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PENA DI MORTE
Il Medioevo in Europa
è caratterizzato da una grande confusione e sovrapposizione di poteri,
perchè il sistema feudale era tale per cui al potere dello Stato, che si
identificava con il re o l'imperatore, si affiancava il potere dei feudatari, a
cui il re delegava il compito di amministrare la giustizia, e poi il potere dei
magistrati cittadini. Erano molti quindi coloro che potevano comminare pene,
anche quella capitale, che veniva applicata per crimini come omicidio, furto,
sacrilegio e tradimento, a volte sulla base di leggi, spesso in modo arbitrario
dal potente di turno. Venivano utilizzati la decapitazione, l'impiccagione,
l'annegamento e la tortura fino alla morte.
Ci fu un lungo periodo della storia europea in cui torture ed esecuzioni
capitali furono particolarmente frequenti e riservate a reati che noi oggi
considereremmo di opinione. La commistione tra potere politico e potere
religioso ha portato per secoli alla condanna di chi si discostava dalle
posizioni della Chiesa, sia sul piano dogmatico che su quello politico e
scientifico, senza contare le innumerevoli donne accusate di essersi date al
demonio e bruciate come streghe.
Col passare dei secoli, la pena capitale rimase in vigore in quasi tutti i
Paesi, e vennero introdotti sempre nuovi strumenti di morte. Per esempio
nella Francia dell'Ancienne Regime essa era eseguita con raffinati supplizi
differenziati a seconda del rango sociale del condannato o del tipo di reato
commesso: l'impiccagione era riservata ai contadini, la decapitazione ai
nobili, la ruota ai delitti più atroci, il rogo ai delitti contro la
religione, lo squartamento ai delitti contro lo Stato. Con la Rivoluzione, su
proposta di Guillotin, furono abolite le differenze di condanna con
l'introduzione della ghigliottina.
La pena di morte comunque
restò nella maggior parte degli ordinamenti giuridici fino alla fine del
XVIII secolo, quando cominciarono ad essere numerosi e importanti gli sforzi
per combatterla e favorirne l'abolizione.
La più famosa denuncia dell'ingiustizia della pena di morte si deve al
giurista italiano Cesare Beccaria, che nell'opera Dei Delitti E Delle
Pene (1764), sostenendone l'inefficacia come mezzo di prevenzione del
crimine e sottolineando la possibilità dell'errore giudiziario, ne
propose l'abolizione; l'opera di Beccaria ottenne grande attenzione anche fuori
dall'Italia e influenzò in maniera decisiva i movimenti di riforma del
diritto penale. Uno dei primi esempi di abolizione totale della pena di morte
si deve a Pietro Leopoldo di Toscana, che la eliminò dal Granducato di
Toscana nel 1786. A partire dal XIX secolo, in numerosi Stati, prima in alcuni
occidentali, poi via via in molti altri, la pena di morte venne abolita e
sostituita da altre punizioni come il carcere a vita.
Durante questo secolo però essa ha continuato ad essere utilizzata da
alcuni governi dittatoriali per sbarazzarsi di chi li contrastava, per motivi
di ideologia o di colore della pelle, come in Sudafrica durante l'apartheid, in
Russia ai tempi di Lenin e Stalin, in Europa ai tempi del nazismo.
Purtroppo in molti Stati rimane tuttora in vigore, e la popolazione, nella maggior parte dei casi, non è per niente contraria all'applicazione di questa estrema pena. Il fatto preoccupante è che in numerosi Paesi, soprattutto in quelli a regime dittatoriale, la pena capitale è ancora applicata con una certa arbitrarietà da parte dei potenti, sebbene ci siano leggi scritte già da tantissimi secoli.
