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UMBERTO SABA
Nasce nel 1883 a Trieste, da mamma ebrea e padre cattolico, che però lo abbandona prima che nasca. L'abbandono del padre influenza l'esistenza di Saba, provocando in lui un senso di esclusione dalla società (soprattutto perché si trova a metà fra ebrei e cattolici) e un rapporto problematico don le donne.
La sua cultura è da autodidatta (inizialmente lavorava come impiegato), studia molto i classici italiani e, più avanti anche Freud e Nietzsche. La sua prima pubblicazione del 1910 però ha poco successo; gestendo in seguito una libreria trova il modo per pubblicarsi da sé.
Opere
Nel 1921 raccoglie tutti i suoi versi nel "Canzoniere", diviso in diverse parti, ciascuna con un sottotitolo. L'ultima edizione è del 1961, in quanto egli lo teneva sempre aggiornato man mano che scriveva poesie.
Nel 1948 pubblica la "Storia e cronistoria del Canzoniere", una rilettura in prosa della sua opera con commenti, nella forma di una tesi di laurea immaginaria.
Tra le opere postume troviamo un romanzo incompiuto "Ernesto" e uno scritto teorico del 1911 (immaturo), utile per capire la sua poesia, "Quello che resta da fare ai poeti" ; secondo lui i poeti devono cercare una poesia onesta, che metta d'accordo la letteratura e la vita, per conoscere le verità profonde dell'anima delle cose.
Saba infatti dà la preferenza all'impegno morale alla ricerca della verità, seguendo un ideale più simile a Manzoni rispetto l'estetismo raffinato di d'Annunzio; questa poesia onesta, infatti, si oppone a quella del superuomo, che come modo espressivo usava la retorica.
Il risultato di questi presupposti, è una poesia che non esclude nessun aspetto della vita, con una componente autobiografica e improntata sul desiderio di raccontare, diventando più narrativa che lirica.
Fino alla sezione del Canzoniere "Parole" (esclusa), la lingua e il metro sono conservatori, il linguaggio è chiaro e facilmente comprensibile, il tono medio e quotidiano (quando però la poesia diventa più solenne il tono si alza, comunque nella tradizione classica italiana), la sintassi è integra e la metrica ama le forme tradizionali come la canzone o il sonetto.
Dal punto di vista ideologico ha molti punti vicini con Leopardi:
Valorizzazione dell'individualità
Diffidenza nella superiorità dell'uomo e della ragione umana
Una concezione di fondo materialista
Diffidenza per grandi sistemazione teoriche, che pretendono di risolvere tutto e propongono orizzonti di felicità
Fra i motivi poetici torna la contemplazione in un luogo appartato
Nel Canzoniere possiamo notare delle sovrapposizioni di parti successive, date dalle continue rielaborazioni. Alla fine comunque c'è una poesia dedicata ad Ulisse, l'eroe della ricerca, che diventa la ura del poeta.
Fra il 33/34 c'è la svolta, con "Parole": la poesia diventa meno narrativa, più lirica, breve ed essenziale nella struttura.
La capra
È una canzone libera in cui troviamo una voce narrante che parla all'animale, situazione che ricorda il Canto notturno di Leopardi (Arhg); a ricordare Leopardi (Arhg) c'è inoltre il dolore che è comune a tutti gli esseri viventi ("Belato fraterno"). Questa capra, ha qualcosa di umano, come il "viso semita", ma l'umanizzazione continua con il tema del dolore che si esprime ad una sola voce. Un altro motivo leopardiano (Arhg) si trova negli ultimi due versi, che ricordano ancora il canto notturno.
Trieste
È una canzone di endecasillabi, quinari, settenari e un trisillabo, legati da rime baciate. Il poeta si identifica con la prima persona narrante, che si rivolge alla sua città (personificata), che è oggetto di un sentimento profondo e conflittuale (vs 13 - 14), e che lascia trasparire una vena di sentimentalismo, vedi FIORE - AMORE. Troviamo qui il motivo dell'osservazione da luogo appartato, "L'erta salita" nel vs 2. Un altro motivo leopardiano (Arhg) è il contrasto fra la città, che è viva (vs 23) e il poeta, che è in disparte.
La città vecchia
È la poesia complementare a Trieste, perché vista dai bassifondi, quindi troviamo un contesto umile, e dei personaggi umili, osservati con uno sguardo che da un lato ricorda quello paternalistico di Manzoni, dall'altro ha qualcosa di decadente.
A mia moglie
La moglie si chiama Lina. La poesia è formata da settenari con rime irregolari. Si tratta di una poesia originale, ma che si inserisce comunque nella tradizione poetica antica, quella della donna idealizzata, o inquadrata in tipi ben definiti; in questo caso abbiamo degli accostamenti con gli animali J, al fine di attaccare il mondo femminile, ma in modo indefinito, secondo la logica mitopoietica, cioè creatrice di miti. Come il mito rispecchia la realtà, così le donne da lui rappresentate rispecchiano le donne reali. Un precedente lo troviamo in Senofane, in letteratura greca.
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