattutto
in una sapiente alternanza di narrazioni e discorsi diretti, nonché in
un'efficace rappresentazione delle azioni belliche.
Circa le fonti dirette della
materia del poema (la prima crociata) si è già detto. Il Tasso
lesse l'Historia rerum in partibus transmarinis gestarum di Guglielmo di
Tiro (XII sec.) in una ristampa del 1549.
La Gerusalemma liberata è un poema epico composto da venti
canti in ottave di endecasillabi. Ne è argomento la fase finale della
prima crociata, che si conclude con la conquista di Gerusalemme. Dopo lo
scontro decisivo tra le forze cristiane e l'esercito egiziano accorso a dar man
forte agli assediati,
Non è il caso di
soffermarsi sulle numerose inesattezze storiche del racconto giacché, come si
è chiarito nei moduli precedenti, al poeta è concessa una
libertà che allo storico non è consentita: mentre quest'ultimo
è vincolato dalla fedeltà alle fonti, il primo può
spaziare nel campo della finzione letteraria, attenendosi unicamente al
criterio del verosimile.
La materia è
distribuita nei venti canti in modo disuguale (il numero medio di ottave per
canto è vicino a cento: il XV, che è il più breve, ne
conta 66; il XX, il più lungo, 144) e, come ha acutamente rilevato il
critico Ezio Raimondi, è strutturata nel suo svolgimento secondo il
modello della tragedia classicistica, che prevede una divisione in cinque atti.
Questa ripartizione, che costituisce un'ulteriore conferma dell'avvicinamento
dei generi epico e tragico nel secondo Cinquecento, non è esplicita -
Tasso non ne fa cenno - , ma si coglie con chiarezza e senza forzature ad
un'attenta lettura del poema. Si propone qui di seguito un compendio della
trama per atti e per canti (per un'esposizione più particolareggiata si
veda l'appendice).
Atto I (canti I-III)
Gerusalemme Dopo il proemio la
scena si apre sull'accampamento cristiano, dove Goffredo viene eletto
comandante supremo dell'esercito [I], quindi
si sposta all'interno della città di Gerusalemme. Qui si svolge il
drammatico episodio di Olindo e Sofronia: la donna, per evitare rappresaglie ai
danni della comunità cristiana, si è accusata del furto di
un'icona della Vergine, che il re Aladino aveva fatto sottrarre al tempio dei
cristiani e collocare in una moschea; viene pertanto condannata al rogo.
Olindo, segretamente innamorato di lei, si autoaccusa nel tentativo di
salvarla, ma invano. Interviene la vergine guerriera Clorinda, che ottiene dal
re la liberazione dei due giovani, promettendogli in cambio il proprio aiuto in
guerra [II]. L'esercito crociato giunge
finalmente sotto le mura di Gerusalemme e si scontra subito con il nemico;
rifulge il valore di Argante e di Clorinda tra i ani, di Tancredi e Rinaldo
tra i cristiani [III].
Atto II (canti IV-VIII) Cielo e inferno, amore e guerra La scena si apre sugli abissi infernali, dove le forze del male congiurano contro l'esercito cristiano. Il re di Damasco, il mago Idraote, invia nel campo crociato la bellissima nipote Armida, la quale, dichiarandosi perseguitata e bisognosa di protezione, getta lo scompiglio tra i guerrieri, molti dei quali sono sedotti dal suo fascino e trascurano per lei i propri doveri [IV]. In un diverbio Rinaldo, il più valoroso tra i cavalieri cristiani, uccide Gernando e si dà alla fuga [V]. Tancredi, che è innamorato di Clorinda e amato dalla principessa saracena Erminia, viene ferito in duello da Argante. Erminia vorrebbe raggiungerlo di nascosto nella sua tenda per curarlo, ma, scoperta e scambiata per Clorinda, è costretta ad una fuga precipitosa [VI], che la porta nel mondo idillico dei pastori, dove soggiorna per qualche tempo alla ricerca di un'impossibile serenità. Intanto la situazione volge al peggio per i cristiani: Tancredi con altri valorosi guerrieri finisce prigioniero di Armida in un castello incantato e i demoni scatenano le forze della natura contro il campo crociato [VII]; Sveno muore eroicamente ucciso da Solimano e Goffredo è accusato di aver fatto uccidere Rinaldo, di cui vengono mostrate le armi e le vesti sporche di sangue, e solo con l'aiuto del Cielo riesce a sedare una rivolta scoppiata all'interno dell'accampamento [VIII].