In Italia la pena capitale abolita fin dal 1889, fu reintrodotta da Mussolini nel 1926 per coloro che avessero attentato alla vita o alla libertà della famiglia reale o del capo del governo e per vari reati contro lo stato, e confermata poi nel 1930 (con il codice Rocco) per un più vasto numero di reati. Caduto il fascismo una delle prime decisioni del nuovo governo fu l'abolizione della pena di morte il 10 agosto 1944 essa fu però mantenuta in vigore per i reati fascisti e di collaborazione con i nazi-fascisti. Finalmente con la nuova costituzione della Repubblica Italiana del 27/12 la pena capitale fu bandita (l'articolo 27 recita " le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte"). Salvo che per i reati militari commessi in tempo di guerra. Per i quali è stata abolita nel 1994. L'Italia è diventata paese totalmente abolizionista.
<< Mia
lia è stata stuprata, seviziata e poi uccisa forse dovrei
perdonare chi le ha fatto questo??
Potrei forse dimenticare e passare sopra un crimine così grande??
Era ancora una bambina >>
Di fronte a fatti e ad
affermazioni di questo tipo non esiste che una risposta: rispettoso silenzio.
Silenzio per comprendere la sofferenza di coloro ai quali è stata
strappata la vita in modo tanto crudele e barbaro, quanto ingiusto. E' il
silenzio di chi comprende, è il silenzio di chi non accetta questo
sistema di cose, è silenzio che non giudica e non condanna, ma è
vicino a chi è morto dentro.
No, non possiamo passare sotto silenzio certi crimini, certe atrocità,
non possiamo fare finta di niente, non possiamo avallare atti così
crudeli compiuti molto spesso per futili motivi.
No, non possiamo accettare un 'perdonismo' e un 'buonismo'
che sanno solo di superficialità.
E' da questo punto di vista e non da altri che dobbiamo far partire la nostra
riflessione sull'istituzione della pena di morte se vogliamo comprendere i
motivi per cui tanti stati nel mondo
la utilizzano ancora.
Tuttavia, è necessario e indispensabile, sia da un punto di vista umano
che biblico-cristiano, eliminarla e abolirla
10 MOTIVI UMANITARI PER ABOLIRE LA PENA DI MORTE
1) La pena di morte non serve come deterrente per i crimini.
In Giappone, dove la pena di morte è prevista dalla legge, tra il
novembre del 1989 ed il marzo del 1993 le esecuzioni vennero sospese
perchè i ministri di giustizia dell'epoca erano contrari alla pena di
morte: durante la moratoria, il tasso di criminalità non aumentò,
anzi diminuì.L'argomento della deterrenza è quello più
frequentemente chiamato in causa: condannare a morte un trasgressore
dissuaderebbe altre persone dal commettere lo stesso reato. L'argomento della
deterrenza non è però così valido, per diversi motivi.Nel
caso, per esempio, del reato di omicidio, sarebbe difficile affermare che tutti
o gran parte degli omicidi vengano commessi dai colpevoli dopo averne calcolato
le conseguenze. Molto spesso gli omicidi avvengono in momenti di particolare
ira oppure sotto l'effetto di droghe o di alcool oppure ancora in momenti di
panico. In nessuno di questi casi si può pensare che il timore della
pena di morte possa agire da deterrente.
Inoltre la tesi della deterrenza non è assolutamente confermata dai
fatti. Se infatti la pena di morte fosse un deterrente si dovrebbe registrare
nei paesi mantenitori un continuo calo dei reati punibili con la morte e i
paesi che mantengono la pena di morte dovrebbero avere un tasso di
criminalità minore rispetto ai paesi abolizionisti. Nessuno studio
è però mai riuscito a dimostrare queste affermazioni e a mettere
in relazione la pena di morte con il tasso di criminalità.
Un'analisi delle percentuali di omicidi in paesi abolizionisti e mantenitori ha
dimostrato che i paesi mantenitori hanno in genere una percentuale maggiore.
Tale analisi prendeva in considerazione i cinque paesi abolizionisti ed i
cinque paesi mantenitori con il maggior numero di omicidi. Confrontando i dati,
l'analisi conferma che nei cinque paesi abolizionisti il tasso più alto
di omicidi era 11.6 per 100.000 persone, mentre nei paesi mantenitori il tasso
più elevato era 41.6 per 100.000 persone.
