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Tacciato di infamia da molti, tre autorevolissimi storici lo hanno esaltato con somme lodi: Tucidide, che visse nella sua stessa epoca, Teopompo, che visse qualche tempo dopo, e Timeo: questi due, nonostante fossero molto maldicenti, non so perchè, sono concordi nell'esaltare solo lui. Hanno infatti celebrato le cose di cui prima abbiamo parlato ed hanno aggiunto questo: sebbene fosse nato nella più che splendida città di Atene, superò chiunque in splendore e prestigio; dopo che venne espulso dalla patria, andò a Tebe, e si adattò alle loro abitudini al punto che nessuno poteva uguagliarlo nell'operosità e nella forza fisica (tutti i Beoti, infatti, tengono più alla robustezza dei corpo che all'acume dell'intelletto); ugualmente presso gli Spartani, la somma virtù dei quali era riposta nella capacità di sopportazione, si dedicò ad una vita austera tanto da superare gli Spartani nella frugalità del mangiare e del vestire; visse presso i Traci, uomini dediti al vino e alla lussuria: superò anche loro in queste abitudini; si recò dai Persiani, per i quali il più grande motivo di lode stava nell'essere abili cacciatori e vivere nel lusso: imitò così bene i loro costumi da suscitare in questo la loro ammirazione. Insomma, con queste sue capacità ottenne che, dovunque si trovasse, fosse considerato il migliore e fosse il più amato. Ma abbiamo detto abbastanza di costui: passiamo ad altri.
Temistocle rese gli Ateniesi espertissimi nella guerra navale. Quanto ciò sia servito per la salvezza dell'intera Grecia, lo si conobbe durante la guerra contro i Persiani. Infatti dato che Serse portava guerra in tutta Europa per terra e per mare, la invase con delle truppe tanto ingenti quanto nessuno né prima né dopo ebbe mai: la sua flotta era infatti di milleduecento navi da guerra, e la seguivano duemila navi da trasporto, mentre l'esercito terrestre fu di settecentomila fanti e quattrocentomila cavalieri. Poiché era stata diffusa la notizia del suo arrivo e si diceva che soprattutto gli Ateniesi erano presi di mira a causa della battaglia di Maratona, essi andarono a Delfi per consultare l'oracolo su cosa dovessero fare a proposito della loro situazione. Pizia rispose a quelli che la consultavano di difendersi attraverso delle mura di legno. Dato che nessuno capiva a cosa si riferiva questo responso, Temistocle li convinse che era consiglio di Apollo che portassero se stessi e le loro cose sulle navi: egli diceva che era infatti questo il muro di legno indicato dal dio. Approvata questa decisione, aggiungono ai precedenti altrettanti triremi e trasportano tutte le loro cose che potevano essere mosse un po' a Salamina, un po' a Trezene: consegnano la rocca ai sacerdoti e a pochi anziani per curare le cose sacre, abbandonano il resto della città.
CONSOLATO E CENSURA DI CATONE
Esercitò il consolato con L. Valerio Flacco, ottenne in sorte la provincia della Sna Citeriore, e da là riportò un trionfo. Visto che soggiornava là troppo a lungo, P. Scipione l'Africano, console per la seconda volta, del quale egli era stato questore durante il precedente consolato, voleva scacciarlo dalla provincia e prenderne il posto, ma non riuscì ad ottenere ciò attraverso il senato, nonostante che, senza dubbio, Scipione fosse il personaggio più eminente nella cittadinanza, poiché allora lo Stato veniva amministrato non in funzione dell'autorità ma del diritto. Arrabbiato, per tale motivo, con il senato, terminato il consolato rimase a Roma come privato cittadino. Catone, invece, eletto censore con lo stesso Flacco, presiedette quell'incarico con serietà. Infatti sia rivolse dei provvedimenti verso parecchi nobili sia aggiunse molte nuove direttive all'editto, affinché con ciò fosse arginato il lusso, che già allora iniziava a diffondersi. Per ottant'anni circa, dalla giovinezza fino alla vecchiaia, non cessò di raccogliere inimicizie a causa dello Stato. Attaccato da molti, non solo non subì alcuna diminuzione della sua fama, ma, fino a quando visse, crebbe nella lode delle proprie virtù.
Per Cimone, ad esempio, uno degli Ateniesi più
grandi, non era cosa turpe avere come moglie una sorella consanguinea, visto
che i suoi concittadini seguivano la stessa usanza; quata
cosa secondo i nostri costumi, invece, è considerata un'empietà.