Atto III (canti IX-XII) La sofferenza Entrano direttamente in campo le forze infernali e quelle celesti: la furia Aletto con uno stuolo di diavoli guida Solimano in un attacco al campo crociato, ma intervengono vittoriosamente l'arcangelo Michele e cinquanta guerrieri sfuggiti alla prigionia di Armida grazie a Rinaldo [IX]. Solimano è salvato dal mago Ismeno, che lo rende invisibile e lo trasporta nella reggia di Aladino, mentre Goffredo si fa raccontare dai cinquanta cavalieri le loro vicissitudini e ha la conferma che Rinaldo è vivo [X]. Decide quindi di sferrare un attacco alle mura di Gerusalemme, servendosi di una torre mobile che consenta di scalare le fortificazioni, ma l'attacco viene respinto e i musulmani effettuano una sortita infliggendo danni e perdite al nemico [XI]. Nella notte Clorinda, dopo aver incendiato con Argante la torre mobile, rimane chiusa fuori e non riesce a rientrare nella città; viene così raggiunta da Tancredi, che non l'ha riconosciuta e la sfida a duello. Ferita a morte, prima di spirare la vergine guerriera chiede e ottiene dal suo uccisore il battesimo [XII].
Atto IV (canti XIII-XVII)
La riscossa Invano i cristiani
tentano di ricostruire la torre col legname della selva di Saron: il mago
Ismeno ha stregato la foresta, popolandola di fantasmi che impediscono a
chiunque di avvicinarsi. Contemporaneamente una terribile siccità si
abbatte sul campo cristiano, gettandolo nello sconforto. La provvidenziale
caduta della pioggia segna la fine delle sofferenze e l'inizio della riscossa [XIII]. Goffredo, illuminato da un sogno, decide di
perdonare Rinaldo e invia sulle sue tracce Carlo e Ubaldo [XIV]. Grazie alle informazioni del mago di
Ascalona i due guerrieri, dopo un viaggio irto di pericoli [XV], giungono nel meraviglioso giardino di Armida,
dove trovano Rinaldo accecato dalla passione e completamente soggiogato dalla
maga. L'eroe, richiamato ai suoi doveri, abbandona Armida, che tenta
disperatamente di trattenerlo dichiarandogli il suo amore [XVI], e ritorna al campo, dopo aver ottenuto una
nuova armatura dal mago di Ascalona. Nel frattempo le truppe egiziane sono
accorse in aiuto degli assediati. L'atto si chiude con la visione delle future
glorie della casata d'Este, di cui sarà capostipite Rinaldo [XVII].
Atto V (canti XVIII-XX)
Il trionfo Pentito e riaccolto
nell'esercito come un salvatore predestinato dal Cielo, Rinaldo si confessa a
Pietro l'Eremita, che lo invita a compiere un'ascensione solitaria sul monte
Oliveto per purificarsi delle sue colpe. Riacquistata
Argomento |
Manda a Tortosa Dio
l'Angelo, u' poi |
CANTO
PROTASI, INVOCAZIONE E DEDICA
Il Tasso apre il primo canto con la protasi, la premessa che ne espone l'argomento; seguono
l'invocazione alla Musa e la dedica ad Alfonso II d'Este,
<<magnanimo Alfonso>>, duca di
Ferrara.
