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Con il termine "globalizzazione", nell'odierna vita quotidiana, s'intende invece il processo per il quale si tende ad abbattere le frontiere e a costruire un unico mercato etario, integrando le economie e le culture di diversi Paesi e regioni della Terra. Queste due accezioni del termine hanno però un elemento in comune: l'idea di una sorta di "unificazione", che si traduce in una "visione generale" nel primo significato e nella presenza di un qualcosa proprio di uno specifico Paese replicata in tutto il mondo (o quasi) nel secondo; in questa relazione verrà preso in esame quest'ultimo.
La prima spinta verso la globalizzazione si può far risalire a quando l'uomo ebbe colonizzato tutte le terre abitabili del pianeta. Fu importante anche il superamento del feudalesimo medioevale con la conseguente ricerca di nuovi mercati. Ciò portò alla scoperta di nuove terre, che furono drasticamente adattate al sistema economico e culturale europeo. Anche la rivoluzione industriale rafforzò questo processo: da una parte c'erano i Paesi industrializzati, dall'altra la periferia, che forniva ai primi materie prime a basso costo ed era dipendente da essi. Nel XX secolo diversi fattori posero le basi al consolidamento della globalizzazione, per esempio i cambiamenti avvenuti a livello produttivo favoriti dalla diffusione dei mezzi di comunicazione e l'ingresso a livello economico mondiale degli USA. Con la ssa del socialismo, inoltre, l'economia di libero mercato ha ripreso ad alimentare il processo di globalizzazione a livello etario.
Si può probabilmente dire che la nazione trainante per quanto riguarda il fenomeno della globalizzazione attuale siano quindi senza dubbio gli USA. Si giunge a quest'ipotesi considerando che gli Stati Uniti sono stati una grande potenza, se non la più grande, sin dalla fine della II Guerra Mondiale (dalla quali sono usciti praticamente indenni) e sono stati sempre loro a guidare l'Europa rovinata dal conflitto nella ripresa economica, subito dopo. Inoltre, sono risultati vincitori anche della Guerra Fredda, sbaragliando l'altra grande potenza, l'URSS. Fra le cause del fenomeno della globalizzazione è inoltre probabilmente riscontrabile l'OMC, l'Organizzazione mondiale del Commercio (in inglese WTO, World Trade Organization). Quest'associazione, avente sede a Ginevra, è il frutto di otto anni di negoziati in Uruguay, dal 1986 al 1994 (anno della sua nascita), è di fatto erede dell'ex GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), nato nel 1948 e attivo fino al 1995, e si occupa del controllo delle regole del commercio mondiale, sostenendo una pressoché totale abolizione di ogni tipo di dazio o tariffa alle frontiere. L'OMC, all'inizio della sua storia come GATT, contava pochi paesi membri, mentre ora ne ha 136 tra cui la Cina, che ha siglato recentemente un accordo bilaterale con gli USA; la lunga lista di attesa dei paesi che vogliono entrarvi comprende tra gli altri Russia e Arabia Saudita. A capo dell'OMC dovrebbero esserci i ministri del commercio dei vari paesi, ma in realtà l'Italia e tutti gli stati d'Europa sono rappresentati al WTO dalla Commissione Europea di Romano Prodi, che siede per tutti noi al tavolo delle trattative. È da questo tavolo che sono stati emanati gli accordi sul commercio etario, ed è proprio contro questi accordi che è esplosa la protesta nel 1999, nella città americana di Seattle. Dal 30 Novembre al 3 Dicembre si è tenuta una riunione fra i ministri del commercio dei 135 Paesi membri dell'OMC, contemporaneamente ad una viva protesta di militanti delle più svariate organizzazioni nelle strade, che erano contro il "liberismo selvaggio" prodotto dalla globalizzazione.
L'attuale livello di globalizzazione è dovuto allo straordinario sviluppo di trasporti e telecomunicazioni che l'uomo è riuscito ad ottenere con la tecnologia ed alla liberalizzazio- ne dei commerci e degli investimenti finanziari.
Il trasporto merci è stato rivoluzionato dai container, che permettono di trasferire da un vettore all'altro la merce risparmiando così tempo e costi. Il trasporto delle persone è stato invece rivoluzionato dall'aereo, con cui si può raggiungere qualsiasi località in non più di un giorno. Le telecomunicazioni consentono di trasferire immagini, news, ecc. in tempi sempre più rapidi grazie ai satelliti ed alla telefonia mobile. Una rivoluzione è anche lo sviluppo dell'elettronica e dell'informatica. La telematica, il sistema che combina le potenzialità delle telecomunicazioni con quelle dell'informatica, ha portato alla riduzione degli spostamenti delle persone ed al "telelavoro", cioè "lavoro a distanza", che ha favorito il decentramento degli impianti di produzione.
La diffusione di questi sistemi di comunicazione ha portato alla diffusione delle multinazionali che hanno la casa madre in un Paese sviluppato e filiali in tutto il mondo. La loro azione è stata accomnata dalla liberalizzazione dei commerci e dei flussi finanziari. La riduzione dei vincoli legislativi e delle barriere doganali e fiscali permette di spostare in tempo reale enormi volumi di denaro con rapidi ordini impartiti con mezzi telematici.