Vi sono inoltre dati sulla criminalità di vari paesi che dimostrano come
l'abolizione della pena di morte non comporti alcun aumento della
criminalità.
In Giamaica, per esempio, durante una sospensione della pena di morte tra il
1976 ed il 1980, si verificarono poche variazioni nel tasso di omicidi. In
Canada il tasso di omicidi per 100.000 persone scese da un massimo di 3.09 nel
1975, anno precedente l'abolizione, a 2.41 nel 1980 e da allora è
rimasto relativamente stabile. Nel 1993, 17 anni dopo l'abolizione, il tasso di
omicidi era 2.19 per 100.000 persone, vale a dire il 27% in meno rispetto al
1975. Un recente studio condotto in California ha dimostrato che nei 15 anni in
cui la California eseguiva condanne a morte molto frequentemente (circa una
ogni due mesi, dal 1952 al 1967) il numero di omicidi è aumentato di circa
il 10% ogni anno.
Tra il 1967 ed il 1991, periodo in cui non hanno avuto luogo esecuzioni,
l'aumento medio annuale era del 4.8%. Lo stesso studio dimostra anche
l'esistenza di ciò che viene denominato effetto brutalizzante della pena
di morte: nei 4 mesi precedenti l'esecuzione di Robert Harris in California,
avvenuta nel 1992, la media mensile di omicidi nello stato era 306 mentre nei 4
mesi successivi la stessa esecuzione tale numero salì a 333, registrando
un aumento del 9%. Uno studio simile ha dimostrato che nello stato di New York,
nel periodo in cui venivano eseguite più condanne a morte che nel resto
del paese, cioè tra il 1907 ed il 1963, si registravano in media due
omicidi in più ogni mese immediatamente successivo ad un'esecuzione.
I molti studi effettuati sull'argomento hanno quindi dimostrato come sia
impossibile affermare con chiarezza che la pena di morte abbia un potere
deterrente.
Lo studio più recente sulla
relazione tra la pena di morte ed il tasso di omicidi, condotto per le Nazioni Unite
nel 1988, ha concluso che 'questa ricerca non ha fornito alcuna prova
scientifica del fatto che le esecuzioni abbiano un effetto deterrente maggiore
rispetto all'ergastolo. è improbabile che si ottenga mai questa prova
scientifica. Lo studio non fornisce alcun fondamento alla tesi della
deterrenza'.
2) L'applicazione
delle norme giuridiche è spesso soggetta a errori umani dolosi o
involontari.
La pena di morte non colpisce solo
i colpevoli, ma anche, forse più spesso di quanto si immagini, persone
innocenti.
Uno studio dello Stanford Law Review ha documentato in questo secolo 350 casi
di condannati a morte negli Stati Uniti, in seguito riconosciuti innocenti. Di
questi 25 erano già stati giustiziati, mentre altri avevano già
trascorso decenni in prigione. 55 dei 350 casi risalgono agli anni '70, 20
risalgono agli anni compresi tra il 1980 ed il 1985.
In Giappone, Sakae Menda fu condannato a morte nel 1950 per un omicidio
commesso nel 1948. 33 anni dopo egli fu riconosciuto innocente e rilasciato,
dopo aver vissuto per oltre trent'anni nell'attesa dell'esecuzione.
A Taiwan nel febbraio 1982 fu riconosciuto innocente e rilasciato un uomo di 74
anni, condannato per un omicidio commesso nel 1972.
Numerosi sono anche i casi in cui incompetenza e corruzione hanno causato
condanne a morte di innocenti. Tra questi il caso di Vladimir Toisev, abitante
di un villaggio della Repubblica di Bielorussia, condannato a morte per
omicidio nel 1970. Passò diciotto mesi prima di ricevere la commutazione
della condanna, ma fu rilasciato solo nel 1987. Nel 1987 l'organo di stampa
Znamya Yunosti affermò che gli investigatori avevano strappato una
confessione a Toisev nel corso di interrogatori notturni e avevano picchiato
suo fratello per poter ottenere prove false che avvalorassero la confessione.
