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RECENSIONE - Primo Levi, “Se questo è un uomo”

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RECENSIONE

Primo Levi, “Se questo è un uomo”, Einaudi editore, Torino 2003, .153,6.50 €.

“Ero stato catturato dalla milizia fascista il 13 dicembre 1943. Avevo ventiquattro anni, poco senno, nessuna esperienza, e una decisa propensione, favorita dal regime di segregazione a cui da quattro anni le leggi razziali mi avevano ridotto, a vivere in un mio mondo scarsamente reale, popolato da civili fantasmi sectiunesiani, da sincere amicizie maschili e da amicizie femminili esangui. Coltivavo un moderato e astratto senso di ribellione”. (.11)

In questo modo ha inizio la storia, che vede protagonisti migliaia di ebrei: la deportazione nei campi di concentramento, l’incombenza della morte, la paura, la rassegnazione, il desiderio di libertà .

A testimonianza di questa tragica esperienza, Primo Levi scrive nel 1946, pubblicando “Se questo è un uomo” nel 1947.

Levi, un ebreo italiano, il 13 dicembre 1943, è catturato dalla milizia fascista e inviato al campo di smistamento di Fossoli; il 22 febbraio 1944, inizia poi il viaggio in treno verso Auschwitz, nella cui stazione viene effettuata una prima selezione.



Al campo donne, bambini e anziani vengono separati e rassegnati sono spediti in una “camera vasta e nuda”, dove tutti sono spogliati, rasati e uccisi dal terribile gas.

La situazione dei superstiti, con il passare dei giorni, peggiora notevolmente: ventre gonfio, membra stecchite e piaghe sui piedi; Levi, dopo un incidente sul lavoro è ricoverato nel cosiddetto “Limbo”, ossia in una baracca di riposo, che interrompe i ritmi quotidiani dell’“Inferno”.

Trascorre così l’inverno e la primavera e, terminato il freddo e il gelo, adesso la preoccupazione di migliaia di persone è il caldo, i malori estivi. Fortunatamente il nostro protagonista, effettua un esame di chimica, e una volta superato, inizia a lavorare in laboratorio, migliorando la qualità vita.

Il momento più brutto è quello delle selezioni, poiché tutti per un momento mettono la loro vita a repentaglio; morti ingiuste, inaspettate, violente sono subite da molti di loro, i quali già da tempo avevano smesso di lottare, attendendo quel momento in cui tutto ciò sarebbe finito . in un modo o nell’altro.

L'incontro con Lorenzo, il quale ridiede a Levi la speranza che al di fuori di quel campo, di quella guerra, di quella follia, vi fossero ancora persone giuste ed un mondo degno di essere vissuto, diedero all'autore la forza per non abbandonarsi e anzi per darsi da fare fino in fondo per cavarsela.

'Io credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di corrotto e selvaggio, estraneo all'odio e alla paura; qualcosa di assai mal definibile, una remota possibilità di bene, perciò tuttavia metteva conto di conservarsi.' (.109)

Ammalato di scarlattina, a gennaio, è nuovamente ricoverato nel Ka-Be, Reparto Infettivi. Dopo pochi giorni, partono tutti i sani, mentre i malati rimangono nel campo. Purtroppo durante la marcia moriranno tutti, incluso Alberto, il suo migliore amico. Seguono giorni di bombardamenti e di incendi; le torrette sono ormai vuote . i tedesche sono fuggiti.

Levi, insieme con Arthur e Charles, due malati francesi, cerca di sopravvivere, provvedendo personalmente al cibo, ai medicinali, ai vari accessori e persino ad una stufa; passano in queste condizioni gli ultimi dieci giorni, in cui ormai i pochi sopravvissuti si aggirano nel Lager come “ spettri affamati”.

Il 26 gennaio, i Russi giungono a liberare il campo.

Il testo e' un'autobiografia molto realistica (l'autore stesso in una breve presentazione rileva che nessuno dei fatti e' inventato) e si propone di denunciare quali terribili orrori sono avvenuti in quei luoghi, ma invita soprattutto a riflettere sulla stupidita 'dei modelli di comportamento che hanno spinto una nazione ad annullarne un'altra.

