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Leopardi, Giacomo
INTRODUZIONE Leopardi, Giacomo (Recanati 1798 - Napoli 1837), poeta italiano, tra i maggiori dell'Ottocento.
In seguito a una sorta di conversione letteraria, abbandonò gli studi filologici e si accostò alla poesia, attraverso la lettura degli autori italiani del Trecento, del Cinquecento e del Seicento, e dei suoi contemporanei italiani e francesi. Anche la sua visione del mondo subì una svolta radicale: Leopardi smise di cercare conforto nella religione, di cui era stata permeata tutta la sua fantasiosa fanciullezza, e si avvicinò a un'interpretazione della vita vicina alle filosofie sensista e meccanicistica. Grazie all'amicizia con Pietro Giordani, con il quale nel 1817 iniziò una feconda corrispondenza, il distacco dal conservatorismo paterno si fece più netto: all'anno seguente risalgono All'Italia e Sopra il monumento di Dante, canzoni patriottiche molto retoriche e classicheggianti nelle quali Leopardi espresse la sua adesione alle idee liberali di stampo laico. Nello stesso periodo prese parte attiva al dibattito, di respiro europeo, che contrapponeva classicisti e romantici, affermando la sua posizione a favore dei primi nel Discorso di un italiano attorno alla poesia romantica (1818). Cominciò a covare rancore anche verso la casa natale e Recanati, in cui individuava la causa della propria infelicità e da cui tentò di fuggire. Nel 1822 venne mandato a Roma dallo zio materno, ma fu un'esperienza deludente e il poeta, tornato a Recanati l'anno seguente, si chiuse ancor più in se stesso.
IL PESSIMISMO
LEOPARDIANO In quegli anni
Leopardi elaborò il proprio sistema di pensiero, imperniato su una
concezione pessimistica della realtà che espose nelle ine dello Zibaldone
(1817-l832), appunti e pensieri morali scritti senza l'intenzione di formare
un'opera organica e pubblicati postumi nel
Il concetto si
amplia e si radicalizza nelle Operette morali (1824-l835), dove
È in questo periodo che trova sfogo una delle vene liriche più autentiche della poesia leopardiana, quella meditativa e malinconica: nascono i piccoli idilli L'infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, La vita solitaria (1819-l821). Sempre nel periodo tra il 1820 e il 1822 Leopardi scrisse anche canzoni di argomento filosofico: Ad Angelo Mai, Bruto minore e Ultimo canto di Saffo, accomunate da una rivolta contro la tirannia del destino e le oppressive leggi universali. In Alla sua donna (1823) la ura femminile è dipinta come evanescente e irraggiungibile. È il primo nucleo di componimenti che andrà a costituire la raccolta dei Canti, 41 poesie in tutto, scritte dalla giovinezza fino alla morte.
LONTANO DA RECANATI Nel 1825 si recò a Milano con l'incarico di curare per l'editore Stella una pubblicazione delle opere di Cicerone, che però non fu mai realizzata. Trasferitosi a Bologna, vi rimase fino al 1827, quando andò a Firenze. Nel 1826 pubblicò un commento alle Rime di Francesco Petrarca. Nonostante l'attività lavorativa e le nuove conoscenze, il suo pessimismo non si attenuò. Nell'epistola in versi sciolti Al conte Carlo Pepoli annunciò di aver perduto ogni conforto nella poesia e di volersi dedicare alla filosofia.
A Firenze Leopardi conobbe Giovanni Battista Niccolini, Pietro Colletta, Niccolò Tommaseo e Alessandro Manzoni. A Pisa, dove si stabilì dopo qualche mese, ritrovò almeno in parte la salute e con essa la vena poetica: scrisse la canzone Il Risorgimento, che lancia sul mondo uno sguardo fresco e nuovo, e A Silvia, uno dei suoi componimenti più belli. Ma fu una breve parentesi: ben presto fu di nuovo sopraffatto dalle sofferenze fisiche e dalla malattia agli occhi.
