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LIBER PRIMUS
Primo anno della guerra gallica:
1.I. Divisione della Gallia e suoi popoli: Belgi, Aquilani, Celti..
La Gallia complessiva è divisa in tre parti, di cui una l'abitano i
Belgi, l'altra gli Aquilani, la terza quelli che nella loro lingua si chiamano
Celti, nella nostra Galli. Tutti questi differiscono tra loro per lingua,
istituzioni, leggi.Il fiume Garonna divide i Galli dagli Aquilani, la Marna e
la Senna dai Belgi.Di tutti questi i più forti sono i Belgi, per il
fatto che distano moltissimo dalla cultura e dalla civiltà della
provincia e per nulla vanno da loro i commercianti e non importano quelle cose,
che servono per effeminare gli animi e sono vicini ai Germani, che abitano
oltre il Reno, coi quali continuamente fanno guerra.Per tale motivo pure gli
El superano in valore gli altri Galli, perché con battaglie quasi
quotidiane si scontrano coi Germani, quando o li respingono dai loro territori
o loro stessi fanno guerra nei loro territori.Una parte di essi, quella che si
disse che i Galli occupano, prende inizio dal fiume Rodano, tocca anche il
fiume Reno dalla parte dei Sequani e degli El, si volge a settentrione.I
Belgi cominciano dagli estremi territori dellA Gallia, si estendono alla parte
inferiore del fiume Reno, si volgono a settentrione e ad oriente .L'Aquitania
si estende dal fiume Garonna ai monti Pirenei ed a quella parte dell'Oceano,
che è presso la Sna, si volge tra il tramonto del sole e
settentrione.
1.II.Lega tra El ed
Orgetorige per la supremazia della Gallia.
Tra gli El di gran lunga il più famoso ed il più ricco fu
Orhgetorige. Egli, sotto il consolato di M. Messala e M. Pisone, spinto dalla
voglia di potere fece una lega della nobiltà e persuase la popolazione,
che uscissero dai loro territori con tutte le truppe: esser facile, superando
tutti in valore, impadronirsi del comando di tutta la Gallia.Su ciò li
persuase più facilmente in questo, perché ovunque gli El sono
delimitati dalla natura del posto: da una parte dal Reno, fiume larghissimo e
profondissimo, che divide il terreno elvetico dai Germani, dall'altra parte dal
Giura, monte altissimo, che è tra i Sequani e gli El, dalla terza
(parte) dal lago Lemanno e dal fiume Rodano, che divide la nostra provincia
dagli El.Per queste cose accadeva che vagassero di meno intorno e meno
facilmente potessero portar guerra ai confinanti; e da questa causa uomini
voglioso di combattere erano colpiti da grande dolore. Inoltre a confronto
della quantità di uomini e della gloria di guerra e di potenza credevano
di avere territori piccoli, che si estendevano 240 mila passi in lunghezza e
1.III.Piano di Orgetorige per la supremazia della Gallia.
Spinti da queste cose e scossi dal prestigio di Orgetorige stabilirono di
preparare quelle cose che servissero per partire, di comprare il maggior numero
possibile di carri e di giumenti, di fare le maggiori seminagioni possibili,
perché la scorta di cereali bastasse durante la marcia, di rafforzare la pace e
l'amicizia con le popolazioni vicine.Per completare quelle cose ritennero esser
loro sufficiente un biennio, stabiliscono per legge la partenza per il terzo
anno.Per completare quelle cose è scelto Orgetorige. Egli si assume
l'ambasceria per le popolazioni. In quel viaggio persuade Castico, seguano,
lio di Catamantalede, il cui padre aveva tenuto il potere per molti anni tra
i Sequani e dal senato era stato chiamato amico del popolo romano, di prendere
nella sua nazione il potere, che prima aveva avuto il padre; così pure
persuade l'eduo Dumnorige, fratello di Diviziaco, che in quel tempo deteneva il
primato nella nazione ed era particolarmente gradito al popolo, perché faccia
lo stesso e gli dà sua lia in matrimonio.Assicura loro esser
facilissimo da farsi realizzare gli sforzi, per il fatto che egli stava per
ottenere il potere della sua nazione: non esserci (quindi) dubbio, che gli
El potevano il massimo di tutta la Gallia; rassicura che lui con le sue
truppe ed il suo esercito avrebbe loro agevolato il potere.Spinti da questo discorso
si scambiano tra loro garanzia e giuramento e sperano, occupato il potere, di
poter impadronirsi del comando di tutta la Gallia per mezzo di tre potentissimi
e sicurissimi popoli.
1.IV. Improvvisa morte.di Orgetorige
Tale cosa fu rivelata agli El con una denuncia. Secondo le loro tradizioni
costrinsero Orgetorige a difendersi in tribunale in catene; bisognava che (se)
condannato scontasse la pena di essere bruciato col fuoco. Il giorno stabilito
della difesa in tribunale Orgetorige da ogni parte raccolse per il processo
tutta la sua tribù, circa diecimila persone, e condusse là tutti
i clienti ed i suoi debitori, di cui aveva un gran numero; per mezzo di essi si
sottrasse per non affrontare il processo. Poiché la nazione colpita da quella
situazione tentava di eseguire la propria legge ed i magistrati raccoglievano
dalle camne una moltitudine di persone, Orgetorige morì; e non manca
il sospetto, come pensano gli El, che egli si sia dato la morte.
1.V. Preparazione degli El
alla partenza.
Dopo la sua morte, non di meno, gli El tentano quello che avevano stabilito
di fare per uscire dai loro territori. Quando essi ritennero di essere
già pronti per quella impresa, incendiano tutte le loro città,
circa dodici, i villaggi, circa cinquecento, i restanti edifici privati,
bruciano tutto il frumento, eccetto quello che avevano intenzione di portare
con sé, perché, tolta la speranza del ritorno in patria, fossero più
pronti ad affrontare tutti i pericoli; comandano che ciascuno porti da casa per
sé cibarie macinate per tre mesi. Persuadono i Rauraci, i Tulingi ed i
Latobrigi, confinanti, che utilizzando lo stesso piano, bruciate le loro
città e villaggi, partano insieme con loro e si associano i Boi, che
avevano abitato oltre il Reno ed erano passati nel territorio norico e
assediavano la Noria, dopo averli uniti a loro.
1.VI. Le difficoltà dell'itinerario per la partenza degli El.
C'erano in tutto due itinerari, per i quali itinerari potessero uscire dalla
patria: uno attraverso i Sequani, stretto e difficile, tra il monte Giura ed il
fiume Rodano, dove a stento singoli carri passavano, inoltre sovrastava un
monte altissimo, tanto che facilmente in pochissimi potevano bloccare; l'altro
attraverso la nostra provincia, molto più facile e spedito, per il fatto
che tra i territori degli El e degli Allobrogi, che da poco erano stati
pacificati, scorre il Rodano ed esso in alcuni luoghi si passa a guado. Ginevra
è l'ultima città degli Allobrogi e vicinissima ai territori degli
El. Da quella città un ponte arriva agli El. Pensavano che
avrebbero o persuaso gli Allobrogi, che non sembravano ancora di buon animo
verso il popolo romano, o li avrebbero costretti con la forza perché
permettessero che essi passassero per i loro territori. Fatti tutti i
preparativi per la partenza, stabiliscono il giorno, nella quale giornata tutti
si raccolgano sul Rodano.Quel giorno era il 28 marzo, sotto il consolato di L.
Pisone ed A. Gabinio.
1.VII. L'arrivo di Cesare contro gli El che attraversano la provincia.
Essendo stato annunciato questo a Cesare, che essi tentavano di fare una marcia
attraverso la nostra provincia, si affretta a partire dalla città (di
Roma) ed a marce quanto più possibili, forzate, si dirige verso la
Gallia transalpina e giunge a Ginevra. A tutta la provincia ordina il maggior
numero possibile di soldati - nella Gallia transalpina c'era in tutto una sola
legione -; comanda che il ponte che c'era presso Ginevra fosse tagliato. Quando
gli El furono informati del suo arrivo, gli mandano come ambasciatori i
più nobili della nazione, Nammeio e Veruclezio tenevano il ruolo
principale di quella ambasceria, perché dicessero che loro avevano in animo di
fare una marcia attraverso la provincia senza nessun danno, per il fatto che
non avevano nessuna altra strada; chiedevano che col suo permesso fosse lecito
fare questo. Cesare, poiché ricordava che il console L. Cassio era stato ucciso
ed il suo esercito sconfitto dagli El e mandato sotto il giogo, non
riteneva si dovesse concedere; neppure giudicava che uomini di animo ostile,
concesso il permesso di fare una marcia attraverso la provincia, si sarebbero
astenuti dall'oltraggio e dal danno. Tuttavia, perché potesse frapporsi un
intervallo, fin che i soldati che aveva ordinato si riunissero, rispose agli
ambasciatori che avrebbe preso il tempo per decidere; se volessero qualcosa,
ritornassero il 13 aprile.
1.VIII. Fortificazione fatta da Cesare per cacciare gli El..
Intanto con quella legione, che aveva con sé, e coi soldati che si eran
radunati dalla provincia, traccia una muraglia ed un fossato di diciannove mila
passi e di sedici piedi di altezza, dal lago Lemanno, che sfocia nel Rodano, al
monte Giura, che divide i territori dei Sequani dagli El. Conclusa
quell'opera, dispone guarnigioni, fortifica torri perché potesse bloccare
più facilmente se tentassero di passare, (essendo) lui contrario. Quando
quella giornata, che aveva stabilito con gli ambasciatori, giunse e gli
ambasciatori ritornarono da lui, dice che lui, secondo la tradizione e
l'esempio del popolo romano, non può concedere ad alcuno il passaggio
attraverso la provincia e qualora tentassero la forza, dichiara che l'avrebbe
proibito. Gli El delusi da quella speranza, unite delle navi e fatte
parecchie zattere, alcuni per i guadi del Rodano, dove la profondità del
fiume era minima, talvolta di giorno, più spesso di notte tentando se
potessero forzare, respinti dalla fortificazione dell'opera e dall'accorrere e
dalle armi dei soldati desistettero da tale tentativo.
1.IX. De Helvetiorum legatione ad
Haeduos, deprecatore Dumnorige Haeduo.
Era rimasta una sola via attraverso i Sequani, attraverso cui non potevano
andare per le strettoie, (essendo) contrari e Sequani. Non potendo persuadere
costoro spontaneamente, mandano ambasciatori all'eduo Dumnorige, perché, (
essendo) lui intercessore, l'ottenessero dai Sequani. Dumnorige presso i
Sequani poteva moltissimo per il favore e la liberalità ed era amico
degli El, perché da quella popolazione aveva condotto in matrimonio la
lia di Orgetorige e spinto dalla voglia di potere cercava nuovi cambiamenti
e voleva avere obbligate alla sua riconoscenza il maggior numero possibile di
nazioni. Pertanto prende l'iniziativa e chiede ai Sequani che permettano che
gli El passino dai loro territori e fa sì che si scambino ostaggi: i
Sequani perché non blocchino gli El nella marcia, gli El, perché
passino senza danno ed oltraggio
1.X.Partenza di cesare per
l'Italia per arruolare legioni.
A Cesare viene annunciato che gli Elevzi hanno in animo di fare la marcia per
il terreno dei Sequani e degli Edui verso i territori dei Santoni, che non
distano molto dai territori dei Tolosati, e questa popolazione è nella
provincia. Se accadesse ciò, capiva che sarebbe capitato con grande
rischio della provincia, che avessero come confinanti uomini bellicosi,
avversari del popolo romano, in zone aperte e soprattutto cerealicole. Per tali
motivi mette a capo di quella fortificazione, che aveva fatto, il legato T.
Labieno; egli si dirige a marce forzate in Italia ed arruola lì due
legioni e (ne) richiama dagli accampamenti invernali tre, che svernavano
attorno ad Aquileia e, per dove la marcia verso la Gallia transalpina era
più vicina attraverso le Alpi, decide di andare con queste cinque
legioni.Qui i Neutroni, i Graioceli ed i Caturigi, occupati i luoghi superiori,
tentano di bloccare l'esercito durante la marcia.Sconfitti costoro con parecchi
combattimenti, da Ocelo, che è l'estremità della provincia
cisalpina, giunge nei territori dei Voconzi della provincia transalpina al
settimo giorno; di lì nei territori degli Allobrogi, dagli Allobrogi
guida l'esercito tra i Segusiavi.Questi sono i primi fuori della provincia al
di là del Rodano.
1.XI. L'ambasceria degli Edui per chiedere l'aiuto di Cesare.
Gli El avevan già fatto passare le loro truppe attraverso le gole ed
i territori dei Sequani ed erano giunti nei territori degli Edui e devastavano
i loro campi.Gli Edui non potendo difendere se stessi ed i loro beni, mandano
ambasciatori da Cesare per chiedere aiuto:essi in ogni tempo avevano
così meritato riguardo al popolo romano che i campi non avrebbero dovuto
essere devastati quasi al cospetto del nostro esercito, i loro li essere
condotti in schiavitù, le città espugnate.Nello stesso tempo gli
Ambarri, parenti e consanguinei degli Edui, informano Cesare che loro,
devastati i campi, non facilmente bloccavano la violenza dei nemici dalla
città. Ugualmente gli Allobrogi che avevano villaggi e possedimenti
oltre il Rodano, in fuga si rifugiano da Cesare e dichiarano che essi non
avevano nulla di rimanente al di fuori del suolo del terreno. Spinto da tali
fatti Cesare decise di non dover aspettare, fin che, rovinate tutte le
ricchezze degli alleati, gli El giungessero tra i Santoni.
