L'evoluzione della
parola
Il clima di
rinnovamento che percorre la cultura europea e italiana fra 800 e 900, si
ripercuote non solo sui contenuti ma sulle forme letterarie. Fin dalle origini
la poesia era stata identificata con una metrica omogenea e rigorosa, ossia con
il susseguirsi di un numero regolare di sillabe su cui cadono accenti definiti
che, insieme alle pause e alle cesure, concorrono alla determinazione del
ritmo, e con la rima. La rivoluzione romantica, pur abbandonando alcune forme
di versificazione, non aveva mai messo in discussione queste regole. I versi di
Baudelaire, di Verlaine e di Rimbaud pur avvertendo chiaramente
l'insoddisfazione per i limiti imposti dalle norme tradizionali non si
discostano dalla prassi tradizionale: solo con Mallarmè, i nuovi
contenuti cercheranno alla fine una forma radicalmente nuova in cui esprimersi.
Anche in Italia permane a lungo una situazione di compromesso in cui la ricerca
del nuovo coesiste con le forme tradizionali. Un tentativo interessante è
costituito dalle Odi barbare (1887 - 1889) di Giosuè Carducci, che si
propose di imitare i versi della poesia classica mediante la metrica
accentuativa italiana; ma la proposta non ebbe sviluppi. Giovanni Pascoli, pur
adottando le forme metriche tradizionali finisce per apportarvi decisive
trasformazioni e riferendosi più diffuso e importante della poesia
italiana, da Petrarca a Leopardi, l'endecasillabo, (è il verso del
sonetto, della terzina, dei poemi e poemetti di tipo narrativo, della canzone),
Pascoli ne sottolinea l'estrema duttilità e la possibilità di
cercare nuovi effetti all'interno della metrica codificata. Il rifiuto delle
forme illustri e antisonanti che si accomna alla poetica delle piccole cose,
ha un immediato riscontro a partire dell'uso del linguaggio che privilegia
parole semplici e comuni. Pascoli introduce spesso il parlato e il dialogo,
riproducendoli attraverso il discorso diretto e inserisce dunque una
vistosissima eccezione alla norma del linguaggio poetico istituzionalizzato da
una lunga tradizione. Accostandosi tendenzialmente alla semplicità della
lingua parlata, la sintassi viene sostituita dalla paratassi che rende
l'espressione lineare e familiare; frequenti i puntini di sospensione, gli
incisi, le parentesi che spezzano e rallentano l'andamento e il ritmo del
periodare, introducono approfondimenti, allusioni. Un'altra caratteristica
è quella dello stile nominale (temporale) che rende più sintetica
l'espressione privandola del verbo. Numerose le interrogative, le esclamative e
più in generale tutte quelle particelle brevi, spesso monosillabiche,
che separate da una fitta interpunzione rendono ansimante il movimento poetico.
Si realizza così una soluzione di compromesso fra accettazione e
infrazione dell'ordine che contesta il sistema delle convenzioni metriche:
particolarmente indicativo è il caso dei versi ipermetri in cui le
sillabe che superano la misura regolare del verso vengono riassorbite da quello
che segue e precede. Con Pascoli in significante prende il sopravvento sul
significato: la parola è impiegata come puro suono, ad esempio nelle
frequenti invenzioni onomatopeiche, create per dare vita alle voci della
natura. Grande importanza assume la allitterazione che ripercuote i suoni della
parola sull'intera frase o all'interno di un più ampio contesto poetico:
vengono ricercati attraverso il procedimento fonosimbolico e la sinestesia
suoni che si caricano di significati misteriosi e implicazioni profonde. Alla
poetica delle cose D'Annunzio contrappone la poetica della parola privilegiandone
il carattere musicale e la sensualità. Perseguendo un'ideale di pura
bellezza egli affermerà che la parola è divina e che il verso
è tutto. La ricerca virtuosistica di soluzioni innovative finisce per
subordinare l'impianto logico del testo poetico alla musicalità del
suono e alle suggestione della parola come valori perseguibili
indipendentemente dal rispetto di ogni canone o norma consolidata. Anche nella
versificazione di Gozzano si registrano fenomeni di corrosione e contestazione
metrica: oltre all'uso delle riprese, della paratassi, della parole comune
Gozzano insiste sui puntini di sospensione che interrompono le battute e
alterano l'andamento del verso fino a frantumare ogni logica coerenza. L'intima
rottura dell'equilibrio poetico della sua accezione classica avviene attraverso
lo stridore dei contrasti, la ricerca consapevole e voluta dello choc. Lo
sbocco naturale delle esigenze di rinnovamento è rappresentato
dall'adozione del verso libero che caratterizza la poesia del '900 e che si sottrae
alle forme metriche tradizionali. La musicalità e il ritmo si propongono
di corrispondere ad una ricerca interiore e individuale che in quanto tale non
riconosce altre norme alle quali uniformarsi, è infatti la poesia stessa
che deve creare i suoi schemi sempre aperti e mutevoli. L'innovazione venne
subito accolta dai futuristi che se ne servirono per esprimere il desiderio di
distruggere tutte le regole convenzionali. Tra i Crepuscolari fa uso del verso
libero soprattutto Corazzino che intende, con esso, esprimere i tormentati
contorni dei paesaggi interiori, le proiezioni esistenziali o problematiche
della realtà. Giuseppe Ungaretti insiste sul significato essenziale
della parola e la colloca al centro della sua poetica proponendo una riscoperta
come valore assoluto capace di raggiungere le radici più profonde e
misteriose dell'essere. Egli riduce sempre più la misura del verso
facendolo spesso coincidere con una sola parola che risulta così isolata
nello spazio della ina, in una specie di vuoto e di silenzio che ne esaltano
la pronuncia unica e irripetibile in un senso quasi metafisico. Con Ungaretti
il verso liberi raggiunge la massima autonomia rispetto ai ritmi e alle misure
della metrica istituzionale: egli ottiene il più alto grado di disarticolazione
del messaggio poetico. Scindendo elementi che risultano normalmente uniti nella
logica del discorso. Mettendo insieme i frammenti divisi il poeta giunge a dare
nuova vita alle forme del passato, in particolare al classico endecasillabo.
Questi versi non contraddicono i principi della versificazione libera, ma
accentuano il carattere più complesso ed elaborato della ricerca
poetica, così come verrà proseguita dall'ermetismo. Essi
rappresentano un ritorno a moduli più tradizionali, per un desiderio di
maggiore equilibrio dopo le spinte disgregatrici delle avanguardie. È
queste al direzione seguita da Montale che rivaluta l'usi di strutture metriche
e strofiche più regolari, pur conservando nei loro confronti la
più ampia libertà di intervento e di scelta. Contro le tendenze
dominanti prenderà posizione
Cesare Pavese che conia un
personale misura di verso lungo superiore all'endecasillabo: egli torna ad una
concezione di poesia intesa come canto, come esperienza interiore e distesa
narrazione di fatti ed eventi, attraverso l'usi di una parola che indichi
concretamente le cose e gli oggetti.