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I Commentari furono molto probabilmente denominate dall'autore come Commentarii rerum gestarum, ossia "resoconto delle proprie imprese". Benché di argomento storico, i Commentari non appartengono al genere storiografico, né l'autore aveva l'intenzione di scrivere un'opera storica. Per "commentarius" si indicava la raccolta di materiale che costituiva la fase preparatoria alla stesura dell'opera storica. Possiedono doti formali riassunte nella formula "pura et inlustris brevitas": uso di parole corrette e genuinamente latine; dote della chiarezza; capacità di selezionare i fatti più importanti e di esporli in brevi parole. Il consapevole allontanamento dall'opera storiografica è confermato dall'assenza della prefazione, tipica dell'opera storica. Ciò nonostante a volte l'autore utilizza elementi dell'opera storica, come l'inserzione di digressioni etnografiche o l'uso di discorsi diretti. La caratteristica più importante dei Commentari è che l'autore sia il protagonista dei fatti narrati. Per questo motivo essi sono accostabili al filone memorialistico e autobiografico di cui conservano lo scopo di esaltare o giustificare le azioni del protagonista. La novità dei Commentarii sta nell'incisività del racconto, dal linguaggio schietto, dall'essenzialità dello stile e dal distacco che Cesare mantiene rispetto ai fatti narrati con la narrazione in terza persona. Riguardo l'attendibilità storica dei Commentarii ci sono stati, nel corso degli anni, diversi dubbi. Tuttavia attraverso il confronto con altre fonti antiche che narrano gli stessi avvenimenti ( Svetonio,Plutarco) si è visto che sussistono soltanto piccole imperfezioni. D'altronde, Cesare non si sarebbe esposto facilmente a smentite su dei fatti di cui molti erano stati testimoni. Lo scopo principale dei Commentarii è quello di presentare in buona luce il protagonista dei fatti.
I commentarii de bello gallico sono il resoconto di otto anni di camne (otto libri, dei quali, l'ottavo, scritto dal legato Aulo Irzio) condotte da Cesare contro le popolazioni galliche, scritto per reagire alle accuse delle classi dirigenti avversarie di Cesare, e presenta quindi la conquista della Gallia come un qualcosa di inevitabile e essenziale per la sopravvivenza di Roma, in quanto serviva per controllare il Reno e impedire che i Germani lo oltrepassassero. Il de bello gallico tutto sommato è scritto in maniera abbastanza obbiettiva, anche facendo ricorso alla terza persona, ma anche molto distaccata dagli eventi. Cesare parla di eventi che accadono in terre lontane da Roma, terre che nemmeno lui conosce a fondo, delle quali ci descrive per sommi capi la geografia, i gruppi etnici che le abitano e le abitudini di questi ultimi.
Autoesaltazione: La guerra gallica non richiedeva una particolare giustificazione, anche perché era stata vittoriosa. A Cesare erano sì state mosse accuse di aver violato le norme dello ius belli ma tutti sapevano che quelle erano strategie politiche contro di lui. Pertanto la guerra in Gallia restava comunque una "guerra giusta", spesso giustificata da un'autodifesa. Lo scopo è dunque quello di dare di sé il ritratto di un grande generale, che identifica la propria gloria con quella di Roma. Poiché a queste doti militari si aggiungono anche doti di scrittore, si può dire che egli ha raggiunto il suo scopo.
Il de bello civili presenta, rispetto al de bello gallico, una minore obbiettività, dovuta alla diversa situazione. L'opera è costituita da tre libri, vi sono poi altri tre libri, di cui però non si conosce l'autore, e tratta le vicende legate alla guerra civile fra cesariani e repubblicani, i quali sono comandati da Pompeo. Come nel de bello gallico alcuni fatti sono omessi e su altri si pone maggiore attenzione, senza con ciò alterare la veridicità del racconto, anche se la situazione spinge Cesare a presentare se stesso e il suo esercito sotto una luce migliore.
Nel primo libro Cesare mostra i suoi nemici, che si atteggiano a difensori delle libertà repubblicane, come persone violente e senza scrupoli, in altri mette in evidenza la falsità dei repubblicani e la loro incoerenza e crudeltà, che paragona sempre alla propria generosità e magnanimità. Autogiustificazione: Nella guerra civile Cesare cerca di scagionarsi dall'accusa di aver provocato la guerra. L' intento principale è appunto quello di dimostrare che egli ha intrapreso la guerra a malincuore e che non ha mai dimenticato che i nemici erano suoi concittadini. A ciò mirano anche i continui tentativi di pace e il suo comportamento mite verso gli sconfitti. Inoltre Cesare denigra i capi avversari, rappresentanti di una classe egoista e corrotta, denunciando la loro crudeltà e vendicatività. Il lettore è indotto a concludere che la sconfitta dei pompeiani è stata giusta e meritata.
Cesare è uno scrittore dallo stile semplice e asciutto, la sua storiografia è priva degli artifici retorici che di solito si reputano necessari per rendere drammatica la descrizione degli eventi di guerra, in quanto la semplicità del linguaggio permette all'evento stesso di mostrare la drammaticità di cui è portatore. I commentarii sono anche privi di arcaismi o neologismi ( Cesare era un analogista) e con un numero di vocaboli piuttosto contenuto, il che dimostra che furono scritti per un pubblico molto vasto, le frasi mostrano una tendenza all'approccio di tipo sintetico. Le scelte letterarie di Cesare sono ispirate al purismo lessicale e alla sobrietà dello stile. La lingua di Cesare ci appare come il risultato perfetto di quel processo che trasformò il latino arcaico(ancora vicino al parlato) in una lingua nuova e regolare, strutturata secondo norme precise e coerenti e caratterizzata da chiarezza e logicità. Viene infatti ridotto il lessico, attraverso l'eliminazione di tutti quei vocaboli ritenuti o troppo "elevati"( arcaismi, pietismi) o troppo "bassi"(colloquialismi) . La sintassi è semplice. Il periodo è solido e compatto. Il ritmo è incalzante e sintetico, pur nella monotonia del racconto di azioni militari. La drammatizzazione e il pathos sono del tutto assenti. I discorsi sono quasi del tutto indiretti; viene, infatti, utilizzata l'oratio obliqua che consente di esprimere più rapidamente i concetti, senza necessariamente "ornare" retoricamente lo stile. Tende alla paratassi e ricorre spesso a forme participiali; l'uso del presente storico conferisce immediatezza e veridicità alla narrazione e coinvolge emotivamente il lettore.
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