Quando fu scoperto il vero colpevole, gli investigatori tennero segrete le
informazioni per nascondere l'errore commesso.
Nel 2000 il Governatore dell'Illinois ha decretato una moratoria a tempo
indeterminato atta a stabilire l'iniquità di alcuni processi durante i
quali alcuni detenuti (troppi ndr) innocenti erano stati condannati alla pena
capitale e molti stati nel mondo negli ultimi 2 anni stanno seguendo
quest'esempio, si pensi al fatto che proprio di questi giorni è la
notizia che nel mese di Novembre 2001 in Texas verrà votata un'eventuale
moratoria di 2 anni.
(vi rimandiamo ai Dossier ed alle news presenti nelle ine del sito per
ulteriori e più dettagliate informazioni).
3) La pena di morte è un arma troppo potente in mano a governi
sbagliati.
Può essere sfruttata dal governo per eliminare personaggi
politicamente o religiosamente scomodi, alterando persino il concetto di
gravità di certi atti. E' quello che sta attualmente accadendo in Cina
dove si muore non solo per aver commesso crimini gravi, ma anche per il
semplice fatto di opporsi al regime. Nel 1999 il 60% circa delle esecuzioni
mondiali sono avvenute proprio in territorio cinese.
I reati capitali sono 68, tra cui omicidio, stupro, rapina, furto, traffico di
droga, prostituzione, evasione delle tasse e, addirittura, stampa o esposizione
di materiale pornografico. Particolarmente raccapricciante è il fatto
che spesso le esecuzioni vengono fatte in luoghi pubblici e i condannati sono
costretti a tenere al collo un sectiunello con il loro nome ed il reato per il
quale vengono giustiziati.
Le Associazioni umanitarie, inoltre, denunciano il fatto che spesso ai
condannati, una volta giustiziati, vengono espiantati gli organi senza il loro
permesso; proprio per questo motivo, si ritiene che alcune condanne vengano
eseguite in quanto sono richiesti organi per i trapianti!
4) L'applicazione della pena di morte non incentiva la ricerca di sistemi
preventivi.
Quando viene applicata la pena di morte, la gente prova quasi un sentimento
di soddisfazione, quasi che in questo modo il crimine commesso fosse riato,
espiato, dimenticando in realtà che la vittima ha subito una ingiustizia
che non potrà mai essere riata. Tuttavia la gente è come
soddisfatta. Lo Stato si mostra così 'giusto' ed efficiente
contro il crimine. In questo modo si corre il rischio che lo Stato possa, in
qualche modo sentirsi dispensato dal ricercare una soluzione che prevenga il
crimine stesso.
Le strade sono troppo spesso troppo poco sorvegliate, la polizia non è
mai sufficientemente presente sul territorio per mancanza di personale o per
incapacità organizzativa.
Inoltre, lo Stato non dovrebbe, forse, contribuire rimuovendo le situazioni di
indigenza estrema, promuovendo la dignità umana, eliminando conflitti
razziali troppo spesso causati da leggi poco democratiche?
Lo Stato non dovrebbe promuovere una migliore umanizzazione della
società, combattendo il diffondersi di una mentalità lassista e
immorale? Come si comporta lo Stato nei confronti dello sfruttamento minorile,
della pornografia, della facile vendita di armi?
Il fatto è che lo Stato è troppo spesso vittima della sua
economia che gli impedisce di combattere la battaglia della prevenzione fino in
fondo. E in fondo sono proprio le multinazionali che producono e vendono armi,
che producono pornografia, che diffondono una mentalità in cui il potere
ed il denaro sono il bene supremo. Lo Stato, quindi, legato dall'economia,
può soddisfare la società solo ricorrendo ad un ulteriore
crimine.
5) Il diritto alla vita è un principio fondamentale su cui si basa la
nostra società.
