latino |
IL "CASO" OVIDIO
Per capire il "caso" Ovidio, bisogna tener conto della particolare situazione politica, sociale e culturale di Roma negli anni a cavallo fra il I secolo a.C. ed il I sec. d. C.
Augusto non solo aveva preso saldamente il potere nelle sue mani, ma era riuscito a coinvolgere nel suo programma di restaurazione morale, del ritorno al mos maiorum alcuni fra i nomi più prestigiosi del mondo della cultura, come Virgilio ed Orazio. Essi appartenevano a quella stessa generazione che visse sulla propria pelle la tragedia delle guerre civili e che vide quindi in Augusto il deus praesens capace di portare finalmente la pace attraverso la fondazione di una nuova realtà politica e sociale che recuperava gli antichi costumi. Alla generazione appena uscita dall'esperienza lacerante delle guerre civili ed animata quindi dal desiderio di dar vita ad un mondo migliore, subentrò, inevitabilmente, la generazione di coloro che alla morte di Cesare non erano ancora nati, che vissero e crebbero quindi nella pace augustea di cui conobbero solo i frutti presenti (ricchezza, lusso, consumo) e non le tensioni che l'avevano generata. Ovidio fu il poeta-cantore di questa seconda generazione augustea, fu colui che riprodusse nei suoi versi, ad esempio nell' Ars amatoria, i modelli di comportamento di una società amante del lusso e smaniosa di divertirsi, priva di tensione morale, in palese contrapposizione quindi con gli ideali di risanamento morale e di severità di costumi su cui si fondava l'ideologia del principato augusteo. Lo stesso Augusto fu costretto a constatare il fallimento dei suoi programmi di restaurazione degli antichi valori addirittura all'interno della sua famiglia, quando il comportamento scandaloso della lia Giulia e della nipote lo costrinsero a prendere gravi provvedimenti. In questo clima maturò, nell'8 d. C., il dramma di Ovidio che all'improvviso si vide imporre l'esilio, mentre fu ordinato il bando delle sue opere dalle pubbliche biblioteche. Su questo episodio è calata fin dall'antichità un'autentica congiura del silenzio rotta soltanto da qualche accenno dello stesso Ovidio, che nei Tristia invoca ripetutamente il perdono di Augusto. Ma il perdono da che cosa? Ovidio nell'unica lunghissima elegia che costituisce da sola il secondo libro dei Tristia allude ad un carmen e ad un error, aggiungendo che quest'ultimo non può essere rivelato. Il carmen è sicuramente l'Ars Amatoria, in cui maliziosamente venivano illustrate le tecniche per conquistare e conservare l'amore, ridotto a gioco futile e galante; tuttavia, tenendo conto che l'Ars amatoria era già edita da almeno sette anni, bisognava supporre che a determinare l'esilio sia stato piuttosto l'error, sul quale il poeta mantiene sempre il più stretto riserbo, fornendo un solo indizio quando, sempre nell'elegia citata (vv. 103 sgg.) esclama:
Perché ho visto qualcosa? Perché ho reso colpevoli i miei occhi?
Perché, senza averne l'intenzione, sono stato complice di una colpa?
Sulla base di questi versi si è fatta l'ipotesi che Ovidio sia stato in qualche modo coinvolto nell'adulterio di Giulia (nipote di Augusto) che venne esiliata proprio nell'8 d. C.
Il Ovidio Augusto volle probabilmente colpire, esemplarmente, un "maestro di corruzione", individuando nelle sue opere una delle cause (mentre in realtà si trattava semmai di effetti!) di quella decadenza morale che smentiva clamorosamente tutto il suo operato e che aveva dolorosamente colpito anche i suoi sentimenti di padre.
Privacy
|
© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta