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SVEVO
La cultura e la poetica
E' possibile ricostruire la cultura di Svevo
attraverso l'epistolario, il Profilo
autobiografico, scritto negli ultimi
anni di vita, e articoli e saggi composti in tre periodi: il primo, fino al
1899, coincide con la collaborazione all' 'Indipendente' e a altre
riviste; il secondo è il periodo del silenzio letterario, fra il 1899 e
il 1918, nel quale Svevo di dedicò alla stesura, incompleta, di
alcuni saggi; e infine l'ultimo, fase della collaborazione con la Nazione, e
dei saggi scritti negli ultimi dieci anni di vita.
Attraverso le sue opere, e in particolare attraverso l'apologo politico La tribù, o i
saggi L'uomo e la teoria
darwiniana e La corruzione dell'anima, la cultura di Svevo
rivela un apparente aspetto contraddittorio: infatti egli da un lato fu
studioso del positivismo, di Darwin e del marxismo; dall'altro di Schopenhauer
e di Nietzsche. Subì inoltre, soprattutto negli ultimi anni, l'influenza di Freud,
il quale era portatore sia di elementi positivisti, quale la necessità
di ricondurre lo studio a chiarezza scientifica, che antipositivisti, come
l'evidenziamento dei limiti della ragione rispetto al potere dell'inconscio.
In realtà lo scrittore assunse gli elementi critici e gli
strumenti di diversi pensatori, e non il loro pensiero complessivo.
Infatti Svevo condivise con Darwin, con il positivismo in genere e con
Freud, la propensione all'utilizzo di metodi scientifici di conoscenza e il rifiuto
di una visione metafisica, spiritualistica, senza però accettare la
fiducia darwiniana nel progresso e la presunzione del positivismo di fare della
scienza una base oggettiva e indiscutibile del sapere.
Nel racconto La
tribù, uscito nel 1897 sulla rivista teorica del
socialismo italiano 'Critica sociale', in cui viene rifiutato il
percorso graduale attraverso cui l'umanità potrà giungere al
socialismo, e viene proposto di cominciare dalla fine, saltando le tappe
intermedie, lo scrittore palesa di non aver accettato il marxismo come
soluzione sociale, ma solo come strumento e come prospettiva critica di
giudizio sulla civiltà europea e sui suoi meccanismi economici e
sociali. Stessa selezione
aveva compiuto anche nei confronti del pensiero di Schopenhauer, dal quale
imparò a osservare i caratteri della volontà umana, a verificare
come ideali e programmi siano determinati non da motivazioni razionali, ma da
diversi orientamenti della volontà, i quali spingono poi gli uomini fino
a ingannare se stessi e a rimanere prigionieri delle proprie illusioni: se nei
suoi romanzi Svevo mira sempre a smascherare gli autoinganni dei suoi
personaggi e a smontare gli alibi psicologici che essi si costruiscono, dipende
certo dalla forte influenza del filosofo.
Problematico fu il rapporto con la
psicoanalisi, che pure ebbe un ruolo così importante nella sua
riflessione e nella sua scrittura letteraria: verso Freud lo spingeva
l'interesse per le tortuosità e le ambivalenze della psiche profonda,
che già aveva esplorato prima della nascita delle teorie psicoanalitiche
in Una vita e in Senilità
Ma Svevo non apprezzò la psicoanalisi come terapia, che pretendeva
di portare alla salute il malato di nevrosi, bensì come puro strumento
conoscitivo, capace di indagare più a fondo la realtà psichica,
e, di conseguenza come strumento narrativo. L'autore riconosce infatti
nell'ammalato pulsioni vitali che verrebbero spente dalla terapia.
Nella lettera a Valerio Jahvier, letterato italiano che risiedeva a
Parigi, con il quale aveva intrapreso una corrispondenza epistolare, Svevo
discute di psicoanalisi e esprime i suo pareri:
Anche sul piano del gusto letterario e delle scelte di poetica Svevo muove da maestri diversi: da un lato i realisti e i naturalisti ( Balzac, Flaubert e Zola); dall'altro invece Bourget, creatore del romanzo psicologico e Dostoevskij, che aveva scandagliato le piaghe più riposte della psiche umana.