A Creta è motivo di lode per i giovani aver avuto il maggior numero
possibile di amanti. A Sparta non c'è vedova per quanto nobile che non
si rechi, a seguito di una ricompensa, ad un banchetto. In quasi tutta
Ificrate, Ateniese, combatté una guerra contro i Traci;
rimise sul trono Seute, alleato degli Ateniesi.
Presso Corinto comandò l'esercito con tanta severità che mai in
Grecia si ebbero delle truppe né più addestrate né più attente
agli ordini; e le abituò a tal punto che, una volta dato il segnale di
battaglia dal comandante, mantenevano le posizioni senza l'intervento del
comandante talmente ordinate che sembrava che ognuno fosse stato messo al
proprio posto da un comandante espertissimo. Con un tale esercito
annientò un reparto di Spartani; tale fatto venne largamente diffuso in
tutta
Sebbene egli fu accusato per l'insuccesso di Paro, fu un'altra tuttavia la causa della sua condanna. Gli Ateniesi, infatti, a causa della tirannide di Pisistrato che c'era stata pochi anni prima, avevano paura del potere di tutti i loro concittadini. Sembrava che Milziade, occupatosi molto delle cariche civili, non potesse essere un privato cittadino, tanto più che sembrava essere attratto dalla bramosia di comando dalla consuetudine. Infatti in tutti quegli anni in cui aveva abitato nel Chersoneso aveva ottenuto una sovranità perpetua ed era stato chiamato tiranno, sebbene legittimo. Non aveva infatti ottenuto la tirannide con la forza ma attraverso il desiderio dei suoi concittadini, e manteneva questo potere con l'onestà. Ma sono detti e considerati tiranni tutti coloro che hanno sovranità perpetua in quella città che si avvale della libertà. Ma c'era in Milziade sia una somma umanità sia una straordinaria affabilità, a tal punto che non c'era nessuno di umili origini a cui non permettese di avvicinarglisi; aveva grande autorità in tutte le città, un nome glorioso e la massima lode militare. Il popolo, tenendo in considerazione tutte queste cose, preferì che fosse condannato lui innocente piuttosto che vivere più a lungo nel timore.
Del popolo dei Macedoni due re furono di gran lunga superiori agli altri riguardo alla gloria delle loro gesta: Filippo, lio di Aminta, e Alessandro Magno. Di questi il secondo morì per una malattia a Babilonia; Filippo venne ucciso da Pausania ad Egia, nei pressi di un teatro, mentra andava ad assistere agli spettacoli. Degli Epiroti uno solo, Pirro, che combatté contro il popolo Romano. Egli, mentre assediava la città di Argo nel Peloponneso, fu colpito da una pietra e morì. Uno solo anche dei Siculi, Dionigi il Vecchio. Infatti egli fu valoroso ed esperto della guerra e, qualità non facili da trovare in un tiranno, assai poco libidinoso, né lussurioso, né avaro, insomma avido di nulla se non di un potere individuale ed eterno e, per questo, crudele. Infatti mentre cercò di rafforzarlo, non risparmiò la vita di nessuno di quelli che credeva glielo insidiassero. Egli aveva ottenuto la tirannide con valore e la conservò con grande prosperità. Infatti morì ad un'età superiore ai sessant'anni con un regno fiorente, e in così tanti anni non vide mai il funerale di qualcuno della sua progenie, nonostante avesse generato li da tre mogli e gli fossero nati molti nipoti.
Per frenare la marcia forzata di Antigono Eumene utilizza il seguente stratagemma. Invia alcuni uomini fidati alle pendici dei monti, che si trovavano di fronte alla strada dei nemici, con l'ordine di accendere, al calare della notte, grandissimi fuochi per il più ampio spazio possibile, di smorzarli al secondo turno di guardia, di ridurli al minimo al terzo e, fingendo la consuetudine degli accampamenti, di infondere in questo modo nei nemici il sospetto che in quei luoghi ci siano degli accampamenti, e che la notizia del loro arrivo li abbia preceduti; che facciano la stessa cosa la notte seguente. Quelli che avevano ricevuto gli ordini li eseguono in maniera scrupolosa. Antigono, calata la notte, osserva i fuochi: crede che si sia venuti a conoscenza del suo arrivo e che i nemici abbiano radunato là le loro truppe. Cambia il suo piano e, visto che non poteva assalirli di sorpresa, devia il suo percorso e prende la via tortuosa, più lunga ma ricca di provviste, e là aspetta un giorno per far riposare i soldati stanchi e dare ristoro ai cavalli, al fine di affrontare la battaglia con truppe più fresche.
