latino |
- Fedro, versioni -
La legge del più forte
La rana invidiosa del bue
I vizi dell'uomo
I due muli
LA LEGGE DEL PIÙ FORTE (Fedro 1, 5)
Numquam est fidelis cum potente societas:
testatur haes fabella propositum meum.
Vacca et capella et patiens ovis iniuriae
Socii fuere cum leone in saltibus.
Hi cum sepissent cervum vasti corporis,
sic est locutu partibus factis leo:
'Ego primam tollo, nomina quia leo;
secundam, quia sum socius, tribuetis mihi;
tum, quia plus valeo, me sequetur tertia;
malo adficietur, siquis quartam tetigerit'.
Sic totam praedam sola improbitas abstulit.
Non c'è mai alleanza sicura con un prepotente: questa favoletta dimostra la mia premessa. Una mucca e una capretta e una pecora, che tollera l'offesa, furono socie con un leone nei boschi. Siccome questi aveva preso un cervo dal grande corpo, il leone parlò così, dopo aver fatto le parti: 'Io prendo la prima (parte), poiché vengo chiamato leone; la seconda la offrirete a me, perché sono il vostro socio, poi, la terza parte mi seguirà perché sono il più forte; se qualcuno toccherà la quarta parte, sarà colpito dal male.'. Così la sola prepotenza portò via tutta la preda.
LA RANA INVIDIOSA DEL BUE (Fedro 1, 24)
Inops, potentem dum vult imitari, perit.
In prato qundam rana conspexit bovem
Et tacta invidia tantae magnitudinis
Rugosam inflavit pellem: tum natos suos
Interrogavit, an bove esse latior.
Ille negaverunt. Rursus intendit cutem
Maiore nisu et simili quaesivit modo,
Quis maior esset. Illi dixerunt bovem.
Novissime indignata, dum vult validius
Inflare sese, rupto iacuit corpore.
Il debole, quando vuole imitare il potente, muore. Una volta una rana vide in un prato un bue e colpita dall'invidia per una simile grandezza gonfiò la pelle rugosa: poi chiese ai suoi piccoli, se fosse più grande del bue. Quelli negarono. Nuovamente tese la pelle con uno sforzo maggiore e similmente chiese chi fosse il più grande. Quelli dissero il bue. Infine indignata mentre vuole gonfiarsi maggiormente, giacque con il corpo scoppiato.
IL LUPO MAGRO E IL CANE GRASSO (Fedro 3, 7)
Quam dulcis sit libertas breviter proloquar.
Cani perpasto macie confectus lupus
forte occurrit; dein, salutati invicem
ut restiterunt, 'Unde sic, quaeso, nites?
Aut quo cibo fecisti tantum corporis?
Ego, qui sum longe fortior, pereo fame.'
Canis simpliciter: 'Eadem est condicio tibi,
praestare domino si par officium potes'.
'Quod?' inquit ille. 'Custos ut sis liminis,
a furibus tuearis et noctu domum.
Adfertur ultro panis; de mensa sua
dat ossa dominus; frusta iactat familia,
et quod fastidit quisque pulmentarium.
Sic sine labore venter impletur meus'.
'Ego vero sum paratus: nunc patior nives
imbresque in silvis asperam vitam trahens.
Quanto est facilius mihi sub tecto vivere,
et otiosum largo satiari cibo!'
'Veni ergo mecum'. Dum procedunt, aspicit
lupus a catena collum detritum cani.
'Unde hoc, amice?'. 'Nil est'. 'Dic, sodes, tamen'.
'Quia videor acer, alligant me interdiu,
luce ut quiescam, et uigilem nox cum venerit:
crepusculo solutus qua visum est vagor'.
'Age, abire si quo est animus, est licentia?'
'Non e est' inquit. 'Fruere quae laudas, canis;
regnare nolo, liber ut non sim mihi'.