Nell'ambito della letteratura italiana
l'opera di Svevo segna proprio il trapasso dal verismo a una nuova visione e
descrizione del reale, più analitica e introversa, svincolata da certe
cristallizzazioni tradizionalmente presenti nella narrativa, quali il
personaggio, le ordinate categorie temporali, l'univocità degli eventi:
si tratta naturalmente di un'acquisizione progressiva, poco visibile nel suo
primo libro, nettissima nella Coscienza di
Zeno
I dati realistici - la rafurazione dei vari ceti (borghesi o popolari
che siano), la rappresentazione dell'ambiente, le descrizioni degli accadimenti
- vanno incontro, nelle ine di Svevo, a una crescente interiorizzazione,
vengono cioè usati sempre più come specchi per chiarire i
complessi e contraddittori moti della coscienza. Al centro delle storie
l'autore pone sempre un solo personaggio, al quale gli altri fan da coro, per
lo più antagonista: un individuo abulico e infelice, incapace di
affrontare la realtà e che a essa costantemente soccombe, ma che nello
stesso tempo tenta di nascondere a se stesso la propria inettitudine, sognando
evasioni, cercando diversivi, giustificazioni e compromessi.
Nell'analizzare questi processi, l'inconscio, le sue canalizzazioni e le
sue mascherature, Svevo smonta l'io del protagonista, rivelando ironicamente, e
talora comicamente, le non semplici stratificazioni della psiche, tutta la sua
instabilità, in cui passato e presente, ricordi e desideri si
intrecciano reciprocamente. Ma questa indagine è anche carica di un
affetto dolente, quasi che l'autore volesse salvare dall'estrema umiliazione
della condanna il suo eroe negativo, che è in fondo il risvolto
irredimibile di noi stessi, e la cui malattia è da assimilare alla crisi
di un'intera società.
Portatore di innovazioni straordinarie, Svevo non ottenne grande
successo, se non alla fine degli anni Sessanta, quando entrò a far parte
dei classici della letteratura italiana: causa di questo tardivo successo fu
certamente la cultura mitteleuropea, più viennese che italiana, che fece
sì che egli non avesse mai alcun rapporto con la cultura letteraria
fiorentina, allora egemone a livello nazionale. Inoltre in Italia la
psicoanalisi penetrò solo negli anni Sessanta; e la mancata conoscenza
del pensiero di Freud era certamente un ostacolo alla comprensione della
grandiosità della Coscienza
di Zeno.
In secondo luogo, Svevo è totalmente estraneo all'idea di arte
propria dei letterati e critici italiani: la sua visione di scrittura come
igiene appariva incomprensibile ai suoi contemporanei. Inoltre, anche la
sintassi semplice e talora vicino al parlato, non coincideva con i canoni
armoniosi e lirici del tempo.
Riportiamo un passo da un articolo del 1926, scritto da Eugenio Montale,
grande sostenitore del poeta: Presentazione di Italo Svevo
La coscienza di Zeno
Il terzo romanzo di Svevo appare ben venticinque anni dopo Senilità, nel
1923, e per questo motivo differisce molto dai due romanzi precedenti: quelli
furono anni cruciali non solo per lo scrittore, ma anche per la società
europea, si pensi solo al fatto che si era verificato il cataclisma della
guerra mondiale, che aveva realmente chiuso un'epoca, e, sul piano culturale,
si era assistito all'imporsi di correnti filosofiche che superavano
definitivamente il positivismo e all'affacciarsi della teoria della
relatività.
Svevo abbandona il modulo ottocentesco del romanzo narrato da una voce
anonima ed esterna alla vicenda: La coscienza di Zeno è strutturato in
sette moduli, e tutti, eccetto la Prefazione sono scritti in prima persona dal
protagonista Zeno Cosini.
Il romanzo viene presentato nella Prefazione dal 'dottor S.',
analista di Zeno Cosini, come un originale, quanto non ortodosso, metodo di
analisi rivelatosi fallimentare, soprattutto dopo l'abbandono del trattamento
operato da Zeno.
A parte questo modulo iniziale tutto il resto della narrazione è
compiuta da Zeno, il quale è quindi protagonista-narratore tutto il racconto passa
attraverso il suo sguardo, che però non è uno sguardo qualunque,
egli infatti è in cura dallo psicanalista perché è un nevrotico.
La nevrosi è una malattia che porta a operare una forte rimozione,
cioè a eliminare dalla coscienza gli eventi più traumatizzanti:
egli per questo non potrà mai essere un testimone attendibile degli
avvenimenti legati alla sua malattia.
