italiano |
Titolo: Una donna
Autore: Sibilla Aleramo
Biografia
Sibilla Aleramo, nome d'arte di Rina Pierangeli Faccio, prima di quattro li, nacque ad Alessandria nel 1876. Il padre era laureato in scienze, la madre era amante di musica e poesia. Frequentò le elementari a Milano dove visse fino al 1888 quando con la famiglia, a causa del cambiamento di lavoro del padre, dovette trasferirsi a Porto Civitanova nelle Marche.
A soli dodici anni iniziò a lavorare come contabile nella fabbrica diretta dal padre. Appassionata di lettura ampliò la sua cultura da autodidatta studiando appassionatamente.
Nel
I molteplici tragici eventi familiari la spinsero a trovare conforto nella scrittura.
Nel 1898 iniziò a collaborare con alcuni giornali ai quali inviava i suoi articoli che concernevano soprattutto la disuguaglianza tra uomo e donna e la condizione sociale della donna a quell'epoca. Credeva fermamente nei movimenti femministi che avrebbero contribuito all'emancipazione della donna.
Nel 1899 iniziò le prime recensioni letterarie. In quell'anno si trasferì a Roma con il marito e il lio e le fu offerta la direzione del nuovo settimanale "Italia Femminile". Alla fine del 1900 dovette ritornare a Porto Civitanova: Sibilla Aleramo era ormai una ura di spicco nel mondo letterario e non solo una firma.
Verso la fine di febbraio del 1902 stanca di essere sottomessa e ricattata dal marito che non l'aveva mai amata, prese con coraggio una dolorosa decisione, lasciò il marito e l'amato lio e raggiunse la sorella a Roma dove ebbe inizio, come lei stessa amava dire, la sua "seconda vita".
In un pomeriggio di fine giugno di quell'anno iniziò a scrivere il suo primo romanzo autobiografico "Una donna".
Il libro ebbe larghissimi consensi in Italia e all'estero e gli permise di introdursi nell'ambiente intellettuale ed artistico di quegli anni. Oltre a continuare a scrivere romanzi, Sibilla Aleramo si interessò di problemi sociali, promosse l'istruzione per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni, operò in numerose iniziative di carattere assistenziale e si impegnò intensamente anche in campo politico.
Morì a Roma dopo lunga malattia nel 1960.
Nel romanzo "Una donna" Sibilla Aleramo è la protagonista. Sono di grande risalto anche le ure del padre del quale Sibilla non solo era affascinata ma aveva anche una adorazione illimitata, della madre debole e sottomessa al marito che non si opponeva mai ai desideri della lia e infine del marito poco intelligente, incolto e violento.
Il racconto inizia col ricordo del periodo della sua fanciullezza che fu libera e spensierata, infatti ella ricorda la bambina che era e le sembra un sogno tanto era bello quel periodo.
Per parecchio tempo, nei momenti tristi della sua vita, rivivendo quei momenti le veniva da pensare alla vera felicità.
lia primogenita di quattro li, preferita dai genitori, dopo una infanzia serena e una adolescenza vivace, all'età di dodici anni si trasferì con la famiglia da Milano in una cittadina dell'Italia Meridionale, in quanto il padre aveva ottenuto la direzione di una industria chimica.
Dopo alcuni anni che risiedeva nel nuovo paese, appena adolescente, dovette interrompere gli studi per occuparsi della fabbrica diretta dal padre.
Improvvisamente si trovò sola, senza amiche, isolata e a dover convivere con la mentalità della gente locale che giudicava male una donna che lavorava in fabbrica, perché il ruolo della donna era quello di cucire, ricamare e badare alle faccende di casa.
Neppure la mamma le poteva essere di conforto. La donna era poco considerata dal marito e giorno per giorno si chiudeva in sé stessa, finchè un giorno presa dalla depressione tentò il suicidio gettandosi dal balcone, ma miracolosamente si salvò.
Dopo quel brutto momento sembrò che tutto fosse tornato alla normalità, quando Sibilla venne a conoscenza dei continui tradimenti del padre nei confronti della madre con una ragazza molto giovane. Il mondo improvvisamente le cadde addosso e da quel momento perse la fiducia e la stima verso suo padre e non fu più in grado di riacquistarla.
In quel periodo la protagonista trovò l'amore. Era un giovane più grande di lei, collega d'ufficio, che lei desiderava amare a tutti i costi, nonostante fosse incolto e geloso.
Si trovò, ancora giovanetta, a doverlo sposare in quanto un giorno abusò di lei e per riparare la fece sua moglie.
Questo avvenimento si ripercosse per tutto il corso della sua esistenza. Il matrimonio si rivelò subito un fallimento, fu da subito infelice.
La protagonista rimase incinta ma perse subito il bambino. Dopo un periodo di depressione riuscì ad avere un lio che a tutti i costi voleva crescerlo dandogli il suo latte, ma purtroppo non gli fu possibile in quanto non aveva più latte per nutrirlo e quindi dovette affidarlo ad una nutrice.