Dirò brevemente quanto sia dolce la libertà. Un giorno un lupo smunto dalla fame incontrò un cane ben pasciuto. Fermatisi, dopo essersi salutati: 'Dimmi, come fai ad essere così bello? Con quale cibo sei ingrassato tanto? Io che sono di gran lunga più forte, muoio di fame'. Il cane schiettamente: 'Puoi stare così anche tu, se presti ugual servizio al mio padrone'. 'Quale?', chiese. 'La guardia della porta, la custodia della casa dai ladri della notte'. 'Ma io sono pronto! Ora conduco una vita grama sopportando nei boschi neve e piogge; quanto è più facile vivere sotto un tetto, starsene in ozio, saziandosi di cibo abbondante!'. 'Vieni con me allora'. Mentre camminano il lupo vede il collo del cane spelacchiato dalla catena. 'Amico, cos'è questo?'. 'Non è niente'. 'Ma ti prego, dimmelo'. 'Dato che sembro troppo vivace, mi legano di giorno, affinché riposi quando è chiaro e sia sveglio quando viene la notte; al tramonto, slegato, me ne vado in giro dove voglio. Mi danno il pane senza che lo chieda; il padrone mi getta le ossa dalla sua mensa; gettano pezzi i servi e quel che avanza del companatico. Così, senza fatica, la mia pancia si riempie'. 'Ma se ti viene voglia di andartene, è permesso?'. 'Questo no', rispose. 'Goditi quello che vanti, o cane. Neanche un regno vorrei, se non fossi libero'.
I VIZI DELL'UOMO (fedro 4, 10)
Peras imposuit Iuppiter nobis duas:
Propriis repletam vitiis post tergum dedit,
Alienis ante pectus suspendit gravem.
Hac re videre nostra mala non possumus,
Alii simul deliquunt censores sumus..
Giove ci mise (sulle spalle) due bisacce: pose dietro la schiena la bisaccia piena dei propri difetti, sospese davanti al petto la pesante bisaccia dei vizi altrui. Per questo motivo non possiamo vedere i nostri difetti, ma siamo critici non appena gli altri sbagliano.
I DUE MULI (Fedro)
Duo muli iter idem faciebant, sarcinis gravati; unus eorum fiscos pecuniae plenos, alter saccos hordei refertos portabat. Ille, pretioso onere superbus, excelsa cervice incedebat, clarum tintinnabulum iactabat comitemque spernebat; hic post eum placidos et quietos gradus faciebat. Subito latrones ex insidiis eruperunt: mulum, qui pecuniam portabat, ferro vulneraverunt, nummos diripuerunt, mulum vili hordeo onustum neglexerunt. Tum, qui vulnera acceperat, tristem sortem suam flebat; alter autem dicebat: 'Res prospere mihi evenit, quem latrones non vulneraverunt quique sarcinas non amisi'. Hac fabella Aesopus ille nos docet: impotentes hominum cupiditates divitiae excitant; divites magnis semper periculis, immaturae interdum neci sunt obnoxii; ideo angores et pavores eorum vitam terrent; qui autem in paupertate aetatem degunt, nullius inimici invidiam movent eorumque vita tuta est et placida.
Due muli facevano la medesima strada, carichi di sacche; uno di loro portava delle sacche piene di denaro, l'altro sacche piene di orzo. Il primo, fiero per il prezioso carico, avanzava a testa alta, ostentava i sonagli luccicanti e disprezzava il comno; quest'ultimo avanzava con passo lento e tranquillo dietro di lui. Improvvisamente con un'imboscata irruppero dei briganti: colpirono con una spada il mulo che portava il denaro, strapparono via le monete ed ignorarono il mulo carico di vile orzo. Allora quello che aveva ricevuto le ferite piangeva la sua triste sorte; il secondo invece diceva: 'È andata bene a me che non sono stato ferito dai ladri e non ho perso il carico'. Con questa favoletta il famoso Esopo ci insegna: le ricchezze suscitano gli incontrollabili desideri degli uomini; i ricchi vanno sempre incontro a grandi pericoli e talvolta ad una morte prematura; perciò paure e dolori atterriscono la loro vita. Coloro che, invece, passano la vita in condizione modesta non suscitano l'invidia di alcun nemico ed hanno una vita sicura e tranquilla.
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