Bisogna tuttavia anche stare attenti al ruolo dello psicanalista che lo
ha in cura: nella Prefazione egli
dimostra di non essere un dottore serio ammettendo di aver deciso di pubblicare
il diario per vendetta verso il paziente, che aveva interrotto la cura, per
guadagno e per ricattare Zeno, promettendogli di dividere i guadagni della
pubblicazione solo quando avesse deciso di riprendere l'analisi.
L'ironica ura dello psicanalista non
è certo casuale: Svevo conosceva bene la psicoanalisi e Freud, del quale
aveva anche tradotto un saggio sul sogno, e non condivideva il suo utilizzo
come terapia. L'autore infatti vedeva nella nevrosi un segno positivo di non
rassegnazione e di non adattamento ai meccanismi alienanti della civiltà
che impone un regime di vita, sacrificando la ricerca del piacere.
La struttura del romanzo non corrisponde quindi a quella di un diario,
che ripercorre in ordine cronologico le più importanti fasi della vita,
ma è la storia della malattia del protagonista: tutti i temi raccontati
da Zeno sono le tappe della sua nevrosi.
Il tempo della narrazione è soggettivo, mescola piani e distanze,
in cui il passato riaffiora continuamente e si intreccia con infiniti fili del
presente, in un movimento incessante. Eventi contemporanei possono così
essere distribuiti in più moduli successivi, poiché si riferiscono a
nuclei tematici diversi e, inversamente, singoli moduli, dedicati ad un
particolare tema, possono abbracciare ampi segmenti della vita di Zeno.
Tutto il discorso di Zeno si sviluppa in una continua oscillazione tra
malattia e salute, tra coscienza e inganno, tra narrazione e riflessione, tra
bisogno degli altri e difficoltà ad instaurare con loro un rapporto, tra
desiderio e aridità sentimentale. Zeno è alla ricerca di un
equilibrio che gli sfugge continuamente e che è consapevole di non poter
raggiungere.
All'inizio del 1914 Zeno Cosini si fa
visitare dallo psicanalista 'dottor S.', il quale, prima di intraprendere la cura , invita il paziente a
raccontare la sua vita a partire dalla nascita fino a quell'anno. Pertanto fra
il gennaio e l'aprile del 1914 Zeno scrive le sue 'confessioni',
nelle quali hanno particolare risalto alcuni periodi compresi fra il 1890, anno
della morte del padre, e l'estate del 1897, anno in cui egli si reca in una
clinica per smettere di fumare, e consegna il manoscritto ( cioè i
moduli 2-7) al dottore. Nel novembre dello stesso anno Zeno incomincia la
cura che si protrae, senza alcun risultato, fino all'aprile del 1915. Nel
maggio Zeno decide di interrompere la terapia, scegliendo di farsi curare dal
dottor Paoli, e descrive in forma di diario la sua vita fino al marzo 1916. In seguito
fa avere anche questo secondo manoscritto al 'dottor
S.' il quale, come
già spiegato, lo pubblica per vendetta.
Il fumo
è il primo tema trattato dal protagonista, e la scelta è indotta
dal dottore che lo invita 'a
iniziare il suo lavoro con un'analisi storica della sua propensione al
fumo': scopriamo così che Zeno è un
accanito fumatore fin dalla adolescenza, e che ha iniziato a fumare con
un sigaro lasciato in giro per casa dal padre. Ma l'aspetto che subito viene
evidenziato da egli stesso è che appena creatosi il vizio, Zeno tenta,
invano, di liberarsene: ogni occasione, come una bella giornata, la fine
dell'anno, il piacevole accostamento delle cifre di una data, coincide con la
scritta U.S.-ultima sigaretta.
Zeno si rivolge a facoltosi medici, riempie libri e addirittura pareti
con la sigla U.S., ma non riesce a smettere: il tentativo dura moltissimi anni,
e non si realizza mai, neanche dopo essersi recato in una clinica
specialistica, pur di scappare dalla quale corrompe l'infermiera.
Il continuo rimandare un evento è tipico del nevrotico, che
così, in questo caso, può gustare sempre di più l'ultima
sigaretta.
