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EPISTULAE AD LUCILIUM

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EPISTULAE AD LUCILIUM

N°1

1.Comportati così, Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo che fino ad oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto raccoglilo e fanne tesoro. Convinciti che è proprio così, come ti scrivo: certi momenti ci vengono portati via, altri sottratti e altri ancora si perdono nel vento. Ma la cosa più vergognosa è perder tempo per negligenza. Pensaci bene: della nostra esistenza buona parte si dilegua nel fare il male, la maggior parte nel non far niente e tutta quanta nell'agire diversamente dal dovuto. 2 Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo, e alla sua giornata, che capisca di morire ogni giorno? Ecco il nostro errore: vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle: appartiene alla morte la vita passata. Dunque, Lucilio caro, fai quel che mi scrivi: metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente. Tra un rinvio e l'altro la vita se ne va. 3 Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro. La natura ci ha reso padroni di questo solo bene, fuggevole e labile: chiunque voglia può privarcene. Gli uomini sono tanto sciocchi che se ottengono beni insignificanti, di nessun valore e in ogni caso compensabili, accettano che vengano loro messi in conto e, invece, nessuno pensa di dover niente per il tempo che ha ricevuto, quando è proprio l'unica cosa che neppure una persona riconoscente può restituire.



Ti chiederai forse come mi comporti io che ti do questi consigli. Te lo dirò francamente: tengo il conto delle mie spese da persona prodiga, ma attenta. Non posso dire che non perdo niente, ma posso dire che cosa perdo e perché e come. Sono in grado di riferirti le ragioni della mia povertà. Purtroppo mi accade come alla maggior parte di quegli uomini caduti in miseria non per colpa loro: tutti sono pronti a scusarli, nessuno a dar loro una mano. 5 E allora? Una persona alla quale basta quel poco che le rimane, non la stimo povera; ma è meglio che tu conservi tutti i tuoi averi e comincerai a tempo utile. Perché, come dice un vecchio adagio: 'È troppo tardi essere sobri quando ormai si è al fondo.' Al fondo non resta solo il meno, ma il peggio. Stammi bene.



Ho sentito con piacere da persone provenienti da Siracusa che tratti familiarmente i tuoi servi: questo comportamento si confà alla tua saggezza e alla tua istruzione. 'Sono schiavi.' No, sono uomini. 'Sono schiavi'. No, vivono nella tua stessa casa. 'Sono schiavi'. No, umili amici. 'Sono schiavi.' No, comni di schiavitù, se pensi che la sorte ha uguale potere su noi e su loro. 2 Perciò rido di chi giudica disonorevole cenare in comnia del proprio schiavo; e per quale motivo, poi, se non perché è una consuetudine dettata dalla piú grande superbia che intorno al padrone, mentre mangia, ci sia una turba di servi in piedi? Egli mangia oltre la capacità del suo stomaco e con grande avidità riempie il ventre rigonfio ormai disavvezzo alle sue funzioni: è più affaticato a vomitare il cibo che a ingerirlo. 3 Ma a quegli schiavi infelici non è permesso neppure muovere le labbra per parlare: ogni bisbiglio è represso col bastone e non sfuggono alle percosse neppure i rumori casuali, la tosse, gli starnuti, il singhiozzo: interrompere il silenzio con una parola si sconta a caro prezzo; devono stare tutta la notte in piedi digiuni e zitti. 4 Così accade che costoro, che non possono parlare in presenza del padrone, ne parlino male. Invece quei servi che potevano parlare non solo in presenza del padrone, ma anche col padrone stesso, quelli che non avevano la bocca cucita, erano pronti a offrire la testa per lui e a stornare su di sé un pericolo che lo minacciasse; parlavano durante i banchetti, ma tacevano sotto tortura. 5 Inoltre, viene spesso ripetuto quel proverbio frutto della medesima arroganza: 'Tanti nemici, quanti schiavi': loro non ci sono nemici, ce li rendiamo tali noi. Tralascio per ora maltrattamenti crudeli e disumani: abusiamo di loro quasi non fossero uomini, ma bestie. Quando ci mettiamo a tavola, uno deterge gli sputi, un altro, stando sotto il divano, raccoglie gli avanzi dei convitati ubriachi.


