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Sergio Corazzini (1886-l907)
Le sue poesie dimostrano una lucida consapevolezza della malattia e della condanna che pesa su un'adolescenza che non potè mai trasformarsi in età adulta.(si ammalò di tubercolosi)
Corazzini non nasconde la propria debolezza, ma piuttosto la esibisce identificando in essa la sua stessa poesia.
Per Corazzini, al contrario di D'Annunzio, la vita vera è quella di un giovane malato, che la malattia accomuna a tanti altri, e la poesia non aspira al sublime, ma all'autenticità, che si trova nella sofferenza e nell'esperienza reale del dolore. Proprio per questo nei suoi testi non trovano spazio sentimenti eroici, ma l'amore per le cose semplici e per le tristezze comuni.
La ura del fanciullo rimanda per alcuni aspetti al fanciullino pascoliano, ma questo era usato come mezzo per scoprire la verità attraverso l'innocenza infantile, mentre quello di Corazzini riflette la reale condizione di un'adolescenza priva di futuro, che cerca nella regressione un conforto alla sofferenza. Il fanciullino in pascoli è il garante, per il poeta, di un privilegio e di una funzione sociale, mentre quello di corazzini, dichiarandosi non poeta, prende atto della crisi che investe nella società moderna quel privilegio e quella funzione.
Il tono dimesso, lamentoso e incline al pianto rappresenta il rifiuto di una tradizione letteraria ancora aulica e solenne, assumendo quindi il significato della ribellione. Il lessico si apre ai materiali dell'esperienza quotidiana, rifiutando di correggerli o sublimarli; la presenza cospicua di un vocabolario poetico tradizionale non implica un desiderio di distinzione aristocratica, ma il riferimento ad un codice comunicativo comune e quasi banale, senza alcuna ricerca di eccezionalità o stravaganza. Per quanto riguarda la metrica troviamo l'uso di metri tradizionali alternati al verso libero, talvolta allungato fino a sfiorare un registri a mezza via tra la prosa e l'andamento di una preghiera.
Ha intitolato una sua raccolta "Piccolo libro inutile" e l'aggettivo si riferisce all'inutilità della poesia ed è un modo per mettere la poesia stessa in conflitto con la condizione della mercificazione e con l'ideologia produttivistica della funzionalità e dell'efficienza.
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