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Ab Urbe Condita libri, I
Durante la prima fase del tumulto Numitore, che ripeteva che i nemici avevano invaso la città ed assalito la tenda reale, dopo aver richiamato la gioventù di Alba nella rocca per difenderla con un presidio e con le armi, dopo che vide affrettarsi giovani che si congratulavano per la strage eseguita, convocata subito un'assemblea, rivelò le colpe del fratello nei suoi confronti, l'origine dei nipoti, com'erano stati generati, come allevati, come riconosciuti, poi l'uccisione del tiranno e (infine) di essere l'autore di questo. Poiché i giovani, entrati in ordine nel mezzo dell'assemblea, avevano salutato il (loro) parente re, una voce di consenso sorta dalla folla (gli) riconobbe l'appellativo e il potere legittimo. Così, affidato il governo di Alba a Numitore, il desiderio di fondare una città in quei luoghi dove erano stati abbandonati e cresciuti prese Romolo e Remo. E il numero di Albani e Latini era grande; a questo si erano uniti anche dei pastori, che tutti insieme nutrivano la speranza che piccola sarebbe stata Alba, piccola Lavinia, in confronto a quella città che si sarebbe fondata. Intervenne quindi su questi progetti un male ereditario, il desiderio di regno, e in seguito, da un inizio piuttosto pacifico, nacque una vergognosa contesa. Siccome erano gemelli e il rispetto dell'età non poteva porre una differenza, affinché gli dei, sotto la cui protezione si trovavano quei luoghi, scegliessero per mezzo di auspici chi dovesse dare il nome alla nuova città, chi la dovesse governare (una volta) fondata, presero, come luoghi scelti per scrutare (gli auspici), Romolo il Palatino, l'Aventino Remo.
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