Tornato a Firenze nel 1828, sperò di trovare un impiego che gli desse modo di vivere senza il supporto della famiglia, ma le sue condizioni fisiche non gli permettevano di lavorare in modo continuativo e nel dicembre dello stesso anno tornò a Recanati. Il ritorno ai cari oggetti dell'infanzia gli ispirò i cosiddetti 'grandi idilli', giudicati tra le sue opere migliori: Le ricordanze (1829), La quiete dopo la tempesta (1829), Il sabato del villaggio (1829), Canto notturno di un pastore errante dell'Asia (1830), Il passero solitario, concepito nella giovinezza ma terminato solo in quegli anni.
Nel 1830 Pietro Colletta gli propose di tornare a Firenze: Leopardi accettò allora una somma messagli a disposizione da anonimi, con l'impegno che l'avrebbe restituita con i proventi dei suoi primi lavori. Tuttavia, non avendo ottenuto i frutti sperati dall'edizione fiorentina dei Canti, si ridusse a chiedere un assegno alla famiglia, che lo mantenne fino alla morte.
A Firenze il poeta conobbe Antonio Ranieri, un giovane napoletano bello ed estroverso, con il quale strinse una salda amicizia e convisse fino alla morte. Sempre a Firenze si innamorò della nobildonna Fanny Targioni Tozzetti, nella quale sperò di aver trovato un'anima gemella: ma anche questa speranza finì in un'amara delusione. Intorno a questa relazione Leopardi scrisse Il pensiero dominante (1831), Amore e morte (1832), Consalvo (1832), A se stesso (1833) e Aspasia (1834), dove l'amore viene visto come l'unica via di salvezza dal tedio e si afferma che l'uomo non si innamora tanto della donna, quanto dell'amore stesso, o dell'idea che se ne è fatto.
Nel 1833 Leopardi seguì Ranieri a Napoli, dove trascorse gli ultimi quattro anni della sua vita: il clima non alleviò la sua asma cronica e, afflitto dalle sofferenze, il poeta non fece che invocare la morte. Qui compose, tra il 1834 e il 1837, la maggior parte dei suoi scritti satirici: I nuovi credenti, carme in terzine, Palinodia al marchese Gino Capponi e i Paralipomeni della Batracomiomachia, ispirato a un poemetto pseudo-omerico sulla lotta tra rane e topi, dove satireggia le futili e disordinate sollevazioni dei patrioti contro gli austriaci (vedi Risorgimento).
Con La ginestra (1836) Leopardi sembrò avere un tardivo risveglio dell'antica giovinezza e cantò la ribellione contro la natura e il destino. La sua ultima poesia è Il tramonto della luna (1837), di smisurata tristezza, la cui ultima strofa pare sia stata dettata dal poeta all'amico Ranieri in punto di morte.
I suoi capolavori sono da ricercarsi tra gli idilli della prima giovinezza e quelli della maturità, canti sgorgati dal cuore, confessioni nostalgiche e ricordi della giovinezza perduta, teneri e rassegnati. Spesso il poeta compiange se stesso per essere uscito dall'illusione fanciullesca della felicità (A Silvia, Il passero solitario). Altre volte, come nell'Infinito, si immedesima con il battito vuoto e meccanico della natura e sembra trovare, in questo annientamento, la pace.
Una poesia volta a esprimere folgorazioni interiori non può essere contenuta in una struttura metrica fissa: Leopardi ricorse all'endecasillabo sciolto, oppure a endecasillabi e settenari alternati, a volte rimati e a volte no, riuniti in strofe di lunghezza diversa, che stravolgevano i tipi metrici tradizionali. Riuscì a ottenere effetti potentissimi semplicemente con la collocazione delle parole, e usò la punteggiatura in un modo del tutto personale, privilegiando le pause liriche rispetto alle consuete suddivisioni logiche e grammaticali.
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