1.XII. Strage inflitta da Cesare presso il cantone Tigurino.
L'Arar è un fiume, che confluisce nel Rodano attraverso il territorio
degli Edui e dei Sequani, con incredibile lentezza, così che con gli
occhi non si possa giudicare in quale parte scorra.Gli El, congiunte
barchette e zattere, lo attraversavano. Quando attraverso gli esploratori
Cesare fu informato che ormai per tre parti gli El avevan attraversato il
fiume, ma che una quarta parte era rimasta al di qua del fiume Arar, alla terza
veglia, partito con tre legioni dall'accampamento, giunse da quella parte che
non aveva ancora passato il fiume. Aggreditili (mentre erano) impediti e non se
l'aspettavano abbattè gran parte di essi; i restanti si diedero alla
fuga e si nascosero nelle selve vicine.Quel cantone si chiamava urino;
infatti ogni popolazione elvetica è divisa in quattro parti o cantoni.
Questo cantone da solo, essendo uscito dalla patria, al tempo dei nostri
antenati, aveva ucciso il console L. Cassio e mandato il suo esercito sotto il
giogo.Così sia per caso sia per provvidenza degli dei immortali, quella
parte della popolazione elvetica che aveva inflitto una famosa sconfitta al
popolo romano, quella per prima ò il fio.In quel caso Cesare non solo
vendicò le offese pubbliche, ma anche le private, perché i urini
nella stessa battaglia con cui avevano ucciso Cassio, ( avevano ucciso) anche
il legato L. Pisone, avo di suo suocero l: Pisone.
1.XIII. Ambasceria di Divisone, capo degli El.
Fatta questa battaglia, per poter inseguire le restanti truppe degli El, fa
costruire un ponte sull'Arar e così fa passare l'esercito.Gli El,
colpito dal suo arrivo improvviso, comprendendo che ciò che essi avevavo
fatto molto faticosamente in 20 giorni, per passare il fiume, lui l'aveva fatto
in un giorno solo, gli mandano ambasciatori.Di tale ambasceria fu capo
Divisone, che nella guerra Cassiana era stato comandante degli El.Egli
così trattò con Cesare:se il popolo romano facesse pace con gli
El, gli El sarebbero andati e lì si sarebbero stanziati, in
quella parte dove Cesare avesse deciso e avesse voluto che fossero; se invece
perseverasse nella guerra, si ricordasse del vecchio inconveniente del popolo
romano e dell'antico valore degli El.Che all'improvviso avesse assalito un
cantone unico, mentre quelli che avevano attraversato il fiume, non potevano
portare il loro aiuto, non lo attribuisse troppo per tale motivo al suo valore
o li disprezzasse. Loro così avevano imparato dai loro antenati, di
misurarsi più col coraggio che con l'inganno o appoggiarsi alle
trappole.Perciò non permettesse che quel luogo dove si eran fermati non
prendesse il nome dalla sconfitta del popolo romano e dalla disfatta
dell'esercito e ne tramandasse il ricordo.
1.XIV.La risposta di Cesare a
Divicone.
A queste (parole) Cesare così rispose:per questo gli era dato minor
dubbio, perché quei fatti, che gli ambasciatori elvetici avevan ricordato, li
sapeva a memoria e tanto più dolorosamente li tollerava, quanto meno
erano accaduti per colpa del popolo romano. Se egli fosse stato cosciente di
qualche oltraggio, non sarebbe stato difficile guardarsene; ma era srtato
sorpreso in questo, che capiva che da parte sua non era stato commesso nulla di
cui temere, e non credeva si dovesse aver paura senza motivo. Che se volesse
dimenticarsi dell'antica offesa, forse poteva togliere il ricordo anche dei
recenti oltraggi, che, (pur essendo ) lui contrario avevano tentato il
passaggio attraverso la provincia con la violenza, che avevano danneggiato gli
Edui, che (avevano danneggiato) gli Ambarri, che (avevano danneggiato) gli
Allobrogi? Che si gloriassero tanto insolentemente della loro vittoria e che si
stupivano che lui tanto a lungo avesse sopportato gli oltraggi, arrivava allo
stesso punto.Infatti gli dei immortali erano soliti, perchè più
dolorosamente gli uomini si addolorino dei cambiamenti delle cose, che talvolta
concedano situazioni più fortunate ed una più lunga
impunità a coloro che vogliono vendicare per il loro misfatto. Stando
così le cose, tuttavia se da parte loro gli vengano dati ostaggi, tanto
da capire che essi faranno quanto promettono, e se diano soddisfazione agli
Edui per le offese che hanno recato loro ed agli alleati, e se ugualmente
(diano soddisfazione) agli Allobrogi, lui avrebbe fatto la pace con
loro.Divicone rispose: che gli El sono stati educati dai loro antenati
tanto da esser abituati a ricevere ostaggi, non a darli; di tale tradizione il
popolo romano era testimone.Data questa risposta se ne andò.
1.XV.Partenza di Divisone e scontro con la cavalleria di Cesare.
Il giorno dopo tolgono l'accampamento da quel luogo.Lo stesso fa Cesare e manda
avanti tutta la cavalleria, in numero circa di quattro mila, che aveva raccolto
da tutta la provincia, dagli Edui e dai loro soci, per vedere in quali
direzioni i nemici facciano
1.XVI. Lamentela di Cesare contro gli Edui per i cereali.
Intanto cesare quotidianamente richiedeva agli Edui il frumento che essi
pubblicamente avevano promesso.Difatti per i freddi - poiché la Gallia, come
prima è stato detto, è situata a settentrione - non solo i
cereali nei campi non erano maturi, ma neppure bastava a sufficienza la grande
quantità di foraggio.Inoltre di quel frumento, che aveva trasportato con
navi sul fiume Arar, poteva servirsi di meno per il fatto che gli El
avevano sviato la marcia rispetto all'Arar, ma da essi non voleva allontanarsi.
Gli Edui rimandavano di giorno in giorno: dicevano che si raccoglieva, si
trasportava, arrivava.Quando capì che si tirava troppo per le lunghe ed
era imminente il giorno, giorno in cui bisognava distribuire il frumento ai
soldati, convocati i loro capi, e nell'accampamento ne aveva gran
quantità, tra questi Diviziaco e Lisco, che presiedeva la massima
carica, e che gli Edui chiamano vergobreto, e che viene nominato annualmente ed
ha potere sui suoi di vita e di morte, li accusa pesantemente perché, non
potendosi né comprare né prendere dai campi, in un momento così urgente,
(essendo) i nemici così vicini non veniva aiutato da loro, soprattutto
avendo intrapreso la guerra spinto per gran parte dalle loro preghiere. Si
lamenta ancor più fortemente perché è stato ingannato.
1.XVII.Le scuse di Lisco, magistrato degli Edui.
Allora finalmente Lisco, spinto dal discorso di Cesare, presenta quello che
prima aveva taciuto:che ci sono alcuni il cui prestigio presso il popolo vale
moltissimo, che privatamente possono più che gli stessi magistrati.
Costoro con discorso fazioso e malvagio terrorizzano la folla, che non portino
il frumento, che devono: che è meglio, se ormai non possono ottenere il
primato della Gallia, tollerare il comando dei Galli che dei Romani; che non
devono dubitare che se vincessero gli El, i Romani avrebbero tolto la
libertà agli Edui insieme con
1.XVIII.Potenza e piani di
Dumnorige contro i Romani.
Cesare con questo discorso di Lisco capiva che si designava Dumnorige, fratello
di Diviziaco, ma perché non voleva che quelle cose si offrissero a troppi
presenti, velocemente congeda l'assemblea, trattiene Lisco.Chiede a lui solo
quello che aveva detto nella riunione.Parla piuttosto liberamente ed
audacemente.Le stesse cose le chiede agli altri segretamente; trova che son
vere: che era proprio Dumnorige, di audacia estrema, col grande favore presso
la plebe per la liberalità, voglioso di fatti nuovi.Per parecchi anni
egli aveva appaltato a poco prezzo le dogane e tutte le altre tasse degli Edui,
per il fatto che, quando lui faceva l'asta, nessuno osava fare una offerta
contro. Con questi metodi da una parte aveva aumentato il proprio patrimonio
famigliare e dall'altra aveva accumulato grandi disponibilità per fare
elargizioni; manteneva un gran numero di cavalleria sempre a sua spesa e la
teneva attorno a sé; e non solo in patria, ma anche presso le popolazioni
vicine poteva influentemente ed a causa di questa potenza aveva collocato la
madre tra i Bituirgi per un personaggio lì mobilissimo e potentissimo,
lui stesso aveva una moglie dagli El, aveva collocato la sorella da parte
di madre e le sue parenti per sposarle in altre popolazioni.Favoriva ed
assecondava gli El a causa di quella parentela, odiava pure Cesare ed i
Romani per un suo motivo, perché col loro arrivo la sua potenza era diminuita
ed il fratello Diviziaco era stato restituito nell'antico ruolo di favore e di
onore.Se accadesse qualcosa ai Romani, correva nella grande speranza di
ottenere il potere per mezzo degli El; per la supremazia del popolo romano
non solo disperava per il potere, ma anche del favore che aveva. Nell'indagare
Cesare scopriva anche che, per quello scontro equestre sfortunato che era
accaduto pochi giorni prima, l'inizio della fuga era stato fatto da Dumnorige e
dai suoi cavalieri - infatti Dumnorige era a capo della cavalleria, che gli
Edui avevano mandato in aiuto a Cesare -; con la loro fuga il rimanente dei
cavalieri era stato terrorizzato.
1.XIX. Colloquio segreto di
Cesare con Diviziaco contro Dumnorige.
Conosciuti questi fatti, poiché a questi sospetti si aggiungevano fatti
sicurissimi, (cioè) che aveva fatto passare gli El per i territori
dei Sequani, che aveva provveduto a scambiarsi tra loro gli ostaggi, che tutte
quelle cose non solo le aveva fatte senza il suo ( di Cesare) ordine e della
nazione, a anche mentre loro non lo sapevano, riteneva esserci sufficiente
motivo perché o in persona (Cesare) prendesse provvedimenti contro di lui
oppure ordinasse alla nazione di prenderne.A tutte queste cose una sola si
opponeva, il fatto che aveva conosciuto la somma devozione del fratello
Diviziaco verso il popolo romano, il sommo affetto verso di lui, la lealtà
straordinaria, la giustizia, la moderazione; infatti temeva che colla sua
condanna offendesse l'animo di Diviziaco.Così prima di tentar qualsiasi
cosa, comanda che gli sia chiamato Diviziaco ed allontanati gli interpreti
quotidiani parla con lui tramite C.
1.XX.La scongiura di Diviziaco in lacrime davanti a Cesare.
Diviziaco con molte lacrime abbracciando Cesare cominciò a scongiurare
di non decidere nulla di troppo doloroso contro il fratello: che sapeva che
quelle cose eran vere, che nessuno riceveva più dolore di lui da quel
fatto, per il fatto che, mentre egli in patria e nella restante Gallia poteva
moltissimo per il favore, quello (Dumnorige) pochissimo per la giovinezza, era
cresciuto grazie a lui, servendosi di quelle ricchezze e mezzi non solo per
diminuire il prestigio, ma quasi per la sua rovina.Lui però era scosso e
per l'amore fraterno e per la stima del volgo. Che se gli fosse accaduto
qualcosa di troppo doloroso da parte di Cesare, mentre lui teneva quel ruolo di
amicizia presso Cesare, nessuno avrebbe creduto non esser capitato per sua volontà.
Perciò sarebbe accaduto che gli animi di tutta la Gallia si sarebbero
allontanati da lui. Chiedendo queste cose a Cesare piangendo, con molte parole,
Cesare prende la sua destra; consolandolo prega di porre fine al pregare;
dimostra che presso di sé il suo favore vale tanto che condona l'offesa allo
stato ed il suo dolore al suo affetto e preghiere.Chiama a sé Dumnorige, si
vale del fratello; dichiara quello che rimprovera in lui; espone quello che lui
sa, quello che la nazione lamenta; ammonisce di evitare per il tempo restante
tutti i sospetti; dice che perdona le cose passate grazie al fratello
Diviziaco.Dispone sorveglianti per Dumnorige per poter sapere cosa faccia e con
chi parli.
1.XXI.Piano di Cesare per occupare il monte.
Nello stesso giorno informato dagli esploratori che i nemici si erano appostati
sotto il monte ad ottomila passi dal suo accampamento, inviò ad
esaminare quale fosse la conformazione del monte e quale attorno la via (per
salire. Si riferì che (la alita) era facile.Alla terza veglia ordina che
il legato T. Labieno pro pretore salisse sulla sommità del monte con due
legioni e con quei capi che avevano ispezionato il passaggio; chiarisce quale
sia il suo piano.In persona alla quarta veglia per lo stesso passaggio,
attraverso cui eran transitati i nemici, si dirige verso di loro e manda
davanti a sé tutta
1.XXII.Il timore di Considio ed il suo sbaglio.