Il secondo tema trattato dal protagonista è anch'esso legato al
vizio del fumo: infatti Zeno cerca di spegnere l'ultima sigaretta anche il
giorno della morte del
padre. Il rapporto con il padre è il primo, della
una lunga serie, di rapporti ambigui raccontati da Zeno: tra padre e lio vi
è una forte ostilità, Zeno gioca continuamente a provocare il
padre, il quale da parte sua non cerca di comprendere il lio, anzi lo
disprezza per il suo carattere troppo ironico. Il protagonista amplifica gli
aspetti non apprezzati dal padre al punto dal volerlo convincere di essere
pazzo. La situazione ha una svolta solo il giorno in cui il padre, per un edema
polmonare, è costretto a letto, e Zeno si dedica a lui giorno e notte:
una sera, nel tentativo di impedirgli di alzarsi dal letto, il lio lo
trattiene, ma il padre in un ultimo impeto di forza, rizzatosi nel letto, alza
la mano verso Zeno per colpirloe muore.
Il protagonista vede nel gesto una punizione, ultima ed eterna, del
padre: e questo crea in lui un forte senso di colpa per avere desiderato la
morte del padre. Ma soprattutto rivela la probabile origine della sua malattia:
aveva amato troppo suo madre e avrebbe voluto uccidere il padre, e l'origine
volontaria o meno del gesto del padre non può comunque attenuare il suo
senso di colpa.
Il terzo modulo è La
storia del matrimonio, in cui Zeno narra,
utilizzando molto la sua ironia, gli avvenimenti precedenti e posteriori
al grande evento.
Così come alcune mattine il protagonista racconta di svegliarsi
con l'intento di smettere di fumare, una mattina decide di cercar moglie, ma
prima ancora di conoscere la futura sposa, egli sceglie il suocero: Giovanni
Malfenti, da lui ammirato per l'abilità negli affari, per la forza di
carattere, per la grandiosa capacità di attirare l'attenzione. In
Malfenti egli vede la mancata ura paterna, e inizia così a
frequentare la sua casa: l'uomo è sposato e ha ben quattro lie.
Zeno appena entra nella casa dell'amico osserva le sue lie per
scegliere l'eletta: tutte e quattro hanno il nome che inizia per A, ma ognuna
ha una marcata caratteristica. Ada, la più grande e la più bella,
Augusta, la strabica, Alberta, lo spirito libero, che sogna di esser poetessa,
e infine la piccola, di soli otto anni, Anna.
La scelta di Zeno cade su Ada, la sorella maggiore. Da quel momento il
protagonista inizia a frequentare assiduamente casa Malfenti, facendo ogni cosa
per conquistare l'amata. Torna a suonare il violino, racconta aneddoti,
leggende e fatti mai avvenuti, cerca dunque di attirare in ogni modo
l'attenzione della fanciulla, ma più si prodiga e più lei si
allontana, e al contrario si avvicina la strabica Augusta. Costretto anche
dall'arrivo di altro un corteggiatore ufficiale, Zeno dichiara il suo amore a
Ada: l'evento è raccontato con ironia dal protagonista, che così
riesce a ridere di una situazione tragi-comica. Ma Zeno viene rifiutato, ripiega
così, preso da un vero e proprio raptus di follia, sulla sorella
Alberta, che però vuol rimaner sola per poter divenire scrittrice, e
infine, essendo Anna troppo piccola, sulla brutta Augusta.
Augusta si rivela essere la donna perfetta per lui, e Zeno impensabilmente,
se ne innamora
Per concludere analizziamo la funzione dei
personaggi minori nei confronti del protagonista: viene a mancare, rispetto ai
due precedenti romanzi, la ura dell'antagonista. Si potrebbe supporre che
all'inizio del romanzo l'antagonista di Zeno fosse, per esempio il galante
dottor Muli, libero di abbandonare la clinica a suo piacere e magari di
accomnare a casa e di corteggiare Augusta; o il padre del Cosini, che il
lio ritiene una sorta di rivale o una persona con cui competere; o Giovanni
Malfenti, il futuro suocero, al quale l'abulico Zeno cerca di assomigliare e
che considera un secondo padre; e, soprattutto, Guido Speier, giovane
avvenente, spiritoso, dinamico, allegro, intraprendente e fortunato
conquistatore di donne, in primo luogo Ada, amata da Zeno. Ma a poco a poco ci
si rende conto che le cose non stanno in questi termini e che, a parte il fatto
che il dottor Muli non si interessa ad Augusta e che Malfenti e suo padre
muoiono, nel supposto antagonismo tra Guido e Zeno il vero, definitivo
vincitore non è il primo, tradito dalla sua superficialità, dal
suo egoismo e dall'esagerata stima in se stesso, bensì proprio Zeno,
che, con l'aiuto del medesimo destino che aveva decretato la morte del cognato,
riesce a sanare in parte i fallimentari bilanci dell'azienda.
