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CAIUS (o Titus) PETRONIO ARBITER
Non ci è pervenuta alcuna biografia completa dell'autore, del quale sappiamo molto poco, persino il nome: non si sa se fosse Caius o Titus e non si sa se arbiter sia il cognome vero o solo un soprannome. Le notizie le possiamo apprendere solo dall'analisi di manoscritti (come i tre codici Leidensis, Traguriensis e Parisinos) e dalle opere di autori successivi, nelle quali si parla di lui e della sua opera, il Satyricon. Tra le fonti più importanti, abbiamo Tacito (I-II secolo) che ce ne traccia un ritratto: era una persona particolarmente raffinata, con una vita singolare, in quanto era solito dormire durante il giorno e fare affari di notte; è stato proconsole in Bitinia (in Asia Minore, sulle coste del Mar Nero), forse vive sotto Nerone, ma sul periodo della sua vita ci sono molte discordanze, perché alcuni lo fanno vivere nel II-III secolo. Ecco i motivi per l'una e l'altra ipotesi:
Tacito è attendibile, e dice che è vissuto nel I secolo;
Si hanno parecchi dati che concordano con l'ipotesi che sia vissuto alla corte di Nerone, che lo accoglie presso di sé per i suoi gusti raffinati; egli però si attira le invidie dei cortigiani, in particolare del consigliere Tigellino, che lo accusa di tradimento e ne provoca la condanna a morte. All'interno della corte di Nerone, Petronio si distingue dagli altri artisti: mentre questi ultimi, per paura, lodavano l'imperatore e evitavano comunque di accusarlo direttamente, egli non si fa scrupolo nel giudicarlo, a volte anche duramente.
È uno scrittore valido, soprattutto in campo storico, perciò è ben strano che non ci siano sue notizie; ma sia nel I secolo (sotto Nerone) che nel II-III secolo c'è un "silenzio" degli autori, sia perché essi avevano paura di andare contro il potere, sia perché molte opere sono andate perse.
Nel Satyricon Petronio parla della crisi dell'agricoltura, cominciata sotto Nerone ma che si acuisce, secondo i manuali di storia, nel II-III secolo, perché i militari vanno in Oriente e perciò i prodotti agricoli vengono inviati laggiù; inoltre c'è una fuga degli agricoltori dalle camne.
Nell'opera, egli accenna a problemi linguistici, come la decadenza dell'oratoria, che erano presenti già nel I secolo ma che anch'essi si acuiscono nel II-III secolo, a causa delle invasioni barbariche, che portano al disfacimento dell'Impero.
Cita degli artisti vissuti nel I secolo, tra cui gladiatori, mimima perché avrebbe dovuto dare notizia di persone vissute due secoli prima? Inoltre parla di loro come se fossero ancora vivi.
Il Satyricon ha analogie con altre opere del periodo neroniano, come l'Apocolokintosis di Seneca e un'opera scritta dallo stesso Nerone sulla distruzione di Troia, tema trattato in 65 versi nel Satyricon (Troia halosis).
Il Satyricon: Già il titolo dell'opera è controverso: ce ne sono state tramandate due versioni:
Petronii arbitri satirorum libri: i libri delle satire di Petronio;
Petronii arbitri satyricon: sottinteso "libri" e usando una parola greca.
È un romanzo avventuroso, non solo per il contenuto, ma per il percorso che l'ha portato fino a noi. L'opera infatti ha fatto il giro dell'Asia ed è stata pubblicata per la prima volta ad Amsterdam nel 1669. Era un'opera molto vasta, ma a noi rimangono solo il 14°, 15° e 16° libro, mentre si pensa che fossere dai 20 ai 24 libri. Il Satyricon è stato rifiutato però dai nobili e dai letterati perché è particolare, descrive per la prima volta situazioni spesso oscene, è a volte troppo schietto e parla di amori omosessuali, usando anche parole volgari, che lui definisce nova semplicitas. Petronio rappresenta però non la sua realtà ideale, ma bensì quella della Roma di quel tempo, quindi non è compreso dagli uomini del suo tempo. È un'opera rivolta a Nerone e alla sua corte, per un pubblico colto e non per il popolo. In totale si hanno 118 moduli; è un romanzo d'avventura e d'amore (omosessuale), una satira, anche se in realtà Petronio non vuole polemizzare su questo tipo d'amore che era normale a Roma.