Considera che costui, che tu chiami tuo schiavo, è nato dallo stesso seme, gode dello stesso cielo, respira, vive, muore come te! Tu puoi vederlo libero, come lui può vederti schiavo. Con la sconfitta di Varo la sorte degradò socialmente molti uomini di nobilissima origine, che attraverso il servizio militare aspiravano al grado di senatori: qualcuno lo fece diventare pastore, qualche altro guardiano di una casa. E ora disprezza pure l'uomo che si trova in uno stato in cui, proprio mentre lo disprezzi, puoi capitare anche tu.

Non voglio cacciarmi in un argomento tanto impegnativo e discutere sul trattamento degli schiavi: verso di loro siamo eccessivamente superbi, crudeli e insolenti. Questo è il succo dei miei insegnamenti: comportati con il tuo inferiore come vorresti che il tuo superiore agisse con te. Tutte le volte che ti verrà in mente quanto potere hai sul tuo schiavo, pensa che il tuo padrone ha su di te altrettanto potere.

'Ma io', ribatti, 'non ho padrone.' Per adesso ti va bene; forse, però lo avrai. Non sai a che età Ecuba divenne schiava, e Creso, e la madre di Dario, e Platone, e Diogene? 13 Sii clemente con il tuo servo e anche affabile; parla con lui, chiedigli consiglio, mangia insieme a lui.

A questo punto tutta la schiera dei raffinati mi griderà: 'Non c'è niente di più umiliante, niente di più vergognoso.' Io, però potrei sorprendere proprio loro a baciare la mano di servi altrui. 14 E neppure vi rendete conto di come i nostri antenati abbiano voluto eliminare ogni motivo di astio verso i padroni e di oltraggio verso gli schiavi? Chiamarono padre di famiglia il padrone e domestici gli schiavi, appellativo che è rimasto nei mimi; stabilirono un giorno festivo, non perché i padroni mangiassero con i servi solo in quello, ma almeno in quello; concessero loro di occupare posti di responsabilità nell'ambito familiare, di amministrare la giustizia, e considerarono la casa un piccolo stato. 15 'E dunque? Inviterò alla mia tavola tutti gli schiavi?' Non più che tutti gli uomini liberi. Sbagli se pensi che respingerò qualcuno perché esercita un lavoro troppo umile, per esempio quel mulattiere o quel bifolco. Non li giudicherò in base al loro mestiere, ma in base alla loro condotta; della propria condotta ciascuno è responsabile, il mestiere, invece, lo assegna il caso. Alcuni siedano a mensa con te, perché ne sono degni, altri perché lo diventino; se c'è in loro qualche tratto servile derivante dal rapporto con gente umile, la dimestichezza con uomini più nobili lo eliminerà. 16 Non devi, caro Lucilio, cercare gli amici solo nel foro o nel senato: se farai attenzione, li troverai anche in casa. Spesso un buon materiale rimane inservibile senza un abile artefice: prova a farne esperienza. Se uno al momento di comprare un cavallo non lo esamina, ma guarda la sella e le briglie, è stupido; così è ancora più stupido chi giudica un uomo dall'abbigliamento e dalla condizione sociale, che ci sta addosso come un vestito. 17 'È uno schiavo.' Ma forse è libero nell'animo. 'È uno schiavo.' E questo lo danneggerà? Mostrami chi non lo è: c'è chi è schiavo della lussuria, chi dell'avidità, chi dell'ambizione, tutti sono schiavi della speranza, tutti della paura. Ti mostrerò un ex console servo di una vecchietta, un ricco signore servo di un'ancella, giovani nobilissimi schiavi di pantomimi: nessuna schiavitù è più vergognosa di quella volontaria. Perciò codesti schizzinosi non ti devono distogliere dall'essere cordiale con i tuoi servi senza sentirti superbamente superiore: più che temerti, ti rispettino.