Alla aprima luce (dell'alba), essendo in monte occupato da Labieno, lui in
persona distando dall'accampamento dei nemici non più di mille e
cinquecento passi, come poi viene a sapere dai prigionieri, o perché il suo
arrivo o ( quello) di Conidio era stato scoperto, Conidio, lanciato il cavallo,
corre da lui, dice che il monte che avrebbe voluto fosse occupato da Labieno,
era tenuto dai nemici: aveva saputo ciò dalle armi galliche e dalle
insegne.Cesare porta le sue truppe sul colle vicino, dispone lo
schieramento.Labieno, come gli era stato ordinato da Cesare di non attaccare
battaglia se non fossero state viste le sue truppe vicino all'accampamento dei
nemici, perché da ogni parte in un solo istante si facesse l'attacco, occupato
il monte, aspettava e si tratteneva dal combattimento.Infine a giorno inoltrato
attraverso gli esploratori Cesare seppe e che il monte era tenuto dai suoi e
che gli El avevano levato l'accampamento e che Conidio terrorizzato dalla
paura, quel che non aveva visto, glielo aveva annunciato per visto. In quel
giorno con l'intervallo che era solito, segue i nemici e pone l'accampamento a
tremila passi dal loro accampamento.
1.XXIII.Cambiamento di strategia degli El ed assalto contro i Romani.
Il giorno seguente a quello, perché in tutto restavano due giorni, dovendo
distribuire il frumento all'esercito e perché da Bibratte, città degli
Edui di gran lunga la maggiore e la più ricca, non distava più di
18 mila passi, pensando si dovesse pensare all'approvvigionamento devia la
marcia rispetto agli El e vuole arrivare a Bibratte.Quel fatto viene
comunicato ai nemici per mezzo dei disertori di L. Emilio, decurione dei
cavalieri dei Galli.Gli El o perché pensassero che i Roamani terrorizzati
dalla paura si scostavano da loro, ancor più perché il giorno prima,
(pur) occupate le postazioni superiori non avevano attaccato battaglia, sia
perché confidavano che si potesse bloccare il vettovagliamento, cambiata
strategia e fatto dietro front, cominciarono ad inseguire i nostri ed a
provocarli dalla retroguardia
1.XXIV. Preparazione dello scontro tra El e Romani.
Dopo che si accorse di ciò, Cesare conduce le sue truppe sul colle
vicino e mandò la cavalleria, che sostenesse l'attacco dei nemici.Lui
stesso intanto a metà del colle allestì una triplice schiera
delle quattro legioni veterane; ordinò che sulla sommità del
giogo si schierassero le due legioni, che recentemente aveva arruolato nella
Gallia cisalpina, e tutte le truppe ausiliarie, così da riempire sopra
di sé tutto il monte di uomini, (ordinò) che intanto si riunissero i
bagagli in un solo posto e che quello fosse controllato da quelli che si eran
scierati nella formazione più alta.Gli el seguendo con tutti i loro
carri portarono le salmerie in un solo posto; essi con una schiera
serratisssima, respinta la nostra cavalleria, fatta una falange, si
avvicinarono alla nostra prima schiera.
1.XXV. Una battaglia incerta.
Cesare prima allontanato il suo, poi allontanati dalla vista i cavalli di
tutti, perché, eguagliato il rischio, togliesse la speranza di fuga, esortati i
suoi, attaccò battaglia.I soldati scagliati i giavellotti dalla
postazione più alta facilmente sbaragliarono la falange dei
nemici.Spezzata quella, con le spade sguainate mossero loro l'attacco.I Galli
avevano di grande impedimento per la battaglia, il fatto che essendo stati
trafitti parecchi loro scudi dall'unico colpo dei giavellotti e legati insieme,
e non potevano né strrapparli, né combattere abbastanza agevolmente con la
sinistra bloccata, sicchè molti, scosso a lungo il braccio, preferivano
lasciar cadere dalla mano gli scudi e e a corpo scoperto. Finalmente
spossati dalle ferite cominciarono sia a ritirare il piede sia, poiché il monte
era distante circa mille passi, a ritirarsi là. Preso il monte e
incalzando i nostri, i Boi ed i Tulingi, che con circa 25 mila uomini
chiudevano la schiera dei nemici ed erano di protezione alla retroguardia,
aggredendo i nostri dalla marcia sul fianco aperto li attorniavano e vedendo
ciò gli El, che si erano rifugiati sul monte, di nuovo cominciarono
ad incalzare e riprendere il combattimento.I Romani su due fronti portarono
contro le insegne: la prima e la seconda fila per resistere ai vinti ed agli
sbandati, la terza per affrontare quelli che arrivavano.
1.XXVI.Scontro spietato fino a
notte inoltrata.
Così a lungo si combattè con combattimento incerto ed aspramente.
Non potendo sostenere a lungo gli attacchi dei nostri, alcuni, come avevano
iniziato, si ritirarono sul monte, altri si recarono alle salmerie ed ai loro
carri. Infatti in tutto questo scontro, essendosi combattuto dall'ora settima a
sera, nessuno potè vedere il nemico volto (in fuga).Si combattè
fino anche a notte inoltrata presso le salmerie, per il fatto che avevano posto
i carri come una trincea e dalla postazione più alta lanciavano armi
contro i nostri che arrivavano ed alcuni tra i carri e le ruote scagliavano
matare e targole (proiettili) e ferivano i nostri.Essendosi combattuto a lungo,
i nostri si impadronirono delle salmerie e dell'accampamento.Qui la li di
Orgetorige ed uno dei li fu catturato.Da quella battaglia sopravvissero
circa 130 mila uomini e per tutta quella notte viaggiarono.Per nessuna parte
della notte interrotta la marcia, al quarto giorno arrivarono nei territori dei
Linoni, mentre sia per le ferite dei soldati, sia per la sepoltura degli uccisi
i nostri, fermatisi per tre giorni non avevan potuto inseguirli.Cesare
inviò ai Linoni lettere e messaggeri, che non li aiutassero con frumento
o altra cosa: se li avessero aiutati, egli li avrebbe considerati allo stesso
modo degli El.Egli passati tre giorni cominciò ad inseguirli con
tutte le truppe.
1.XXVII. La resa degli El a Cesare.
Gli El spinti dalla mancanza di ogni cosa gli mandarono ambasciatori per la
resa.Avendolo incontrato durante la marcia ed essendosi prostrati ai piedi
parlando supplichevolmente e piangendo avendo chiesto la pace e avendo ordinato
che aspettassero il suo arrivo in quel luogo dove allora si trovavano,
obbedirono.Dopo che Cesare giunse là richiese ostaggi, armi, gli schiavi
che eran fuggiti da loro. Mentre cercano quelle cose e le portano, trascorsa la
notte, circa sei mila uomini di quel cantone che si chiama Verbigeno, o
spaventati dal terrore che, consegnate le armi, fossero colpiti dal supplizio,
o spinti dalla speranza di salvezza perché pensavano che in una così
grande folla di arresiLa loro fuga o si potesse nascondere o ignorare del
tutto, all'inizio della notte usciti dall'accampamento degli El si
diressero verso il Reno ed i territori dei Germani
1.XXVIII.Severe condizioni
imposte da Cesare.
Quando Cesare seppe questo, ordinò a quelli per i cui territori erano
passati di scovarli e di consegnarli, se volevano essere da lui giustificati; i
riconsegnati li considerò nel novero dei nemici; tutti gli altri,
consegnati gli ostaggi, le armi, i disertori, li accettò per la
resa.Comandò agli El, ai Tulingi, ai Latobici di ritornare nei loro
territori da cui erano partiti e poiché, perduti tutti i raccolti, in patria
non c'era nulla con cui sopportare la fame, comandò agli Allobrogi che
dessero loro una quantità di frumento;ordino che loro stessi
ricostruissero le città ed i villaggi che avevano incendiato. Fece questo
soprattutto per tale motivo, perché non volle che quel luogo da cui Gli El
se n'erano andati fosse libero, che a causa della fertilità dei terreni
i Germani che abitano oltre il Reno passassero dai loro territori nei territori
degli El e diventassero confinanti della provincia della Gallia e degli
Allobrogi. Concesse ai Boi, chiedendolo gli Edui, perché erano conosciuti per
il loro straordinario valore, che porli nei loro territori; essi diedero loro
campi e li accolsero poi a pari condizione di diritto e di libertà di
come erano loro stessi.
1.XXIX.Censimento degli El
tenuto su registri.
Negli accampamenti degli El furono trovati dei registri scritti in lettere
greche e portati a Cesare, ed in quei registri era stato segnato minutamente
quale numero fosse partito dalla patria, chi di essi potesse portare armi e
similmente separatamente i ragazzi, gli anziani e le donne.La somma di rutti
quei dati era di duecento sessanta tremila persone degli El, trenta sei
mila di Tulingi, tredici mila di Latobrici, venti tre mila di Rauraici, 32 mila
di Boi; tra essi quelli che potevano portare armi circa novanta mila.La somma
di tutti furono circa trecento sessantotto mila.Di quelli che erano ritornati
in patria, tenuto il censimento come Cesare aveva ordinato, si calcolò
un numero di cento diecimila.
1.XXX.Ambascerie di tutta la
Gallia da Cesare..
Conclusa la guerra degli El, i capi di quasi tutta la Gallia vennero da
cesare come ambasciatori per congratularsi: essi capivano, anche se per gli
antichi oltraggi degli El contro il popolo romano egli aveva fatto are
il fio con la guerra, tuttavia quella cosa era accaduta non meno per il
vantaggio della terra della Gallia che del popolo romano, per il fatto che gli
El avevano abbandonato le loro case con ricchezze floridissime, per
dichiarare guerra a tutta la Gallia, impadronirsi del potere e per scegliere
tra tanta possibilità per domicilio il luogo che tra tutta la Gallia
avevano giudicato il più vantaggioso ed il più ricco e tenere le
altre popolazioni come tributarie.Chiesero che indicesse per loro un'assemblea
di tutta la Gallia per un giorno stabilito e poteva fare questo secondo il
volere di Cesare; che essi avevano alcune cose che per comune assenso volevano
chiedergli.Permesso questo, stabilirono il giorno e con giuramento, che nessuno
parlasse se non a quelli che avevano il mandato per decisione comune, lo
sancirono tra loro.
1.XXXI.Richieste di tutte le
nazioni a Cesare per la salvezza.
Congedata quella riunione, gli stessi capi delle nazioni, che c'erano stati
prima, ritornarono da Cesare e chiesero che fosse loro permesso secretamente di
parlare con lui della salvezza loro e di tutti in privato.Ottenuto questo,
tutti piangendo si buttarono ai piedi di Cesare:(che) essi insistevano e si
preoccupavano perché quello che dicevano non si rivelasse, non meno di quanto
chiedessero ciò che volevano, per il fatto che, se si fosse rivelato,
vedevano che essi sarebbero incappati in una estrema sofferenza.Per loro
parlò l'eduo Diviziaco: (che) c'erano due partiti di tutta la Gallia: di
uno di questi avevano la supremazia gli Edui, dell'altro gli Arverni.
Scontrandosi questi tra loro per molti anni sull primato, è accaduto che
dagli Arverni e dai Sequani erano stati assoldati i Germani con denaro.Dapprima
circa 15 mila di questi avevano attraversato il Reno; dopo che uomini feroci e
barbari avevano bramato campi, civiltà e ricchezze dei Galli, ne erano
passati di più; ora c'era in Gallia un numero di circa cento venti mila.
Contro costoro gli Edui ed i loro clienti più e più volte si
erano scontrati con le armi;sconfitti avevan subito un grave danno, avevano
perso tutta la nobiltà, tutto il senato, tutta
1.XXXII.La paura degli Edui per Ariovisto.
Tenutao questo discorso da Diviziaco, tutti quelli che eran presenti con grande
pianto cominciarono a chiedere aiuto a Cesare. Capì Cesare che i Sequani
da soli fra tutti non facevano nulla di quelle cose che gli altri facevano, ma
tristi a capo abbassato guardavano a terra. Stupito chiese loro quale fosse il
motivo di quel fatto.I Sequani non rispondevano nulla, ma rimanevano silenziosi
nella stessa tristezza. Interrogandoli più volte e non potendo
assolutamente far uscire nessuna frase, lo stesso eduo Diviziaco rispose: (che)
per questo la sorte dei sequani era più misera e più grave (di
quella) degli altri, perché da soli neppure in privato non osavano lamentarsi
né implorare aiuto e aborrivano la crudeltà di Ariovisto assente come se
fosse presente, per il fatto che agli altri almeno era data la
possibilità della fuga, ai sequani invece, che avevano accolto Ariovisto
all'interno dei loro territori, le cui città erano tutte in suo potere,
avrebbero patito tutte le atrocità.
1.XXXIII.Piano di Cesare contro l'arroganza di Ariovisto.
Conosciute queste situazioni, Cesare rinfrancò con parole gli animi dei
Galli e promise loro che quella situazione gli sarebbe stata a cuore; (che)
egli aveva una grande speranza e che Ariovisto spinto dal suo intervento e
prestigio avrebbe posto fine agli oltraggi. E dopo queste molte cose lo
convincevano, per cui credeva che quel fatto doveva considerarlo e risolverlo,
anzitutto perché vedeva che gli Edui, chiamati molto spesso dal senato fratelli
e parenti, erano tenuti in schiavitù ed in sudditanza dei Germani e
capiva che i loro ostaggi erano presso Ariovisto ed i Sequani; e questo in un
dominio così grande del popolo romano credeva che fosse per lui e per lo
stato molto vergognoso.Vedeva come pericoloso per il popolo romano che a poco a
poco i Germani si abituavano a passare il Reno e giungeva in Gallia una loro
gande moltitudine, e riteneva che uomini feroci e barbari non si sarebbero
trattenuti, dopo aver occupata tutta la Gallia, come prima avevano fatto i
Cimbri ed i Teutoni, dallo sconfinare nella provincia e di lì dirigersi
verso l'Italia, dal momento che il Rodano divideva i Sequani dalla nostra
provincia; per tali motivi dunque pensava si dovesse intervenire al più
presto possibile. Lo stesso Ariovisto poi aveva assunto così gravi
animosità, e cì grave arroganza, che no sembrava sopportabile.
