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La guerra santa di Oriana
di Isabella Marchiolo
'La rabbia e l'orgoglio', l'articolo-fiume di Oriana Fallaci
sulla guerra contro il terrorismo pubblicato dal 'Corriere della
sera' lo scorso 29 settembre, è diventato un libro. Con la stessa
rabbia, lo stesso orgoglio e tanta amarezza, la scrittrice fiorentina rompe per
la seconda volta il silenzio rivelando i metri di ine non lette sul
'Corriere' e lasciate su quella scrivania di Manhattan dove l'autrice
ha dilaniato il corpo e l'anima per dare alla luce la sua catilinaria contro il
mondo islamico, l'ipocrisia e la falsa democrazia europee e soprattutto i
peccati di un'Italia corrotta, volgare e pavida. E se quella del
'Corriere' era stata un'invettiva cruda, impietosa e rigorosa, le 162
ine del libro non cambiano di una virgola la posizione della giornalista,
che sente il dovere di spiegare il prima e il dopo dell'articolo in una
appassionata prefazione.
In questo accorato prologo, una sorta di editoriale nell'editoriale, ci sono il
garbato 'assedio' di Ferruccio De Bortoli, direttore del
'Corriere', la settimana di scrittura inarrestabile (mai interrotta,
neppure per mangiare e per dormire) per preparare l'articolo, e la fiera
indifferenza per le critiche del testo, tra cui le autorevoli firme di Umberto
Eco e Dacia Maraini, tutti detrattori che rimangono innominati nel libro della
Fallaci, aristocraticamente salda nella propria trincea. Ma non solo. In questa
lunghissima confessione, la scrittrice parla anche del suo esilio americano,
vissuto con la silenziosa comnia dei fantasmi di Giuseppe Garibaldi,
Federico Confalonieri e Piero Maroncelli, illustri comni di fuga, e della
sua italianità vissuta di soppiatto nel segreto del Chiantishire, per scongiurare
l'incontro con i personaggi responsabili dell'eremitaggio del padre.
La Fallaci, guidata dall'agghiacciante visione dell'eccidio delle Torri Gemelle
è un fiume in piena di dolore e furia e nella sua invettiva non
risparmia nessuno. Gragnuola di colpi su comunisti ed ex comunisti, sul
Vaticano, sull'Italia affascinata dai miti hollywoodiani e rapida a sogghignare
'gli sta bene agli americani', su Berlusconi, leader per caso al
timone di un partito con il nome rubato ai cori da stadio, sui giovani che
confondono Mussolini con Rossellini e parlano masticando errori di grammatica,
su Bossi, sui neofascisti e sulle bandiere tricolori sempre più in via
d'estinzione sulle nostre piazze e finestre. Ma soprattutto la scrittrice
fiorentina condanna il mondo islamico. Di più, il mondo arabo, e ancora
di più, il mondo disgraziato degli immigrati. Che siano extracomunitari
o europei, alla Fallaci importa poco. Quello che importa è che 'non
passi lo straniero', accusato sempre e comunque di essere irrispettoso del
paese ospite, maleducato, arrogante e, se non ladro, violento e assassino. La
scrittrice si paragona a Salvemini nell'accorato monito lanciato nel '33
dall'Irving Plaza contro la minaccia nazista, e grida il suo allarme contro il
progetto criminale di Bin Laden e degli altri duci islamici del passato e del
futuro. 'Loro', i li di Allah, nessuno escluso, marciano decisi
verso l'Occidente, in guerra contro gli infedeli, e, per