Analogamente non Ada Malfenti, la cui bellezza è guastata senza
rimedio dal morbo di Basedow, e neppure la bella Carla, desiderosa di
affermarsi nel canto con l'aiuto non proprio disinteressato di Zeno, né la
vistosa e seducente Carmen, amante di Guido, ma la saggia e positiva Augusta
è il nuovo tipo di donna proposto - polemicamente e ironicamente - da
Svevo. Augusta, ossia la donna comune, così come uomo comune è
Zeno: antieroina, come antieroe è lui; e tuttavia modello di saggezza e
di sollecitudine nello sbrigare le faccende domestiche e nell'allevare i li,
esempio di assennatezza e di attaccamento alla famiglia, tanto da suscitare,
per le sue doti di buona moglie e di madre tenera e affettuosa, la reticente o
esplicita ammirazione di Zeno. E poi Augusta 'col suo occhio sbilenco e la sua ura da
balia' è la 'salute personificata', ma
è anche portatrice della concezione borghese della vita, che in
apparenza Zeno rispetta e persino invidia, ma che non pensa assolutamente di
poter condividere e che non fa a meno di incrinare con la sua incessante
ironia.
Da un simile punto di vista la condanna della società borghese
risulta inequivocabile.
I tragici risvolti della vita della bella Ada e la salute della strabica
Augusta, che vive felice nella sua realtà in apparenza serena,
documentano l'ironia dell'autore e soprattutto l'ideologia fondamentale del
romanzo, che mira a affrontare il grande problema della vita, con riferimento
particolare a un ben concreto e definito periodo storico.
Italo Svevo, pseudonimo del triestino Ettore Schmitz, fu autore di alcune raccolte di racconti, in gran parte uscite postume (tra i quali: La novella del Buon Vecchio e della Bella Fanciulla, Vino generoso, Il Vecchione, Una burla riuscita e Corto viaggio sentimentale), di testi teatrali e di tre romanzi 'maggiori': Una vita (1892), Senilità (1898), La coscienza di Zeno (1923). Compiuti gli studi in Germania, visse a Trieste - allora appartenente all'Impero Austro-Ungarico - città intrisa di influssi etnici e culturali molto diversi tra loro. Gravi problemi economici e l'insuccesso della sua attività letteraria, lo costrinsero a impiegarsi prima in banca, poi presso un'industria.
Dopo il discreto favore con cui la critica accolse l'uscita di Una vita, seguito dal 'vuoto' che accomnò la pubblicazione di Senilità, Svevo scrive di sé: «Questo romanzo non ottenne una sola parola di lode o di biasimo dalla nostra critica. Forse contribuì al suo insuccesso la veste alquanto dimessa in cui si presentò . Mi rassegnai al giudizio tanto unanime (non esiste un'unanimità più perfetta di quella del silenzio), e per venticinque anni m'astenni dallo scrivere. Se ci fu errore, fu errore mio».
Ma in questi venticinque anni studia, scrive e non riesce a eliminare dalla sua vita «quella ridicola e dannosa cosa che si chiama letteratura». Nel 1903 prese lezioni da James.Joyce, il quale, più avanti contribuirà al successo di Svevo tessendone le lodi. Intanto, anche in Italia, grazie soprattutto a Eugenio Montale, intorno al 1925-'26, lo scrittore viene finalmente 'scoperto': si parlò, in seguito, di un vero e proprio «caso Svevo». In Francia il pieno riconoscimento del suo valore letterario, avviene tramite i critici Valéry, Larbaud e Benjamin Crémieux.