Metro: ottave (ABABABCC). Così per tutto il poema. [ottave 1-5]
PROTASI (= premessa)
Canto l'arme pietose e 'l capitano |
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Canto le imprese devote (dei Crociati) e il capitano (Goffredo di Buglione) |
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che 'l gran sepolcro liberò di Cristo. |
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che liberò il Grande Sepolcro di Cristo. |
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Molto egli oprò co 'l senno e con la mano, |
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Egli si adoperò molto con saggezza e con valore, |
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molto soffrì nel glorïoso acquisto: |
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molte furono le sue sofferenze per la gloriosa conquista: |
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e in van l'Inferno vi s'oppose, e in vano |
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invano si opposero le potenze infernali, |
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s'armò d'Asia e di Libia il popol misto. |
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invano si armarono contro di lui i popoli d'Asia e d'Africa (Libia). |
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Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi |
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Il cielo gli concesse il suo favore, e sotto la santa bandiera |
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segni ridusse i suoi comni erranti. |
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radunò (ridusse) tutte le forze cristiane. |
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N O T E |
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INVOCAZIONE (alla Musa) |
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O Musa, tu che di caduchi allori |
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O Musa, tu che non cingi la tua |
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non circondi la fronte in Elicona, |
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fronte di allori effimeri (caduchi) sul monte Elicona, |
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ma su nel cielo infra i beati cori |
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ma su nel cielo fra i cori degli angeli |
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hai di stelle immortali aurea corona, |
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le stelle immortali formano intorno a te una corona d'oro, |
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tu spira al petto mio celesti ardori, |
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infondi nel mio petto l'entusiasmo religioso, |
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tu rischiara il mio canto, e tu perdona |
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rendi luminoso il mio canto, e sii indulgente |
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s'intesso fregi al ver, s'adorno in parte |
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se aggiungo episodi (fregi) inventati alla verità della storia, se in parte |
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d'altri diletti, che de' tuoi, le sectiune. |
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adorno il mio poema (sectiune) di episodi profani (altri diletti) oltre a quelli propri della poesia religiosa (de' tuoi). |
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Sai che là corre il mondo ove più versi |
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Sai che gli uomini (mondo) sono attratti (là corre) soprattutto |
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di sue dolcezze il lusinghier Parnaso, |
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da una poesia (Parnaso) lusinghierache elargisca (versi) le sue dolcezze, |
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e che 'l vero condito in molli versi, |
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e che la verità espressa (condito) in versi carezzevoli (molli) |
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i più schivi allettando ha persuaso. |
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ha persuaso i più sordi (schivi) allettandoli con immagini sensibili. |
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Così a l'egro fanciul porgiamo aspersi |
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Allo stesso modo al fanciullo ammalato (egro) porgiamo il bicchiere (vaso) con |
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di soavi licor gli orli del vaso: |
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gli orli intrisi (aspersi) di un succo dolce: |
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succhi amari ingannato intanto ei beve, |
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egli viene così ingannato, ma intanto beve i succhi amari (della medicina), |
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e da l'inganno suo vita riceve. |
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e grazie a questo inganno riceve vita (guarisce). |
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N O T E |
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DEDICA (ad Alfonso II d'Este) |
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Tu, magnanimo Alfonso, il qual ritogli |
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Tu, magnanimo Alfonso, che strappi |
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al furor di fortuna e guidi in porto |
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al furore della Fortuna (ch'è incostante) e guidi in un porto di pace (sotto la tua protezione) |
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me peregrino errante, e fra gli scogli |
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me che sono un pellegrino errante, |
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e fra l'onde agitato e quasi absorto, |
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tu, che sei preso e quasi sommerso dalle onde e dagli scogli (sono gli impegni di governo), |
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queste mie sectiune in lieta fronte accogli, |
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accogli con animo lieto questi miei scritti, |
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che quasi in vòto a te sacrate i' porto. |
