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DIFESA di MILONE part. III
modulo XXVII
Quanto a me, giudici, tutto il trambusto fatto dai Clodiani non mi scompone affatto, e non sono così folle, così all'oscuro ed estraneo alle vostre idee da ignorare la vostra opinione sulla morte di Clodio. Se già non avessi confutato l'accusa, come ho fatto, a Milone sarebbe tuttavia lecito, senza temere punizioni, proclamare davanti a tutti questa gloriosa menzogna: «Sono stato io, sono stato io a uccidere non Spurio Melio, che, facendo calare il prezzo del grano e sperperando il patrimonio familiare, venne sospettato di aspirare al potere assoluto perché sembrava abbracciare un po' troppo la causa della plebe romana; non Tiberio Gracco, che privò il suo collega della carica di tribuno per mezzo di una rivolta, e i cui assassini riempirono il mondo della gloria del loro nome, ma colui» - non avrebbe, infatti, vergogna a dirlo, perché ha liberato la patria a suo rischio e pericolo - «il cui nefando adulterio, consumato sui pulvinari votati agli dèi, fu scoperto dalle più nobili matrone;
colui, con la cui condanna il senato spesso ritenne che si dovessero espiare le solenni cerimonie violate; colui, che Lucio Lucullo, fatte le debite ricerche, denunciò sotto giuramento, dicendo di avere scoperto che si era unito carnalmente in uno scandaloso incesto con la sorella; colui, che cacciò dalla patria con le armi dei suoi servi un cittadino, ritenuto dal senato, dal popolo romano, da tutte le genti salvatore della città di Roma e della vita dei suoi abitanti; colui, che diede, tolse, spartì regni e terre con chi volle; colui, che, dopo innumerevoli stragi nel foro, con la forza delle armi fece barricare in casa un uomo di particolare valore e fama; colui, per il quale non vi fu mai cosa illecita, né nei suoi delitti, né nelle sue passioni; colui, che diede fuoco al tempio delle Ninfe per distruggere l'elenco ufficiale del censo, trascritto nei registri pubblici;
colui, per cui, infine, non esisteva alcuna legge, alcuna norma fondamentale del diritto civile, nessuna delimitazione di confine dei suoi possedimenti; colui, che cercava di avere i terreni altrui non con pretestuosi cavilli, non con ingiuste rivendicazioni e querele, ma muovendo l'accampamento, l'esercito e le insegne; colui, che tentò di scacciare dai loro possedimenti, sempre con l'impiego delle armi, non solo gli abitanti dell'Etruria - infatti provava per loro un profondo disprezzo, ma anche il qui presente Publio Vario, ottimo e fortissimo cittadino, nostro giudice; colui, che percorreva in lungo e in largo ville e giardini non suoi con architetti e pertiche di dieci piedi; colui, che aveva la speranza di coprire presto con i suoi possedimenti tutta l'area che va dal Gianicolo alle Alpi; colui, che, non avendo ottenuto dall'illustre e forte cavaliere romano Marco Paconio di vendergli l'isolotto nel lago Prilio in un battibaleno, con delle barchette, trasportò su quel pezzo di terra legname, calce, pietre, sabbia e non esitò a costruirsi una casa sul suolo altrui, sotto gli occhi del legittimo proprietario che guardava dall'altra riva;
colui, che a questo Tito Furfanio, a quale uomo, dèi immortali! (ma che dire di Scanzia, una povera donna, e del giovane Publio Apinio? minacciò entrambi di morte, se non gli avessero lasciato il possesso dei loro giardini), a Tito Furfanio, appunto, ebbe il coraggio di dire che, se non gli avesse dato tutto il denaro che chiedeva, gli avrebbe messo in casa un cadavere, per suscitare l'odio contro di lui, contro un tale uomo; colui, che privò di un fondo di sua proprietà il fratello Appio, mio fedelissimo amico, mentre era lontano; colui, che incominciò ad alzare un muro attraverso il vestibolo della sorella, ne gettò le fondamenta, così da privarla non solo del vestibolo, ma anche di ogni entrata e della soglia».