I tre romanzi, i quali costituiscono una specie di trilogia che approfondisce una tematica a sfondo autobiografico, sono tesi a cogliere l'analisi spietata dell'inconfessabilità dell'io più profondo. I protagonisti, infatti, in qualche modo si somigliano: in Una vita, il personaggio sveviano è incapace di un'esistenza estroflessa, in Senilità, diviene consapevole dell'impossibilità di incidere significativamente nella vita reale, e nella Coscienza di Zeno - ispirato alla confessione psicoanalitica di Freud - romanzo ormai pienamente maturo, il protagonista finisce per guardarsi vivere, cosciente della propria «malattia» e senza alcuna speranza, o forse volontà, di poterne mai guarire. Partito da moduli veristici e dallo psicologismo francese, ispirandosi a Zola e Goncourt, l'esperienza letteraria di Svevo si conclude infine - ormai più vicina a Proust e Joyce - con la testimonianza della crisi dell'uomo moderno che inevitabilmente deriva dal crollo della concezione classica e cristiana, e dalla coscienza dell'inevitabile fallimento di ogni tentativo di determinare in qualche modo gli eventi che lo coinvolgono
Luigi Pirandello: poesia e narrativa
Pirandello pubblicò a partire dal primo novecento poesie saggi romanzi, novelle che a partire dal 1909 furono pubblicate sul «Corriere della sera». Si affermò però soprattutto come autore drammatico, nel periodo successivo alla prima guerra mondiale. Pirandello esordì con le raccolte liriche Mal giocondo (1889), Pasqua di Gea (1891), Elegie renane (1895), cui seguì una tradu zione delle 'Elegie romane' di Goethe (1896). Poco dopo il suo ritorno a Roma, su incoraggiamento di Capuana, si dedicò alla narrativa: passò dal classicismo convenzionale delle raccolte in versi, al naturalismo ( L'esclusa , 1901) con trassegnato da un gusto soggettivistico e derisorio, grottesco ( Il turno , 1895) che cancellano il determinismo e danno risalto all'imprevedibilità dei fatti e del destino, che sarà tema domi nante in Pirandello In queste stesse opere emergono altri motivi che caratterizzano la produzione successiva: l'illusorietà degli ideali, nel quadro dell'involuzione della vita politica italica; la solitudine dell'uomo; l'incoerenza e l'instabilità dei rapporti dei rapporti sociali; gli inganni della coscienza e la necessità di una maschera; la disgregazione del mondo oggettivo; l'ironia lucidissima, spesso alternata a pietà. Nelle opere successive Pirandello approfondisce questi motivi, venendo a un superamento dei confini sociologici del suo mondo. Nel romanzo Il fu Mattia Pascal (1904) è la nascita del 'personaggio' pirandelliano sulle ceneri della 'persona'. Il problema è quello dell'autentica identità esistenziale. Protagonista del romanzo è Mattia Pascal che, allontanatosi dalla famiglia per un litigio, a Montecarlo vince una notevole somma; da una notizia di cronaca apprende che è stato ritrovato il cadavere di uno sconosciuto suicida che è stato scambiato per lui. Ufficialmente dunque Mattia è morto, e ne approfitta per evadere dalla vita sociale. Diventato Adriano Meis, la società inevitabilmente tende la sua rete: Mattia scopre che la vera identità è quella che conferisce lo stato civile, così com'è lui praticamente non esiste, non può fare una denuncia, non può sposarsi. Deluso, simula il suicidio di Adriano Meis. Tornato a casa, scopre che la moglie si è risposata e non può riprenderlo con sé. Gli resta solo il vec chio impiego nella polverosa biblioteca della città, dove rievoca la sua vicenda. I vecchi e i giovani (1913) è amara denuncia delle illusioni risorgimentali e delle speranze tradite dallo stato unitario. Il saggio L'umorismo (1908) enuncia l'avvento di un'arte umo ristica, scomposta, antigerarchica, espressione di una 'vita nu da', irriducibile all'ordine e fermentante nel 'sentimento': il 'sentimento del contrario' proprio dell'umorismo, unica realtà nella caduta delle tradizionali certezze. Il patetico, il comico, il tragico quotidiano sono la materia di questo periodo della produzione novellistica, che verrà orga nicamente raccolta nel 1922 in Novelle per un anno .
Suo marito (1911) è un romanzo a chiave d'ambientazione letteraria. Si gira (1915, poi rintitolato Quaderni di Serafino Gubbio operatore ) è il diario di un uomo-macchina che si identifica con l'occhio cinematografico. In queste opere si accentua la visione di un mondo dominato da condizioni sociali e psicologiche di inautenticità, dal continuo scambio tra realtà e finzione. E' una visione che si rivela dialetticamente, con logica paradossale e acutamente demistificatoria, soprattutto nelle opere teatrali.