1.XXXIV.Ambasceria di Cesare ed
arrogante risposta di Ariovisto.
Perciò gli piacque di mandare ambasciatori da Ariovisto, che gli
chiedessero di scegliere un qualche luogo in mezzo ad entrambi per un
colloquio: (che) egli voleva trattare con lui sullo stato e su importantissimi
affari di entrambi.A quella ambasceria Ariovisto rispose: (che) se avesse
bisogno di Cesare, egli sarebbe andato da lui; se lui voleva qualcosa,
bisognava che lui venisse alla sua presenza. Inoltre egli non osava venire
senza esercito in quelle parti della Gallia che Cesare possedeva, e non poteva
concentrare in un solo luogo l'esercito senza una grande carovana e sforzo.Gli
sembrava poi strano che interesse ci fosse per Cesare o insomma per il popolo
romano nella sua Gallia che aveva vinto con la guerra.
1.XXXV.Ordini di Cesare contro le
offese di Ariovisto.
Riportate queste risposte a Cesare di nuovo manda alui degli ambasciatori con
queste istruzioni: poiché era stato trattato con così grande benevolenza
sua e del popolo romano, essendo stato nominato dal senato durante il suo consolato
re ed amico, restituiva a lui ed al popolo romano questo favore che invitato
rifiutava di venire a colloquio e non pensava dover parlare ed approfondire su
un argomento comune, erano queste le cose che da lui richiedeva: primo, di non
far passare oltre il Reno il Gallia più nessuna folla di persone;
secondo, di restituire gli ostaggi che aveva dagli Edui e di permettere ai
Sequani che fosse loro lecito con la sua autorizzazione restituire quelli che
loro avevano;di non provocare con l'oltraggio gli Edui e non dichiarare ed esse
ed ai loro soci guerra. Se così si fosse comportato, con lui ci sarebbe
stata riconoscenza ed amicizia perpetua per lui (Cesare) e per il popolo
romano; se non l'otteneva, egli in persona, poiché sotto il consolato di
M.Messala e M.Pisone il senato aveva stabilito che chiunque governasse la
Gallia, potesse agire per il bene del popolo romano, difendesse gli Edui e gli
altri amici del popolo romano, egli non avrebbe trascurato gli oltraggi degli
Edui.
1.XXXVI.Arrogante risposta di Ariovisto a Cesare.
A queste cose Ariovisto rispose: (che) era diritto di guerra, che quelli che
avevano vinto comandassero su quelli che avevano vinto, come volessero;
ugualmente il popolo romano era solito comandare ai vinti non secondo la
decisione di un altro, ma secondo il proprio arbitrio. Se egli non prescriveva
al popolo romano come servirsi del proprio diritto, non bisognava che lui fosse
ostacolato nel suo diritto dal popolo romano. Gli Edui, poiché avevano tentato
la sorte della guerra ed erano venuti alle armi e sconfitti, erano diventati
suoi tributari.Cesare gli faceva un grave oltraggio, che col suo arrivo gli
rendeva peggiori le sue entrate. Egli non avrebbe restituito agli Edui gli
ostaggi e non avrebbe dichiarato guerra né a loro né ai loro alleati contro
giustizia, se fossero rimasti a quello che avevano convenuto, ed ogni anno
assero il tributo. Se non l'avessero fatto, per loro il nome fraterno del
popolo romano sarebbe stato molto lontano. Poichè Cesare gli dichiarava
che non avrebbe trascurato gli oltraggi degli Edui, nessuno si era misurato con
lui senza danno. Volendo, si scontrasse: avrebbe capito cosa potevano in valore
i Germani invincibili, molto esercitati nelle armi, che per 14 anni non erano
entrati a casa.
1.XXXVII. Tappe forzate di Cesare
contro Ariovisto.
Nello stesso tempo venivano riferite a Cesare queste missive giungevano
ambasciatori sia dagli Edui che dai Treviri: gli Edui a lamentarsi che gli
Arudi che da poco erano stati portati in Gallia, devastavano i loro territori;
che loro, neppure dopo aver dati gli ostaggi, avevano pototo ottenere la pace
di Ariovisto; i Treviri invece (riferivano) che cento cantoni di Suebi si erano
insediati presso le rive del Reno per tentare di passare il Reno; li comandava
Nasua e Cimberio, fratelli. Cesare, fortemente turbato da queste cose,
pensò che dovesse affrettarsi perché se il nuovo manipolo di Suebi si
fosse unito alle vecchie truppe di Ariovisto, meno facilmente si poteva
resistere. Così, preparata al più presto che potè il vettovagliamento,
a marce forzate di diresse contro Ariovisto.
1.XXXVIII. L'occupazione di Besançon da parte di Cesare.
Essendo avanzato per una marcia di tre giorni, gli fu annunciato che Ariovisto
con tutte le sue truppe si avviava ad occu pare Besançon, che è la
città maggiore dei Sequani, e si era avanzato dai suoi territori per una
marcia di tre giorni.Perché ciò non accadesse, Cesare pensava doversi
premunire ampiamente.Infatti di tutte quelle cose che erano di utilità per
la guerra, in quella città c'era grandissima abbondanza e quella era
così fortificata dalla conurazione del sito, che offriva grande
facilità a condurre una guerra, per il fatto che il fiume Doubs circonda
quasi tutta la città tracciato attorno come con un compasso; lo spazio
restante, che non è maggiore di mille seicento piedi, dove il fiume
cessa, lo occupa un monte di grande altezza, tanto che da entrambe le parti le
rive del fiume raggiungono i piedi di quel monte. Un muro costruito attorno
rende questo (monte) un roccaforte e lo congiunge con
1.XXXIX.Paura dei Germani nell'accampamento romano.
Mentre si ferma pochi giorni presso Besançon per il rifornimento ed il vettovagliamento,
dal racconto dei nostri e dalle chiacchiere dei Galli e dei mercanti, che
raccontavano che i Germani erano di straordinaria statura fisica, di
incredibile valore ed esercizio nelle armi - dicevano che spesso incontratisi
con loro non avevano potuto sopportare né il volto né l'acutezza degli occhi -,
improvvisamente un così grave terrore prese tutto l'esercito, da turbare
non poco la mente ed i cuori di tutti.Questo (terrore) anzitutto
cominciò dai tribuni militari e dagli altri capi, che dalla città
(di Roma) seguendo Cesare per amicizia non avevano grande pratica nella
realtà militare.Portato uno un motivo, l'altro un altro, che diceva
essere impellente per partire, chiedeva che fosse permesso col suo assenso di
partire; alcuni spinti dalla vergogna, per evitare il sospetto della paura,
restavano.Questi non potevano fingere l'aspetto nè talvolta trattenere
le lacrime; nascosti nelle tende o si lamentavano del proprio destino o coi
loro famigliari compiangevano il comune rischio.Publicamente in tutto
l'accampamenti si firmavano testamenti.Alle chiacchiere ed al timore di questi
a poco a poco anche quelli che nell'accampamento avevano grande
famigliarità, soldati, centurioni e quelli che comandavano la
cavalleria, erano turbati.Quelli tra loro che volevano esser stimati meno
timidi, dicevano di non temere il nemico, la le difficoltà della marcia
e la enormità delle selve che si frapponevano tra loro ed Ariovisto,
oppure il vettovagliamento, che si potesse portare abbastanza facilmente.Alcuni
addirittura riferivano a Cesare che se avesse ordinato di levare l'accampamento
e partire ( portare le insegne), i soldati non sarebbero stati obbedienti
all'ordine e per la paura non (avrebbero portato le insegne) non sarebbero
partiti.
1.XL.Violenta accusa di Cesare verso tutti i centurioni.
Essendosi accorto di questo, convocata l'assemblea e chiamati i centurioni di
tutti gli ordini a quella assemblea, li attaccò violentemente:(che)
anzitutto perché dovevano chiedere oppure pensare o in quale parte o con quale
piano fossero guidati.Ariovisto, quando lui era console, aveva richiesto molto
ardentemente l'amicizia del popolo romano;perché qualcuno pensava che tanto
temerariamente si sarebbe allontanato dal suo dovere?Senz'altro egli era
persuaso che sapute le sue richieste e valutata l'equità delle
condizioni quello non avrebbe rifiutato né il suo né il favore del popolo
romano.Che se spinto da furore e pazzia avesse dichiarato guerra, cosa temevano
in fondo?Oppue perché disperavano del proprio valore e della sua ( di Cesare)
accortezza? Il pericolo di quel nemico era accaduto al tempo dei nostri
antenati, quando, sconfitti i Cimbri ed i teutoni da parte di Mario sembrava
che l'esercito avesse meritato non minore lode dello stesso comandante; era
accaduto recentemente in Italia durante la rivolta degli schiavi, ma tuttavia
li aiutava in qualche modo la pratica e la disciplina, che avevano imparato da
noi, e da ciò si poteva giudicare quanto abbia di buono in sé la
costanza, per il fatto che quelli che talvolta senza motivo avevano temuto
inermi, questi poi li avevano superati anche se armati e vincitori. Infine
questi erano gli stessi Germani, coi quali spesso gli El avevano vinto non
solo nei propri, ma anche nei loro territori, e questi (gli El) tuttavia non
poterono essere pari al nostro esercito. Se la battaglia sfortunata e la fuga
dei Galli spaventava qualcuno, questi, se indagavano, potevano scoprire che
Ariovisto, essendosi trattenuto per molti mesi negli accampamenti e nelle
paludi e non avendo dato la possibilità di sé ( di attaccarlo), mentre
per la lunghezza della guerra i Galli erano spossati, li aveva vinti mentre
ormai disperavano della battaglia e dopo averli assaliti all'improvviso
più con la tattica e la strategia che con il valore. Quella strategia
ebbe spazio contro uomini barbari ed inesperti, ma con essa neppure lui non
può sperare che i nostri eserciti si possano prendere.Quelli che
attribuiscono il loro timore nella scusa del vettovagliamento e nelle
difficoltà della marcia, lo fanno arrogantemente, o perché non hanno
fiducia nel dovere del comandante oppure osano dargli istruzioni. Egli ha a
cuore questo; Sequani, Leuci, Linoni procurano il frumento ed ormai i cereali
sono maturi nei campi; sulla marcia fra breve tempo giudicheranno.Quanto al
fatto che si dica che non saranno obbedienti al comando, della cosa non era
turbato per nulla;sapeva infatti che a quelli a cui l'esercito non fu
obbediente al comando, o finita male l'impresa la sorte li ha abbandonati o
l'avidità , scoperto qualche delitto, fu dimostrata. La sua innocenza
è stata dimostrata da tutta la vita, la fortuna dalla guerra degli
El. Così lui svelerà quello che avrebbe rivelato ad una data
più lontana e la notte seguente alla quarta veglia avrebbe levato
l'accampamento per capire il prima possibile se presso di loro fosse più
forte la vergogna ed il dovere o il timore.Che se poi nessuno lo seguisse,
tuttavia lui sarebbe andato con la sola decima legione, di cui non dubitava e
per lui sarebbe stata la coorte pretoria.Cesare soprattutto preferiva questa
legione e per il valore vi confidava moltissimo.
1.XLI. Pentimento dei soldati e marze forzate contro
Ariovisto.
Tenuto questo discorso in modo straordinario tutti i cuori cambiarono e si
inserì una grandissima ansia e volontà di far la guerra, e la
decima legione per prima lo ringraziò per mezzo dei tribuni militari, e
poiché su di lei aveva dato un ottimo giudizio, confermò pure di essere
prontissima per far la guerra.Poi le altre legioni coi tribuni militari ed i
centurioni dei primi ordini fecero in modo di scusarsi con Cesare per mezzo di
loro; loro non avevano mai dubitato né temuto né pensato che sulla strategia di
guerra valesse il loro giudizio, ma quello del generale. Accolta la loro scusa
e scelto l'itinerario per mezzo di Diviziaco, perche tra i Galli aveva in lui
la massima fiducia, partì alla quarta veglia, come aveva detto, per
condurre l'esercito in zone aperte con un giro più lungo di cinquanta
miglia.Al settimo giorno, non interrompendo la marcia, fu informato dagli
esploratori che le truppe di Ariovisto distavano dalle nostre venti quattro
mila passi.
1.XLII. Preparativo del colloquio tra Cesare ed Ariovisto.
Conosciuto l'arrivo di Cesare, ariovisto gli manda ambasciatori: quello che
aveva prima chiesto circa il colloquio, ciò da parte sua era possibile
si facesse, poiché si era avvicinato di più e lui pensava che si potesse
fare senza rischio.Cesare non respinse la condizione, e pensava che ormai
tornasse a ragionevolezza, offrendo spontaneamente ciò che prima aveva
rifiutato e giungeva ad ampia speranza, grazie ai suoi e del popolo romano
favori verso di lui, che, sapute le sue richieste, avrebbe desistito dalla
arroganza,Fu fissato il giorno per il colloquio, in quinto a partire da quello.