Questa situazione sembrava ormai tollerabile, anche se in egual modo attaccava violentemente la repubblica, i cittadini privati, gli stranieri, i parenti, gli estranei, gli intimi; non so come, lo spirito di sopportazione della città, davvero incredibile, sembrava divenuto indifferente e insensibile per l'abitudine. Come avreste potuto sopportare o neutralizzare gli atti di prepotenza di allora o quelli che già ci minacciavano? Se egli avesse ottenuto la carica di pretore - tralascio gli alleati, i paesi stranieri, i re, i tetrarchi; infatti avreste fatto dei voti perché scatenasse la sua ira contro quelli, piuttosto che contro i vostri possedimenti, le vostre case, il vostro denaro - denaro, dico? Non avrebbe mai tenuto a freno i più bassi istinti verso i vostri li, Dio ci assista, e verso le vostre mogli! ½ sembrano immaginarie cose che sono evidenti, che sono note a tutti, che si possono toccare con mano, e, cioè che avrebbe arruolato un esercito di servi in città, con cui entrare in possesso dell'intero stato e dei beni privati di tutti?
Pertanto, se Tito Annio, tenendo in mano un pugnale grondante di sangue, gridasse: «Prestate attenzione, vi prego, e ascoltatemi, cittadini! Io ho ucciso Publio Clodio, io ho respinto dalle vostre teste, con questo coltello e con questa destra, i suoi gesti inconsulti, che non potevamo frenare né con leggi, né con tribunali, così che per solo mio merito in questa città regneranno il diritto, la giustizia, le leggi, la libertà, l'onestà e il rispetto reciproco», si dovrebbe davvero temere la reazione della gente? Chi ora, infatti, non esprimerebbe la sua approvazione, chi non si complimenterebbe, chi non direbbe e non sentirebbe nell'animo che a memoria d'uomo Tito Annio è stato il più utile allo stato, e ha recato la più grande gioia al popolo di Roma, all'Italia intera e a tutte le genti? Non posso valutare l'intensità delle antiche gioie del popolo romano; eppure il nostro tempo ne ha viste di vittorie a opera di comandanti eccezionali, una più famosa dell'altra, ma nessuna di queste ha portato un'allegria così intensa e profonda. Ricordatevelo, giudici.
Io spero che voi e i vostri li assisterete a molti avvenimenti felici nella repubblica; in ognuna di quelle gioiose circostanze, sempre penserete che, vivo Publio Clodio, non avreste avuto nessuna di quelle gioie. Visto che quest'uomo eccezionale sarà console, che è stata frenata la dissolutezza degli uomini, che si sono infrante le loro passioni, che si sono creati leggi e tribunali, abbiamo una speranza grandissima e, io credo, fondata che questo stesso anno sarà salutare per la città. C'è forse qualcuno tanto stupido da credere che sarebbe stato lo stesso se Publio Clodio fosse ancora vivo? E che? Quale certezza di continuare a possedere i beni, strettamente personali e vostri, avreste potuto avere, con un pazzo furioso come lui a fare il bello e il cattivo tempo?
modulo XXIX
Io non temo, giudici, di sembrare uno che, acceso dal risentimento per inimicizie personali, vomita parole di fuoco contro di lui, più per soddisfazione mia che per amore della verità. Infatti, anche se in me era l'odio personale a prevalere, egli era comunque un nemico di tutti, tanto che i miei sentimenti ostili si riflettevano, quasi con la stessa intensità, nell'odio comune. Non è possibile spiegare a parole con sufficiente chiarezza, neppure immaginare, quanta scelleratezza fosse in lui, quanta capacità distruttiva.