Ed è questo orgoglio dell'arte e della cultura, che spazza via ogni
segno di umanità, che le si contesta. Le si contesta la rabbia cieca che
le fa dimenticare i viaggi della speranza sui gommoni verso un'Italia che finge
di volere l'integrazione, per sollevare, nel libro, il solo sospetto della
fonte del denaro usato dagli immigrati per arsi la traversata. Nella sua
impeccabile arringa contro la guerra santa islamica,
Eppure, la stessa scrittrice dichiara bellicosamente il suo distacco
dall'Italia delle cicale (a proposito, perché, signora Fallaci, quella spietata
definizione degli omosessuali?), un'Italia da cui, giustamente e con la forza
della libertà e, ancora, della rabbia e dell'orgoglio, ha deciso di
fuggire (e dovrebbe, forse, riflettere, sul fatto che da tre quarti di questa
Italia sono piovuti consensi sull'articolo del 'Corriere'). Allora,
con il medesimo amore della giustizia, si riconosca a tutti, individui,
famiglie prolifiche e comunità, la libertà di fare altrettanto,
ed abbandonare una patria dove si uccide, si muore di fame, dove non si
può esprimere il proprio pensiero. E si riconosca l'opportunità
di essere definita tale anche ad una cultura giovane. Oppure, ci si prenda la
responsabilità di mettersi nel 'mucchio', italiana e quindi
cicala, volgare, ignorante, ipocrita e compiacente, come arabo e dunque
invasato, incivile e incolto. Cosa che non vorremmo mai per uno spirito libero
e imbelle come quello della scrittrice fiorentina. Non risponda alla guerra
santa degli esaltati Bin Laden con un'altra guerra santa, signora Fallaci. E ci
regali quel bambino tanto amato, il suo libro ancora in gestazione, senza
veleni e senza odi, innocente e puro come tutti i neonati.
Titolo: La rabbia e l'orgoglio |
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Recensione
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Oriana Fallaci |
'Vi sono
momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un
obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale
non ci si può sottrarre'.
E uno di questi momenti è stato l'11 settembre 2001, con l'attentato
alle Torri Gemelle di New York. Tale data ha segnato la storia del mondo,
accelerando drammaticamente il confronto e lo scontro tra l'Occidente e il
mondo islamico.
Oriana Fallaci era a Manhattan quell'11 settembre; di fronte ad un evento
così tragico ha rotto un silenzio più che decennale, per gridare
la propria rabbia nei confronti dei terroristi e della cultura di cui sono
portatori.
Il discorso della Fallaci,
pubblicato sul 'Corriere della sera' in forma ridotta e ora
disponibile in volume in forma integrale, e con una ricca introduzione, non
concede nulla alla ragionevolezza e all'equilibrio: è un urlo di
disprezzo nei confronti dell'Islam, un concentrato puro di sfida alla
diplomazia, una difesa accorata e senza riserve dell'Occidente e dei suoi
valori.
La Fallaci scrive
dell'America parlando in controluce anche dell'Italia: dello stile e dei contenuti
della sua politica; della qualità dei suoi valori prevalenti; dello
spessore del suo tessuto morale.
Come accade ai discorsi infuocati, il testo della Fallaci è stato molto
amato e molto criticato: impossibile non schierarsi con lei o contro di lei.