Intanto poiché si inviavano da una parte e dall'altra degli ambasciatori,
Ariovisto chiese che Cesare non portasse alcun fante al colloquio: temeva di
essere circondato con tranelli;ognuno venisse con la cavalleria; con altro
patto, lui non sarebbe arrivato.Cesare, perché non voleva che il colloquio
fosse annullato per interposto motivo e non osava affidare la sua
incolumità alla cavalleria dei Galli, stabilì essere molto
conveniente, sottratti tutti i cavalli ai cavalieri galli, mettervi i soldati
legionari della decima legione, sui cui contava moltissimo, per avere la
guarnigione più fidata, se ci fosse bisogno di qualcosa.Accadendo
questo, qualcuno dei soldati della decima legione osservò non senza
scherzo che Cesare gli concedeva più di quanto aveva promesso: avendo
promesso di considerare la decima legione come coorte pretoria, la promuoveva
al cavalierato.
1.XLIII.Colloquio di Cesare ed Ariovisto..
La pianura era grande ed in essa c'era un'altura abbastanza esteso.Questa
postazione distava quasi lo stesso spazio dagli accampamenti di
entrambi.Là, come era stato detto, vennero per il colloquio. Cesare
fermò la legione, che aveva portato a cavallo, a duecento passi da
quell'altura; similmente i cavalieri di Ariovisto si fermarono ad uguale
intervallo.Ariovisto chiese che si parlasse a cavallo e conducessero con sé al
colloquio dieci cavalieri ciascuno.Come si giunse là, Cesare
inizialmente ricordò i favori suoi e del senato verso di lui, che era
stato chiamato re dal senato ed amico, che eran stati inviati doni con magnificenza;
ricordava che quel fatto era capitato sia a pochi sia si soleva attribuire per
grandi servizi di uomini;lui, pur non avendo diritto né giusto motivo di
chiederlo, aveva ottenuto quei riconoscimenti per favore e liberalità
sua e del senato.Ricordava anche quanti antichi e quanti giusti motivi di
amicizia intercorressero tra loro (Romani) e gli Edui, quali decreti del senato
quante volte e quanto onorevoli eran state emanate per loro, tanto che gli Edui
in ogni tempo avevano occupato il primato di tutta la Gallia, prima ancora di
chiedere la nostra amicizia.(Che) era questa una tradizione del popolo romano,
che gli alleati e gli amici non solo non perdevano nulla del loro, voleva che
fossero più grandi di favore, dignità, onore;quello dunque che
avevano portato per l'amicizia del popolo romano, questo chi poteva permettere
fosse loro tolto?Chiese infine le stesse cose, che aveva dato agli ambasciatori
nelle istruzioni: di non dichiarare guerra o agli Edui o ai loro alleati,
restituire gli ostaggi, se nessuna parte dei Germani poteva rimandare in
patria, non permettesse però che alcuni passassero più il Reno.
1.XLIV. Lunga
risposta di Ariovisto.
Ariovisto alle richieste di Cesare rispose poco, molto proclamò sui suoi
meriti: (che ) lui aveva passato il Reno non spontaneamente, ma pregato e
chiamato dai Galli; non senza grande speranza e grandi premi aveva lasciato
patria e parenti;aveva sedi in Gallia concesse da loro stessi, ostaggi dati
dalla loro volontà; riceveva tributi per diritto di guerra, che i vincitori
sono soliti imporre ai vinti.Non lui ai Galli,
1.XLV.Altra risposta di Cesare.
Molte cose furon dette da Cesare in questo senso, perché non poteva desistere
da quel dovere; non era né consuetudine sua né del popolo romano permettere di
abbandonare alleati ottimamente benemeriti né poteva ritenere che la Gallia
fosse più di Ariovisto che del popolo romano. Gli Arverni ed i Ruteni
erano stati vinti in guerra da Q. Fabio Massimo, ed il popolo romano aveva loro
perdonato né li aveva ridotti in provincia né aveva imposto il tributo.Che se
bisognasse guardare qualsiasi epoca antichissima, il potere del popolo romano
era stato giustissimo in Gallia; se si dovesse osservare il giudizio del
senato, la Gallia doveva essere libera, e aveva voluto che (seppur ) vinta con
una guerra godesse delle sue leggi.
1.XLVI. Insidie di
Ariovisto durante il colloquio.
Mentre queste cose si discutevano nel colloquio, fu annunciato a Cesare che i
cavalieri di Ariovisto venivano più vicino all'altura e cavalcavano
verso i nostri, lanciavano pietre e frecce.Cesare pose fine al discorso e si
ritirò dai suoi ed ordinò ai suoi di non rilanciare assolutamente
arma contro i nemici.Infatti anche se vedeva che uno scontro con la cavalleria
sarebbe avvenuto senza rischio della decima legione prescelta, tuttavia
riteneva di non attaccare, perché respinti i nemici si potesse dire che essi
eran stati da lui circondati in buona fede durante il colloquio. Dopo che fu
rivelato alla folla dei soldati quale arroganza usando durante il colloquio,
Ariovisto aveva proibito ai Romani tutta la Gallia ed i suoi cavalieri avevan
fatto un attacco contro i nostri e quella situazione aveva sciolto il
colloquio, molta maggiore ansia e maggiore voglia di combattere si
insinuò nell'esercito.
1.XLVII.Seconda ambasceria di Ariovisto e barbaro tradimento.
Due giorni dopo Ariovisto manda ambasciatori da Cesare: (che) voleva trattare
con lui su quegli argomenti che si eran cominciati a trattare fra loro e non
s'eran conclusi;che o di nuovo stabilisse un giorno per il colloquio o se non
lo volesse, mandasse da lui qualcuno tra i suoi ambasciatori.A Cesare non parve
un motivo di colloquiare e tanto più che il giorno precedente a quello i
Germani non avevano potuto trattenersi dal lanciare armi sui nostri. Un
ambasciatore tra i suoi, riteneva che l'avrebbe con grande rischio e l'avrebbe
offerto ad uomini feroci.Gli sembrò molto opportuno inviargli C.
1.XLVIII.I due eserciti pronti a combattere.
Lo stesso giorno fece avanzare gli accampamenti e si stabilì sotto il
monte a sei mila passi dagli accampamenti di Cesare.Il giorno seguente a quello
trasferì le sue truppe oltre gli accampamenti di Cesare e pose gli
accampamenti più avanti di lui a duemila passi con il piano di bloccare
Cesare dal frumento e rifornimento, che veniva portato dai Sequani e dagli
Edui.Da quel giorno per cinque giorni consecutivi Cesare fece uscire le sue
truppe davanti agli accampamenti e tenne l'esercito schierato, perché, se
Ariovisto volesse scontrarsi in battaglia, non gli mancasse
1.XLIX.Fortificazione operata da Cesare.
Quando Cesare capì che lui si teneva negli accampamenti, scelse un luogo
adatto agli accampamenti per non restare bloccato dal vettovagliamento
più a lungo, al di là della postazione, nella quale postazione
s'erano insediati i Germani, a circa seicento passi da loro, e schierato
l'esercito su triplice schiera, venne a quel luogo. Ordinò che la prima
e la seconda schiera restassero in armi, che la terza fortificasse gli accampamenti.Questa
postazione distava dal nemico, come è stato detto, circa seicento
passi.Là Ariovisto inviò circa sedicimila (fanti) leggeri con
tutta la cavalleria, perché quelle truppe terrorizzassero i nostri e
bloccassero
1.L. Primo scontro degli eserciti.
Il giorno seguente, secondo suo sistema, Cesare fece uscire le sue truppe da
entrambi gli accampamenti e avanzatosi un poco dagli accampamenti maggiori
schierò l'esercito e diede ai nemici la possibilità di combattere.Quando
capì neppure allora essi uscivano, a mezzogiorno circa, riportò
l'esercito nell'accampamento.Allora finalmente Ariovisto inviò parte
delle sue truppe, che assediasse gli accampamenti minori. Si combattè
aspramente da entrambe le parti fino a sera.Al calar del sole Ariovisto, date e
ricevute molte perdite, ricondusse le sue truppe negli accampamenti. Cesare
interrogando i prigionieri, per quale motivo Ariovisto non si battesse in uno
scontro, scopriva questa causa, che presso i Germani c'era questa tradizione,
che le madri di famiglia dichiarassero con i loro sortilegi e profezie, se
fosse di vantaggio che si attaccasse battaglia o no;(che) esse così
dicevano: non essere volontà divina che i Gemani vincessero, se avessero
attaccato con uno scontro prima delle luna nuova.
1.LI.Ripresa dello scontro.
Il giorno seguente a quello Cesare lasciò a difesa per entrambi gli
accampamenti, quello che sembrò esser sufficiente, schierò tutti
gli alari al cospetto dei nemici di fronte agli accampamenti minori, poichè
disponeva meno di quantità di soldati legionari in rapporto al numero
dei nemici, in modo da usare gli alari per diversivo; in persona schierata la
triplice schiera si avvicinò fino agli accampamenti dei nemici. Allora
finalmente inevitabilmente i Germani fecero uscire le loro truppe dagli
accampamenti e li schierarono per tribù ad uguali intervalli - Arudi,
Marcomani, Triboli, Mangioni, Nemesi, Sedusi, Suebi -, e circondarono tutta la
schiera con vetture e carri, perché non rimanesse alcuna speranza nella fuga.
Là vi posero le donne, che piangendo a mani aperte imploravano quelli
che partivano per la battaglia, perché non li consegnassero in schiavitù
ai Romani.
1. LII. Secondo scontro degli eserciti
Cesare mise a capo delle singole legioni altrettanti delegati ed un questore,
perché ognuno li avesse come testimoni del proprio valore; lui, in persona,
dall'ala destra, perché aveva capito che quella parte dei nemici non era
assolutamente salda, attaccò battaglia. I nostri soldati, dato il segnale
fecero l'attacco così aspramente, ed i nemici corsero avanti così
improvvisamente e celermente, che non era concesso lo spazio di lanciare i
giavellotti contro i nemici. Lasciati i giavellotti si combattè corpo a
corpo con le spade. Ma i Germani velocemente secondo la loro abitudine, fatta
una falange, sostennero gli assalti delle spade.Si trovarono parecchi dei
nostri, che saltarono sopra la falange e strappavano gli scudi con le mani e
ferivano da sopra.Essendo stata sbaragliata e messa in fuga la schiera dei nemici
dall'ala sinistra, dall'ala destra incalzavano violentemente con una
moltitudine dei loro la nostra schiera.Essendosi accorto di ciò P.
Crasso, il giovane, che era a capo della cavalleria, poiché era più
libero di quelli che si trovavano tra la schiera, mandò in aiuto ai
nostri che erano in difficoltà la terza scihera.
1.LIII.Ripresa del
combattimento e fuga dei nemici.
Così si riprese lo scontro e tutti i nemici volsero le spalle e non
smisero di fuggire prima che giungessero al fiume Reno a circa cinque mila
passi da quel luogo.Qui pochissimi o confidando nelle forze cercarono di
passare a nuoto o trovate delle imbarcazioni si trovarono la salvezza.Tra
questi vi fu Ariovisto, che raggiunta una barchetta legata presso la riva,
fuggì con essa; i nostri inseguendo con la cavalleria uccisero tutti gli
altri.Vi furono le due mogli di Ariovisto, una di nazionalità svea, che
aveva portato con sé dalla patria, l'altra norica, sorella del re Voccione, che
aveva portato in Gallia, mandatagli dal fratello: l'una e l'altra morì
in quella fuga; due (furono ) le lie:una di queste fu uccisa, la seconda
catturata.C.
1.LIV.Fine della guerra germanica.
Riferita questa battagli al di là del Reno, i Svevi, che erano arrivati
alla riva del Reno, cominciarono a ritornare in patria. Appena quelli che
abitano vicini (sul) Reno, li seppero terrorizzati, inseguendoli ne uccisero un
gran numero.Cesare in una sola estate, concluse due grandissime guerre, un poco
più presto di quanto il periodo dell'anno richiedeva, portò
l'esercito negli (accampamenti) invernali nei Sequani.Agli accampamenti invernali
mise a capo Labieno, lui in persona partì per la Gallia cisalpina per
tenere le sessioni (giudiziarie).
SECONDO LIBRO
Secundo anno della guerra gallica:
2.I.Alleanza
dei Belgi contro i Romani.
Essendo cesare nella Gallia Cisalpina, così come abbiamo detto
precedentemente, venivano riferite a lui frequenti voci e similmente dalle
lettere di Labieno era informato che tutti i Belgi, che avevamo detto essere la
terza parte della Gallia, si alleavano contro il popolo romano e si scambiavano
ostaggi.(Che) questi erano i motivi dell'allearsi:primo, che temevano che,
pacificata tutta la Gallia, il nostro esercito fosse portato contro di loro;
poi che erano spinti da alcuni Galli, in parte, quelli che, come non avevano
voluto che i Germani si trovassero troppo a lungo in Gallia, così
malamente sopportavano che l'esercito del popolo romano svernasse e
invecchiasse in Gallia, in parte quelli che per mobilità e leggerezza
d'animo desideravano nuove situazioni;da parte di alcuni addirittura, che in
Gallia da parte dei più potenti e di quelli che avevano ricchezze per
assoldare uomini, comunemente venivano presi i poteri, i quali meno facilmente
sotto il nostro dominio potevano ottenere tale situazione.