Nuova violenta e dirompente la poetica e tecnica teatrale di Sei personaggi in cerca d'autore (1921). La commedia non ha divisioni in atti e scene ma due interruzioni apparentemente casuali. Mentre una comnia drammatica prova 'Il giuoco delle parti' di Pirandello, sulla scena appaiono sei personaggi: Padre, Madre, liastra, lio e due bambini. Essi nascono, spiega il Padre, dalla fantasia di un autore che però non seppe o non volle farli vivere in un'opera d'arte. Ma essi smaniano per esprimere il loro dramma e vogliono che gli attori lo recitino. Il loro dramma è questo: la Madre, dopo aver dato alla luce il lio, si è innamorata del segretario del Padre, creatura dimessa e semplice come lei. Il Padre si è fatto da parte; dalla nuova unione nascono tre li. Dopo molti anni il Padre, inconsapevole, incontra la Fi- gliastra in una casa d'appuntamenti. Il rapporto incestuoso è evitato per il sopravvenire della Madre sconvolta di trovare la lia in quel luogo e per giunta con il Padre. Il Padre vergognoso accoglie in casa tutta la famiglia, ma si crea una situazione insostenibile: il lio si chiude in un mutismo ostile, la bambina cade nella vasca e il ragazzo, che l'ha spiata morire senza intervenire, si uccide con una rivoltellata. Il Capocomico è, suo malgrado, affascinato dalla materia teatrale che gli viene proposta. Ma qui si crea il secondo dramma dei personaggi. Essi non si riconoscono nella recitazione degli attori: solo loro pos sono rappresentare, o meglio vivere, la tragedia che è poi la loro realtà. La commedia fa parte della trilogia del 'teatro nel teatro' che apre il corpus delle Maschere nude : Ciascuno a suo modo , Questa sera si recita a soggetto . Ciascuno a suo modo' (1924) è una commedia in tre atti e due intermezzi. In un giornale distribuito agli spettatori si spiega che la commedia si rifà a una vicenda reale, che ha avuto come protagonisti lo scultore La Vela, il barone Nuti e l'attrice Mo reno, che sulla scena si chiameranno Salvi, Rocca e Morello. Nuti e la Moreno assistono allo spettacolo. Quando il sipario si alza Doro Palegari sta difendendo la Morello, che tutti considerano moralmente responsabile del suicidio di Salvi. Di parere diverso è Francesco Savio. Subentrata la riflessione, si ha un mutamento d'opinione in tutti e due. Irritati dal nuovo contrasto, si sfi dano a duello. La Morello e Rocca si incontrano da Savio. Ora si parlano per la prima volta dopo il suicidio, si rendono conto di aver mentito entrambi per amore di Salvi, e si riconciliano. Nuti e la Moreno si precipitano sul palcoscenico a protestare, ma poi riconoscono che la finzione scenica ha scoperto i loro veri sentimenti e, come i personaggi che li rappresentano, si abbracciano
Nella commedia 'Questa sera si recita a soggetto' (1930), il regista Hinkfuss propone una rappresentazione 'a soggetto', sulla trama di una novella pirandelliana, con divisione in 'quadri' an ziché in atti, intervallati da intermezzi recitati. Nico Verri corteggia Mommina, una delle quattro lie di una signora di provincia troppo propensa a ignorare le convenzioni di paese e a ammettere in casa gli ufficiali del locale presidio militare. Do po averla sposata, Verri è preso da gelosia retrospettiva, riduce la moglie alla larva della spensierata ragazza che è stata un tempo. Un giorno arriva nella cittadina una sorella di Mommina, diventata cantante. Mommina, narrando alle lie la trama della 'Forza del destino' rivive i giorni lieti della giovinezza. Il dolore del contrasto di quei tempi felici con la grigia pena dell'oggi è tanto forte da stroncarla.
In questa fase è anche l'ultimo romanzo di Pirandello, Uno, nessuno, centomila , una specie di 'bilancio ideologico' della sua tarda maturità. La drammaturgia di Pirandello approda all'angoscia esistenziale con Trovarsi e Come tu mi vuoi . E nella catarsi nell'immaginario e nel simbolismo del 'mito': Lazzaro , La nuova colonia , e l'incompiuto I giganti della montagna
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