Qualcuno ora dirà che io incito gli schiavi alla rivolta e che voglio abbattere l'autorità dei padroni, perché ho detto 'il padrone lo rispettino più che temerlo'. 'Proprio così?' chiederanno. 'Lo rispettino come i clienti, come le persone che fanno la visita di omaggio?' Chi dice questo, dimentica che non è poco per i padroni quella reverenza che basta a un dio. Se uno è rispettato, è anche amato: l'amore non può mescolarsi al timore. 19 Secondo me, perciò tu fai benissimo a non volere che i tuoi servi ti temano e a correggerli solo con le parole: con la frusta si puniscono le bestie. Non tutto ciò che ci colpisce, ci danneggia; ma l'abitudine al piacere induce all'ira: tutto quello che non è come desideriamo, provoca la nostra collera. 20 Ci comportiamo come i sovrani: anche loro, dimentichi delle proprie forze e della debolezza altrui, danno in escandescenze e infieriscono, come se fossero stati offesi, mentre l'eccezionalità della loro sorte li mette completamente al sicuro dal pericolo di una simile evenienza. Lo sanno bene, ma, lamentandosi, cercano l'occasione per fare del male; dicono di essere stati oltraggiati per poter oltraggiare.

Non voglio trattenerti più a lungo; non hai bisogno di esortazioni. La rettitudine ha, tra gli altri, questo vantaggio: piace a se stessa ed è salda. La malvagità è incostante e cambia spesso, e non in meglio, ma in direzione diversa. Stammi bene.



CONSOLATIO AD HELVIAM


CAP 8

(1) Contro il cambiamento di luogo, a prescindere dagli altri svantaggi che vi sono connessi, Varrone, il più dotto dei Romani, ritiene che rimedio sufficiente sia il fatto che dovunque noi andiamo abbiamo a che fare con la medesima natura; M. Bruto4, invece, pensa che basti, per chi va in esilio, portare con sé le proprie virtù. (2) Anche se qualcuno giudica di scarsa efficacia per un esule questi rimedi se presi singolarmente, bisogna dire che, messi insieme, essi sono efficacissimi. Quanto poco è, infatti, quello che perdiamo! Due cose ci seguono dovunque noi andiamo e sono le più belle che esistono: la natura, che è comune a tutti, e la nostra virtù personale. (3) Questo è voluto, credimi, dal creatore dell'universo, chiunque egli sia, un Dio signore di tutte le cose o una mente incorporea artefice di opere meravigliose, o uno spirito divino uniformemente diffuso in tutte le cose, le più grandi come le più piccole, o il destino e la successione immutabile di cause connesse fra loro; questo, ripeto, è voluto perché soltanto le cose infime fossero soggette all'arbitrio altrui. (4) Ciò che vi è di meglio nell'uomo è sottratto al potere umano e non può essere né dato né tolto. Questo universo che di tutte le creazioni della natura è la più grande e la più bella, il nostro animo che questo universo contempla e ammira e del quale è parte splendidissima, appartengono a noi per sempre e resteranno con noi tanto più a lungo quanto noi stessi più a lungo esisteremo. (5) Perciò, di buon animo e fieri, affrettiamoci con passo fermo dovunque la sorte ci spinga. Percorriamo tutta la terra, non vi sarà nessun esilio; infatti al mondo non c'è luogo che sia straniero all'uomo. Da ogni parte, egualmente, si può volgere lo sguardo al cielo; la distanza che separa l'uomo da Dio è sempre la stessa. (6) Per questo, purché i miei occhi non siano privati di quello spettacolo di cui sono insaziabili, purché mi sia consentito di guardare il sole e la luna, purché io possa fissare gli altri astri e studiarne il sorgere e il tramontare, le loro distanze e le cause del loro moto, ora più veloce ora più lento, e ammirare le tante stelle che brillano nella notte, alcune immobili altre che si spostano, non però nello spazio infinito ma in un'orbita che si sono tracciata, altre ancora che spuntano all'improvviso, altre che quasi abbagliano in un guizzo di fiamma e sembra che cadano o che, per un lungo tratto di cielo, passano oltre con una gran luce, purché io possa contemplare tutto questo e, per quanto sia lecito a un uomo, partecipare alla vita del cielo, purché l'animo mio che tende alle cose a lui affini sia sempre rivolto al cielo, che cosa mi importa quale terra io calpesti?