2.II.Partenza di Cesare contro i
Belgi.
Turbato da tali notizie e lettere Cesare arruolò nella Gallia cisalpina
due legioni nuove e, iniziata l'estate, mandò il legato Q. Pedio per
condurla nella Gallia più interna. Lui in persona appena cominciava ad
esserci abbondanza di foraggio venne dall'esercito.Dà incarico ai Senoni
ed agli altri Galli che erano confinanti coi Belgi, di sapere quello che si
faceva presso di loro e di informarlo di tali argomenti.Essi costantemente
riferirono che si riunivano manipoli, che si raccoglieva l'esercito in un unico
luogo.Allora davvero non pensò si dovesse aver dubbi di partire contro
di loro.Provveduto il vettovagliamento al dodicesimo giorno muove gli
accampamenti ed in circa 15 giorni giunge nei territori dei Belgi.
2.III.La resa dei Remi ai Romani.
Essendo giunto là all'improvviso e più velocemente di ogni
aspettativa, i Remi, che tra i Belgi sono i confinanti della Gallia, gli
inviarono come ambasciatori Iccio ed Andecumborio, capi della nazione, a dire
che mettevano se stessi e tutti i loro beni nella parola e nel potere del
popolo romano e che loro non s'erano accordati con gli altri Belgi né si erano
alleati assolutamente contro il popolo romano, che erano pronti a dare ostaggi,
obbedire agli ordini, accoglierli nelle città e aiutarli con frumento ed
altri beni;che gli altri Belgi erano in armi ed i Germani che abitavano al di
qua del Reno si erano congiunti con essi e così forte era il furore di
tutti quelli che (i Remi) non avevano potuto distogliere neppure i Sucessoni
loro fratelli e congiunti, che godono dello stesso diritto e delle stesse leggi
ed hanno con loro un unico governo ed un'unica magistratura, dal collegarsi con
essi.
2.IV.Notizie dei Remi a Cesare.
Chiedendo loro, quali cità e quanto grandi fossero in armi e cosa
potessero in guerra, così scopriva: che parecchi Belgi erano nati dai
Germani e passati il Reno anticamente per la prosperità del luogo
lì si erano insediati ed i Galli che abitavano quei luoghi, li avevan
cacciati ed eran stati i soli che al tempo dei nostri antenati, quando la
Gallia era stata oppressa, avevano impedito ai Cimbri ed ai Teutoni di entrare
nei loro territori; che per tale motivo accadeva col ricordo di quelle imprese
avevano assunto un grande prestigio e grandi animosità in materia
militare. Circa il loro numero, i Remi dicevano di aver tutto indagato, per il
fatto che uniti da parentele e affinità sapevano quanta moltitudine
ciascuno aveva promesso per quella guerra nella comune riunione dei Belgi.Che
tra loro erano potenti moltissimo i Bellovaci per coraggio, prestigio, numero
di uomini: questi possono realizzare cento mila armati, e promessi sessanta
mila scelti tra quel numero chiedevano per sé il comando di tutta la guerra.I
sucessoni erano loro confinanti;possedevano campi vastissimo e
fertilissimi.(Che) anche all'epoca nostra presso di loro è stato re
Diviziaco, il più potente di tutta la Gallia, che da una parte aveva
tenuto il potere di gran parte di queste regioni e dall'altra anche della
Britannia; ora era re Galba;a costui per la giustizia e la somma saggezza era
stato affidato la guida di tutta la guerra per volontà di tutti; avevano
città nel numero di dodici, garantiva cinquantamila armati; altrettanto
i Nervi, che sono considerati ferocissimi tra loro e stanno
lontanissimo;quindici mila gli Atrebati, gli Ambiani dieci mila, i Morini 25
mila, i Menapi 9 mila, i Caleti 10 mila, i Veliocassi ed i Viromandui
altrettanti, gli Atuatuci diciannove mila; i Condrusi, gli Eburoni, i Cerusi, i
Cemani, che con un solo nome si chiamano Germani, eran considerati circa 40
mila.
2.V.Accampamenti posti oltre l'Aisne per difesa.
Cesare incoraggiati i Remi e proseguendo cordialmente con un discorso
ordinò che tutto il senato si riunisse presso di lui e si portassero
presso di lui come ostaggi i li dei capi. Tutto questo fu da loro
puntualmente eseguito per la data (fissata).Di persona, dopo aver incoraggiato
molto l'eduo Diviziaco dichiara quanto importi allo stato ed alla comune
salvezza che si separassero i manipolo dei nemici, per non dover combattere in
solo tempo contro una moltitudine così grande.(Disse) che di poteva
fare, se gli Edui avessero portato nei territori dei Bellovaci le loro truppe e
avessero cominciato a devastare i campi. Date queste istruzioni lo congeda da
sè. Dopo che vide che tutte le truppe dei Belgi riunite in un solo luogo
venivano contro di lui e seppe da quegli esploratori che aveva inviato e dai
Remi, che ormai non erano lontano, si affrettò a far passere l'esercito
oltre il fiume Aisne, che è negli estremi confini dei Remi e lì
pose l'accampamento. Questa posizione sia fortificava un solo lato degli
accampamenti con le rive del fiume e rendeva tutto quello che stava dietro a
lui, sicuro dai nemici e faceva sì che i rifornimenti da parte dei remi
e degli altri popoli si potessero portare a lui senza rischi.Su quel fiume c'era
un ponte.Lì pone una guarnigione e nell'altra parte del fiume lascia il
legato Q. Tiburio Sabino con sei coorti; ordina che gli accampamenti siano
fortificati con una trincea di
2.VI.Assedio di Bibratte,
città dei Remi, fatta dai Belgi.
Da questi accampamenti la città dei Remi di nome Bibratte distava otto
mila passi.I Belgi cominciarono ad assediarla, in marcia, con un grande
attacco. A stento per quel giorno si resistette.L'assalto, uguale, dei Galli e
dei Belgi è questo: quando, gettata una grande massa di uomini attorno a
tutte le mura, da ogni parte si è cominciato a scagliare pietre contro
il muro ed il muro è privo di difensori, fatta una testuggine,
incendiano da sotto le porte e scalzano il muro. Tutto questo si faceva
facilmente.Infatti mentre la grande massa scagliavano pietre e giavellotti,
nessuno aveva la possibilità di star fermi sul muro.Avendo la notte
posto fine all'assedio, il remo Iccio, di grandissima nobiltà e favore
presso i suoi, che allora era a capo della città, uno di quelli che
erano venuti da Cesare come ambasciatori, gli manda araldi ( dicendo) che lui
non poteva resistere più a lungo, se non gli si mandato un aiuto.
2.VII.Aiuti inviati da Cesare a Bibratte.
Cesare invia là a mezza notte, servendosi di quelle guide che erano
giunti come araldi da parte di Iccio, arceiri numidi e cretesi e frombolieri
baleari in soccorso agli abitanti (della città).Al loro arrivo, da una
parte si accese nei Remi, con la speranza della difesa la volontà di
resistere e nei nemici per lo stesso motivo svanì la speranza di
impadronirsi sella città.Così fermatisi un poco presso la
città e dopo aver saccheggiato i campi dei Remi e bruciati i villaggi e
gli edifici, dove eran potuti arrivare con tutte le truppe si diressero agli
accampamenti di Cesare e posero gli accampamenti a meno di due mila passi;
questi accampamenti, come si manifestava dal fumo e dai fuochi, si estendevano
in ampiezza più di otto mila passi.
2.VIII.Preparativi di Cesare contro i Belgi.
Cesare dapprima sia per la massa dei nemici sia per la troppa opinione del
valore decide di soprasedere allo scontro.Quotidianamente però con
scontri di cavalleria sperimentava cosa potesse il nemico nel valore e cosa
osassero i nostri.Quando capì che i nostri non erano inferiori, davanti
agli accampamenti in posizione giusta e adatta per conformazione a schierare
l'esercito, poiché quel colle, dove era stati posti gli accampamenti, un poco
rialzato dalla pianura, si stendeva davanti tanto in larghezza, quanto posto
poteva occupare l'esercito schierato, e da entrambe le parti del lato aveva
pendii e sul fronte leggermente in pendenza a poco a poco ritornava a pianura,
tracciò da entrambi i lati di quel colle un fossato trasversale di circa
quattrocento passi ed alle estremità dei fossati pose delle fortezze e
lì collocò le macchine da guerra, perché, dopo aver schierato
l'esercito, i nemici, che potevano così tanto per la moltitudine, non
potessero circondare i suoi mentre combattevano. Fatto questo, lasciate le due
legioni, che recentemente aveva arruolato negli accampamenti, perché, se fosse
occorso qualche soccorso, si potesse portare, schierò le altre sei
legioni in battaglia davanti agli accampamenti. I nemici ugualmente avevano
schierato le loro truppe, fatte uscire dagli accampamenti.
2.IX.Tentativo dei Belgi contro i
Romani..
Una palude non grande si trovava tra il nostro e l'esercito dei nemici.Se i
nostri la passassero, i nemici l'aspettavano; i nostri invece, se da parte loro
si fosse dato inizio al passare, erano pronti in armi ad assalirli ( una volta)
impegnati.Intanto tra le due schiere ci si scontrava con battagli di
cavalleria. Poiché nessuno dà inizio ad attraversare, con uno scontro di
cavalleria più propizio per i nostri Cesare ricondusse i suoi negli
accampamenti. I nemici subito da quel luogo si diresseroal fiume Aisne, che
è stato detto esser dietro ai nostri accampamenti.Qui trovati dei guadi,
tentarono di far passare parte delle loro truppe con questo piano, per espugnare,
se potessero, la fortezza, a cui era a capo il legato Q. Titurio e tagliare il
ponte, se avessero potuto di meno, di devastare i campi dei remi che per noi
erano di grande per fare la guerra ed bloccare i nostri dal rifornimento.
2.X.Aspro scontro presso il ponte e ritirata dei nemici.
Informato da Titurio, fa passare il ponte a tutta la cavalleria, ai Numidi di
armatura leggera, ai frombolieri ed agli arcieri e si diresse contro di loro.
In quel luogo si combattè aspramente.I nostri assaliti i nemici in difficoltà
sul fiume ne uccisero un gran numero;respinsero con una massa di giavellotti
gli altri che attraverso i loro corpi molto audacemente tentavano di passare,
massacrarono i primi che erano passati, circondati dalla cavalleria.I nemici
quando capirono di aver fallito la speranza di espugnare la città e di
passare il fiume e videro che i nostri non avanzavano in posizione sfavorevole
per combattere e il vettovagliamento cominciò loro a mancare, convocata
l'assemblea decisero essere cosa ottima che ciascuno ritornasse nella sua
patria e che si riunissero da ogni parte per difenderli, nei territori di
quelli in cui inizialmente i Romani avessero condotto l'esercito, per
combattere piuttosto nei loro che nei territori stranieri e si servissero delle
scorte proprie di vettovagliamento.A quella decisione, con altri motivo li
portò anche questo calcolo, perchè avevano saputo che Diviziaco e
gli Edui si avvicinavano ai territori dei Bellovaci.Non si poteva convincere
costoro che si fermassero più a lungo e non portassero aiuto ai loro.
2.XI.Misera strage e fuga dei nemici.
Stabilito quel piano, alla seconda veglia, con grande strepito e tumulto usciti
dagli accampamenti senza nessun ordine sicuro né comando, cercando ciascuno di
raggiungere per sé il primo posto della marcia ed affrettarsi ad arrivare in
patria, fecero sì che la loro partenza sembrasse simile ad una
fuga.Cesare, saputo tale fatto per mezzo delle spie, temendo insidie, poiché
non aveva ancora indagato per quale motivo partissero, trattenne esercito e
cavalleria negli accampamenti.Alla prima luce, confermato il fatto dagli
esploratori, mandò avanti tutta la cavalleria, che ritardasse la
retroguardia.Mise a capo di questi i legati Q. Pedio e L. Aurunculeio Cotta;
comandò che il legato T. Labieno seguisse dopo con tre legioni. Questi
assaliti gli ultimi e proseguendo per molte migliaia di passi uccisero una gran
moltitudine di quelli che fuggivano, mentre quelli a cui si era giunti si
fermavano e violentemente sostenevano l'assalto dei nostri soldati, i primi
perché sembravano esser lontani dal pericolo e non eran trattenuti da alcuna
necessità e comando, sentito il grido, sconvolte le file, di porsi tutti
come scampo in fuga. Così senza alcun pericolo i nostri avevano ucciso
una così grande massa di loro, quanto fu lo spazio della giornata, ed al
tramonto del sole desistettero e si ritirarono, come era stato comandato, negli
accampamenti.
2.XII. Tentativo d'assedio di Novioduno e resa dei Suessoni.
Il giorno seguente a quello, Cesare, prima che i nemici si riprendessero dalla
paura e dalla fuga, guidò l'esercito nei territori dei sucessoni, che
erano confinanti dei Remi, efatta una marcia forzata si diresse alla
città di Novioduno.tentando di aaasalirla durante la marcia, perché
udiva che era priva di difensori, a causa della larghezza del fossato e
dell'altezza del muro, pur difendendola pochi, non potè espugnarla e,
fortificati gli accampamenti cominciò ad accostare le gallerie e quello
che era di utilità per espugnare. Intanto tutta la massa dei Sucessoni
dalla fuga si riunì in città nella notte seguente.Celermente
spinte le gallerie alla città, costruito un argine e preparate le torri,
per la grandezza delle opere che i Galli prima non avevano visto né sentito, e
scossi dalla velocità dei Romani mandano da Cesare ambasciatori per la
resa e, chiedendolo i Remi, ottengono di esser salvati.