La globalizzazione sta portando enormi cambiamenti nelle varie Nazioni e nell'assetto geopolitico internazionale, l'esistenza degli individui è sempre più strettamente correlata alle istituzioni globali. Essa sta inoltre portando alla diminuzione della povertà, all'aumento delle produzioni e all'innalzamento del livello di vita. Tale crescita economica contribuirà però, a causa della distribuzione non equa, ad aumentare il divario tra paesi ricchi e paesi poveri. Questo principio è chiamato TINA (There Is Not Alternative) ed è considerato un fatto immutabile. La ridistribuzione del reddito prodotto va ai detentori della ricchezza, il Nord del Mondo (20% della popolazione), mentre il restante 80% ne è escluso. L'esclusione di intere fasce d'individui è considerata inevitabile. Le politiche di diversi Paesi, per ridurre le spese di bilancio, sono costrette a tagliare gli investimenti interni per i servizi sociali. I paesi poveri non possono così competere con le produzioni di quelli industrializzati per lo scarso aiuto delle politiche governative, la carenza di capitali, infrastrutture e conoscenze tecniche e per l'indebitamento estero. Col libero mercato, inoltre, sempre più imprese pubbliche vengono privatizzate, portando alla diminuzione dell'intervento dello Stato e, ancora una volta, al calo dell'occupazione.
La globalizzazione, volendo imporre un unico modello di vita, produce un impoverimento culturale. Infatti gradualmente si annulleranno le differenze tra i vari popoli e si verrà condizionati sempre più dai gusti e dalle mode diffuse dai paesi dominanti attraverso i mass-media.
Al giorno d'oggi si sente parlare spesso di globalizzazione perché di fronte a quest'argomento, che sta acquisendo importanza ed interesse, si sono sviluppate due "correnti di pensiero", o più semplicemente due "pareri" contrapposti: quello di chi è favorevole e quello di chi è contrario.
Questo tema è ormai da alcuni anni al centro del dibattito della cultura contemporanea e filosofi, economisti, politologi e sociologi hanno cercato di dare una descrizione del fenomeno in questione, cercando di coglierne le principali dinamiche evolutive. Lo scopo di questi "sforzi interpretativi" è stato quello di far luce sui possibili effetti della globalizzazio- ne sulla società.
È un dato di fatto che la globalizzazione abbia cambiato radicalmente la struttura della società. Il dibattito nasce però quando si passa alla questione immediatamente successiva, cioè la direzione di questo cambiamento. I favorevoli parlano così di progressiva emancipazione, mentre chi è contrario, i cosiddetti "no global", suppone che si debba invece mettere in conto un possibile e forse inevitabile scivolamento verso una nuova forma di schiavitù, che nasconde dietro la promessa del benessere una potente e determinata volontà di dominio. Il dubbio su quello a cui porterà questo fenomeno è quindi drastico, progresso o catastrofe.
Uno dei rischi portati dalla globalizzazione è che essa, aumentando l'apertura internazionale (la propensione ad importare) delle varie economie, può accrescerne però l'esposizione agli "shocks" esterni, come ad esempio variazioni della domanda all'estero. Visto che le economie nazionali sono per lo più interdipendenti, ogni riduzione dell'attività economica in una di esse si trasmette più facilmente alle altre economie, proprio attraverso i legami internazionali che le uniscono: così, per esempio, una caduta della domanda globale in Germania ha riflessi negativi tanto più gravi in Italia quanto maggiore è la quota della produzione italiana esportata in Germania. La libera circolazione di ingenti masse di capitali facilita ed amplifica, inoltre, la diffusione delle crisi valutarie e finanziarie; infatti, tutti i paesi coinvolti nelle recenti crisi valutarie avevano in precedenza liberalizzato i movimenti delle crisi bancarie verificatesi negli ultimi anni. Nel '97, ad esempio, si è verificata una grave crisi finanziaria e valutaria nel Sud-Est asiatico che ha portato al crollo delle borse valori e alla svalutazione delle monete nazionali. Per prevenire situazioni come questa sarebbe utile un governo mondiale dell'economia, così da tutelare l'equilibrio economico nazionale. La crisi asiatica è stata infatti globale. Ciò è dimostrato dal fatto, per esempio, che i grandi creditori del continente asiatico sono le banche europee seguite da quelle giapponesi e nordamericane; cresce quindi la convinzione che per proteggersi dalle recessioni economiche si debbano rafforzare le regole tra le diverse nazioni.
In conclusione, la globalizzazione riduce, anzitutto, la capacità dello stato nazionale di correggere le inefficienze provocate dal funzionamento del mercato (e perciò dette fallimenti del mercato) a livello di singole economie. Inoltre, ne produce ulteriori a livello internazionale, principalmente sul piano dell'instabilità finanziaria. A fronte di tali fallimenti del mercato a livello internazionale si manifesta però un deficit di istituzioni pubbliche internazionali capaci di correggerli. Ridisegnare le istituzioni pubbliche internazionali in modo da poter far fronte ai problemi posti dalla globalizzazione costituisce perciò l'impegno più rilevante per la politica economica del nuovo millennio.
Potremo parlare di autentico sviluppo globale qualora si riuscirà a realizzare un'effettiva promozione di ogni forma di libertà politica e sociale. L'economista indiano Sen, in un suo libro, scrive: «Quello di cui non abbiamo bisogno è la compiacenza globale verso il mondo di opulenza e assoluta povertà in cui viviamo. Possiamo - e dobbiamo - fare di meglio».
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