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che io ti dedico quasi come offerta votiva. |
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Forse un dì fia che la presàga penna |
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Verrà (fia) forse un giorno in cui la mia penna, che presagisce già (la tua gloria futura), |
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osi scriver di te quel ch'or n'accenna. |
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osi scrivere di te quello che ora accenna soltanto. |
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E' ben ragion, s'egli avverrà ch'in pace |
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E' giusto, se mai avverrà che |
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il buon popolo di Cristo unqua si veda, |
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il buon popolo Cristiano sia finalmente in pace, |
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e con navi e cavalli al fero Trace |
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e (combattendo) per mare e per terra |
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cerchi ritòr la grande ingiusta preda, |
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cercherà di togliere ai feroci Turchi (Trace) la gloriosa e ingiusta preda, |
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ch'a te lo scettro in terra, o, se ti piace, |
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che ti sia concesso il governo dell'esercito, o, se preferisci, |
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l'alto imperio de' mari a te conceda. |
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l'alto comando della flotta. |
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Emulo di Goffredo, i nostri carmi |
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Imitatore di Goggredo (di Buglione), |
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intanto ascolta, e t'apparecchia a l'armi. |
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ascolta intanto i miei versi,e preparati a prendere le armi. |
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N O T E |
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Confronto Tasso - Ariosto
Differenze tra il proemio della Gerusalemme liberata e quello dell'Orlando furioso
Tasso Ariosto
Esposizione dell'argomento (1 ottava) Invocazione alla muse (ottave 2 e 3) Dedica (ottave 4 e 5) |
Argomento ( ottava 1 e vv.1-4 della 2) Invocazione (vv. 5-8 dell'ottava 2) Dedica (ottave 3 e 4) |
Allontanamento dal mondo cavalleresco e riavvicinamento al mondo epico con un impianto religioso (invocazione alla musa) |
Mondo cavalleresco e presenza del tema amoroso. |
Subordinazione dell'invenzione al vero esplicitamente dichiarata nei vv. 6-8 della seconda ottava |
Il nucleo portante qui è la pazzia di Orlando, mentre le invasioni dei Mori sono messe in secondo piano |
Atteggiamento sincero e affettuoso del poeta nei confronti del dedicatario |
Encomio freddo e distaccato (inserito dall'autore forse solamente perché dovuto) |
Non sono presenti allusioni a vicende personali di Tasso, c'è solo un'autorappresentazione del poeta in termini di "peregrino errante" |
Riferimento (nei vv.5 e 6 della seconda ottava) all'amore nei confronti di Alessandra Benucci |
Centralità del tema religioso. L'evoluzione delle azioni umane è decisa dal Divino. I riferimenti mitologici sono trasposti in termini cristiani. |
La tradizione mitologica classica è ripresa ed imitata |
Oltre l'intento encomiastico si può evidenziare quello allegorico (a favore della Controriforma) |
È presente esclusivamente il motivo elogiativo nei confronti del cardinale Ippolito d'Este |
Invocazione rivolta alla musa |
Invocazione indirizzata alla donna amata |
Linguaggio poetico, aulico. A volte però la lettura è pesante |
Stile nobile ma al limite della prosa. Ciò apporta scorrevolezza, gradevolezza ed equilibrio al proemio. |
Dalla corte-festa alla corte prigione: l'avventura esistenziale di Tasso nel tempo della Controriforma
Ariosto e Tasso: due modi completamente diversi di concepire la corte di Ferrara.
Il primo come corte-festa, il secondo come corte-prigione.
Innanzitutto Ariosto, che opera tutta la vita nell'ambiente della corte, rappresenta la tipica ura dell'intellettuale cortigiano del Rinascimento, ma al tempo stesso nei confronti di tale ambiente è mosso da sentimenti di malcelato rifiuto e sottile polemica.
Il rapporto col mondo cortigiano è quindi percorso da una segreta ambivalenza, che ha importanti riflessi sui temi toccati dalla sua opera, l'Orlando Furioso.
L'entrata al servizio del cardinale Ippolito porta Ariosto ad essere impegnato in incarichi di varia tipologia, che andavano dalle missioni politiche e diplomatiche a piccole incombenze pratiche.
Per l'indole di Ariosto, restio a vestire i panni del cortigiano asservito, il rapporto con il potere politico diventa ben presto conflittuale: il senso di disagio con cui sono vissute le incombenze commissionategli, aleggia tra le ine delle Satire nelle quali più volte ritorna una garbata protesta per gli incarichi che lo tengono lontano dagli studi.
Nella ura di Ariosto si riscontrano già le tensioni in cui si dibatte il poeta cortigiano, diviso fra sincera volontà di sostegno alla causa del proprio principe e desiderio di incondizionata libertà di azione e di pensiero.
Per queste ragioni Ariosto conservava un bisogno di autonomia dalla corte, ed era convinto che la sua autentica realizzazione umana dovesse avvenire al di fuori di essa, nella sfera del privato, della vita familiare.
In risposta alla sedentarietà di Ariosto, Tasso è stato invece un poeta ramingo, amletico,saturnino. Dall'armonia ariostesca si passa direttamente alla contraddizione tassiana.
Tasso, dal canto suo, incarna esemplarmente la ura del poeta cortigiano del Cinquecento. La sua vita si svolge interamente nell'ambito della corte, e ad essa è legata materialmente e intellettualmente: da un lato il poeta dipende totalmente dal favore dei principi per la sua esistenza materiale; dall'altro egli ritiene che solo nella corte possa essere consacrata la fama del grande poeta, e che solo in essa si trovi un pubblico capace di intendere ed apprezzare la sua poesia.
Di contro, Tasso diviene testimone di una stagione storica incerta e travagliata caratterizzata essenzialmente dalla crisi della società in cui vigeva la realtà ambigua delle corti, il conflitto tra turchi e cristiani e soprattutto la riforma protestante contro l'unità spirituale europea.