2.XIII. La resa dei Bellovaci.
Cesare, accettati come ostaggi i capi della nazione , due li dello stesso re
Galba e consegnate tutte le armi dalla città, accettò alla resa i
Sucessoni e guida l'esercito dai Bellovaci.Ma questi avendo portato se stessi e
tutti i loro beni nella città di Bratuspanzio e distando Cesare da
quella città con l'esercito circa cinque mila passi, tutti gli anziani
usciti dalla città cominciarono a tendere le mani a Cesare ed esprimere
a voce che loro andavano alla sua volontà e potere e non si battevano
con le armi contro il popolo romano. Similmente, essendosi avvicinato alla
città e mettendo lì gli accampamenti, ragazzi e donne dalla
muraglia, a mani aperte, secondo la loro tradizione chiesero la pace ai Romani.
2.XIV. Intervento di Divitiaco
presso Cesare per i Bellovaci.
A loro difesa Diviziaco - infatti dopo la partenza dei Belgi, congedate le
truppe degli Edui, era ritornato da lui, fece un discorso: che i Bellovaci in
ogni tempo erano stati in lealtà e nell'amicizia della nazione
edua;spinti dai loro capi, che dicevano che gli Edui eran stati ridotti in
schiavitù da Cesare e pativano ogni umiliazione ed oltraggioe che si erano
staccati dagli Edui ed avevano dichiarato guerra al popolo romano.Quelli che
eran stati i capi di quel piano, poiché capivano quanto grave danno avevano
recato alla nazione, erano fuggiti in Britannia.(Che) non solo i Bellovaci
chiedevano, ma anche gli Edui per loro, che usasse la sua clemenza e
mansuetudine verso di essi.Se lo avesse fatto, il prestigio degli Edui si
sarebbe amplificato presso tutti i Belgi, dei cui aiuti e mezzi, se fossero
capitate delle guerre, erano soliti fornirsi.
2.XV. Tradizioni degli Ambiani.
Cesare per l'onore di Diviziaco r per gli Edui disse che li avrebbe accolti in
protezione e li avrebbe salvati; poiché era una nazione grande e tra i Belgi
era superiore per prestigio e per quantità di uomini, chiese seicento
ostaggi.Consegnatisi questi e raccolte tutte le armi in città da quel
luogo giunse nei territori degli Ambiani, che senza indugio consegnarono
sè e tutti i loro beni.I Nervi toccavano i loro territori.Indagando
sulla loro natura e costumi, così scopriva:i mercanti non avevano alcun accesso
verso di loro; non tolleravano che si importasse niente di vino e di altre cose
che riguardassero il lusso, perché pensavano che con quelle cose i loro animi
si indebolivano ed il valore diminuiva;erano uomini feroci e di grande
coraggio;incolpavano ed accusavano gli altri Belgi, che si erano consegnati al
popolo romano ed avevano buttato il valore patrio;garantivano che loro non
avrebbero mandato ambasciatori né avrebbero accettato alcuna condizione di
pace.
2.XVI. L'attesa dei Nervi.
Cesare avendo fatto una marcia per tre giorni attraverso i loro territori,
scopriva dai prigionieri che il fiume Sambre distava dai suoi accampamenti non
più di 10 mila passi;che tutti i Nervi si erano insediati al di
là di quel fiume e lì aspettavano l'arrivo dei Romani insieme con
gli Atrebati ed i Viromandui, loro confinanti - infatti avevano persuaso
entrambi questi a tentare la stessa sorte della guerra -;da parte loro si
attendevano anche le truppe degli Atuatuci e che erano in marcia; le donne e
quelli che sembravano inutili per la battaglia, li avevano riuniti in quel
luogo, a cui non vi fosse un accesso per l'esercito a causa delle paludi.
2.XVII. Piano degli Ambiani.
Sapute queste cose, manda avanti esploratori e centurioni, che scelgano un
luogo adatto agli accampamenti.Poiché parecchi dei Belgi arresi e degli altri
Galli, seguendo Cesare, facevano insieme la marcia, alcuni di loro, come poi si
seppe dai prigionieri, secondo l'abitudine di quei giorni di marcia del nostro
esercito, attesa la notte, giunsero dai Nervi e dichiararono loro che tra le
singole legioni intercorreva un gran numero di carriaggi e non c'era alcuna
difficoltà, essendo giunta la prima legione negli accampamenti e le
altre legioni essendo lontano una grande distanza, assalire questa sotto gli
zaini; sbaragliata questa e saccheggiati i carriaggi, sarebbe accaduto che le
altre non osassero porsi contro.Aiutava pure il piano di coloro che proponevano
la cosa, il fatto che i Nervi anticamente, non potendo nulla con la cavalleria
- ed infatti di quell'impresa non si preoccupano fino ad ora, ma quel che
possono, lo valgono per le truppe di fanteria -, per bloccare più
facilmente la cavalleria dei confinanti, se fossero venuti per depredare,
tagliati alberi teneri e piegati in larghezza i molti rami nati e messi in
mezzo rovi e spine avevan fatto sì che queste siepi presentavano una
fortificazione a guisa di muraglia, per cui non solo non si poteva entrare, ma
neppure vederci.Essendo impedita da questi fatti la marcia della nostra
schiera, i Nervi pensarono di non disprezzare questo piano.
2.XVIII.Natura del luogo scelto per gli accampamenti.
Questa era la conformazione del luogo, che i nostri avevano scelto per gli
accampamenti:un colle si stendeva ugualmente in pendio dalla cima al fiume
Sambre, che prima abbiamo ricordato. Da quel fiume con uguale inclinazione
sorgeva un colle dirimpetto a questo ed opposto, a circa duecento passi, aperto
in basso, dalla parte superiore selvoso, tanto che non si poteva facilmente
vedere dentro.Dentro a quelle selve i nemici si tenevano in segreto. Nel luogo
aperto lungo il fiume si vedevano poche pattuglie di cavalieri.La
profondità del fiume era di circa tre piedi.
2.XIX. Improvviso attacco dei nemici.
Cesare, mandata avanti la cavalleria, seguiva con tutte le truppe.Ma
l'organizzazione e l'ordine della schiera si trovava diversamente da come i
Belgi avevano riferito ai Nervi.Ma poiché si avvicinava ai nemici, Cesare
secondo la sua abitudine guidava sei legioni leggere;dietro a loro aveva
collocato i carriaggi di tutto l'esercito; poi le due legioni che erano state
recentemente arruolate chiudevano tutta la schiera ed erano di guardia ai
carriaggi.I nostri cavalieri con i frombolieri e gli arcieri avendo passato il
fiume attaccarono una battaglia con la cavalleria dei nemici:Poiché essi
più volte si ritiravano nelle selve presso i loro e di nuovo facevano un
assalto dalla selva contro i nostri e non osando i nostri, indietreggiando,
inseguire più lontano al limite che gli aperti luoghi estesi presentavano,
intanto le sei legioni che erano arrivate per prime, misurato il tracciato,
cominciarono a fortificare gli accampamenti. Quando i primi carriaggi del
nostro esercito furono visti da quelli che, nascosti nelle selve, si celavano,
ed era questo il tempo che tra loro si era convenuto di attaccar battaglia,
così come dentro le selve avevano schierato l'esercito e le file e loro
stessi si erano rincuorati. Improvvisamente con tutte le truppe volarono avanti
e fecero l'assalto contro i nostri cavalieri.Respintili facilmente e
sgominatili con incredibile velocità corsero giù al fiume i
nemici sembravano quasi nello stesso tempo presso le selve, sul fiume ed ormai
nelle nostre mani.Ma con la stessa celerità si diressero ai nostri
accampamenti sul colle opposto e da quelli che erano occupati nella
fortificazione.
2.XX.Improvviso rischio di Cesare
e disciplina dei soldati.
Cesare doveva fare tutto nello stesso istante: (c'era da) alzare il vessillo,
che era il segnale, quando bisognasse correre alle armi, dare il segno con la tromba,
richiamare dalla fortificazione i soldati, che erano avanzati più
lontano per cercare materiale, spronarli, schierare l'esercito, esortare i
soldati, dare il segnale.Ma la brevità del tempo e l'assalto dei nemici
impediva la maggior parte di quelle cose.A queste difficoltà due erano
le cose d'aiuto, l'esperienza e l'abilità dei soldati, che esercitati
dai precedenti scontri: cosa occorresse fare, non meno chiaramente essi stessi
potevano ordinarselo che farselo insegnare da altri ed il fatto che Cesare
aveva vietato che i singoli legati si allontanassero dalla fortificazione e
dalle singole legioni, se non fortificati gli accampamenti. Questi per la
vicinanza e la velocità dei nemici ormai non attendevano per nulla
l'ordine di Cesare, ma da sé organizzavano quello che sembrava opportuno.
2.XXI. Mancanza di tempo e pericolo improvviso.
Cesare ordinate le cose necessarie corse giù ad esortare i soldati, in
quella parte che la sorte offriva e venne alla decima legione.Esortati i
soldati con un discorso non più lungo, del fatto che mantenessero il
ricordo del proprio antico valore e non si turbassero nell'animo e sostenessero
saldamente l'attacco dei nemici, perché i nemici non distavano più
lontano di quanto si potesse lanciare un giavellotto, diede il segnale di
attaccare battaglia. E partito verso l'altra parte similmente per esortare,
corse dai combattenti.Fu così grande la pochezza del tempo e così
pronto l'animo dei nemici a combattere, che non solo per preparare le insegne,
ma anche per indossare gli elmi e togliere le protezioni agli scudi,
mancò il tempo.Nelle parte in cui ognuno casualmente giunse e le prime
insegne che vide, presso queste si fermò, per non perder l'occasione di
combattere nel cercare i suoi.
2.XXII.Gravissima avversità della sorte.
Schierato l'esercito più come richiedeva la natura del luogo ed il colle
in pendio e la necessità del momento di quanto ( richiedeva) la tattica
e l'ordine dell'impresa militare, essendo sparliate le legioni, resistendo
ai nemici una da una parte l'altra da un'altra, essendo impedita la vista dalle
densissime siepi frapposte, come prima abbiam descritto, non si potevano da
parte di uno solo né dare aiuti sicuri né provvedere cosa occorresse in ogni
parte né dare tutti gli ordini. Così in una così grave
avversità della sorte pure seguivano diversi eventi.
2.XXIII.Eroismo delle legioni.
I soldati della nona e decima legione, come si erano sistemati nella parte
sinistra, lanciati i giavellotti, velocemente dalla postazione superiore
respinsero verso il fiume gli Atrebati - infatti quella parte s'era imbattuta
in costoro - sfiniti dala corsa e dalla stanchezza ed inseguendoli mentre
tentavano di passare il fiume uccisero con le spade la maggior parte di loro
che era impacciata. Essi stessi non esitarono a passare il fiume e avanzatisi
in una postazione sfavorevole misero in fuga i nemici che, ripreso lo scontro,
resistevano di nuovo. Similmente dall'altra parte due legioni divise, la
undicesima e l'ottava, sbaragliati i Viromandui, con cui si erano scontrati,
combattevano dalla postazione superiore fin sulle stesse rive del fiume. Ma
quasi svuotati tutti gli accampamenti dal fronte e dalla parte sinistra, poiché
la dodicesima legione e la settima a non grande distanza si era fermata
nell'ala destra, tutti i Nervi, con una schiera serratisssima, sotto il comando
di Boduognato, che teneva la direzione del comando, si diressero a quella
postazione.Una parte di loro cominciò a circondare sul lato aperto le
legioni, una parte a dirigersi alla sommità della postazione degli
accampamenti.
2.XXIV.Grave pericolo dello scontro e defezione delle truppe ausiliarie dei
Treveri.
Nello stesso tempo i nostri cavalieri ed i fanti dall'armatura leggera, che
erano stati insieme con quelli che avevo detto respinti al primo assalto dei
nemici, mentre si ritiravano negli accampamenti, si imbattevano nei nemici di
fronte e di nuovo cercavano la fuga da un'altra parte ed i portatori, che dalla
porta decumana e dalla cima del colle avevano visto i nostri passare il fiume
vittoriosi, usciti per far bottino, essendosi voltati indietro e avendo visto
che i nemici si trovavano nei nostri accampamenti, a precipizio si davano alla
fuga.Contemporaneamente sorgeva l'urlo di quelli, che venivano con i carriaggi
e terrorizzati si recavano chi da una parte chi dall'altra. Sconvolti da tutte
queste situazioni, i cavalieri Treviri, di cui in Gallia c'è un giudizio
lusinghiero, i quali mandati dalla nazione erano giunti da Cesare in aiuto,
avendo visto che i nostri accampamenti erano riempiti dalla massa dei nemici,
che le legioni erano incalzate e quasi circondate erano bloccate, che i
portatori, i cavalieri, i frombolieri, i Numidi disordinati e sparliati
fuggivano in tutte le direzioni, essendo disperate le nostre condizioni, si
diressero in patria; riferirono alla nazione che i Romani eran stati vinti e
sconfitti e che i loro nemici si erano impadroniti degli accampamenti e dei
carriaggi.
2.XXV. Arrivo di Cesare e ripresa
di coraggio dei soldati.
