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X Agosto - Giovanni Pascoli
La famosissima poesia "X Agosto" è una delle opere più celebri del poeta italiano Giovanni Pascoli, grande esponente della corrente del simbolismo e del movimento letterario del decadentismo. Tratta dalla raccolta Myricae, essa è dedicata alla morte del padre, assassinato in condizioni misteriose il 10 agosto del 1867. La poesia è una fitta rete di simboli, che richiamano la sua visione pessimistica della vita e il suo frequentemente citato concetto del "nido", inteso sia come dimora che come nucleo famigliare.
Il primo vero simbolo si può ritrovare già nel titolo: il 10 agosto, rappresenta, oltre al giorno della morte del padre di Pascoli, la notte di San Lorenzo, famosa per le sue stelle cadenti. Il poeta vede questo particolare e splendido fenomeno naturale in modo completamente diverso e con gli occhi di un uomo sofferente e rattristato, che riconosce nelle comete le lacrime di un grande pianto, quello di un cielo disperato e deluso, proprio come Pascoli.
Questo concetto viene evidenziato molto nella prima strofa, quando il poeta, evocando proprio San Lorenzo, spiega come vede la notte delle stelle cadenti: non come un particolarissimo fenomeno astronomico, ma come un grandioso pianto divino che interessa tutto il cielo e che in un certo senso fa comnia al poeta che appare come un uomo deluso, tradito dal destino che ha agito in modo veramente crudele. Proprio in questa strofa riusciamo a percepire quale fu la cultura impartita al poeta: con le parole "tanto di stelle", intravediamo una costruzione latina, il che presuppone un corso di studi classici, percorso che Pascoli effettivamente scelse.
Con la strofa successiva, comincia la sua complessa rete di allegorie e
di metafore: egli paragona alla morte del padre, quella di una rondine che
doveva tornare al nido per nutrire i suoi piccoli, ma che essendo stata uccisa
durante il tragitto, lascia i suoi "rondinini" affamati e purtroppo, morenti.
Oltre a questa prima metafora superficiale, il poeta introduce altri elementi
rilevanti in questa strofa: nel verso 5 utilizza la parola "tetto" per
descrivere il nido, questa volta in senso letterale e non come metafora
dell'ambiente famigliare; evidentemente questa espressione è collegata a
quella della fine del verso
Queste prime tre strofe contengono il primo dei due termini di paragone introdotti da Pascoli, che mette in parallelo, la morte della rondine con quella di suo padre ed esprime quanto sia straziante l'attesa dei piccoli, proprio come fu quella della famiglia del padre del poeta, oltre che totalmente vana.
Nella strofa successiva viene introdotto invece il secondo termine di paragone: la morte del padre di Pascoli. Viene citato il cosiddetto "nido", questa volta con il tipico valore metaforico che Pascoli solitamente attribuisce a questo vocabolo. Nel secondo verso viene evidentemente ripresa l'immagine religiosa citata precedentemente "l'uccisero; disse: Perdono". Addirittura la parola Perdono viene scritta con la lettere maiuscola, proprio a ricordare quello che fu il perdono per antonomasia, pronunciato da Cristo morente sulla croce.
Nel verso successivo viene introdotta un'immagine molto suggestiva che ci evidenza come il padre, nonostante il perdono, trascorse i suoi ultimi istanti di vita. L'espressione "restò negli aperti occhi un grido" ci suggerisce una morte violenta, sofferta e con la grande volontà di andare avanti, resistere per raggiungere i cari, e consegnare loro quelle due bambole che portava in dono, proprio come il verme della rondine caduta tra i rovi. Quando Pascoli parla dei doni del padre inserisce una reticenza proprio per riprendere anche con il significante questa idea di interruzione, di come sia stata troncata la vita di un uomo e con essa le speranze dei suoi famigliari.
Ora nella casa "romita", cioè solitaria e desolata, aspettano un uomo che non arriverà mai, proprio come i piccoli sofferenti e affamati sul tetto. E il pover'uomo è morto triste, assassinato da questo Male sovrano che oscura gli animi umani e, proprio secondo il poeta, con un ennesimo esempio poco più avanti, si diletta a mettere in secondo piano il Cielo e il Bene, che deludendo l'umanità non interviene e lascia alla Morte compiere il suo ingrato compito.
Questo concetto viene infine espresso con un'immagine molto forte, a partire dal verso 21: il poeta parla direttamente al Cielo, elogiandolo e mettendolo in contrapposizione con quello che esprime con l'ultimo verso, forse il più importante di tutto il componimento.
Il Cielo piange, mentre il male di tutto l'universo si concentra in un unico atto, diventa, seppur una particella infinitesimale, un momento di pessimismo e tragicità estrema. Viene descritto come un "atomo opaco del Male": l'ultima parola, scritta con l'iniziale maiuscola ci suggerisce come Pascoli vede il male come un'entità separata, sullo stesso livello del Cielo divino ma purtroppo, in questo caso vincente. E' una particella "opaca", che non brilla cioè di luce propria, è una forza oscura, cupa e funesta.
Con questi ultimi, splendidi versi si conclude la lirica, lasciando intuire un interrogativo dell'autore, che si chiede come sia possibile che esistano atti di così grande malvagità.
X Agosto è una poesia incredibilmente suggestiva e permeata di una grande tristezza, proprio quella che il giovane Pascoli provò vedendo il corpo esanime del tanto amato padre.
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