Quindi, fate attenzione, giudici. Questa è l'inchiesta a proposito della morte di Publio Clodio. Immaginate - le nostre fantasie, infatti, non hanno freni, e si concentrano su ciò che vogliono, così come noi vediamo nella realtà gli oggetti che abbiamo davanti agli occhi -, immaginate, dunque, che lo abbia questa proposta: voi assolvete Milone, ma a patto che Publio Clodio risorga. Perché siete impalliditi in volto? Quale impressione vi farebbe da vivo, se, ora che è morto, il vano pensiero che risorga è riuscito a terrorizzarvi? Ma come! Se lo stesso Gneo Pompeo, che è tanto valoroso e fortunato da riuscire sempre là dove tutti, tranne lui, falliscono, se costui, ripeto, avesse avuto l'opportunità o di istituire un processo per indagare sulla morte di Publio Clodio o di richiamarlo dagli inferi, quale delle due cose credete che avrebbe preferito? Se anche, a titolo di amicizia avesse voluto evocarlo dall'aldilà, per il bene della repubblica non lo avrebbe fatto. Quindi, voi giudici sedete qui per vendicare la morte di un individuo a cui non restituireste la vita anche se vi credeste in grado di farlo; è stato aperto un procedimento sulla sua morte, in virtù di una legge che, se avesse avuto il potere di riportarlo in vita, non sarebbe mai stata approvata. Se Milone lo avesse ucciso con premeditazione, confessandolo, dovrebbe temere una punizione da parte di chi ha liberato da un incubo?
I Greci conferiscono onori divini agli uccisori dei tiranni. - Quali riconoscimenti ho visto in Atene, quali in altre città della Grecia! Cerimonie religiose, canti, opere in poesia sono riservate a uomini del genere! Attraverso il culto e la memoria essi diventano quasi immortali. Voi, invece, non solo non conferirete alcun onore a chi ha salvato il popolo di Roma, a chi ha punito un misfatto tanto grave, ma permetterete anche che venga condannato? Lui, però, se fosse responsabile del fatto, confesserebbe, dico, confesserebbe di aver compiuto con grande coraggio e con piacere, in nome della comune libertà, ciò che non dovrebbe soltanto confessare, ma di cui dovrebbe andare fiero.
modulo XXX
E quindi, se non nega un'azione da cui non può chiedere nulla, se non di essere perdonato, esiterebbe a confessare la paternità di un gesto da cui si dovrebbero anche esigere premi e riconoscimenti? A meno che non sia convinto di esservi più gradito come difensore della propria incolumità che della vostra; tanto più che, confessando ciò, nel caso che voleste essergli grati, potrebbe ottenere le più alte cariche. Se invece il suo gesto non vi trovasse d'accordo - ma come potrebbe a qualcuno non riuscire gradita la propria salvezza? -, tuttavia, se l'azione di valore di un uomo tanto coraggioso non avesse trovato consenso da parte dei suoi concittadini, egli se ne andrebbe con coraggio e determinazione da una città ingrata. Quale ingratitudine sarebbe più grande del fatto che, mentre tutti si rallegrano, solo lui, al quale si deve questa allegria, debba dolersi?
Eppure, quando si trattava di reprimere i traditori della patria, ci siamo sempre trovati tutti d'accordo, così pensavamo che, se nostra sarebbe stata la gloria, nostro era anche il pericolo e l'impopolarità. Infatti, quale riconoscimento mi si dovrebbe tributare se, quando nell'anno del mio consolato ho osato tanto per voi e i vostri li, avessi creduto di poter realizzare il mio scopo senza rischiare nulla? Quale donna non avrebbe il coraggio di uccidere un cittadino malvagio e pericoloso, se non temesse il pericolo? Ma chi, avendo ben chiaro cosa significhino impopolarità, morte, castigo, difende lo stato con non minore energia, costui lo si deve considerare un vero uomo. Dovere del popolo riconoscente è premiare i cittadini che hanno ben meritato della repubblica, quello dell'uomo forte non lasciarsi indurre, nemmeno dai supplizi, a pentirsi di avere agito con coraggio.
Per questo Tito Annio potrebbe servirsi della stessa confessione di Ahala, di Nasica, di Opimio, di Mario, persino della nostra, e sarebbe contento se lo stato gliene fosse grato; se, invece, non lo fosse, si sentirebbe tuttavia a posto con la sua coscienza, pur in gravi circostanze. La Fortuna del popolo romano, la vostra buona stella, e gli dèi immortali esigono che si riconosca loro il merito di questo beneficio. Nessuno potrebbe pensare diversamente, se non chi vive nella convinzione che non esista alcuna forza superiore o volontà divina, che non è convinto nemmeno dalla grandezza della nostra potenza, né dal sole, dal movimento del cielo e degli astri, né dall'avvicendarsi ben ordinato dei casi umani e, peggio ancora, neppure dalla saggia devozione dei nostri antenati che tramandarono a noi, loro successori, i riti, le cerimonie sacre e gli auspici, da loro venerati in prima persona con estrema scrupolosità.
