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Cicerone: SOMNIUM SCIPIONIS Paragrafi 15-18
quoniam vita: "poichè questa è la (vera) vita". È la "vita" di cui l'Africano Maggiore, sulla scorta dell'insegnamento platonico, ha appena parlato.
Quin propero?: "perché non mi affretto a venire qui da voi?". In tutto il periodo che inizia con quaeso, la martellante allitterazione del suono qu (quaeso inquam quoniam quid quin) scandisce con particolare enfasi le domande di Scipione al padre. L'avverbio interrogativo quin introduce un'interrogativa retorica volitiva in cui la domanda equivale a un invito o a un comando.
Non est ita: "no, davvero". All'ultima domanda del lio che gli ha chiesto, anche se implicitamente, se il suicidio sia o meno legittimo, Emilio Paolo ora risponde che esso non è ammesso.
nisi enim non potest: "non ti può infatti essere aperto l'accesso al cielo (huc) se non quando quel dio, cui appartiene tutto questo spazio che vedi, ti avrà liberato da codesta prigione del corpo". È la condanna tipicamente platonica del suicidio. Lo stoicismo, invece, ammetteva il suicidio come soluzione estrema nel caso di un dolore insopportabile o di una malattia incurabile. Il sostantivo templum in origine indicava la porzione di cielo che l'augure delimitava con un bastone ricurvo, il lituus, ed entro la quale osservava il volo degli uccelli per trarne gli auspici; passato poi a significare il luogo di culto, il "tempio", esso veniva usato poeticamente anche per indicare il "cielo".
qui tuerentur: "per proteggere". È una proposizione relativa con valore finale.
illum globum vides: "quella sfera, che vedi in mezzo a questo cielo". È la terra, come verrà detto subito dopo considerata il centro di un universo di tipo platonico-aristotelico.
animus vocatis: viene richiamata la teoria pitagorica, e poi platonica secondo la quale l'anima ha origine dagli astri (sidera et stellas, "costellazioni e stelle"), esseri divini e viventi. Si ricordi che anche gli stoici teorizzavano la natura ignea dell'anima, frammento o scintilla del Logos divino.
quae globosae mirabili: "che, sferiche e circolari, animate da intelligenze divine, con incredibile velocità percorrono proprie orbite circolari". Le stelle sono sferiche nella loro perfezione e circolari per come appaiono all'occhio umano. L'espressione circulos orbesque è un'endiadi.
tibi: come il successivo piis omnibus, è un dativo d'agente retto dalla perifrastica passiva retinendus animus est.
in custodia corporis: "nella prigione del corpo". Il concetto pitagorico-platonico del corpo prigione dell'anima diventa qui equivalente a quello di una missione caratterizzata in senso civile-patriottico. Cicerone, a questo proposito, si avvale del termine custodia nel suo duplice significato di "prigione" e di "corpo di guardia", in cui il soldato svolge il proprio compito.
iniussu datus: "senza l'approvazione di colui dal quale quella vi è stata data". Il soggetto sottinteso è animus. Il dio che ha dato l'anima agli uomini assume qui il ruolo di un comandante che è l'unico ad avere il diritto di fare cessare la "missione" dei propri soldati, gli uomini, nel mondo.
Scipio: è un vocativo. Il tono, con l'impiego del nomen, si fa più solenne. Emilio Paolo, infatti, rivolge al lio un invito esplicito a continuare il tradizionale impegno politico, proprio sia della sua famiglia d'origine sia di quella adottiva.
in patria maxima est: la pietas, il rispetto e l'amore per la patria deve avere il sopravvento su tutti gli altri.
ea vita in caelum: "questo tipo di vita è la via (che porta) verso il cielo". È di grande efficacia espressiva il gioco allitterativo vita/ via.
corpore locum: "sciolti dal corpo abitano in quel luogo". Il participio laxati, che riprende la metafora del corpo-carcere, traduce il participio ekluómenos, "sciolto", usato da Platone nel Fedone. La potente allitterazione dei suoni liquidi l,m e n (laxati illum incolunt locum) concorre a sottolineare l'idea dello scioglimento e della liberazione delle anime dai corpi.
erat elucens: "questo infatti era un cerchio luminoso di un candore abbagliante, in mezzo ai fuochi astrali".
orbem lacteum: "via Lattea". L'espressione traduce il greco ghalaxías o ghalaktikós kýklos. Per i greci non era la sede unica ed esclusiva delle anime degli eroi dell'umanità. Poiché gli antichi ritenevano che essa fosse anche il regno dei sogni, Cicerone probabilmente la giudicò più pertinente con il carattere della narrazione del Somnium.