Come nessun uomo ha il diritto di uccidere un suo simile per qualsiasi
motivo - il diritto alla vita è un principio fondamentale su cui si basa
la nostra società - così lo Stato, che agisce razionalmente, non
spinto dall'emozione del momento, e in quanto garante della giustizia, non deve
mettersi sullo stesso piano di chi si macchia del più orribile dei
crimini: l'omicidio.
Così facendo si fornirebbe a tutti un esempio di atrocità
compiuto dalla legge stessa, mentre essa è stata creata proprio per la
tutela dei diritti umani e quindi per quello della vita.
6) Lo stato si comporterebbe in modo criminale come il criminale stesso.
Le leggi, infatti, moderatrici della condotta degli uomini e espressioni della
pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne
commetterebbero uno esse medesime e, per allontanare i cittadini
dall'assassinio, ordinerebbero un pubblico assassinio.
7) La pena di morte è discriminatoria
La pena di morte è spesso usata in maniera discriminatoria nei
confronti di minoranze razziali, di persone povere e scarsamente istruite e in
alcuni casi può venire usata come arma contro oppositori politici.
Un esempio di come la pena di morte sia usata in maniera iniqua nei confronti
delle minoranze si ha negli Stati Uniti. Studi effettuati recentemente sulle
condanne a morte comminate in vari stati degli USA hanno dimostrato che
l'accusa ha chiesto in media la pena di morte nel 50% dei casi in cui
l'accusato era nero e la vittima bianca e solo nel 28% dei casi in cui sia
l'accusato che la vittima erano neri.
Gli Afro-Americani rappresentano il 12% della popolazione degli Stati Uniti ed
il 50% delle persone giustiziate dal 1930.
E' inoltre dimostrato che la stragrande maggioranza di coloro che hanno subito
la pena di morte, era gente povera. Il ricco non subirà mai la pena di
morte. Il ricco può arsi qualsiasi avvocato, può are la
propria libertà.
8) La pena di morte non ristabilisce alcun equilibrio.
Per quanto autori e filosofi illustri quali Kant ed Hegel giungano a
giustificare, anzi ritengono necessaria la pena di morte su basi retributive,
ci pare che agli effetti i parenti, gli amici e i conoscenti della/e vittime
non si sentano sufficientemente riati dalla morte dell'assassino. Lo
sarebbero se ciò servisse a riportare in vita la vittima, se la morte
dell'assassino servisse veramente a ristabilire una situazione di
equità.
In realtà se il ladro commette il furto, la restituzione del denaro
può servire a ristabilire una situazione di equità e il carcere
avrebbe la funzione sia come deterrente, sia per la riabilitazione stessa del
ladro. Purtroppo l'omicidio, qualunque siano le motivazioni, è talmente
grave proprio perchè innesca un meccanismo di non ritorno. Nessun atto
potrà mai riportare indietro una persona morta, solo un miracolo.
9) Lo Stato è corresponsabile dei crimini commessi.
Consideriamo il fatto che la personalità di ogni individuo è
profondamente segnata dall'ambiente circostante, dagli eventi che si trova
costretto ad affrontare e dagli eventuali disturbi mentali che lo affliggono.
Come può quindi la società ritenere la sua morte indispensabile
pur essendo, in un certo senso, corresponsabile di ciò che egli ha
compiuto? Si arriva davvero al paradosso.
10) Pena di morte = risparmio ?
Una delle argomentazioni a favore della pena di morte si basa sul fatto che
è meno costoso uccidere i colpevoli piuttosto che tenerli in carcere.
Tuttavia alcuni studi svolti in Canada e negli Stati Uniti dimostrano che l'applicazione
della pena di morte è più costosa del carcere a vita.
Uno studio realizzato recentemente ha rilevato che in media il giudizio
capitale e gli appelli di primo grado costerebbero ai contribuenti circa 1.8
milioni di dollari, due volte di più di quanto costi mantenere una
persona in carcere a vita. Uno studio condotto in Florida nel 1988 sosteneva
che i contribuenti ano oltre 3.1 milioni di dollari per ogni
esecuzione.
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