modulo XXXI
C'è, c'è senz'altro quella forza divina, e in questi nostri corpi, in questa nostra imperfezione non esiste niente di umano che sia così pieno d'energia e di sentimento, né esiste nello splendido e possente moto degli eventi di natura. A meno che non credano per il semplice fatto che questa forza non appare, non si riconosce; ma è un po' come se potessimo vedere e cogliere a pieno l'essenza e l'ubicazione della nostra stessa mente, che ci permette di essere intelligenti, di prendere decisioni, di agire e di usare la parola. Dunque, quella stessa forza, che più volte ha regalato a questa città successo e ricchezze inenarrabili, ha distrutto e neutralizzato quel pericolo pubblico, a cui prima ha infuso il coraggio necessario per irritare con la violenza e provocare con le armi il più valoroso degli uomini, poi ha fatto in modo che fosse vinto da lui, perché se Clodio avesse vinto, avrebbe ottenuto perpetua impunità e licenza di agire.
No, giudici, l'uccisione di Clodio non è avvenuta per la semplice volontà di un uomo, e nemmeno per un intervento poco convinto da parte degli dèi immortali. In verità, persino i luoghi che hanno visto quella belva cadere, sembra che si siano turbati e che abbiano reclamato la loro parte di diritto su di lui. Voi, boscose collinette albane, sì, voi, dico, chiamo a testimoni e imploro, e voi, altari sepolti, già oggetto di venerazione presso gli Albani e associati poi al culto del popolo romano, che quello, in preda alla follia, tagliati e abbattuti tutti gli alberi dei boschi sacri, aveva schiacciato con le fondamenta per chissà quali assurde costruzioni. Fu allora che deste prova di tutto il vostro potere, fu allora che prevalse la vostra forza, che lui aveva calpestato con ogni sorta di crimine; e tu, dall'alto del tuo colle, santo Giove Laziare, i cui laghi, i cui boschi, i cui territori aveva spesso infangato con i più turpi atti di violenza, hai finalmente aperto gli occhi per punirlo; ma, per voi, sì, e davanti a voi sono state espiate le colpe, in modo giusto e dovuto, per quanto tardivo.
A meno che non si voglia attribuire al caso la prima ferita, quella che lo portò a morire atrocemente, dinanzi al tempietto della Bona dea - che si trova nel campo di Tito Serto Gallo, giovane veramente onesto e distinto -, sì, davanti alla dea Bona, là dove Clodio diede inizio allo scontro, appare evidente che, lungi dall'aver evitato il castigo in séguito a una sentenza scandalosa, gli era stata riservata una pena esemplare.
modulo XXXII
E in realtà l'ira degli dèi sconvolse la mente ai suoi partigiani, al punto che lo gettarono in mezzo alla piazza e gli diedero fuoco, senza immagini, senza canti né giochi, senza esequie, senza lamenti, senza discorsi elogiativi, senza corteo funebre, tutto lordo di sangue e di fango, privato della pompa di quel giorno supremo durante il quale persino i nemici, di solito, sentono il dovere di inchinarsi. Non credo che gli dèi avrebbero gradito che i ritratti degli uomini più illustri rendessero qualche onore a quell'odioso assassino, sempre ostile alla patria: per far scempio del suo cadavere non c'era posto migliore di quello dove si era decisa la sua condanna.
In nome di Giove Fidio, a me sembrava che la Fortuna del popolo romano fosse stata dura e crudele, perché per tanti anni permise a Clodio di insultare questa repubblica. Aveva infranto il mistero di una sacra cerimonia con un atto sacrilego; non aveva rispettato i provvedimenti più importanti del senato; aveva pubblicamente corrotto i giudici; quand'era tribuno, aveva preso di mira il senato; aveva cancellato con un colpo di spugna quanto si era fatto con il consenso di tutti gli ordini per il bene dello stato; aveva scacciato me dalla patria, aveva confiscato i miei beni, aveva incendiato la mia casa, maltrattato i miei li e mia moglie; a Gneo Pompeo aveva sfacciatamente dichiarato guerra; aveva fatto strage di magistrati e privati cittadini; aveva dato fuoco all'abitazione di mio fratello, messo sottosopra l'Etruria con le sue incursioni, privato molti di case e ricchezze; ci stava addosso, ci premeva; la città, l'Italia, le province e i regni non potevano porre un freno alla sua devastante follia; già nella sua casa si incidevano leggi che ci avrebbero resi schiavi della nostra servitù; non c'era proprietà di chicchessia a cui egli non mirasse e che non pensasse di far sua nell'arco dell'anno.