CAP 11

(1) È di un abito e di una casa che l'esule sente la mancanza? Se queste cose le desidera soltanto perché gli servono, né un tetto né una coperta gli mancheranno, perché un corpo si copre con poco e con poco si nutre. La natura non ha reso faticoso per l'uomo ciò che gli è necessario. (2) Ma se uno desidera una veste sovraccarica di porpora o tessuta d'oro o ricamata a vari colori e con arte, non è colpa della sorte se egli è povero, ma sua. Anche se gli restituirai tutto quello che ha perduto, non servirà a niente; infatti egli avrà nuovi desideri che lo faranno ancora più povero rispetto a ciò che aveva quando era un esule. (3) E se uno desidera una suppellettile splendente di vasi d'oro, un'argenteria firmata dai più famosi artisti dell'antichità, bronzi resi preziosi per la mania di pochi e una folla di schiavi che renderebbe angusta la casa più grande, bestie da soma piene zeppe di cibo e costrette a ingrassare, e marmi provenienti da tutte le parti del mondo, anche se accumulerà tutto questo, mai e poi mai riuscirà a saziare l'animo insaziabile, come non ci sarà acqua a sufficienza per soddisfare colui la cui sete non deriva dal bisogno di bere ma da un fuoco ardente che gli brucia le viscere: quella, infatti, non è sete, è malattia. (4) E questo non succede soltanto per le ricchezze e per gli alimenti. È la peculiarità di ogni desiderio che nasce non dal bisogno ma dal vizio; in qualunque modo tu cercherai di soddisfarlo, non riuscirai a por fine all'avidità, ma lo farai progredire. Chi, invece, saprà contenersi nei limiti della natura non sentirà la povertà; chi oltrepasserà questi limiti avrà la povertà al suo fianco anche in mezzo alle più grandi ricchezze. Alle cose necessarie è in grado di provvedere anche l'esilio, ma a quelle superflue non basta un regno. (5) È l'animo che ci fa ricchi. Esso ci segue nell'esilio e nella solitudine più desolata, quando trova quanto basta a sostentare il corpo, si sente ricco dei suoi beni e ne gode; la ricchezza non riguarda l'animo come non riguarda gli dei immortali. (6) Tutte queste cose che gli spiriti ignoranti e troppo legati ai loro corpi ammirano, e cioè i monumenti, l'oro, l'argento, le grandi tavole rotonde e ben levigate, sono pesi terreni che un animo puro e memore della sua natura non può amare, privo com'è di macchia e pronto a slanciarsi verso l'alto appena sarà libero; nel frattempo, per quanto glielo consentono l'ingombro delle membra e questa grave soma che lo circonda, esplora le cose divine con pensiero agile e alato. (7) Pertanto non può mai sentirsi in esilio l'animo libero e parente degli dei, partecipe dello spazio infinito e dell'eterno. Infatti il suo pensiero penetra tutto il cielo e tutto il tempo presente e futuro. Questo povero corpo, invece, carcere e catena dell'anima, è sbattuto di qua e di là: su di lui si accaniscono le torture, le violenze, le malattie; l'animo, invece, è sacro ed eterno e al riparo da ogni violenza.


DE IRA

LIBRO 3

'Dove vuoi arrivare' mi chiedi 'con questo discorso?'.

A far sì che nessuno si ritenga immune dall'ira, poiché la natura provoca alla crudeltà ed alla violenza anche le persone calme e tranquille. Come la robusta costituzione e l'attenta cura della salute non giovano a nulla contro la pestilenza, che colpisce indiscriminatamente i deboli ed i robusti, così è esposto al pericolo dell'ira tanto chi è abitualmente inquieto, quanto chi è calmo ed arrendevole, ma, per questi ultimi, essa comporta maggior vergogna e pericolo, perché opera in essi maggiori cambiamenti.

Ma poiché il primo punto è il non adirarsi, il secondo, deporre l'ira, il terzo, porre rimedio anche all'ira degli altri, dirò, in primo luogo, come possiamo non incorrere nell'ira, poi come possiamo liberarcene, infine come è possibile trattenere un adirato, placarlo e riportarlo all'uso del senno.

Riusciremo a non adirarci, se prenderemo in osservazione tutti gli aspetti negativi dell'ira e la valuteremo nel modo giusto. Dobbiamo metterla sotto accusa davanti a noi stessi ed emettere la condanna; le sue male azioni debbono essere esaminate a fondo e trascinate in pubblico giudizio; per farla apparire quale è, dobbiamo paragonarla con i vizi peggiori.

