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Relazione sul libro "Un anno di Corsa" di Giovanni Accardo
Con questo libro Accardo vuole creare una caricatura spietata, serrata e talvolta non così realistica del presente che stiamo vivendo. Essa si rivela in alcuni aspetti indisponente, stereotipata e a tratti perfino noiosa.
Del presente egli denuncia il precariato e l'accentuata sperequazione sociale che, dal suo punto di vista, ostacolano la realizzazione personale e provocano un'incertezza sul futuro e un'instabilità esistenziale che può arrivare a coinvolgere anche la salute fisica.
La peggiore caratteristica del protagonista del romanzo è essere "uno come tanti", non per la sua banalità o semplicità psicologica, quanto perché rappresenta il prototipo d'uomo in cerca di lavoro. È una sorta di "Disoccupato D.O.C.": spesso fuori sede, a carico dei famigliari nella dichiarazione dei redditi, uno a cui è data la possibilità solo d'essere flessibile, di adeguarsi alle esigenze di mercato. Egli è però affetto da palesi disturbi mentali che rendono la sua angoscia un'estremizzazione dell'inquietudine che colpisce molti giovani in cerca di lavoro.
L'aspetto più preoccupante di questo giovane risiede nella sua disillusione, nella convinzione di vivere un'esistenza votata al fallimento. L'adattamento a dei lavori sottoati e degradanti non è visto come il punto di partenza di un cammino di formazione, ma come il suo compimento. Il miglioramento della propria posizione sociale e del proprio impiego è legato solo a raccomandazioni e non ai meriti personali. Su quest'ultimo aspetto della società Accardo insiste molto e sembra così ignorare la rigida meritocrazia che si crea da una competizione a volte spietata all'interno delle aziende e che mira a valorizzare i migliori.
Nonostante l'ulcera e i nervi messi sempre più a dura prova, il protagonista, che l'autore lascia anonimo cosicché venga universalizzato, continua a difendere le proprie idee, la dignità umana e la cultura, dimentico però del pregio più eccezionale degli uomini: il sapersi adattare, l'essere determinati, il fare sacrifici per raggiungere un obbiettivo. Egli sa di meritarsi più di ciò che trova sugli annunci dei giornali e perciò non accetta di svilirsi, ma d'altra parte non riesce a compiere decisivi passi verso l'agognato dottorato o verso un impiego che gli permetta di sfruttare le nozioni apprese durante il corso di laurea che ha frequentato con successo.
Il quadro finale che si presenta è quello di un uomo che non vuole vivere fino in fondo ma non rinuncia totalmente alla vita; una sorta di sognatore che immagina un mondo nel quale la realizzazione personale sia dovuta come un diritto naturale, gratuitamente, senza sforzi faticosi. Tutti sappiamo bene che non è così nella realtà, giusto o sbagliato che sia.
La prosa di Accardo è veloce e tagliente e si adatta come un guanto all'argomento trattato. I vocaboli scurrili e maleducati rispecchiano la rabbia e l'odio che alberga nell'animo del giovane anche se rendono la lettura a tratti spiacevole.
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