Nessuno, tranne Milone, si opponeva ai suoi piani. Clodio era convinto che perfino colui che era capace di tenergli testa, fosse in qualche modo vincolato dalla recente riconciliazione; andava dicendo di poter disporre anche del potere di Cesare; le persone che si erano interessate alla mia causa le aveva messe brutalmente a tacere. Solo Milone lo incalzava.
modulo XXXIII
A questo punto gli dèi immortali, come ho già detto, suggerirono a quel pazzo perverso l'idea di tendere un agguato a Milone. Quella peste non avrebbe potuto finire in modo diverso; lo stato non ce l'avrebbe mai fatta a punirlo, rispettando la legge. E senato, almeno credo, avrebbe potuto limitare la sua autorità, se fosse diventato pretore; ma analoghi sforzi non avevano ottenuto risultati neppure quando costui era privato cittadino.
E i consoli avrebbero avuto la forza necessaria per porre il veto a lui, pretore? Anzitutto, ucciso Milone, avrebbe avuto consoli a lui devoti; e poi quale console avrebbe avuto il coraggio di sfidare un pretore come lui, ricordando che da tribuno si era accanito contro un rappresentante dell'istituzione consolare? Avrebbe schiacciato, posseduto, tenuto stretto tutto; secondo una nuova legge, ritrovata in casa sua insieme alle altre leggi clodiane, avrebbe reso i nostri schiavi suoi liberti. Quindi, se gli dèi immortali non avessero indotto quell'effeminato a tentare di uccidere un uomo fortissimo, oggi non avreste nessuna repubblica.
Forse che da vivo e da pretore, anzi da console - ammesso che questi templi e queste stesse mura fossero rimasti in piedi tanto a lungo da vederlo rivestire la toga consolare -, non avrebbe fatto niente di male, lui che è riuscito da morto a dar fuoco alla Curia per mano di uno dei suoi uomini? Che cosa abbiamo visto di più vigliacco, meschino o doloroso di questa azione? Il tempio dell'inviolabilità, delle più alte cariche, dell'intelligenza, del senno di tutti, il punto di riferimento della città, l'ara dei nostri alleati, il rifugio di tutte le genti, la sede affidata all'unanimità al solo ordine senatorio, l'abbiamo vista bruciata, distrutta, profanata, e ciò non è accaduto per colpa di una folla impazzita - per quanto il gesto sarebbe già deprecabile di per sé -, ma per la responsabilità di uno solo. Colui, che ha avuto l'ardire di fare il becchino di Clodio cadavere, che cosa non avrebbe osato come suo braccio destro, finché era vivo? Preferì gettarlo nella curia, perché da morto la riducesse a un rogo, mentre da vivo l'aveva messa sottosopra.
E c'è gente che si lamenta di quanto è accaduto sulla via Appia, ma non spende una parola sulla curia, convinta che si sarebbe potuto difendere il foro dalle ingerenze di Clodio vivo, mentre nemmeno al suo cadavere la curia è riuscita a resistere! Se ne siete in grado, provate, provate a resuscitarlo; saprete contenere la furia di un uomo il cui cadavere insepolto quasi non siete riusciti a fermare? Siete forse riusciti a trattenere chi accorreva alla curia e al tempio di Castore con torce o falci in mano, e gli altri che, armati di spada, si agitavano per tutto il foro. Siete stati testimoni del massacro del popolo romano e di un'assemblea sciolta a colpi di spada, mentre in silenzio ascoltava il discorso del tribuno della plebe Marco Celio, uomo importantissimo nella repubblica, coerente fino all'eccesso in ogni causa da lui abbracciata, dedito ad assecondare le richieste della gente onesta e l'autorità del senato, legato a Milone, sia nella malasorte sia al culmine della fortuna, da una fedeltà incredibile, divina.
modulo XXXIV
Ma ormai ho speso già fiumi di parole per questa causa, anzi forse ho parlato fin troppo e non sempre a proposito. Che cosa mi resta da fare se non pregare e scongiurare voi, giudici, perché concediate a un uomo tanto coraggioso quella pietà che lui non implora, ma che io imploro e richiedo, anche se egli non ne vuol sapere? Se in mezzo alla commozione generale non avete scorto la benché minima lacrima sul volto di Milone, se vedete l'espressione di sempre, fermi e impassibili il timbro della voce e le parole, non vogliate per questo non perdonarlo; non so se questa non sia una ragione per aiutarlo di più. E infatti, se durante gli scontri tra i gladiatori - dunque tra uomini infimi per condizione e fortuna - di solito detestiamo quelli che hanno paura e vengono a implorare supplici il diritto alla vita, mentre desideriamo salvare i forti e i coraggiosi, che si dimostrano disposti ad affrontare con audacia la morte, e proviamo maggior compassione per quelli che non chiedono la nostra pietà, rispetto a chi insiste per ottenerla, altrettanto dovremmo fare nei confronti di cittadini che mostrano di avere coraggio.
Dilaniano e spezzano il mio cuore, giudici, le parole di Milone, che ascolto ripetutamente e con le quali ho quotidiana familiarità. Ecco cosa dice: «Stiano bene, stiano bene i miei concittadini; siano sani e salvi, fiorenti, felici; questa mia città, a me patria carissima, sia famosa, qualunque sia il giudizio che esprimerà sul mio conto; possano i miei concittadini godere di una repubblica serena, anche senza di me, poiché non mi spetta di gioire con loro, ma per merito mio. Me ne andrò in esilio. Se proprio non potrò cogliere i frutti di una sana amministrazione, almeno mi sarò liberato dell'incubo di una tirannide e, non appena avrò trovato una città ben governata e libera, vi stabilirò la mia dimora».
E poi aggiunge: «Quanta fatica per niente, quante illusorie speranze, quanti pensieri inutili! Quando io, mentre lo stato era oppresso, mi dedicai, in qualità di tribuno della plebe, alla causa del senato, che avevo trovato privo ormai di ogni potere, ai cavalieri romani, le cui forze andavano spegnendosi, alla gente perbene, che si era spogliata di tutti i suoi diritti di fronte alle armi dei Clodiani, avrei mai potuto immaginare che mi sarebbe venuto a mancare il sostegno dei cittadini onesti? E quando io», questo me lo ripete molto spesso, «ti ho restituito alla patria, avrei potuto credere che in patria non ci sarebbe stato un posto per me? Dove sono andati a finire ora il senato che ho sempre appoggiato, cavalieri romani a te devoti, dove sono gli abitanti dei municipi a me favorevoli e le voci che si alzavano da tutta Italia, dove, infine, le tue parole di difesa, Marco Tullio, che a moltissimi furono d'aiuto? Solo a me, che per te ho rischiato più di una volta di morire, il tuo intervento non servirà a nulla?».
modulo XXXV
A dire il vero, mi fa queste confidenze e non versa una lacrima, al contrario di me ora, giudici, ma parla con la medesima espressione che vedete adesso sul suo volto. Nega, infatti, nega di aver fatto quel che ha fatto per cittadini ingrati, ma non nega di averlo fatto per gente spaventata e timorosa di ogni pericolo. Quanto alla plebe e alla volgarissima gentaglia, che, capitanata da Publio Clodio, attentava alle vostre ricchezze, ricorda di averla tratta a sé, per tutelare la vostra vita, non solo piegandola con i suoi atti di valore, ma anche ingraziandosela con denaro attinto dalle sue tre eredità familiari; Milone è, quindi, abbastanza tranquillo: ha placato la plebe allestendo i ludi gladiatorii, ha guadagnato la vostra stima con le sue eccezionali benemerenze nei confronti dello stato. Sostiene poi che spesso in questi ultimi tempi il senato ha palesato nei suoi confronti una certa benevolenza, e che, qualunque sia il corso che la sorte imprimerà agli eventi, porterà via con sé la cordialità, le dimostrazioni d'affetto e le parole di conforto con cui è stato sostenuto da voi e da quelli del vostro rango.
