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La letteratura tra le due guerre: le riviste
Premessa
il primo dopoguerra è caratterizzato da un clima di profonda delusione per la "vittoria mutilata" e il disagio morale, si squilibri economici e di rilevanti conflitti sociali. La complessità della problematica politico-sociale di quegli anni trova un riscontro nella scissione del partito socialista nel gennaio 1901 (congresso di Livorno): si stacca un gruppo di delegati, tra cui Gramsci, che fondano il P.C.I.
Nello stesso anno vanno alla camera una trentina di deputati fascisti, tra cui Mussolini. La crisi dello stato liberale coincide con l'ascesa del fascismo (marcia su Roma, 28 ottobre 1922) segnata nelle sue varie tappe dalle violenze squadristiche e dalla sistematica eversione delle libertà statuarie. Col 1925 si costituisce lo stato totalitario.
La situazione storica pone gli intellettuali di fronte alle proprie responsabilità:
v In gran parte la cultura aderì più o meno in buona fede all'avventura fascista
v Al polo opposto si posero quegli intellettuali che dichiararono il proprio impegno politico e civile, in una coerente visione dei rapporti tra cultura e vita, cultura e storia, cultura e politica. Gramsci e Gioberti negli anni immediatamente precedenti quelli l'avvento del fascismo operarono per diffondere la consapevolezza della minaccia costituita dalle forze reazionarie; non esitarono a dichiarare il loro rifiuto al fascismo anche dopo l'avvento del regime, fino a are di persona il prezzo della loro coerenza politica.
v Ci fu anche l' "assenza" di quei gruppi di intellettuali che, asserendo la priorità dell'arte e della poesia, si chiudevano nel ,puro esercizio letterario, in aristocratico isolamento. Ora, l'atteggiamento di assenza è bifronte: può concentrarsi come egoistica volontà di fuga dai gravi problemi contemporanei (e fu in parte l'atteggiamento dei "rondisti" e degli autori di "realismo magico"); può essere invece l'atteggiamento di chi, in clima di dittatura, fa dell'esercizio letterario scuola di serietà morale, manifestando la consapevolezza del dramma di un'epoca attraverso l'interiorizzazione dei problemi e la meditazione sulla condizione di pena dell'uomo. I temi dell'alienazione, della solitudine, dello stato di paralisi che blocca l'uomo contemporaneo nelle sue scelte, sono alla radice di certa poesia ermetica, come della narrativa di alcuni "solariani". C'è lo slittamento dunque della meditazione storica a quella esistenziale e metafisica.
L'impegno
tre riviste testimoniarono in quegli anni la volontà di incidere sulla vita della nazione: ORDINE NUOVO, RIVOLUZIONE LIBERALE, IL BARETTI.
L' 'assenza' come ambiguità: "La Ronda"
La rivista romana "La Ronda" (1919-l923) diretta da Vincenzo Cardarelli polemizza con tutte le recenti esperienze letterarie: con l'estetismo dannunziano come con i conati futuristi, col crepuscolarismo come con la 'poesia pura' di Ungaretti. Soprattutto i Rondisti rifiutano l'impressionismo e l'immediatezza cui oppongono il 'mestiere di scrivere', lo stile perseguito con strenua fatica e propugnano come sostanza dell'arte quella sintesi vigorosa di pensiero e sentimento nella quale trovano espressa la spiritualità dell'uomo moderno.
Per questo Cardarelli prende a modello il Leopardi delle "Operette morali" e dello "Zibaldone" - opere nelle quali tale sintesi si vede esemplarmente attuata attraverso uno stileche è una lezione di 'eleganza', un invito a <<..reagire alla pigrizia dell'uso..>> a capire <<..la tradizione e la modernità ad un tempo..>>.
Alla luce di una concezione per cui l'arte è la somma di tutti i valori umani, i Rondisti rinvengono nella sapienza formale di classici -specchio di un interiore equilibrio- il loro modello ideale di stile, da adeguare però alle esigenze della modernità. Oltre ai cinquecentisti, tengono presenti i grandi dell'800, con esclusione di Pascoli e Carducci; sono aperti però anche alle contemporanee esperienze italiane e straniere, benché la loro differenza per il genere 'romanzo' li porti a rifiutare narratori della statura di Svevo, cui rimproverano anche certe durezze stilistiche.