Fabula: è il racconto del viaggio da Marsiglia (Francia) e Crotone, attraverso l'Italia, di Encolpio, il protagonista, un furfante che si ritiene uno studente intellettuale, che insieme ad alcuni amici, deve scappare alla vendetta del dio Priapo (dio greco della sessualità), arrabbiato forse perché il gruppo ha interrotto un suo rito.
Intreccio: Petronio, attraverso i suoi personaggi, fa delle digressioni su diversi argomenti (oratoria, retorica, composizione di un poema epico à contro Lucano), mentre narra le vicende dei personaggi in fuga da Priapo.
L'opera si può pensare come suddivisa in nove sequenze:
1^ sequenza: Encolpio discute con Agamennone davanti ad una scuola di retorica a proposito della decadenza dell'oratoria e delle sue cause. Agamennone dice che le scuole di retorica fanno discutere agli studenti solo argomenti ideali, che non hanno alcun aggancio con la realtà; l'oratoria è quindi divenuta una materia astratta, che non sa coinvolgere, al contrario di quanto succedeva negli anni della repubblica, durante i quali l'oratoria serviva per intervenire in modo efficace nella vita politica.
2^ sequenza: Encolpio sta parlando con Agamennone e vede Ascilto che corre. Quest'ultimo è un giovane che è attratto da Gitone, ragazzo amato anche da Encolpio; Ascilto vuole approfittare del fatto che Encolpio è occupato con Agamennone per andare a sedurre Gitone, correndo verso la locanda. Encolpio, però, accorgendosene, gli corre dietro e cerca di fermarlo. C'è qui una descrizione dei vicoli che ricordano Pozzuoli o Napoli.
3^ sequenza: Encolpio, Gitone e Ascilto si ritrovano nella locanda e vengono raggiunti da una donna, Quintilla, che dice di essere una sacerdotessa di Priapo e riferisce loro che il dio è arrabbiato.
4^ sequenza: È la famosa Cena Trimalcionis: Trimalcione è il personaggio più caratteristico dell'opera, un "tipo" di grande importanza nella Roma del tempo perché rappresenta tutti i parvenu, persone che sono giunte ad avere una grande ricchezza pur senza meriti. Trimalcione dà una cena a cui invita i più arricchiti della città e alla quale fa sfoggio delle sue ricchezze, ma in modo esagerato e volgare (posate d'argento massiccio, portate stravaganti e a volte costituite addirittura da animali ancora vivi). Già arriva in ritardo, segno di maleducazione, facendosi portare su una lettiga, mezzo usato prevalentemente all'esterno, coperto di gioielli; tenta poi di sedurre un giovane, scatenando l'ira di sua moglie, Fortunata, con la quale inizia uno scambio di insulti, che provoca la fuga degli altri invitati. Durante la cena, ci si fa anche la manicure e la pedicure.
5^ sequenza: È ambientata in una pinacoteca, nella quale Encolpio, Ascilto e Gitone, che stanno ammirando un quadro in cui è rappresentata la distruzione di Troia, si imbattono in Eumolpo, un poetastro con una certa cultura, che racconta loro la vicenda descritta da quadro. La digressione che segue, chiamata Troia halosis, è costituita da 65 trimetri, in cui Eumolpo detta le regole per la composizione di un poema epico, in voluto contrasto con Lucano, che, secondo Petronio, era più uno storico che un poeta.
6^ sequenza: È ambientata in un albergo, in cui Encolpio fa una scenata di gelosia a Gitone, che è stato avvicinato da Ascilto; ci sono, da parte del protagonista, delle minacce di suicidio, che si conclude con Eumolpo che confessa di essere anch'egli innamorato di Gitone.
