latino |
|
|||||
Le notizie della vita di Giovenale sono poche e incerte, derivate da rari suoi cenni o dagli epigrammi dell'amico Marziale. Dovrebbe essere nato nel basso Lazio intorno al 50 a.C. da famiglia benestante. Sembra che sia stato avvocato e si sia poi dato alle declamazioni e quindi alla poesia. Come Marziale visse sotto i potenti, in condizioni economiche disagiate. Morì sicuramente dopo il 127 a.C.
Scrisse 16 satire suddivise in 5 libri, scritte nell'età matura.
Riassunto
le sue satire sono di vario genere. Tra le tante, la prima spiega i motivi per cui è diventato poeta satirico (per la corruzione morale diffusa), anche se per non compromettersi troppo attacca le generazioni passate e non le presenti. Le sue satire in generale hanno come frequente bersaglio l'omosessualità, un "vizio turpe", ma spesso fanno dell'ironia, come la 4° satira in cui si narra del consiglio riunito da Domiziano per discutere su una questione importantissima: come cucinare il rombo offerto in dono all'imperatore. Critica i vizi delle donne, rimpiange il mecenatismo . insomma, critica vari aspetti della vita presente.
Di fronte alla società corrotta e disonesta contemporanea, la letteratura mitologica è ridicola: Giovenale crede che l'unico genere letterario adatto a quei tempi sia la satira e che la musa del
poeta debba essere l'indignazione. Al contrario di Persio e Orazio, però, Giovenale non crede che la satira modifichi il comportamento degli uomini. Rifiutando di dare delle risposte ai problemi che affliggono la società, il poeta rifiuta il pensiero moralistico romano (che diceva di restare indifferenti di fronte al mondo esterno e di coltivare i beni interiori), ed in questo si differenzia da tutta la tradizione satirica. Giovenale preferisce lo sdegno all'indifferenza.
Agli occhi Di questo poeta moralista, la società romana sembra irrimediabilmente compromessa; egli si sente come un emarginato che osserva una scena confusa in cui il suo solo potere è l'invettiva. Si scaglia contro tutti, e specialmente le ure di più alto rilievo, i ricchi e le donne (misoginia), ed è a queste ultime che dedica un'intera satira.
In tutto questo sdegno trova ampio spazio la denuncia delle condizioni dei letterati che sono alla fame, degli umili, degli oppressi, in un forte atteggiamento democratico. Ma in realtà è tutta un'illusione: Giovenale disprezza i rozzi, il volgo, chiunque svolga un lavoro manuale: è pieno di orgoglio intellettuale che lo tiene ben distante da qualunque tipo di solidarietà sociale.
Egli ama i bei tempi passati, in cui la corruzione era solo un piccolo problema.
Nella seconda parte dell'opera Giovenale abbandona l'indignatio per assumere un atteggiamento più distaccato (proprio quello del pensiero moralistico romano), rassegnata. Ma qua e là si leggono i segni del furore di sempre.
Nella tradizione precedente la satira si occupava di questioni familiari, per cui il linguaggio adottato era umile. Ora che si parla di realtà eccezionali il linguaggio deve cambiare: diventa simile a quello della tragedia, un genere letterario opposto alla satira, ma ne rifiuta l'irrealtà. Per il tono dell'indignatio non è indicato il registro comico a cui era legata la tradizione satirica, ma un tipo di lingua sublime.
Attraverso questa espressione sublime Giovenale fa risaltare per contrasto lo schifo della materia trattata, che ha comunque già deformato.
Il suo stile è ricco di enfasi, ripetitivo nelle denuncie e nei topoi moralistici, in cui si mostrano gli influssi della scuola retorica che il poeta ha frequentato.
Fortuna
La sua fortuna inizia durante il Medioevo. Sappiamo comunque che Giovenale fu noto a Dante, Petrarca, Ariosto, Parini, Alfieri, Carducci e molti altri.
Privacy
|
© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta