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Neoclassicismo
Strutture politiche, sociali ed economiche -
L'ingresso degli eserciti francesi nel 1796 segna in Italia una svolta storica di capitale importanza:
Crollano i vecchi stati assoluti.
Si formano organismi politici nuovi (la cispadania, la transpadana e la partenopea).
Con il regime napoleonico il regno di Napoli passa sotto il dominio dei congiunti di napoleone.
Piemonte, toscana, lazio sono annesse allo stato francese.
Queste strutture statali, ispirate al modello francese, hanno caratteri decisamente moderni nella pubblica amministrazione, nell'apparato giudiziario (codice napoleonico), nell'esercito, nella scuola (ginnasi, licei statali per formare un corpo di funzionari fedeli allo stato).
È un fenomeno sociale nuovo e rilevante e contribuisce a dare una fisionomia più moderna ai ceti medi italiani, questi in età napoleonica avranno un ruolo determinante.
Nel regime napoleonico furono:
I territori dell'impero dovevano fornire materie prime all'industrie francesi e si riducevano a mercati riservati per i manufatti di quelle industrie.
-Le idologie-
All'interno dello schieramento dei "patrioti" che appoggiano le innovazioni portate dalle armi della Francia rivoluzionaria, vanno distinte due tendenze:
Le idee patriottiche, democratiche e moderate, erano solo dei ceti colti.
Le masse popolari rimasero ad esse profondamente estranee, conservandosi fedele alle tradizioni religiose e politiche del passato.
Es. il crollo della rep. Partenopea nel 1799, cui diedero il loro apporto decisivo le masse contadine, guidate dal cardinale Ruffo di Calabria e spinti dalla predicazione della Chiesa contro i giacobini (anticristi).
La componente dei giacobini, vide nell'istaurarsi della dittatura napoleonica e nel dominio imperiale francese sull'Italia, un tradimento delle istanze di libertà e di democrazia sorte nel momento del primo fervore rivoluzionario.
Quindi "nel triennio giacobino" subentrò un diffuso senso di delusione e di frustrazione.
-Gli intellettuali-
Nel triennio giacobino si delineò un ruolo sociale nuovo per l'intellettuale, che andava oltre quello dei philosophe, diffusore dei "lumi" e consigliere dei principi intellettuali, quale si era affermato prima della rivoluzione: l'intellettuale era ora colui che elaborava e diffondeva le ideologie della trasformazione democratica, che aveva il compito di creare il consenso di massa intorno a tali idee. Era un ruolo attivo, immediato: l'intellettuale doveva immergersi nel cuore stesso del processo politico. Perciò fu questo un periodo non solo di grandi illusioni e di grande speranza, ma anche di intensa partecipazione attiva alla vita politica, e fu vissuto dagli intellettuali con entusiasmo, quasi una sorte di ebbrezza, come se l'intellettuale fosse l'artefice primario del processo di rigenerazione del mondo. Durante il regime napoleonico riprese vigore il vecchio ruolo del poeta cortigiano, celebratore dei fasti del potere: ruolo che fu incarnato esemplarmente dal Monti.
Oppure l'intellettuale dovette adattarsi al ruolo di fedele funzionario, nell'amministrazione, nella scuola, giornalismo ufficiale, con il compito di mediare il consenso nei confronti dello stato. Chi aveva vissuto più intensamente la breve esperienza giacobina non seppe adattarsi a questi compiti come Foscolo.
Lui fu inquietamente alla ricerca di una sistemazione materiale nella burocrazia, nel giornalismo, nell'esercito . .ma non si identificò mai nella misura del funzionario di regime: ebbe sempre l'atteggiamento del "liber uomo" pronto a mettersi in disparte e a vivere poveramente pur di non piegarsi a servire. (Parini e Alfieri).
Foscolo: nell'impossibilità di avere un ruolo reale si autodelegò quello del vate: si rivolse cioè ai posteri con un messaggio di libertà e di riscatto nazionale, ispirato al recupero della grande tradizione del passato.
-La lingua letteraria. Il Purismo-
Poeti e prosatori si rifanno sempre ai modelli illustri e scrivono in una lingua aulica, lontanissima da ogni possibile uso parlato.
Il lessico: costituisce una lingua a sé.
La sintassi: è ampia e complessa fitta di inversioni, essendo modellata sul periodare del latino.
Questo linguaggio conferma quanto la letteratura è un fatto di élite, rivolto a pochi, ad una piccola cerchia di persone colte, che condivide con lo scrittore la cultura, i gusti, il linguaggio.
Il tradizionalismo classicistico è ben esemplificato dalla teoria linguistica del Purismo. Esso come reazione alla libertà linguistica per cui si erano battuti gli illuministi del "Caffè", si rifaceva al Bembo e propugnava la "purezza" della lingua che doveva essere depurata da ogni forestierismo e da ogni neologismo. Il modello doveva essere cercato nella lingua del '300, il cui lessico e i cui modi espressivi erano ritenuti perfettamente in grado di rispondere alle esigenze della cultura moderna.
I puristi di più rigida osservanza:
Basilio Puoti: alla cui scuola studiò Francesco de Sanctis.
Padre Antonio Cesari: curò la ristampa del vocabolario della Crusca.
Pietro Giordani: il suo ideale fu quello di un dignitoso e sobrio classicismo formale , che si rifacesse alla limpidezza dello stile greco. Di orientamento laico, progressista e patriottico ed affermò l'esigenza di una letteratura ispirata ad elevati sentimenti morali e all'idea della rinascita nazionale. Si oppose poi al romanticismo che apriva la cultura italiana alle influenze straniere.
Al purismo reagì Monti: che sosteneva l'esigenza di una di una lingua letteraria nazionale che non si fermasse al '300, in nome di un equilibrio fra ossequio alla tradizione e libertà espressiva.
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