7^ sequenza: È ambientata sulla nave di Lica, dove Encolpio, Eumolpo e Gitone incontrano Trifena, che è ostile ai primi due e che li accusa di averle rubato l'amore di Gitone; Lica stesso accusa Encolpio di averlo abbandonato. Dopo aver chiarito le situazioni, Eumolpo racconta la favola della matrona di Efeso [v. analisi] a proposito della volubilità delle donne. Durante la navigazione, si imbattono in una tempesta e approdano sulle coste meridionali dell'Italia, vicino a Crotone (Calabria).
8^ sequenza: I tre vivono a "scrocco", come dei bohemienne, facendo credere di essere ricchi per attirare i giovani che lì si facevano adottare dai vecchi per poi esserne eredi. Eumolpo finge quindi di essere ricco e approfitta dei favori dei giovani, mentre gli altri due si fingono suoi servi. Alla fine, Eumolpo recita 295 esametri sullo stesso argomento del poema di Lucano, ma mostrando come esso dovrebbe essere composto.
9^ sequenza: Una bella donna di nome Circe si innamora di Encolpio, che però non può corrisponderle perché è colpito dalla maledizione di Priapo che lo ha reso impotente. Eumolpo poi fa testamento, lasciando i suoi beni a chi avrà il coraggio, una volta morto, di mangiare le sue carni.
Fonti e origine del genere "romanzo": Il romanzo è un genere nuovo, che nessuno, prima di Petronio, aveva mai sperimentato. Addirittura non esisteva la traduzione greca o latina della parola che designa questo genere: il greco, infatti, usava la parola μυιθος (mithos) per indicare un genere che racconta un fatto mitologico, mentre il latino usa fabula, un'opera nella quale convivono storia, leggenda e fantasia. Le fonti da cui Petronio prende lo spunto sono:
Ø Poema epico greco: in particolare l'Odissea, con la quale ha almeno tre analogie:
Encolpio = Ulisse: sono entrambi scaltri e hanno una serie di sventure, anche se uno per terra e l'altro per mare;
Priapo = Poseidone: si accaniscono contro il protagonista;
Nave di Lica = antro di Polifemo.
Ø Narrazione d'amore greca: noi oggi li chiameremmo romanzi; un esempio sono le "Etiopiche" (di Eliodoro) e "Dafni e Cloe" (di Longo Sofista), storie molto travagliate ma tra uomo e donna (non amore omosessuale).
Ø Fabula Milesia: si riferisce ad Aristide di Mileto che vive nel II secolo a.C.. È una narrazione erotica, dove si parla espressamente del sesso.
Ø Satura Menippea: da Menippo di Gadara, scrittore greco del IV-III secolo a.C., che scrive uno dei primi scritti satirici. Le caratteristiche che ha in comune il Satyricon con essa sono:
è un prosimetro, cioè composta da un insieme di prosa e versi (nelle digressioni);
è una parodia: letteralmente un "travestimento comico di un argomento serio", cioè l'autore parla di un argomento serio e ne ironizza, amplificando le situazioni;
Plurilinguismo e polistilismo: diversi linguaggi e diversi stili: Petronio non narra in prima persona ma fa parlare i suoi personaggi, cosicché ci sono diversi punti di vista e diversi modi di parlare.
Ø Mimo: ha molto successo.
Ø Orazio: in particolare la cena di Nosidieno, un parvenu molto simile a Trimalcione, senza alcuna cultura.
Temi principali: è un'opera tipicamente neroniana, in cui viene rappresentato il mondo morale, civile e culturale del tempo, attraverso le orge e altre situazioni oscene. La società di quel tempo era divisa in aristocratici (che appartengono alla classe nobiliare che però è degenerata, assoggettata totalmente alla monarchia) e quelli che oggi definiremmo "borghesi", cioè i parvenu, ricchi ma senza cultura.
Nella sua opera, Petronio tratta anche il tema della morte, che è sempre presente sotto diversi aspetti, come, per esempio, nel presentimento della decadenza dell'aristocrazia (morte sociale); inoltre quello di Nerone è un periodo in cui si è consapevoli che la vita è appesa ad un filo.
Molto presenti sono il tema della ricchezza e del sesso, che rappresentano il pessimismo verso la vita, il volersi legare a qualcosa di concreto perché la vita fugge e queste cose potrebbero non esserci più da un momento all'altro; da qui, ecco allora le descrizioni di banchetti ed orge.
Il mondo di Petronio: La realtà è però ampliata e spesso esageratamente deformata, in modo da rendere la realtà come una caricatura, che rende l'opera un romanzo comico, dove prevale il grottesco e il paradossale. L'unico dio è Priapo, cioè il dio della sessualità. Il caso di Petronio è quello della vita, quello che regola la successione degli avvenimenti, che fa intrecciare le situazioni casualmente.
Petronio distaccato: Il mondo di Petronio è un mondo di ladri, ma egli li rappresenta in modo molto distaccato, quasi come un burattinaio che muove le sue marionette: non interviene, non giudica mai, non si fa coinvolgere, rappresenta le situazioni senza scrupoli morali, senza rimorsi. Al contrario, gli scrittori satirici avrebbero apertamente condannato la società descritta nel Satyricon (che poi è il ritratto della Roma neroniana) e se fossero stati nei panni di Encolpio, che racconta l'episodio della cena di Trimalcione, sarebbero andati via inorriditi. Petronio, per evitare facili coinvolgimenti, delega diversi personaggi (Encolpio, Eumolpo e Agamennone) a raccontare le vicende. Già Ovidio aveva condannato Augusto, perché, nonostante egli avesse fatto la riforma morale, i nobili facevano comunque i loro "porci comodi"; ma una volta in esilio, Ovidio aveva pregato, anche umiliandosi, Augusto chiedendogli di poter tornare in patria.
Contro Lucano: Compare anche una polemica culturale: nella prima sequenza parla della degenerazione dell'arte oratoria e ne analizza le cause; inoltre fa una polemica contro Lucano: il poema epico, infatti, secondo Petronio, doveva essere ricco di creatività e di fantasia, e non solo un ritratto della realtà storica. La poesia è, infatti, ispirazione poetica, trasurazione della realtà (come Virgilio), mentre Lucano, nel "Farsalia" aveva rappresentato la guerra civile nei minimi particolari, divenendo così più simile ad uno storico che ad un poeta, eliminando anche gli aspetti mitologici.
Significato dell'opera quello rappresentato è un viaggio iniziatico, durante il quale i vari personaggi crescono e migliorano la propria personalità, di modo che il personaggio finale non è mai uguale a quello che ha iniziato il viaggio. È stato spesso visto come un labirinto, perché i personaggi devono districarsi nelle diverse situazioni per trovare una via d'uscita; il labirinto rappresenta anche la vita quotidiana del romano dell'epoca che doveva sapersi districare nelle diverse situazioni.
Tipo di scrittura: Petronio dice di scrivere in sermo purus et candida lingua, ma non nel senso dell'elaborazione formale, bensì usando una lingua schietta (a volte fin troppo), che è quella in cui si esprime la società che egli descrive. In definitiva egli usa due lingue: il sermo plebei (o cotidianus) per i più semplici, mentre le digressioni sono in una lingua di più alto livello, più letteraria. Anche lo stile, pur aderendo alla nova semplicitas, cioè pur essendo schietto, è diverso: usa arcaismi e grecismo per le digressioni, mentre nei discorsi delle persone meno colte compaiono, per esempio, le oggettive precedute dal quia (l'italiano "che"), oltre a desinenze volutamente sbagliate ed irregolarità nelle concordanze, che servono anche a rendere l'effettiva ignoranza di quegli uomini, come Trimalcione, che vogliono imitare i colti ma rimangono rozzi.
