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Proibire ai li di andare allo stadio
Dobbiamo stare tutti dalla stessa parte per dire no alla violenza!
Fine agli ultras in trasferta e a stadi non a norma.
Avevamo il campionato più bello del mondo, dicevano, e forse c'è chi lo dice ancora. Ora abbiamo il campionato più falso, e c'è chi lavora alacremente per farlo diventare anche il campionato più violento.Prima o poi ci riusciranno, perchè alla folle corsa verso l'abbrutimento stanno partecipando tutti, giocatori e presidenti, tifosi e signori del Palazzo. Ognuno porta il suo aiuto: prima o poi ci ritroveremo tutti coinvolti.
Alcuni ultras in "azione".
E non è vero che a dar prova di saldi principi razzisti, di cori e atteggiamenti rissaioli, di invocazioni a picchiare a più non posso e di esercitazioni in rima baciata, dove un insulto non si fa mai mancare a nessuno, sia sempre il solito gruppetto di facinorosi «che certo non ha niente a che vedere con i tifosi veri», come si ostinano a mentire tutti i presidenti delle nostre beneamate squadre. Non è vero. Sono la maggior parte, sono Curve intere, sono autentiche legioni, ovunque, su tutti i campi d'Italia. Sono quelli che allo stadio dettano legge, impongono cori e parole d'ordine, compatti guidano e comandano. Sono gruppi preparati a questo unico scopo.Ed hanno i loro simboli, il loro linguaggio, i loro segni di riconoscimento. Sono gruppi da guerriglia sportiva: basta innescarli, prima o poi faranno il botto!. Ed hanno i loro capi, riveriti e corteggiati, che tutti conoscono e tutti ignorano. Biglietti gratis, facilitazioni nelle trasferte, persino passaggi aerei. Non c'è un presidente che abbia davvero tagliato i cordoni con simili personaggi.
Ma quanti sono i coraggiosi? Quanti sono disposti a mettere davanti a tutto i valori di una convivenza civile tra uomini di razze diverse? E quanti i presidenti pronti a compiere un gesto di rottura totale e definitiva con il luridume razzista che si manifesta a ogni partita?
Se ci sono si facciano sentire.
Poliziotti malmenati ad Avellino.
Stabiliscano di giocare a porte
chiuse, che tanto non sono più gli incassi dello stadio a determinare i
loro bilanci. Condannino apertamente giocatori e allenatori che si
fanno beccare in flagranza di razzismo, anzi stabiliscano regole certe e le inseriscano
nei contratti: il primo che sbaglia trova le valigie pronte nello
spogliatoio. Partenza immediata, e senza ritorno. Ma non ci
sono. E allora tenetevelo stretto questo campionato di padri di
famiglia con il pargolo al seguito che si trasformano in energumeni da stadio,
di giocatori che danno dello «zingaro» o del «negro di merda» ai loro colleghi,
di ignoranti senza rispetto nemmeno per se stessi, di simboli senza senso, estirpati
dalla storia più atroce degli uomini (le rune, le svastiche) e usati
come fossero gadget dalle masse giovanili senza cultura alcuna.
Tenetevelo stretto, ma non veniteci a dire che l'Italia non è un paese
razzista. Se non lo fosse non saremmo a questo punto, non avremmo
il campionato di calcio più razzista e stupido del mondo.
E non vedremmo quegli slogan inneggianti all'odio straripare
dalle tribune degli stadi per riversarsi nella nostra vita di tutti i giorni,
trasformarsi in modi di dire, pensare ed atteggiarsi. Non li sentiremmo
sulla bocca dei ragazzi Di loro ci preoccupiamo. Ma sappiamo
che la stupidità è un virus contagioso, e la cura non basta, non
è la medicina che può curarlo. Occorrerebbe una svolta, dove
tutti gli attuali portatori di violenza rinsavissero e tutti insieme si
mettessero a remare in senso contrario, giocatori e presidenti, tifosi buoni e
signori del Palazzo. Che possa accadere oggi sta solo nel mondo dei
sogni. Però da qualche parte bisogna cominciare. Forse
dalle mamme, alle quali, sentitamente, rivolgiamo un appello: proibite
ai vostri li di andare allo stadio!!!.
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