TEMISTOCLE SCRIVE AL RE ARTASERSE
So che la maggior parte degli storici ha scritto che
Temistocle, durante il regno di Serse, si recò
in Asia. Ma io credo soprattutto a Tucidide, visto
che fra quelli che hanno lasciato in eredità la storia di quei tempi
è il cronologicamente più vicino e fu della medesima
città. Egli al contrario afferma che Temistocle andò da Artaserse
e inviò una lettera con queste parole: 'Sono venuto da te, io, quel
Temistocle che fra tutti i Greci ho portato il maggior numero di danni alla tua
famiglia per tutto il tempo che mi fu necessario combattere contro tuo padre e
a difendere la mia patria. Tuttavia ho fatto di gran lunga più cose
buone, quando iniziai io stesso ad essere al sicuro e lui ad essere in
pericolo. Infatti, dopo la battaglia di Salamina,
quando voleva far ritorno in Asia, lo informai con una lettera del progetto
secondo cui venisse distrutto il ponte che aveva costruito sull'Ellesponto e
venisse circondato dai nemici; grazie a questa informazione scampò al
pericolo. Al contrario ora sono rifugiato presso di te, cacciato da tutta
quanta
TEMISTOCLE E IL PORTO DI PIREO
Temistocle fu grande in guerra e non meno lo fu in tempo di pace. Infatti, dato che gli Ateniesi utilizzavano il porto del Falero, né grande né sicuro, sotto suo consiglio venne costruito il triplice porto del Pireo, e questo venne circondato da mura, in modo da uguagliare in grandiosità la stessa città e da superarla in utilità. Egli stesso restaurò le mura degli Ateniesi con grande rischio personale. Infatti gli Spartani, trovato nelle incursioni dei barbari un pretesto plausibile per affermare che nessuna città fuori dal Peloponneso dovesse avere le mura, affinché non ci fossero luoghi fortificati di cui i nemici potevano entrare in possesso, tentarono di proibire l'impresa ai costruttori Ateniesi. Questo mirava a ben altro. Gli Ateniesi infatti, dopo le due vittorie a Maratona e a Salamina, avevano conseguito tanta gloria presso tutte le genti che gli Spartani capivano che avrebbero combattuto contro di essi per la supremazia della Grecia. Per questo desideravano che quelli fossero il più deboli possibile. Dopo che, al contrario, seppero che venivano costruite le mura, inviarono ad Atene degli ambasciatori per vietare che ciò fosse fatto. Durante la presenza di questi sospesero i lavori e dissero che a proposito di quella questione avrebbero inviato da loro degli ambasciatori. Temistocle si incaricò di questa ambasceria e inizialmente partì da solo; comandò che degli altri ambasciatori partissero quando le mura innalzate sembrassero abbatanza alte: nel frattempo che tutti, uomini liberi e schiavi, proseguissero la costruzione senza risparmiare alcun luogo, sia che fosse sacro, privato o pubblico e che raccogliessero da ogni parte ogni cosa che ritenevano adatta ad una fortificazione. Per questo avvenne che le mura degli Ateniesi erano formate da sacelli e tombe.
Lo Spartano Pausania fu un uomo grande, ma inconstante in ogni aspetto della sua vita: infatti come risplendette per virtù, così venne sopraffatto dai vizi. La sua impresa più illustre è la battaglia presso Platea. E infatti sotto la sua guida Mardonio, satrapo regio, Medo d'origine, genero del re, fra i primi di tutti i Persiani, sia valoroso nelle armi sia pieno di sagacia, fu messo in fuga dal non così grande esercito della Grecia con i duecentomila fanti che aveva scelto ad uno ad uno e ventimila cavalieri, e lo stesso comandante morì in quella battaglia. Orgoglioso di quella vittoria cominciò ad organizzare moltissimi intrighi e a desiderare cose maggiori. Ma per la prima volta in questo fu rimproverato, poiché dal bottino di guerra aveva collocato a Delfi un tripode dorato, con sopra un epigramma il cui concetto era il seguente: sotto la sua guida i barbari erano stati annientati presso Platea e pertanto per quella vittoria lo aveva dato in dono ad Apollo. Gli Spartani scalpellarono via questi versi e non vi scrissero nient'altro che i nomi delle città con l'aiuto delle quali i Persiani erano stati vinti.
Non scampò tuttavia all'odio dei suoi concittadini.
Infatti, per lo stesso timore per cui era stato condannato Milziade, fu bandito
dalla città con la votazione dei cocci e si ritirò ad Argo.
Mentre viveva qui con grande onore [grazie ai suoi molti talenti], gli Spartani
inviarono ambasciatori ad Atene per accusarlo, in sua assenza, di essersi
alleato con il re di Persia per conquistare
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