Pag 207: LA MATRONA DI EFESO
Analisi testuale: È una favola raccontata da Eumolpo alla fine della settima sequenza, quando i personaggi si trovano sulla nave di Lica, alla fine della lite. Efeso è una città ricca perché si trova in una posizione strategica, al crocevia di molte vie commerciali; la favola è portata come esempio della volubilità delle donne. La matrona di Efeso è conosciuta nelle terre vicine per la sua fedeltà al marito e viene portata come esempio di moralità. Quando lei rimane vedova, assiste disperata ai riti funebri del marito e alla fine decide di scendere nella sepoltura con il suo cadavere, accomnata da una sua serva. Un giorno lì vicino vengono poste tre croci con tre malfattori crocifissi e a guardia dei corpi viene posto un soldato, che, sentendo dei gemiti provenire da una sepoltura, scopre le due donne e cerca di convincerle a mangiare e a ricominciare a vivere. Dopo molte insistenze, riesce a convincere prima la serva e poi la matrona che, saziata la fame, acconsente a concedere anche "altro" al soldato, di cui diviene l'amante. Durante una delle notti che i due passano insieme, viene trafugato un corpo dalle croci e il soldato teme di fare la fine dei tre malfattori, così la donna decide di aiutarlo, proponendo di disseppellire il cadavere del marito e di porlo al posto del corpo mancante. Come per le nostre favole, anche qui mancano le determinazioni di tempo e di spazio, oltre all'anonimato dei personaggi, i quali, la matrona in primis, simboleggiano l'infedeltà e l'ipocrisia delle donne in generale. Questa era una favola, già raccontata da Esopo, che forse Petronio ricava da Fedro e alla quale aggiunge un carattere di sensualità e di denuncia.
Traduzione
Ad Efeso era una tale matrona di un pudore tanto conosciuto da richiamare allo spettacolo di sé anche le donne delle popolazioni vicine [che quindi andavano a vederla].
Dunque questa, avendo seppellito il marito, non contenta di seguire il funerale secondo la tradizione popolare con i capelli strappati o di colpire il petto nudo al cospetto della folla, seguì anche nel sepolcro il defunto, e cominciò custodire il corpo posto nel sepolcro secondo il costume greco e a piangere tutte le notti e i giorni.
Così non i parenti né i genitori poterono allontanare quella che piangeva e che perseguiva la morte per fame; in ultimo i magistrati respinti andarono via, e la donna di singolare esempio compianta da tutti trascorreva già il quinto giorno senza cibo.
Sedeva presso l'infelice un'ancella fedelissima, e nello stesso tempo aggiungeva le lacrime a quelle della piangente e rinnovava il lume posto sul sepolcro ogni volta che questo veniva meno.
In tutta la città vi era una sola diceria, che quella sola rifulgeva come vero esempio d'amore e di pudore che tutti gli uomini di ogni classe sociale riconoscevano, quando ecco che il governatore della provincia ordinò che dei ladroni fossero crocifissi vicino a quel sepolcro, in cui la matrona piangeva il cadavere recente.
Quindi la notte successiva, il soldato, che custodiva le croci affinché nessuno portasse via il corpo per la sepoltura, avendo notato una luce che splendeva più chiaramente tra i sepolcri e avendo sentito il pianto di una che gemeva, secondo l'uso dell'umana gente desiderò sapere chi o che cosa facesse (= succedesse).
Scese quindi nel sepolcro e, vista una donna bellissima, dapprima si fermò turbato come da un mostro o da immagini infernali.
Poi, quando vide il corpo di quello che giaceva e considerò le lacrime e il viso strappato con le unghie, pensando certamente ciò che era accaduto, che la donna non poteva sopportare la mancanza dell'estinto, portò nel sepolcro la sua piccola cena e cominciò ad esortare la piangente affinché non perseverasse in un dolore inutile e affinché non straziasse il petto con un pianto per niente vantaggioso: quella stessa era la fine di tutti [cioè tutti dobbiamo morire] e lo stesso domicilio, e tutte quelle altre cose con le quali le menti esasperate vengono richiamate alla ragione.
Ma quella, scossa da un'ignota consolazione, lacerò il petto più violentemente e pose i capelli strappati sul corpo del morto.