Ex quo: è sottinteso orbe o loco. Il padre Emilio Paolo ha finito di parlare; Scipione Emiliano sognando di trovarsi proprio sulla via Lattea, ora darà una prima descrizione dell'universo visto da lassù.
quas suspicati sumus: "quali non avremmo mai sospettato che ci potessero essere". L'indicativo suspicati sumus è un falso condizionale.
minima, quae aliena: "la più piccola, che più lontana dal cielo, più vicina alla terra, splendeva di una luce non sua". I filosofi ionici, Anassagora per primo, avevano già notato che la luna brillava della luce riflessa dal sole. La ura etimologica luce lucebat, ossia l'espediente stilistico per il quale si accostano parole che hanno la medesima radice, conferisce poeticità all'espressione.
ut me paeniteret: "che provavo vergogna del nostro impero con cui tocchiamo solo un piccolo punto, per così dire (quasi), di essa". La riflessione di Scipione anticipa quanto gli verrà detto più avanti dall'Africano Maggiore sulla pochezza della gloria terrena (paragrafi 20-22). L'ut introduce una proposizione consecutiva. Il verbo paeniteret, assolutamente impersonale, è qui costruito regolarmente con l'accusativo della persona e il genitivo della cosa.
quae veneris: "in quali spazi celesti sei giunto". Ha ripreso a parlare l'Africano, di cui Scipione riferisce ai presenti le autentiche parole. Il discorso sull'universo si fa più preciso e complesso per diventare una vera e propria lezione di cosmologia. Per l'uso del termine templum cfr. il paragrafo 15.
Novem omnia: "tutto l'universo è costituito da nove cerchi o, piuttosto, sfere". Il dativo tibi è etico e può essere omesso nella traduzione.
quorum complectitur: "delle quali una è quella del cielo, la più esterna, che abbraccia tutte le altre"; si tratta del cielo delle stelle fisse. La forma extumus equivale a extimus, che è il superlativo di exterus in luogo del più usato extremus. Ha inizio con queste precisazioni dell'Africano l'esposizione del sistema astronomico. Attorno alla terra, collocata al centro dell'universo, ruotano otto corpi celesti concentrici: il cielo delle stelle fisse e le sette sfere dei pianeti (Saturno, Giove, Marte, Venere, Mercurio, il sole e la luna considerati anch'essi pianeti. La terra occupa la nona sfera. La concezione geocentrica dell'universo, che risaliva all'età classica, venne poi elaborata nel IV secolo a.C. dal filosofo Aristotele, che assegnò a un "primo motore immobile" il compito di imprimere il moto alle "intelligenze" e quindi alle otto sfere celesti. Nella prima metà del II secolo d.C. l'astronomo Claudio Tolomeo sistematizzò tale concezione e vi aggiunse un ulteriore cielo, esterno a quello delle stelle fisse, il "cristallino" o "primo mobile"; il sistema tolemaico fu poi ripreso nel Medioevo ed ereditato da Dante nella Divina Commedia.
summus ceteros: "esso stesso dio supremo, che comprende e tiene in sieme tutte le altre". Come sottolinea opportunamente lo Stok, la divinizzazione del cielo delle stelle fisse «è funzionale alla dimensione alto/basso che orienta tutto il Sogno, per cui ciò che è più alto, più distante dalla terra, partecipa maggiormente della sostanza divina». Cicerone negli Academica attribuisce agli stoici che la divinità sia collocata in particolare nel cielo delle stelle fisse, ma tale concezione era propria anche di Empedocle, di Democrito, dei pitagorici e di Platone stesso.
in quo sempiterni: traduci liberamente: "in esso sono infisse le stelle che girano con eterno movimento". Il soggetto della frase, letteralmente, è stellarum cursum sempiterni, "gli eterni movimenti delle stelle".
huic septem: "a questo sono sottoposte le sette sfere". Il soggetto sottinteso è globi. Si tratta delle sfere dei pianeti.
qui caelum: "che ruotano all'indietro con un movimento contrario a quello del cielo (delle stelle fisse)". Il cielo delle stelle fisse ruota da occidente a oriente, i pianeti invece da oriente verso occidente, come viene precisato da Cicerone nel De natura deorum. La congiunzione atque ha, in questo caso, la stessa funzione ativa di quam.
summum nominant: "quell'astro, che sulla terra chiamano Saturno, occupa la sfera più grande". Fino alla scoperta di Urano e Nettuno il pianeta Saturno fu considerato il più lontano dalla terra. Il soggetto sottinteso è stella.
prosperus et salutaris: la stella di Giove era così ritenuta, perché, secondo un'errata etimologia, il nome Iuppiter, Iovis veniva ricondotto al verbo iuvare, "giovare".
rutilus terris: "rosso e rovinoso per la terra", perché Marte era tradizionalmente identificato con il dio della guerra.
dux reliquorum: "guida, capo e reggitore degli astri". I pitagorici e gli stoici attribuivano grande importanza al sole, simbolo del fuoco creatore, che animava l'universo.