L'avarizia si procura ed accumula beni che saranno utilizzati da un non avaro; l'ira è dispendiosa, solo a pochi non costa nulla: un padrone iracondo, di quanti schiavi ha provocato la fuga, di quanti la morte! la perdita, dovuta alla sua ira, quante volte ha superato il valore della cosa per cui s'era irritato! A un padre l'ira ha portato un lutto, a un marito il divorzio, a un magistrato l'odio, a un candidato l'insuccesso elettorale.

È peggiore della lussuria, perché quella gode del piacere proprio, l'ira, della sofferenza altrui. Vince il confronto con la malevolenza e l'invidia, perché quelle vogliono che qualcuno diventi infelice, questa vuol farlo tale, quelle godono di disgrazie accidentali, questa non sa aspettare il gioco del caso: vuol nuocere a colui che odia, non aspetta che gli nuocciano altri.

Nulla è più gravoso delle inimicizie: l'ira le favorisce; nulla è più funesto della guerra: in essa sfocia l'ira dei potenti; del resto, anche l'ira del volgo anonimo e dei privati è una guerra senza esercito. In più l'ira, anche se non ne consideriamo le inevitabili conseguenze immediate, come i danni, le insidie, la continua ansia delle vicendevoli lotte, resta punita mentre cerca di punire; essa rinnega la natura dell'uomo: quella esorta ad amare, questa, ad odiare; quella esorta a giovare, questa, a nuocere.

Aggiungi che, mentre il suo sdegno sgorga da eccessiva stima di sé e sembra un segno di coraggio, in realtà è pusillanime e meschina: non è possibile, infatti, ritenersi disprezzati da qualcuno, senza porsi più in basso di lui. Ma l'animo grande, che sa valutare obiettivamente se stesso, non vendica l'ingiuria, perché non ne risente. [8] Come i dardi rimbalzano sul duro, come ci si fa male, quando si colpisce sul sodo, così nessuna ingiuria riesce a farsi sentire da un animo grande, perché è più fragile del bersaglio dei suoi attacchi. Quanto è più bello sdegnare tutte le ingiurie, come si fosse invulnerabili a qualunque arma! Vendicarsi è un confessarsi addolorati, ma non è grande l'animo che si lascia piegare dall'ingiuria. O ti ha offeso un più potente di te, o un più debole; se è un più debole, risparmialo, se è un più potente, risparmia te stesso.



DE BREVITATE VITAE


Cap 2

Perché ci lamentiamo della natura delle cose? Essa si è comportata in maniera benevola: la vita è lunga, se sai farne uso. C'è chi è preso da insaziabile avidità, chi dalle vuote occupazioni di una frenetica attività; uno è fradicio di vino, un altro languisce nell'inerzia; uno è stressato da un'ambizione sempre dipendente dai giudizi altrui, un altro è sballottato per tutte le terre da un'avventata bramosia del commercio, per tutti i mari dal miraggio del guadagno; alcuni tortura la smania della guerra, vogliosi di creare pericoli agli altri o preoccupati dei propri; vi sono altri che logora l'ingrato servilismo dei potenti in una volontaria schiavitù; molti sono prigionieri della brama dell'altrui bellezza o della cura della propria; la maggior parte, che non ha riferimenti stabili, viene sospinta a mutar parere da una leggerezza volubile ed instabile e scontenta di sé; a certuni non piace nulla a cui drizzar la rotta, ma vengono sorpresi dal destino intorpiditi e neghittosi, sicché non ho alcun dubbio che sia vero ciò che vien detto, sotto forma di oracolo, nel più grande dei poeti: 'Piccola è la porzione di vita che viviamo'. Infatti tutto lo spazio rimanente non è vita, ma tempo. I vizi premono ed assediano da ogni parte e non permettono di risollevarsi o alzare gli occhi a discernere il vero, ma li schiacciano immersi ed inchiodati al piacere. Giammai ad essi è permesso rifugiarsi in se stessi; se talora gli tocca per caso un attimo di tregua, come in alto mare, dove anche dopo il vento vi è perturbazione, ondeggiano e mai trovano pace alle loro passioni. Pensi che io parli di costoro, i cui mali sono evidenti? Guarda quelli, alla cui buona sorte si accorre: sono soffocati dai loro beni. Per quanti le ricchezze costituiscono un fardello! A quanti fa sputar sangue l'eloquenza e la quotidiana ostentazione del proprio ingegno! Quanti sono pallidi per i continui piaceri! A quanti non lascia un attimo di respiro l'ossessionante calca dei clienti! Dunque, passa in rassegna tutti costoro, dai più umili ai più potenti: questo cerca un avvocato, questo è presente, quello cerca di esibire le prove, quello difende, quello è giudice, nessuno rivendica per se stesso la propria libertà, ci si consuma l'uno per l'altro. Infòrmati di costoro, i cui nomi si imparano, vedrai che essi si riconoscono da questi segni: questo è cultore di quello, quello di quell'altro; nessuno appartiene a se stesso. Insomma è estremamente irragionevole lo sdegno di taluni: si lamentano dell'alterigia dei potenti, perché questi non hanno il tempo di venire incontro ai loro desideri. Osa lagnarsi della superbia altrui chi non ha tempo per sé? Quello almeno, chiunque tu sia, benché con volto arrogante ma qualche volta ti ha guardato, ha abbassato le orecchie alle tue parole, ti ha accolto al suo fianco: tu non ti sei mai degnato di guardare dentro di te, di ascoltarti. Non vi è motivo perciò di rinfacciare ad alcuno questi servigi, poiché li hai fatti non perché desideravi stare con altri, ma perché non potevi stare con te stesso