Tuttavia il soldato non smise (di consolarla) ma con la stessa esortazione tentò di dare del cibo alla donna, finché la serva sedotta dall'odore nettareo del vino, prima porse la mano vinta all'umanità di colui che (la) invitava, poi, rifocillata dalla bevanda e dal cibo, cominciò ad espugnare (= tentare) [termini militari perché a parlare c'è un soldato à ironicamente] l'ostinazione della padrona e:
"Che cosa servirà" disse " questo a te, se sarai vinta dalla fame, se ti seppellirai viva, se, prima che il tuo destino lo richieda, esalerai lo spirito innocente?
[verso dell'Eneide: è riportata, in onore anche di Virgilio, una frase tratta da un dialogo tra Anna e la sorella Didone] Tu credi che le ceneri [ceneri dei morti, i quali venivano cremati] o i mani [gli dèi mani sono i parenti defunti, divinità dell'aldilà] sentano i sepolti? Vuoi tu rivivere? Vuoi, scacciato l'errore femminile, per quanto a lungo sia lecito, fruire delle comodità della luce? Lo stesso corpo dei colui che giace ti deve consigliare affinché tu viva".
Nessuno ascolta controvoglia, quando è costretto o ad assumere del cibo o a vivere. E così la donna, prosciugata da un'astinenza di alquanti (= tanti) giorni, tollerò di infrangere la sua ostinazione e si riempì di cibo non meno avidamente della serva, che per prima era stata convinta.
Del resto sapete che cosa per lo più sia solito tentare l'umana sazietà. Con le stesse lusinghe con cui il soldato aveva ottenuto che la matrona volesse vivere, aggredì anche la sua pudicizia.
Il giovane alla (donna) casta [qui detto ironicamente] non sembrava né deforme né incapace di parlare, conciliando l'ancella la grazia e dicendole continuamente: [viene riportato ancora un altro verso dell'Eneide, sempre detto da Anna, che convince Didone a amare Enea anche perché il suo regno aveva bisogno di un appoggio maschile] "Ancora combatterai contro un amore gradito? [ora invece c'è un verso scritto da un lettore successivo, che si è inserito] Non ti viene in mente nelle terre di chi tu ti trovi [la matrona è, infatti, nel regno dei morti, perciò deve sentirsi stimolata, per contrasto, a pensare alla vita e all'amore]?" Per che cosa io più a lungo perdo tempo? La donna non tenne a digiuno neanche questa parte del corpo e il soldato vincitore persuase entrambe (le parti del corpo).
Quindi giacquero (insieme) non soltanto quella notte, in cui celebrarono le nozze, ma anche il giorno dopo e il terzo giorno, chiuse evidentemente le porte del sepolcro, affinché chiunque fosse venuto al sepolcro tra i conoscenti e gli sconosciuti, avrebbe creduto che la pudicissima moglie fosse spirata sul corpo del marito.
Del resto il soldato, affascinato sia dalla bellezza della donna che dal mistero, si accaparrava qualunque cosa di buono poteva, secondo le sue possibilità, e le portava nel sepolcro nella prima parte della notte.
E così i parenti di un crocifisso, quando videro la custodia (delle croci) allentata, trassero di notte il crocifisso e lo mandarono all'onore supremo (= per eccellenza, funebre).
Ma il soldato molto preoccupato mentre si divertiva, quando il giorno dopo vide una croce senza il cadavere, temendo la condanna, espose alla donna quello che era accaduto: che egli non avrebbe aspettato la sentenza del giudice, ma con la sua spada avrebbe espresso il giudizio della sua vigliaccheria; dunque elle avrebbe dovuto preparare un luogo per lui che stava per morire e facesse un sepolcro fatale per il parente (= marito) e per l'uomo (= amante).
La donna non meno pietosa che pudica, disse: "Gli dèi non permettano ciò, cosicché io veda nello stesso tempo due funerali di due uomini a me i più cari. Preferisco appendere un morto che uccidere un vivo".