Veneris cursus: "l'orbita di Venere e quella di Mercurio". Alcuni studiosi attribuiscono al filosofo del IV secolo a.C. Eraclide Pontico la teoria secondo cui Venere e Mercurio ruoterebbero intorno al sole, come veri e propri satelliti, e il sole intorno alla terra, preurando quindi la concezione eliocentrica.
nisi caducum: nella dimensione alto/basso che caratterizza l'universo del Somnium, la luna rappresenta il confine tra l'umano e il divino. Non a caso su di essa si fermano per un certo periodo di tempo le anime a purificarsi dei loro residui corporei prima di accedere al cielo. Che la luna segni il confine tra l'umano e il divino è anche dimostrato dal fatto che, mentre il cielo è dotato di una straordinaria luminosità, essa, al contrario, non possiede una luce propria.
praeter animos datos: "all'infuori delle anime date al genere umano come dono degli dèi". L'ablativo munere è strumentale.
in eam pondera: "su di essa cadono tutti i pesi per la loro inclinazione naturale". È la legge della forza di gravità.
ut me recepi: "non appena mi ripresi". Ricordiamo che nel sogno il giovane Scipione sta osservando l'universo dalla via Lattea sotto la guida del nonno Scipione Africano Maggiore. Ha ora inizio la seconda parte di questa sezione del Somnium, quella relativa all'acustica dell'universo.
hic quis sonus?: ordina: quis est hic sonus tantus ("così forte") et tam dulcis qui conplet aures meas?
qui efficit: "che composto da note emesse a intervalli ineguali, ma tuttavia distribuiti ciascuno sulla base di un rapporto razionale (pro rata parte ratione), è determinato dal movimento e dalla vibrazione delle sfere stesse e, mescolando in armonia i toni acuti con quelli gravi,produce accordi regolarmente variati". Il dulcis sonus è la musica prodotta dal movimento di rotazione delle sfere celesti. Per i pitagorici i corpi emettevano un suono proporzionato alla velocità con cui si muovevano; allo stesso modo le otto sfere mobili, i pianeti, girando con una velocità diversa a seconda della loro distanza dalla terra, che sta al centro, immobile, producevano suoni di intensità diversa.
ut sonent: "che le sfere estreme emettano da una parte suoni gravi e dall'altra suoni acuti". Come verrà spiegato subito dopo, la luna, che è la più vicina alla terra e quindi ha il movimento più lento, produce suoni gravi; il cielo delle stelle fisse, invece, che è il più lontano dalla terra e ruota con il moto più veloce, emette suoni acuti.
summus cursus: "quella grandissima sfera stellata del cielo". La lunga perifrasi indica il cielo delle stelle fisse. L'aggettivo stellifer è un neologismo ciceroniano.
in quibus duorum: traduci liberamente "due delle quali hanno la medesima velocità", e quindi la medesima tonalità. Si tratta di Venere e Mercurio.
septem sonos: "emettono sette suoni distinti a diversi intervalli". Poiché Venere e Mercurio emettono la medesima nota, dalle otto sfere mobili è derivato l'eptacordo, il sistema musicale fondato sulle sette note.
rerum nodus est: "è, per così dire (fere), la radice di tutte le cose". Per il valore del numero sette si veda la profezia sul futuro di Scipione.
aperuerunt coluerunt: Cicerone dichiara che l'accesso alla via Lattea è aperto ai docti homines, i quali dall'osservazione dell'armonia dell'universo inventarono la musica, e in generale a tutti coloro che coltivarono durante la vita i divina studia. Precedentemente (paragrafo 16) egli aveva insistito sul concetto che è la vita politica a garantire tale accesso. Alla fine del sogno, infine, verrà chiarito che tutte le anime ritorneranno nella loro sede originaria nel cielo e che la rapidità del ritorno è legata alla moralità del comportamento tenuto in terra.
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