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La vita politica di Dante
Negli anni che seguirono, Dante partecipò attivamente alla turbolenta vita politica di Firenze. Documenti che risalgono al 1295 indicano che in quell'anno egli ebbe vari incarichi governativi locali: nel 1300, dopo essere stato in missione diplomatica a San Gimignano, fu nominato priore di Firenze, carica che ricoprì per due mesi.
La rivalità tra le due fazioni dei guelfi di Firenze, i cosiddetti 'neri', che consideravano il papa come un alleato contro il potere imperiale, e i 'bianchi', che intendevano rimanere indipendenti sia dal papa sia dall'imperatore, diventò particolarmente intensa proprio durante il priorato di Dante; egli approvò la decisione di esiliare i capi di entrambe le fazioni, fra i quali l'amico Guido Cavalcanti, allo scopo di mantenere la pace nella città. Tuttavia, appoggiati da papa Bonifacio VIII, nel 1301 i capi dei neri poterono rientrare a Firenze e impadronirsi del potere mentre Dante si trovava a Roma, a capo di una delegazione del comune presso il pontefice. Nel gennaio del 1302 Dante fu accusato di baratteria e concussione e, processato in contumacia, dapprima condannato a are un'ingente ammenda e bandito da Firenze, quindi, non essendosi presentato per scontare la pena, venne condannato a morte e alla confisca dei beni familiari.
Dante non fece mai più ritorno in patria: trascorse il suo esilio in parte a Verona e in parte in altre città italiane (Treviso, Padova, Venezia, Lucca, Ravenna), e forse si spinse fino a Parigi tra il 1307 e il 1309. In quegli anni i suoi ideali politici subirono un profondo cambiamento: si avvicinò alle posizioni dei ghibellini, auspicando l'unificazione di tutta l'Europa sotto il regno di un imperatore illuminato.
Dante
Alighieri nacque nel maggio del 1265 a Firenze da Alighiero, di famiglia guelfa
nobile ma non ricca. Presso scuole e maestri, a Firenze e Bologna, apprese
l'arte retorica e da se stesso l'arte di 'dir parole per rima', cui
si dedicò con ingegno e passione fin dai primi anni della giovinezza.
Dante fu amico di molti poeti famosi e soprattutto di Guido Cavalcanti, Lapo
Gianni e Cino da Pistoia, coi quali ebbe (secondo l'uso del tempo) una
corrispondenza in versi. Si innamorò di Beatrice a 18 anni; Beatrice era
lia di Folco Portinari e andò poi sposa a
Simone dei Bardi, che per lei scrisse numerose rime alla maniera stilnovistica. Dopo la morte di lei, avvenuta nel 1290, si
dedicò con maggiore impegno ai suoi studi, che riguardavano i classici
antichi e le opere letterarie moderne italiane, francesi e provenzali, la
teologia, la politica, la filosofia, la retorica, l'arte, la lingua. Per
partecipare alla vita politica di Firenze si iscrisse all'arte dei medici e
speziali. A quel tempo i guelfi di Firenze, dopo aver cacciato i ghibellini
dalla città, s'erano divisi in due fazioni: i Bianchi, capeggiati dalla
famiglia dei Cerchi, ed i Neri, guidati dai Donati. Dante appoggiò i
primi, più gelosi dell'indipendenza della propria città, pur
avendo sposato una Donati, Gemma, dalla quale ebbe tre li, Iacopo, Pietro ed
Antonia, che poi divenne suora ed assunse il nome di
Beatrice. Tra il 1295 e il 1296 fece parte del Consiglio speciale del Capitano
del Popolo e del Consiglio dei Cento. Dal 15 giugno al 15 agosto del 1300 fu
uno dei Priori. L'anno successivo i Neri, con l'aiuto di Carlo di Valois, inviato dal Papa Bonifacio
VIII, si impadronirono del potere, mettendo al bando i Bianchi. Dante, che si
era recato dal papa per convincerlo a desistere dai suoi propositi di
interferire nella politica del comune fiorentino, non poté far ritorno in
città, perché condannato per due anni all'esilio sotto la falsa accusa
di baratteria. Da allora visse in esilio, non avendo mai accettato l'invito dei
Fiorentini a rientrare in città a patto di riconoscersi colpevole dei
reati di cui era stato ingiustamente accusato. Fu ospite di Bartolomeo della
Scala a Verona, dei marchesi Malaspina in Lunigiana, ancora a Verona di Cangrande
della Scala ed infine di Guido Novello da Polenta a Ravenna, dove morì
nel settembre del 1321.
Di temperamento fiero e risoluto, Dante non mostrò mai debolezze e
tentennamenti. Convinto che la giustizia superiore di Dio dovesse compiersi
anche nella vita terrestre, pose tutto il suo impegno di studioso e di
scrittore al servizio della redenzione dell'umanità, che gli sembrava ai
suoi tempi aver toccato il fondo del male.
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