Dopo questo discorso, comanda che il corpo di suo marito sia tolto dal sepolcro e sia posto su quella croce che era vacante (= vuota). Il soldato si servì dell'ingegno della donna prudentissima [ironico]donna, e il giorno dopo il popolo si meravigliò per quale motivo il morto fosse andato sulla croce.
Analisi sintattica
Quaedam: pronome indefinito, qui però usato come aggettivo;
Ephesi: complemento di stato in luogo, reso con il genitivo locativo;
Tam: anticipa la proposizione consecutiva;
Ut evocaret: proposizione consecutiva;
Notae pudicitiae: genitivo di qualità.
Passis crinibus: complemento di mezzo.
Persequentem: participio congiunto.
Defecerat: normalmente regge l'accusativo della persona, ma qui è in senso assoluto.
Ominis confitebantur: è la proposizione principale
Solumadfulsisse: proposizione oggettiva
Cum imperator iussit: proposizione temporale che regge la seguente oggettiva:
Latrones afi: proposizione oggettiva.
In qua deflebat: proposizione relativa tradotta con l'indicativo.
Ne quis detraheret: proposizione finale negativa, dove quis non è un pronome interrogativo bensì indefinito, che sta per aliquis (davanti a si, nisi, ne, num "perde le ali");
Notasset: sta per notavisset e con cum miles forma un gerundio composto;
Clarius: ativo dell'avverbio
Audisset: sta per audivisset, e insieme al cum (sottinteso) forma un altro gerundio composto;
Concupiit: è la proposizione principale, con un tempo storico;
Quis aut quid faceret: proposizione interrogativa indiretta, espressa con un congiuntivo imperfetto che indica contemporaneità in dipendenza dal tempo storico della principale.
Visa muliere: ablativo assoluto;
Substitit: sta per substetit, composto di sto.
Ut conspexit: proposizione temporale;
Iacentis: participio congiunto;
Quod erat: proposizione relativa;
Derium pati: è una proposizione oggettiva, ma manca il verbo reggente e serve per riportare il discorso diretto, posto tra due virgole à dichiarativa perché è preceduta da id quod;
Ne perseveraret / diduceret: proposizioni finali coordinate;
Quibus . revocantur: proposizione relativa.
Vehementius: ativo dell'avverbio;
Iacentis: participio congiunto.
Invitantis: participio congiunto.
Si . fueris: proposizione ipotetica (protasi);
Si . sepelieris: proposizione ipotetica (protasi);
Si . effunderis: proposizione ipotetica (protasi);
Quid proderit: apodosi con interrogativa diretta;
Poscant: condizionale che esprime una possibilità.
Id cinerem: proposizione interrogativa diretta;
Manes . sentire: proposizione infinitiva;
Vis . reviviscere: proposizione interrogativa diretta;
Discusso . errore: ablativo assoluto;
Quam licuerit: proposizione concessiva;
Ut vivas: proposizione finale.
Cum cogitur: proposizione temporale;
Frangi . suam: proposizione infinitiva;
Cibo: complemento di abbondanza;
Prior: esprime il primo di due, altrimenti si usa primus.
Scitis: proposizione principale; ;
Quid . soleat: proposizione interrogativa indiretta;
Ut . vellet: proposizione finale;
Conciliante ancilla ac dicente: ablativo assoluto;
Videbatur: costruzione personale di videor;
Placitone . amori: proposizione interrogativa diretta reale;
Ne quidem: neanche;
Diutius: ativo dell'avverbio, con l'aggiunta di una t per migliorare la pronunciaà eufonia;
Praeclusis . foribus: ablativo assoluto;
Ut . venisset: proposizione temporale;
Putasset: sta per putavisset;
Espirasse: proposizione infinitiva, sta per espiravisse;
Ut viderunt: proposizione temporale;
Ut . vidit: proposizione temporale;
Quid accidisset: proposizione interrogativa indiretta;
Ne sinant: imperativo negativo;
Ut . spectem: proposizione finale;
Quam occidere: proposizione ativa;
Usus est: da utor, regge l'ablativo;
Qua: aggettivo interrogativo;
Qua . isset: proposizione interrogativa indiretta, isset sta per ivisset;
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