'Vorremmo ora invitare il lettore a riflettere, che cosa potessero significare in Lager le nostre parole 'bene' e 'male', 'giusto' e 'ingiusto'; giudichi ognuno[ . ]quanto del nostro comune mondo morale potesse sussistere al di qua del filo spinato'

“Se questo è un uomo” quindi, è una testimonianza della crudeltà dell’uomo; la vita nel Lager, annulla quanto c’è di umano in ciascun prigioniero: tutti non fanno mai domande fingendo sempre di aver capito, lottano quotidianamente con la fame, rubano per sopravvivere a uomini nelle loro stesse condizioni, non hanno scrupoli di fronte al pericolo della morte . ormai avevano i giorni contati.

“Per gli uomini vivi le unità di tempo hanno sempre un valore . , ma per noi ore, giorni e mesi si riversavano torpidi dal futuro nel passato . , il futuro ci stava davanti grigio e inarticolato, come una barriera invincibile. Per noi, la storia si era fermata”.

La quotidiana lotta contro la fame, il freddo, il lavoro lascia ben poco spazio al pensiero. Tutti ormai, assumono le sembianze di bestie, prive di sentimenti, ricordi, emozioni .

L’autore divide i prigionieri in due categorie: i sommersi e i salvati ; i primi, sono coloro che non hanno saputo adattarsi alla vita del Lager, e che, spinti anche da un velo di pessimismo, soccombono, eseguendo passivamente tutti gli ordini, non mangiando nulla fuori dalla normale razione di cibo, non riuscendo a districarsi tra regolamenti e proibizioni. I salvati invece, sono coloro che, pur non rispettando perfettamente le regole del campo, riescono a sfuggire agli occhi di tedeschi e polacchi, escogitando innumerevoli espedienti per rimediare il cibo, o qualsiasi altro articolo utile per sopravvivere; Levi fa parte di questi. Infatti, aiutato dalla fortuna e dotato di astuzia, riesce ad uscire vivo da questo tremendo incubo.

Spesso è nominato Dante durante la narrazione, e Levi sembra associare il Lager con l’inferno dantesco; la prima giornata nel campo è definita antinferno.

Il Lager stesso è invece considerato la casa dei morti, e la nudità dei prigionieri può essere identificata con quella delle anime dei dannati.

Ci troviamo di fronte ad uno scrittore che intende mettere in luce tutti <<gli orrori>> di questo tragica esperienza, senza curarsi delle esigenze estetiche.

Dove erano finiti i sentimenti, il pudore, la vergogna, la compassione?

Qui, per le condizioni pessime, erano definiti i prigionieri delle <<bestie>>, ma si può adottare lo stesso termine per coloro che, spinti dalla rabbia, dall’odio, hanno sterminato migliaia di persone.

L'unica maniera per togliere ad un individuo la voglia, la rabbia e l'istinto che lo porta a desiderare di vivere è quello di porlo dinanzi a se stesso, alla propria bassezza e meschinità, all'essere costretti a calpestare tutto ciò in cui per una vita intera si è creduto.


'appunto perché il lager è una grande macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l'impalcatura, la forma della civiltà. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa ma che una facoltà ci è rimasta e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l'ultima: la facoltà di negare il nostro consenso. Dobbiamo quindi, certamente, lavarci la faccia senza sapone, nell'acqua sporca, e asciugarci nella giacca. Dobbiamo dare il nero alle scarpe, non perché così prescrive il regolamento, ma per dignità e per proprietà. Dobbiamo camminare diritti, senza strascicare gli zoccoli, non già in omaggio alla disciplina prussiana, ma per restare vivi, per non cominciare a morire.'

Essere solo un numero tra migliaia di altri numeri, non ricordare quasi più il proprio nome e i propri cari, perdere la cognizione del tempo e della vita, e soprattutto vedere nella faccia di ogni altro comno di sventura il fondo a cui può arrivare la natura umana, sapendo che lui vede lo stesso nella mia, abbiano saputo sopprimere alla maggior parte degli uomini il desiderio di sopravvivere e perfino la volontà di morire, che neanche un'intera vita di lavori forzati avrebbe potuto togliergli.

E’ come uno specchio in cui ogni persona che voglia mettersi in discussione, scongendo la paura di scoprire i lati peggiori di se stesso, può leggere, vedere e si spera capire, quanto in basso possa giungere l'uomo, senza chiedersi però come può essere avvenuto tutto ciò, perché a mio parere, se si volesse cercare di spiegare l'origine della volontà precisa di demolire un uomo in ogni sua componente fisica e soprattutto psicologica, vorrebbe affermare che se ne potrebbe trovarne un motivo, una ragione.






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