Tasso sia nella sua vita che nelle sue opere riversa due opposte tensioni: la ricerca di un'unità e il permanere di una multifomità interiore, paragonabile ad un mondo caotico e difforme.
Nella realtà rinascimentale Tasso si sente un vero e proprio straniero e vive una vita in perenne esilio, distaccato dal mondo cortigiano ma al contempo molto legato ad esso. Il precoce sradicamento dagli affetti familiari e un lungo peregrinare, portano Tasso nella città di Ferrara alla corte Estense (1565).
Qui Tasso vi giunge colmo di aspettative e desideroso di approdare ad una propria realizzazione letteraria. Ma la realtà è ben diversa da quella da lui immaginata.
Ed è nell'ambiente chiuso e ostile della corte che le tensioni di Tasso cominciano a farsi strada con estrema violenza.
Disperato nella ricerca del riconoscimento sociale e della gloria, in Tasso cresce sempre di più il desiderio di trovare nelle Istituzioni quel consenso e approvazione che non ha mai ottenuto nella vita.
L'ACCADEMIA
è la norma, la regola, la certezza di adeguare l'opera (
Come nell'opera, così nella coscienza, Tasso cerca certezze e va volontariamente di fronte all'autorità dell'Inquisitore, perché il suo tormento, il suo dubbio, siano sciolti, anche qui, da una sentenza, da un 'tribunale', dalla 'legge'. Eppure, questo bisogno di 'regole' e di 'autorità' esterne è il segno della mancanza di equilibrio e certezze interne. Quelle verità 'indiscutibili', imposte da fuori, ma che pure trovano in lui risonanza non superficiale, non coincidono poi con i moti più intimi della sua sensualità o del suo estro poetico o delle sue angosce: da cui la lacerazione tra certezze volute (e non possedute) e destino di intima e invincibile irrequietudine sentimentale e morale. Di qui la follia e la reclusione a Sant'Anna.
L'obiettivo di Tasso è dunque quello di trovare un luogo (ideale) degno della sua poesia e del suo messaggio. Inizialmente questo luogo fu la corte, ma dopo una generale decadenza dell'ambiente cortigiano, non fu più così. Tutto questo a causa della chiusura più rigida della restaurazione cattolica in quegli anni.
Siamo infatti in un periodo molto difficile della storia, quello della fine del Cinquecento, in cui l'Italia è teatro di radicali trasformazioni dovute all'imperversare della Riforma prestante, destinata a dividere l'Europa e a modificarne radicalmente l'assetto politico.
Tale riforma ha inizio con la protesta del monaco Martin Lutero che, con la sua azione, si proponeva di combattere la corruzione del clero e ben presto colpì gli stessi princìpi e dogmi della fede.
Ma le ragioni della Riforma non sono solo religiose. Ad essa si accomnano motivi di carattere politico e sociale, che esprimono anche l'esigenza di sottrarsi all'egemonia dei poteri assolutistici del tempo con le loro strutture economiche e di governo.
Per trovare una
soluzione e appianare i contrasti,
Dopo essersi
alleata con l'impero,
Essa fu
l'età in cui
Con
E in un clima di grande tensione e conflitto che il rapporto degli intellettuali col potere politico-religioso diventa un vero problema.
Ariosto, che vive alla corte degli estensi all'inizio del Cinquecento, conserva, come già detto in precedenza, un margine di indipendenza nei confronti del potere, riuscendo a salvaguardare, sia pure con difficoltà, una sua gelosa autonomia.
Un legame analogo verrà invece vissuto da Tasso ma in maniera più drammatica e conflittuale, con ripercussioni profonde sul piano della coscienza e della stessa attività letteraria.
Tasso, infatti, afflitto dall'ambiente circostante, da se stesso e non riuscendo a trovare una pace interiore, "cede" alla follia. Una follia che lo porta a una smania incontenibile all'interno della corte e che riversa contro il Duca che ne ordina la reclusione a Sant'Anna.
È proprio questa reclusione che fa sì che i romantici prendano molto a cuore Tasso.
Tasso è il poeta condannato dalla società che lo rifiuta e la storia ne fa di lui un paradigma insostituibile. Inoltre l'ospedale in cui Tasso trascorse ben sette anni della sua vita, diventa il luogo simbolico per eccellenza: la stanza di un sacrificio senza riscatto.
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