Gli ideali rondeschi si attuarono nella 'prosa d'arte', che trovava la sua esperienza caratteristica nel "saggio", nel "bozzetto", nell' "elzeviro", nella ina levigata e preziosa, gustata sillaba per sillaba. Proprio per questo gusto della parola rigorosa ed esatta, per l'assunzione dell'arte a supremo ed inconfutabile valore, i Rondisti esercitarono la loro suggestione su "Solaria", vale a dire su un ramo fondamentale della narrativa contemporanea; per contro però, l'esperienza rondista riportava a quella antica frattura tra poeta e popolo che Gramsci aveva lucidamente analizzato e deprecato e che, colmatasi in parte nel periodo del nostro Risorgimento. Tornava ora d insidiare la cultura italiana, in un momento tanto torbido e gravido di tragiche conseguenze.
Inoltre il conservatorismo dei rondisti, la loro sdegnosa "assenza" da ogni interesse pratico e attuale, la loro condanna agli intellettuali che << . si compromettono da sventati con grandi parole e scalpori, tra cose sulle quali non hanno parte né forza . >> possono giustificare il sospetto di chi accusa il movimento di ambiguità ideologica.
Tra disimpegno e opposizione: "Solaria" (1926-l936)
Cessata la pubblicazione della "Ronda", vide la luce a Firenze un'altra rivista, feconda di importantissimi sviluppi: "Solaria". Fu fondata nel '26 da Alberto Carocci, affiancato poi da Alessandro Bonsanti: quest'ultimo nel 37 avrà una nuova rivista, "Letteratura". Solaria fu la 'punta avanzata' della nostra cultura letteraria del '900: tra i suoi collaboratori si annoverano poeti come Montale, Ungaretti, Saba, Quasimodo; narratori come Pavese, Vittorini, Gadda; critici come Debenedetti, Bo e Macrì. Queste le caratteristiche e le implicazioni politiche e letterarie della cultura solariana:
Combatte vittoriosamente la sua battaglia per l'accettazione della poesia "ermetica"
Attraverso la mediazione di Proust, Kafka, Joyce e Th. Mann propone una narrativa della 'memoria', incentrata su evocazioni intensamente liriche e su tecniche (tempo della memoria e monologo interiore) fino ad allora sviluppate in Italia solo da Svevo e Pirandello. Non a caso la fortuna di Svevo comincia proprio con il saggio di Montale su Solaria.
Ad opera di Pavese e Vittorini mette in luce la letteratura americana, destinata anch'essa ad influenzare sotto molti aspetti la nostra narrativa. Pavese e Vittorini, come narratori, utilizzarono degli americani il fittissimo dialogato, la larga inserzione di locuzioni gergali, il 'taglio' delle descrizioni paesaggistiche; in Pavese lo sfumato lirismo delle evocazioni memoriali si salda con la crudezza naturalistica, tipicamente americana, di certi ambienti paesani e di periferia.
Soprattutto, nell'america di Faulkner, di Saroyan, di Hemingway i solariani rinvenivano il mito di un'umanità violenta, eroica e primitiva, non ancora contaminata dal compromesso, dalla mediocrità e dal conformismo. È proposto, attraverso òle traduzioni degli autori americani, il personaggio del ribelle, del fuorilegge; e non a caso l'antologia 'americana' di Vittorini fu sequestrata nel 1942 dalla censura fascista. In effetti << . gli americani diedero a Pavese, come del reato di Vittorini, uno strumento di liberazione morale e ideologica..>> (Contini).
Fra adesione ed evasione: il "'900" e il "realismo magico"
La rivista "'900" fondata da Massimo Bontempelli, ebbe solo tre anni di vita, e tuttavia presenta alcuni aspetti interessanti:
L'adesione aperta al fascismo: "Il Selvaggio" (1924-l943)
Il "Selvaggio", organo del movimento di "Strapaese", fu fondato da Mino Maccari, pittore, caricaturista, umorista. Suo importante collaboratore fu Curzio Malaparte. Al dichiarato europeismo delle altre riviste del '900, il "Selvaggio" opponeva la difesa del patrimonio culturale e civile dell'Italia, la valorizzazione del << . carattere rurale e paesano della gente italiana . >>, la rottura del conformismo borghese, secondo la dominante mitologia del regime. È doveroso rilevare però il tono particolare della rivista, tono satiricamente nostalgico ( nostalgia, si direbbe, di una passata integrità di costumi) ,spesso umoristico nella rappresentazione del quadrismo fascista e, con l'andare degli anni, sempre più tendente alla fronda.
Maccari fu infatti un sostenitore, in buona fede, del fascismo, e non esitò, a suo tempo e a suo rischio, a denunciarne il malcostume e gli errori.