Intanto la solitudine, la repulsione per il marito che sentiva di non amare e la vergogna che dovette subire a causa di un giudizio ingiusto e affrettato da parte di tutto il paese, la spinsero a tentare il suicidio bevendo del veleno, ma fortunatamente l'intervento immediato del marito la salvò.
La donna da quel giorno decise di cambiare vita, impegnandosi a migliorare i rapporti col marito. Si dedicò completamente alla lettura, alla meditazione e all'amore per il lio.
La perdita del lavoro del marito a seguito di un diverbio col padre di Sibilla condusse tutta la famiglia a Roma dove la protagonista trovò lavoro in una casa editrice. Questa nuova vita le diede energia e voglia di rinascere. Aveva iniziato a frequentare i teatri, i musei e aveva fatto amicizia con un gruppo di donne.
Ben presto divenne molto amica della sua principale, una donna che apparentemente sembrava avesse tutto: soldi, carriera, famiglia, ma che in realtà soffriva tremendamente come aveva sofferto la protagonista.
La felicità di Sibilla si interruppe quando improvvisamente il lioletto di cinque anni si ammalò di meningite. Furono momenti di tensione, di paura di perderlo. La malattia durò alcuni mesi e per permettere al bambino di ristabilirsi la famiglia si concesse una vacanza in montagna.
Al ritorno dalla vacanza il marito ricevette l'offerta di ritornare al paese a dirigere la fabbrica del suocero che improvvisamente decise di abbandonare il lavoro per ritornare a Milano. Dopo diversi tentennamenti il marito si trasferì al paese d'origine lasciando momentaneamente la moglie a Roma con il lio e la domestica in quanto in quel periodo un'amica cara, conosciuta durante la loro permanenza a Roma, si era ammalata gravemente e necessitava di assistenza.
Proprio nel periodo in cui Sibilla si trovò sola col bambino si rese conto di non avere mai amato suo marito e di averlo sposato soltanto per evitare chiacchiere in paese e per paura che la gente la potesse definire una ragazza facile e una poco di buono.
Al ritorno a Roma del marito la protagonista gli propose una separazione amichevole, pensando che lui accettasse, ma la sua reazione fu violenta e iniziò a percuoterla. A questo punto Sibilla rassegnata gli chiese perdono e gli disse di non avere mai pensato a ciò.
Dopo avere chiarita la situazione il marito ritorna al paese lasciando nuovamente Sibilla e il bambino a Roma per poter assistere l'amica che nel frattempo si era aggravata. Sibilla continuò a soffrire in silenzio e a piangere per non essere riuscita a chiudere il suo matrimonio.
Alla morte dell'amica la protagonista raggiunse il marito al paese e lo trovò più affettuoso e meno rude di prima. Nella sua casa non trovò più nessuno dei suoi cari: i genitori, il fratello e una sorella erano tornati a Milano, mentre l'altra sorella si era sposata e si era trasferita nel Veneto.
Si rese conto che era sola, aveva solo la comnia del lioletto. Il ritorno nella casa paterna dove aveva vissuto diversi anni della sua adolescenza, gli fece ricordare i momenti passati con la mamma della quale trovò delle vecchie lettere scritte al proprio padre confidandogli la sua sofferenza a causa del marito, ma lo assicurava che non l'avrebbe mai lasciato per amore dei li.
Sibilla capì che per suo lio era necessario rimanere col marito, anche a costo di sacrifici e, nonostante che le liti e le incomprensioni seguitassero, cercò di fare crescere il piccolo in una famiglia unita.
La vita man mano che passavano i giorni diventava sempre più insopportabile, dalle liti si passò alle botte, finché la protagonista stremata decise di partire, ma quando lo comunicò al marito, lui disse che avrebbe acconsentito purché il bambino rimanesse con lui.
Con un dolore immenso che gli spezzava il cuore, dopo avere salutato il bambino nel suo lettino, promettendogli che presto sarebbero stati di nuovo insieme, prese coraggio e partì per Milano dove l'attendevano il padre e la sorella.
Nonostante gli interventi del padre e degli avvocati passarono i giorni e i mesi, ma Sibilla con grande sofferenza attese invano il lio. Le sue lettere non ebbero mai una risposta perché non gli venivano recapitate e nella speranza di non essere dimenticata da suo lio, scrisse un libro perché le sue parole lo potessero raggiungere.
Così termina il romanzo "Una donna" che ci presenta una protagonista intelligente e coraggiosa che ha lasciato un'importante testimonianza sulla condizione femminile in quell'epoca e che ha lottato con fermezza per il cambiamento e per il rispetto dei diritti delle donne.
Emilio Cecchi nella Postfazione del libro scrive: "Nella condizione in cui le è toccato a vivere, non poteva che raccontare la "via crucis" della sua solitudine simile a quella di tante altre donne di quell'epoca, creata da motivi determinanti: le eredità familiari, le difficoltà economiche, le incompatibilità regionali, l'ipocrisia, l'ignoranza, le superstizioni, ecc.".
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