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Scrivere di
getto, e sotto l'impeto di un'emozione, suscitata da fatti o da motivazioni
diverse, può offuscare anche le coscienze più critiche e
razionali. Pochi scrittori hanno avuto il dono d'evitare questa sorta di
'offuscamento': si pensi a Zola con il suo 'J'accuse!' al
tempo dell'affare Dreyfuss. Si può non essere d'accordo sul loro
contenuto, sui toni, con cui gli argomenti sono scritti, trattati, e
riportati, e, pur non condividendone i contenuti, se apportano materiale,
conoscenze, riflessioni, e tutte le cose che servono alla reciproca
comprensione, debbono essere accettati, discussi e confrontati. Tutto questo
non esiste nel libro della Fallaci. Si può essere d'accordo, quando
cita il 'frì-frì' di certe cicale che amano esibirsi,
che il fascismo è un comportamento e non un'ideologia (almeno in
parte), che quel dirigente comunista che le diede una risposta idiota,
è, lui stesso, un idiota (op. cit. . 143-l44), che una certa Italia
menefreghista accampi sempre Diritti ma glissi sui Doveri, che Storia e
Grammatica siano delle sconosciute anche a chi dovrebbe promuoverle, ma
sarebbe stato meglio se avesse intitolato il libro 'La rabbia, l'orgoglio
e la comprensione'. Scrivere: 'ecco, io, adesso, mi sono sentita
così, questo è quello che sento, e che, probabilmente,
sentirò in futuro. Adesso cerchiamo di capire meglio perché è
successo, in modo che non debba più ripetersi'. Sarebbe stata di
un'onestà intellettuale unica. Mi viene in mente il giornalista Walter
Cronkite, che, in pieno intervento americano in Vietnam, alla TV, dopo aver
letto i servizi, mise da parte gli appunti, e fissando la telecamera si
rivolse agli americani dicendo: 'adesso parliamo del nostro
coinvolgimento nella guerra del Vietnam'. Nel libro della Fallaci ci
sono ben 40 ine d'introduzione, dedicate ai lettori, con dovizia di cenni
storici sui contributi che New York e l'America, hanno dato agli italiani e
all'Europa, che ha il sapore, amaro, di voler offrire un supporto storico a
quello che ha scritto. Non c'è argomento, sul peana all'America di
quest'introduzione che, sempre dal punto di vista storico, non possa essere,
confutato, messo a tacere o, in ogni modo, contraddetto, con argomentazioni,
altrettanto valide. Le citazioni sugli esuli del Risorgimento cui l'America
offrì ospitalità dal 1833. Erano, anche, gli anni in cui
l'esercito americano deportava i Cherokee in Oklahoma. Ci sarebbero da dire
altre cose, molte, purtroppo: sul 'Manifest Destiny', bibbia
ideologica che giustificò l'occupazione delle terre ad Ovest degli
Appalachi, ed esaltava la civiltà bianca alla quale era assegnato il
'destino' di colonizzare nuovi territori, sui furti, sulle
atrocità perpetrate a danno di coloro che erano i primi nativi
americani e cui fu concessa la cittadinanza solo nel 1924. Un peana che
l'America, benché, oggi, ferita, non merita. Fuori tema, quindi (. 74) la
citazione della Dichiarazione d'Indipendenza: 'noi riteniamo evidenti
queste verità'. Evidenti per chi? Il primo negro ad entrare in
un'università americana nel sud, dovette essere scortato dalla Guardia
Nazionale. Erano i primi anni '60 dello scorso secolo non il 1774. Il livore,
la rabbia con cui si scaglia contro il mondo mussulmano, dimostrandone una
conoscenza superficiale, non hanno giustificazione né storica, né
antropologica, né culturale, e, in certi tratti, ricordano le chiacchiere, i
luoghi comuni contro tutto quello che potrebbe minacciare la nostra
tranquilla, paciosa, noiosa realtà provinciale. L'orgoglio diventa
presunzione, arroganza ed etnocentrismo. Dal libro n'esce che, in Europa, si
chiudono occhi sulla repressione d'ogni forma di dissenso nei paesi
mussulmani, e che sia in atto una sorta di colonizzazione religiosa. Si deve,
ancora, ricordare, che Osama Bin Laden ha obiettivi laici, e non religiosi né
culturali? Di queste considerazioni, ovvie, non c'è traccia nel libro
della Fallaci, anche se ne delinea i fatti, senza, peraltro, collegarli.
'che senso ha rispettare chi non rispetta noi', afferma (.
80), eppure, da una vera laica, qual è |
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LE RECENSIONI - SCHEDA COMPLETA |
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Titolo: |
La rabbia e l'orgoglio |
Autore: |
Oriana Fallaci |
Genere: |
Saggistica |
Editore: |
Rizzoli |
Prezzo: |
9,81; p. 168 |
Con ' |
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La rabbia e
l’orgoglio si pone come un atto di accusa del nostro tempo, un libro
polemico, di forti moniti al mondo intero, quasi profetico e consapevole
della difficoltà di affidare il proprio messaggio. Un libro che
pretende di scorgere la verità e, più difficilmente, osa
divulgarla. |
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