Saggio
breve: "L'eutanasia"
La notizia che il parlamento olandese ha autorizzato l'eutanasia ha rinfocolato
anche da noi il dibattito sulla 'buona morte', radicalizzando
vieppiù le posizioni dei favorevoli e dei contrari. Personalmente, credo
si tratti di un problema bioetico di notevole complessità, poco adatto
ai ferrei e irrinunciabili convincimenti e che dà adito, invece, sempre
secondo la mia modesta opinione, a dubbi personali, ripensamenti,
perplessità. Da un lato, la nostra coscienza di individui moderni, laici
e illuministi, sensibili in sommo grado ai diritti umani, ci porta a pensare
che siamo legittimi proprietari della nostra vita, liberi di condurla come ci
piace e perciò anche di interromperla quando l'esistenza ci appare troppo
dolorosa o priva di significato. Dall'altro, la nostra anima cristiana,
cattolica, romantica, che sopravvive persino in quest'epoca di sbadata
secolarizzazione, magari in forma larvata e inconscia, ma vigorosa, ci avverte
che la sfera del razionale non spiega tutto, che la vita umana possiede un
valore incommensurabile che nessun dolore può scalfire e un'aura
misteriosa, ineffabile, sacra, di cui magari ci sfugge il senso, che soltanto
oscuramente intuiamo.
In alcuni momenti ci scopriamo a pensare, insomma, che non possiamo escludere
l'esistenza di un Dio cui dobbiamo rendere conto e a cui dobbiamo la vita.
Sentiamo il suicidio (e l'eutanasia è una forma di suicidio) come
peccato. Conciliare e armonizzare questi due poli dialettici all'interno della
nostra coscienza non è compito facile. Spesso la sintesi e l'equilibrio
raggiunti sono provvisori e soggetti a ripensamenti. Il dolore e la morte, poi,
sono temi con cui l'uomo contemporaneo non ama intrattenersi e preferisce
rimuovere ed esorcizzare, stordendosi nell'attivismo e nel divertimento.
Paradossalmente ciò rende il nostro approccio a queste esperienze
rudimentale e immaturo. Ripetute ricerche confermano, ad esempio, che i medici,
in Italia in particolare, tendono a trattare il dolore fisico dovuto alle
malattie in maniera inadeguata, irrazionale, 'sottodosata'. Altri
studi sottolineano come l'esperienza della morte, sempre più spesso
relegata nell'indifferenza di una corsia di ospedale, non sia mai stata
così negata, respinta, impoverita come nelle moderne società
affluenti. Ecco, forse essere a favore dell'eutanasia, della 'buona
morte', significa oggi principalmente ridare significato e dignità
ad esperienze come il dolore, la morte, la solidarietà fra gli uomini.
Significa farsi responsabile carico dei problemi generati dalla sofferenza dei
malati terminali di cancro o di qualche altra grave patologia, di chi è
costretto a condurre un'esistenza ai limiti dell'umano. Ma i distinguo da
operare sono tanti e difficilissimo è generalizzare. Alla società
vengono richiesti sensibilità e un diffuso e sviluppato senso di
responsabilità. Per esempio: se la persona è incosciente, chi
decide? E qual è il confine preciso fra il legittimo intervento
sanitario per salvare una vita e quello che viene definito accanimento
terapeutico?
Certo che no, a mio giudizio, a un'eutanasia affidata alla discrezione di un
comitato di medici e infermieri, ai calcoli economici degli amministratori,
agli interessi egoistici dei familiari. Sì, forse, a un'eutanasia voluta
in modo inequivoco e reciso dalla persona sofferente, allo stremo, senza
più alcuna speranza, in grado di esprimere (o che aveva già
espresso) una ferma e meditata volontà di porre fine alla propria
esistenza, date determinate drammatiche condizioni. Può succedere, più
di frequente di quanto si pensi, che chi soffre, anche intensamente, sia ancora
fortemente attaccato alla vita. In questo caso, penso che chi decidesse al suo
posto, che è giunto per lui il momento di lasciare questa terra, non gli
darebbe una 'buona morte', ma commetterebbe un'ingiustificabile
omicidio. Il pericolo cui ci espone l'ideologia occidentale contemporanea
è di considerare umano soltanto chi è giovane, sano e produttivo.
La malattia e la morte appartengono alla sfera dell'umano come la buona salute.
Sono esperienze dense di significato, non pesi che ci impediscono di consumare
e divertirci, costi sociali da abbattere, inevitabili scorie di cui disfarsi al
più presto.