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Mauro Forlani
GENTE IN ASPROMONTE di Corrado Alvaro
La sequenza che ho deciso di riassumere perché secondo me è la più dinamica dell'intero racconto corrisponde ai moduli finali 11, 12 e 13. In essi Antonello, il primogenito dei li dell'Argirò, maturerà dentro di sé e sulla sua pelle la coscienza della posizione di quasi schiavitù della sua famiglia e della classe sociale a cui appartiene, e quindi delle profonde ingiustizie sociali che si rinnovano come in un ciclo eterno, e diviene protagonista di un atto di ribellione e di disperazione assieme: incendierà i campi dei Mezzatesta e ucciderà le loro mandrie di bestiame distribuendo la carne ai compaesani. Quando alla sua capanna sui monti si presenteranno i carabinieri, butterà il fucile e si consegnerà ad essi dicendo: «Finalmente», disse, «potrò parlare con la giustizia, che ci è voluto per poterla incontrare, e dirle il fatto mio!».
Protagonista è la famiglia del pastore Argirò, che sogna la possibilità di uscire dalle terribili condizioni di vita, dalla miseria secolare, da quella subordinazione ai proprietari, ai padroni delle terre e delle mandrie, di tipo ancora quasi feudale, e di portare almeno uno dei li sino alla dignità degli studi. Sperando di potercela fare, Argirò sottopone sé e i suoi ai sacrifici e alle fatiche più aspre. Ma una serie di disavventure, dalla perdita dei buoi che aveva avuto in custodia dal padrone Filippo Mezzatesta, che precipitano in un burrone, all'incendio doloso della sua stalla, lo costringono a rinunciare a questo arduo progetto. Il lio, Antonello, diverrà quindi il promotore di un atto di ribellione e di disperazione assieme: si darà alla razzia, e dopo aver massacrate le mandrie del padrone e distribuito la carne ai compaesani, butterà il fucile e si consegnerà ai carabinieri.
lio di un maestro elementare, nasce a San Luca, nel cuore dell'Aspromonte calabro, il 15 aprile 1895. Il padre, fondatore di una scuola serale per contadini e pastori analfabeti, gli dà la prima istruzione e gli fa conoscere e sentire profondamente la natura e la cultura della sua terra. Dopo aver terminato gli studi elementari, il padre lo iscrive al Collegio dei Gesuiti di Frascati. Ama studiare, per cui trae buon profitto e incomincia a scrivere poesie e racconti.
Dal Collegio di Frascati viene però espulso dopo i primi cinque anni di ginnasio, perché sorpreso a leggere testi considerati proibiti. Si iscrive così in un collegio di Amelia in provincia di Perugia, dove completa gli studi ginnasiali. Si dedica molto allo studio della letteratura, e in particolare, di alcuni autori: Carducci, Pascoli e D'Annunzio. Nel gennaio del 1915 è chiamato alle armi, assegnato a Firenze a un reggimento di Fanteria. All'inizio di settembre è combattente della Prima guerra mondiale, viene ferito alle braccia sul monte Sei Busi, nei pressi di San Michele del Carso, e per questo motivo dovrà sottoporsi a una lunga degenza presso gli ospedali militari di Ferrara prima e di Firenze poi.
Nel settembre del 1916 è a Roma dove incomincia a collaborare al «Resto del Carlino» e, quando ne diventa redattore, si trasferisce a Bologna dove sposa Laura Babini. Qualche anno dopo il matrimonio e la nascita del lio Massimo, si trasferisce a Milano dove viene assunto come redattore del «Corriere della Sera». Nel 1922 pubblica il suo primo romanzo L'uomo nel labirinto; l'anno dopo è chiamato a Roma come redattore del «Mondo» di Giovanni Amendola, dando così una connotazione ben precisa al suo pensiero politico, chiaramente antifascista. Dopo il delitto Matteotti, è tra i cinquanta firmatari dell'Unione nazionale delle forze democratiche, guidata da Amendola. Collabora poi a «La Stampa» sulle cui ine pubblica le ine iniziali di Gente in Aspromonte, e ad altri giornali e periodici, per molti anni ancora. Pubblica i racconti L'amata alla finestra (1929) e Incontri d'amore (1940); i romanzi Vent'anni (1930), Gente in Aspromonte (1930), che gli vale il primo importante premio letterario italiano, bandito da la «Stampa» nel 1931, L'uomo forte (1938).
Nel 1941 torna a San Luca per i funerali del padre. In seguito, si recherà più volte in Calabria a far visita alla madre e al fratello, don Massimo, parroco di Caraffa del Bianco, un paese vicino San Luca.
Nel '43 dirige «Il popolo di Roma», proprio durante il brevissimo periodo (45 giorni) in cui fu nominato capo del Governo, il generale Pietro Badoglio. Con l'occupazione tedesca di Roma, colpito da mandato di cattura, si rifugia a Chieti; nel giugno del '44 ritorna a Roma.