Gli torna anche alla memoria che, sebbene gli sia mancata la proclamazione del banditore, a cui non teneva affatto, era stato dichiarato console con l'approvazione di tutto il popolo, e questo sì che lo desiderava! Ora, infine, se queste armi gli si rivolteranno contro, avremo la prova che grava su di lui il sospetto di sedizione, non l'accusa di omicidio. Aggiunge poi una considerazione che è certamente vera: e cioè che gli uomini dotati di coraggio e saggezza, di solito hanno come scopo non tanto le ricompense delle loro buone imprese, quanto invece la riuscita dell'impresa in sé; nella sua vita Milone non ha mai fatto nulla se non nel migliore dei modi, poiché certamente la massima soddisfazione per l'uomo è liberare la patria dai pericoli.
Sono fortunati quelli che a causa delle loro gesta ottennero riconoscimenti e onore dai loro concittadini, ma non sono infelici quelli che hanno superato i concittadini in generosità. Comunque, tra tutti i riconoscimenti al valore, se si dovesse stabilire una gerarchia di preferenze, il premio più ambito è la gloria: essa è l'unica capace di compensare una vita tanto breve con il ricordo dei posteri, di farci presenti anche se lontani, di farci vivere anche se morti: sui suoi gradini sembra che gli uomini salgano al cielo.
«Il popolo romano», dice Milone, «e tutte le genti parleranno per sempre di me, nessun tempo, per quanto il mondo invecchi, potrà fare a meno di nominarmi. Persino ora, mentre i miei nemici scagliano contro di me gli strali dell'odio, io vengo complimentato, ringraziato, esaltato in ogni riunione e in ogni discorso. Non parlo dei giorni festivi organizzati e istituiti in Etruria: sono già trascorsi centodue giorni, mi sembra, dalla morte di Publio Clodio. Sin dove si estendono i confini del potere romano, non solo si è sparsa ormai la notizia, ma si è anche diffusa la gioia. È anche per tale motivo» conclude, «che non mi preoccupo di dove si trovi questo mio corpo, giacché ormai in tutte le terre già vive e sempre vivrà la gloria del mio nome».
modulo XXXVI
Tu mi ripeti spesso queste parole, e loro non ci sono; ma ora, mentre questi ascoltano, io ti rispondo, Milone: «Certamente tale è il tuo coraggio che non posso tessere a sufficienza le tue lodi, ma, poiché sei simile per valore agli dèi, con grandissimo dolore mi separo da te. Se mi sarai strappato, non mi resta neanche la consolazione di potermela prendere con chi ha provocato in me una ferita tanto profonda. A portarti via da me, infatti, non saranno i miei avversari, ma gli amici più fedeli, che non si sono mai comportati male verso di me, anzi sempre ottimamente». No, giudici, non mi infliggerete mai un dolore così grande - quale potrebbe essere altrettanto grande? -, ma neppure questo mi induce a non ricordare quanto mi avete sempre stimato. Se ve ne siete dimenticati o magari avete qualche motivo di irritazione nei miei riguardi, perché non ve la prendete con me, anziché con Milone? Sarò vissuto gloriosamente, se mi accadrà qualcosa prima di assistere a un'ingiustizia tanto grande.
Al momento, mi sostiene un'unica consolazione: la consapevolezza che non ti sono venuti a mancare, Tiro Annio, il mio affetto, la mia attenzione, la mia riconoscenza. Per te mi sono tirato addosso l'odio di gente potente, per te ho esposto più volte alle armi dei tuoi avversari il mio corpo e la mia vita, per te mi sono gettato supplice ai piedi di moltissime persone, e ho associato alle tue sventure ogni bene e ricchezza miei e dei miei li. Infine, in questo frangente, se si è predisposto qualche atto di forza e ci sarà da combattere per aver salva la vita, chiedo di questo una parte. Che altro mi resta, ormai? Che altro posso fare in ricompensa dei tuoi benefici verso di me, se non considerare anche mia la sorte, qualunque essa sia, che tra poco ti toccherà? Non la sfuggo, non la rifiuto, e vi prego, giudici, o di accrescere con la salvezza di costui i benefici di cui mi avete colmato, oppure di porvi fine se decreterete per lui la rovina.