Cap 3

Per quanto siano concordi su questo solo punto gli ingegni più illustri che mai rifulsero, mai abbastanza si meraviglieranno di questo appannamento delle menti umane: non tollerano che i propri campi vengano occupati da nessuno e, se sorge una pur minima disputa sulla modalità dei confini, si precipitano alle pietre ed alle armi: permettono che altri invadano la propria vita, anzi essi stessi vi fanno entrare i suoi futuri padroni; non si trova nessuno che sia disposto a dividere il proprio denaro: a quanti ciascuno distribuisce la propria vita! Sono avari nel tenere i beni; appena si giunge alla perdita di tempo, diventano molto prodighi in quell'unica cosa in cui l'avarizia è un pregio. E così piace citare uno dalla folla degli anziani: 'Vediamo che sei arrivato al termine della vita umana, hai su di te cento o più anni: suvvia, fa un bilancio della tua vita. Calcola quanto da questo tempo hanno sottratto i creditori, quanto le donne, quanto i patroni, quanto i clienti, quanto i litigi con tua moglie, quanto i castighi dei servi, quanto le visite di dovere attraverso la città; aggiungi le malattie, che ci siamo procurati con le nostre mani, aggiungi il tempo che giacque inutilizzato: vedrai che hai meno anni di quanti ne conti. Ritorna con la mente a quando sei stato fermo in un proposito, quanti pochi giorni si sono svolti così come li avevi programmati, a quando hai avuto la disponibilità di te stesso, a quando il tuo volto non ha mutato espressione, a quando il tuo animo è stato coraggioso, che cosa di positivo hai realizzato in un periodo tanto lungo, quanti hanno depredato la tua vita mentre non ti accorgevi di cosa stavi perdendo, quanto ne ha sottratto un vano dispiacere, una stupida gioia, un'avida bramosia, una piacevole discussione, quanto poco ti è rimasto del tuo: capirai che muori anzitempo'. Dunque qual è il motivo? Vivete come se doveste vivere in eterno, mai vi sovviene della vostra caducità, non ponete mente a quanto tempo è già trascorso; ne perdete come da una rendita ricca ed abbondante, quando forse proprio quel giorno, che si regala ad una certa persona od attività, è l'ultimo. Avete paura di tutto come mortali, desiderate tutto come immortali. Udirai la maggior parte dire: 'Dai cinquant'anni mi metterò a riposo, a sessant'anni mi ritirerò a vita privata'. E che garanzia hai di una vita tanto lunga? Chi permetterà che queste cose vadano così come hai programmato? Non ti vergogni di riservare per te i rimasugli della vita e di destinare alla sana riflessione solo il tempo che non può essere utilizzato in nessun'altra cosa? Quanto tardi è allora cominciare a vivere, quando si deve finire! Che sciocca mancanza della natura umana differire i buoni propositi ai cinquanta e sessanta anni e quindi voler iniziare la vita lì dove pochi sono arrivati!







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