Nel 1945 fonda il Sindacato Nazionale Scrittori, per il quale ricopre la carica di segretario fino alla sua morte, e la Cassa Nazionale Scrittori.
Nel 1946 esce L'età breve, primo romanzo del ciclo Memorie del mondo sommerso.
Alvaro è anche saggista, poeta e diarista eccellente. Al riguardo si possono citare opere come Calabria, Viaggio in Turchia, Itinerario italiano, Quasi una vita, Ultimo diario e le raccolte di poesie Il viaggio e Poesie grigio-verdi.
Vive e lavora tra Roma, nell'appartamento di Piazza di Sna, e Vallerano, nei Monti Cimini, in provincia di Viterbo, dove possiede una casa in camna.
Nel 1955 Bompiani pubblica I settacinque racconti. Esemplare la novella Il carnefice disattento, la storia di una donna che, rinchiusa nel forno di un lager nazista, riesce a scappare grazie alla disattenzione del carnefice nel chiudere adeguatamente la porta del forno - crudele ironia della sorte. La novella Un fatto di cronaca è concepita sotto forma di réportage realizzato da un gruppo di giornalisti arrivati in un quartiere povero.
Già nel 1954 Corrado Alvaro è colpito da un tumore addominale per cui si sottopone a un delicato intervento chirurgico. Ma la malattia si aggrava, ha colpito anche i polmoni, muore nella sua casa di Roma l'11 giugno del 1956, lasciando incompiuti alcuni romanzi e vari altri inediti. La cerimonia funebre, nella chiesa di Santa Maria delle Fratte, viene officiata dal fratello, don Massimo. È sepolto, secondo le sue ultime volontà, nel cimitero di Vallerano
Postumi, a cura di Arnaldo Frateili, sono stati pubblicati alcuni suoi romanzi incompiuti o non rifiniti: Belmoro, Mastrangelina, Tutto è accaduto.
Corrado Alvaro è rimasto per tutta la vita, anche nelle opere di ispirazione più vasta, non ambientate nella regione che gli dette i natali (per es. ne L'uomo forte), legato alla concezione dolorosa dell'esistere che è della plebe calabrese, e ne ha derivato una sorta di visione tragica, che ha però una sua precisa connotazione.
Infatti, con le sue opere, Alvaro rinnova una tradizione gloriosa della nostra letteratura, quella della narrativa a ispirazione regionale e meridionale, rappresentata da grandi autori quali Verga, Capuana, De Roberto e Pirandello, ma con una differenza sostanziale: agli occhi di questi autori, la società meridionale appare come qualcosa di immutabile, senza speranza, soggetta a una fatalità di tristezza, sofferenza, subalternità, contro la quale nulla poteva, nemmeno la volontà e la forza degli uomini e della storia.
Agli occhi di Alvaro, invece, quel mondo arcaico fatto di ignoranza, superstizione, povertà e tragico fatalismo, è già sgretolato e in parte sommerso, è un mondo giudicato con gli occhi della memoria.
I temi che sviluppa l'autore sono molti ma possiamo citare i principali che sono: la protesta sociale e il tema della malinconia per la terra natale; nonostante ciò l'obbiettivo principale che si pone l'autore è la rappresentazione della vita quotidiana della sua terra e la serie di soprusi a cui sono soggetti i suoi abitanti più poveri. Per far ciò si ispira a due scrittori che avevano già fatto lo stesso in passato, Verga e Pirandello, ma con una differenza sostanziale: alla società meridionale vista, da questi autori, come qualcosa di immutabile, senza speranza, soggetta ad una fatalità di tristezza, sofferenza, subalternità, contro la quale nulla poteva, nemmeno la volontà e la forza degli uomini e della storia, Alvaro contrappone un mondo arcaico fatto di ignoranza, superstizione, povertà e tragico fatalismo, che però non è immutabile, ma è già sgretolato e in parte sommerso, un mondo, anche quello, in trasformazione, un mondo quindi, quello arcaico, che può essere giudicato solo con gli occhi della memoria. Infatti in Gente in Aspromonte, Alvaro dimostra di saper cogliere tutte le novità e i segni di trasformazione che quel mondo stava vivendo. Segni che erano visibili nell'arrivo di strade, nell'estendersi dell'istruzione, nell'emigrazione che aprì nuovi orizzonti a tanti calabresi e che certamente migliorò le condizioni economiche della regione.
I temi riscontrati sono in parte riscontrati anche ai giorni nostri ma in modo molto attenuato. Infatti non esistono più regimi feudali e contadini che lavorano per un signorotto locale ma bisogna sottolineare che c'è ancora differenza economica tra nord e sud Italia.
Non riconosco in nessuna persona che mi sta intorno i caratteri di sottomissione e in seguito di ribellione del protagonista.
"Gente in Aspromonte" è un libro che mi è piaciuto perché esprime la realtà italiana in un mondo diverso da oggi. Apprezzo l'autore perché è riuscito a creare una vicenda interessante utilizzando uno stile semplice ma ricco di particolari ed un linguaggio quotidiano adatto a qualunque categoria di lettori.
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