modulo XXXVII
Milone non si lascia commuovere da queste lacrime - è dotato di straordinaria forza d'animo -; crede che dove non c'è posto per la virtù, ivi sia l'esilio; la morte, per lui, è la fine di un ciclo naturale, non un castigo. Mantenga tale carattere con cui è nato. E allora? Ma come vi comporterete voi, giudici? Serberete il ricordo di Milone, ma lo caccerete di qui? E ci sarà un posto sulla faccia della terra più di questo che gli ha dato i natali, degno di ospitare un tale esempio di virtù? Mi appello a voi, sì, a voi, uomini fortissimi, che avete versato il vostro sangue in difesa dello stato; a voi, dico, centurioni, mi appello e a voi soldati, perché qui c'è un cittadino indomabile che corre un grave pericolo! Sarà scacciato, bandito, gettato fuori da questa città un uomo così valoroso, mentre voi non solo guardate, ma anche presidiate armati questo processo? Ah, me misero, me infelice!
Tu, Milone, grazie a costoro hai potuto richiamarmi in patria, mentre a me non sarà possibile farti restare, servendomi del loro aiuto? Che risponderò ai miei li, che ti considerano un secondo padre? E a te, Quinto, fratello mio, che ora sei lontano, ma hai condiviso con me quelle vicende? Potrò risponderti che non sono riuscito ad assicurare la salvezza a Milone con l'aiuto di quegli stessi uomini che gli hanno consentito di garantire la mia? In che genere di causa ho fallito? In una causa che aveva il sostegno di tutti. E chi è stato a impedire il nostro successo? Soprattutto chi, con la morte di Publio Clodio, ha ritrovato la serenità. E chi è stato a implorare? Io!
Quale delitto così grave ho concepito, giudici, o quale così grande scelleratezza ho compiuto, quando mi misi alla ricerca, smascherai, denunciai, neutralizzai i germi della rovina di tutti? Ecco, è stata quella la fonte da cui derivano tutte le sofferenze per me e i miei cari. Perché avete voluto che tornassi? Perché sotto i miei occhi venissero esiliati gli artefici del mio rientro? ½ prego, non permettete che il mio ritorno si trasformi per me in un peso più difficile da sopportare della mia partenza. Come potrei, infatti, credere di essere stato reso alla patria, se vivessi lontano da chi mi ha fatto tornare?
modulo XXXVIII
Oh, se gli dèi immortali avessero fatto in modo che (con tua pace, patria, mi sia permesso di dirlo; temo, infatti, di parlare in maniera offensiva nei tuoi confronti, parlando con equità in favore di Milone) Publio Clodio non solo vivesse ancora, ma fosse anche pretore, console, dittatore, piuttosto che assistere a uno spettacolo del genere!
O dèi immortali, che uomo eccezionale è questo, e quanto degno di essere da voi assolto, giudici! «Assolutamente no» interviene lui; «anzi, è giusto, invece, che Clodio abbia subìto il castigo meritato; noi, se è necessario, subiamo, anche se non ne abbiamo colpa». ½ sembra possibile che un uomo simile, fatto apposta per la patria, debba morire in un qualunque altro luogo che non sia la patria, e, forse, non per la patria? Conserverete il ricordo del suo grande animo e tollererete che non ci sia in Italia un sepolcro per il suo corpo? Ci sarà qualcuno che vorrà scacciare da questa città chi, una volta uscito da qui, sarà conteso da tutte le città?
Fortunata quella terra che accoglierà un simile eroe! Ingrata e sventurata, invece, questa nostra patria, se deciderà di allontanarlo e perderlo così per sempre. Ma è giunta la fine; il pianto mi impedisce di parlare, e costui vieta che io lo difenda con le lacrime. Io vi supplico e vi scongiuro, giudici: abbiate il coraggio di esprimere la vostra intima convinzione, quando si tratterà di formulare la sentenza. Credete a me: chi, nella scelta dei giudici, ha preferito uomini molto coraggiosi, saggi e forti, soprattutto saprà apprezzare il valore, il senso di giustizia e la fedeltà che vi contraddistinguono.
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