Cesare dall'esortazione della decima legione partito per l'ala destra, quando
vide che i suoi erano incalzati e riunite in un sol luogo le insegne ed i
soldati della dodicesima legione ammassati erano di impiccio a se stessi per lo
scontro, uccisi tutti i centurioni della quarta coorte, abbattuto l'alfiere,
perduta l'insegna, o feriti o uccisi quasi tutti i centurioni delle altre
coorti, tra questi il primipilo P. Sestio Baculo, uomo fortissimo, colpito da
molte e gravi ferite, tanto che ormai non poteva reggersi, e vide che gli altri
erano troppo lenti ed alcuni rimasti dalla retroguardia uscivano dallo scontro
ed evitavano i giavellotti, che i nemici subentrando non cessavano né dal
fronte e sovrastavano da entrambi i lati e la situazione era alle strette e non
c'era alcun soccorso, che si potesse inviare: sottratta lo scudo ad un soldato
della retroguardia, perché lui era venuto là senza scudo, avanzò
nella prima fila e chiamati per nome i centurioni, esortando gli altri soldati,
ordinò di far avanzare le insegne e di allargare i manipoli, perché
potessero più facilmente usare le spade.Infusa speranza nei soldati con
il suo arrivo e rinfrancato l'animo, desiderando ciascuno per sé alla presenza
del generale anche nelle loro situazioni estreme mostrare impegno, l'assalto
dei nemici fu un poco rallentato.
2.XXVI. Gli sforzi di tutti
contro i nemici..
Cesare, avendo visto che la settima legione che s'era fermata vicino, era
ugualmente incalzata dal nemico, ordinò ai tribuni dei soldati che le
legioni a poco a poco si unissero e girate le insegne le volgessero contro i
nemici.Fatto questo, poiché uno portava soccorso all'altro e non temevano,
giratisi, di esser circondati dal nemico, cominciarono a resistere più
audacemente e combattere più aspramente.Intanto i soldati delle due
legioni, che erano state di guardia ai carriaggi nella retroguardia, annunciata
la battaglia, a corsa sfrenata erano osservati sulla cima del colle dai nemici,
e Labieno impadronitosi degli accampamenti dei nemici e dalla postazione
superiore, avendo osservato le cose che si facevano nei nostri accampamenti,
mandò in soccorso ai nostri la decima legione.Egli infatti, avendo
saputo dalla fuga dei cavalieri e dei portatori, in quale posizione fosse la
situazione ed in quale grave pericolo si trovassero gli accampamenti, le
legioni ed il generale, non si fece nessuna esitazione per la velocità.
2.XXVII. Improvviso cambiamento
della situazione: eroismo e fuga dei nemici.
Con la'arrivo di costoro avvenne un così grande cambiamento delle cose,
che i nostri, anche quelli che erano caduti colpiti da ferite, appoggiandosi
agli scudi riprendevano il combattimento, i portatori avendo visto i nemici
terrorizzati anche inermi correvano contro agli armati, i cavalieri poi, per
cancellare la vergogna della fuga, in tutti i luoghi combattendo con ardore si
spingevano oltre i soldati legionari.M i nemici anche alla fine della speranza
di salvezza mostrarono un così grande eroismo che, quando cadevano i
primi di loro, i vicini salivano sui caduti e dai loro corpi combattevano,
caduti questi ed ammucchiati i cadaveri, quelli che sopravvivevano dal cumulo
scagliavano armi contro i nostri ed i giavellotti intercettati li rimandavano:a
tal punto che non si riusciva a pensare assolutamente che uomini di così
grande eroismo avessero osato passare un fiume larghissimo, scalare altissime
rive, affrontare una postazione molto sfavorevole; queste cose la grandezza
d'animo le aveva rese facili da difficilissime (quali erano).
2.XXVIII.Disperata ambasceria dei
Nervi da Cesare per
Concluso
2.XXIX.Gli Atuatuci, discendenti
dai Cimbri e dai Teutoni.
Gli Atuatuci, di cui abbiamo parlato precedentemente, venendo in aiuto ai Nervi
con tutte le loro truppr, annunciata questa battaglia dalla marcia ritornarono
in patria;abbandonate tutte le città e le fortezze portarono tutte le
loro cose in un'unica città straordinariamente fortificata dalla
natura.Avendo questa attorno da tutte le parti altissime rocce e dirupi, da una
parte era rimasto un accesso leggermente in pendio non più ampio in
larghezza di duecento piedi; avevano munito quella postazione con un doppio
altissimo muro;poi collocavano sul muro travi acuminate e sassi di gran peso.
Essi stessi erano discendenti dai Cimbri e dai Teutoni, che facendo marcia
verso la nostra provincia e l'Italia, abbandonati al di qua del fiume Reno quei
carriaggi, che non avevano potuto spingere e portare con sé, lasciarono insieme
sei mila uomini dei loro come guarnigione ed presidio.Questi dopo la loro morte
tormentati per molti anni dai loro confinanti, mentre da una parte dichiaravano
guerra, dall'altra s'opponevano ad una dichiarata, col consenso di tutti loro,
fatta la pace, si scelsero questo luogo per domicilio.
2.XXX. Derisione degli Atuatuci
verso i Romani, gente di piccola statura.
Ma al primo arrivo del nostro esercito facevano molte scorrerie dalla
città e con scaramucce piccoline si scontravano con i nostri; in seguito
rafforzati con una trincea attorno di quindici mila piedi e con parecchie
fortezze, si tenevano in città.Come videro da lontano che, avanzate le
gallerie e costruito un argine, si fabbricava una torre, dapprima dal muro
deridevano ed insultavano con frasi, che si preparasse una così grande
macchina da una distanza così grande;con quali mani o quali forze
soprattutto uomini di così piccola statura - infatti per lo più
per tutti i Galli di fronte alla grandezza dei loro corpi la nostra piccolezza
era oggetto di scherno - speravano di poter collocare sul muro una torre di così
grande mole?
2.XXXI.Ambasceria degli Atuatuci
a Cesare per la resa.
Quando però videro che si muoveva e si avvicinava alle mura, turbati
dalla strana ed inconsueta vista, mandarono ambasciatori da Cesare per la pace,
ed esse così parlarono:(che) loro pensavano che i Romani facevano la
guerra non senza aiuto divino, che potevano muovere macchine di così
grande altezza con così grande velocità e combattere in vicinanza
e dissero che mettevano se stessi e tutte le loro cose sotto il loro potere.
Una sola cosa chiedevano e scongiuravano:se per caso per la loro clemenza e
mansuetudine, che essi sentivano dire dagli altri, avessero stabilito di
salvare gli Atuatuci, di non spogliarli delle armi.(Che) essi avevano come
nemici quasi tutti i confinanti e vedevano male il loro valore, da essi,
consegnate le armi, mon potrebbero difendersi. Era meglio per loro, se fossero
trascinati a tale caso, patire qualunque sorte da parte del popolo romano, che
esser uccisi con torture da quelli, tra i quali erano soliti dominare
2.XXXII.Clemente risposta di
Cesare e resa degli Atuatuci.
A queste cose Cesare rispose: che aveva salvato più per sua abitudine
che per merito la loro nazione, se si fossero arresi prima che (la macchina
del)l'ariete toccasse il muro;ma che non c'era nessuna condizione di resa, se
non consegnate le armi. Avrebbe fatto quello che aveva fatto tra i Nervi ed
avrebbe ordinato ai confinanti di non recare alcun oltraggio agli arresi del
popolo romano.Annunciata la cosa ai loro, dissero di fare quelle cose che erano
ordinate. Gettata una gran quantità di armi dal muro nel fossato, che
era davanti alla città, così che i mucchi di armi quasi
pareggiavano alla cima dell'altezza del muro e del terrapieno e tuttavia
trattenutane e nascosta la terza parte in città, come poi fu scoperto,
aperte le porte per quel giorno godettero la pace.
2.XXXIII. Insidie notturne degli Atuatuci e loro vendita.
Verso sera Cesare ordinò che si chiudessero le porte e che i soldati
uscissero dalla città, perché i cittadini di notte non ricevessero
qualche danno.Essi, deciso precedentemente il piano, come si capì,
avevano creduto che avvenuta la resa i nostri avrebbero tolto le guarnigioni e
alla fine avrebbero sorvegliato più trascuratamente, in parte con te
armi che avevano trattenuto e nascosto, in parte con scudi fatti di cortecce o
vimini intrecciati, che improvvisamente come la brevità del tempo
imponeva, avevano ricoperto di pelli, alla terza veglia, per dove la salita
alle nostre fortificazioni era meno ardua, con tutte le truppe improvvisamente
fecero una sortita dalla città.Velocemente, come Cesare aveva ordinato
fatta una segnalazione coi fuochi dalle fortezze vicine si corse là e da
parte dei nemici si combattè così aspramente che da parte di
uomini forti nella estrema speranza di salvezza in luogo sfavorevole contro
quelli che gettavano armi dalla trincea e dalle torri, si dovette combattere,
poiché ogni speranza consisteva nel solo valore. Uccisi circa quattro mila
uomini gli altri furono respinti in città.Il giorno seguente a quello infrante
le porte, poiché nessuno le difendeva ed entrati i nostri soldati, Cesare
vendette all'asta tutto il bottino di quella città.Da quelli che avevano
comprato gli fu riferito un numero di persone di cinquanta tremila
2.XXXIV. La resa di tutte le
nazioni marittime.
Nello stesso tempo fu informato da P. Crasso che con una sola legione aveva
mandato dai Veneti, Unelli, Osismi, Coriosoliti, Essuvi, Aulirci, Redoni, che
sono popoli marittimi e raggiungono l'Oceano, che tutti quei popoli si erano
arresi alla volontà ed al potere del popolo romano.
2.XXXV.Pacificazione della Gallia
e partenza di Cesare per l'Italia.
Fatte queste imprese, pacificata tutta la Gallia, fu diffusa tra i barbari una
così grande fama di questa guerra, che da parte di quelle popolazioni
che abitavano al di là del Reno venivano inviati ambasciatori che
promettevano di consegnare ostaggi, di eseguire gli ordini. Queste ambascerie
Cesare ordinò, poiché si affrettava per l'Italia e l'Illirico, che
ritornassero da lui all'inizio della estate seguente. Lui, portate le legioni
negli accampamenti invernali presso i Carnuti, Andi, Turoni e quelle nazioni
che erano vicine a quei luoghi, dove aveva mosso guerra, partì per
l'Italia. Per quelle imprese (conosciute) dalle lettere di Cesare fu deciso un
(pubblico) rendimento di grazie di quindici giorni, cosa che prima di quel
tempo non accadde per nessuno.
TERZO LIBRO
(Terzo anno della guerra gallica:
3.I. Le legioni negli
accampamenti invernali, la Gallia pacificata.
Essendo partito per l'Italia, Cesare mandò Ser. Galba con la legione
dodicesima e parte della cavalleria contro i Nantuati, i Veratri ed i Seduni,
che si estendono dai territori degli Allobrogi e dal lago Lemanno e dal fiume
Rodano alla sommità delle Alpi.Causa del mandarli fu che voleva che il
passaggio attraverso le Alpi, dove con grande rischio e con grandi dogane i
mercanti erano soliti passare, fosse aperto.A costui concesse, se pensasse ci
fosse bisogno, che sistemasse la legione per svernare. Galba, fatti alcuni
scontri favorevoli ed espugnate parecchie loro fortezze, inviati a lui
ambasciatori da ogni parte e consegnati gli ostaggi e fatta la pace,
stabilì di porre due coorti tra i Nantuati ed egli con le altre coorti
di quella legione svernare nel cantone dei Veratri che si chiama
Ottoduro.Questo cantone posto in una vallata, aggiuntavi una pianura non
grande, è delimitato da ogi parte da altissimi monti. Poiché qui il
fiume si divideva in due parti, concesse una parte di quel cantone ai Galli per
svernare, l'altra lasciata libera da loro la concesse alle coorti.Quella
postazione la fortifico di palizzata e fossato.
3.II.Minacce di Seduni e Veragri.
Essendo passati parecchi giorni deglia accampamenti invernali ed essendo stato
ordinato che il frumento fosse portato là, improvvisamente fu informato
dagli esploratori che da quella parte del cantone, che aveva concesso ai Galli,
tutti di notte eran partiti ed i monti che sovrastavano erano occupati dalla
grandissima moltitudine dei Seduni e dei Veragri.Questo era accaduto per alcune
cause, (cioè) che i Galli prendessero la decisione di riprendere la
guerra e distruggere la legione: primo, perché disprezzavano una legione
neppure completissima, essendo state tolte due coorti e essendo parecchi
singolarmente assenti, che erano stati inviati per cercare vettovagliamento;
poi anche perché per lo svantaggio della posizione, mentre essi correvan
giù dai monti nella valle e lanciavano armi, pensavano che (i Romani)
non potessero sostenere neppure il loro primo attacco.Si aggiungeva che si
dolevano dei loro li ad essi strappati a titolo di ostaggi ed erano convinti
che i Romani non solo a causa dei passaggi, ma anche di un perpetuo possesso
tentavano di occupare le cime delle Alpi ed annettersi quelle posizioni per la
provincia romana.
3.III.Improvviso pericolo e
decisione di difendere gli accampamenti.
Ricevute queste notizie, Galba, poiché non erano ancora ultimate pienamente le
fortificazioni degli accampamenti inveranli nè l'opera e non era stato
provvisto sufficientemente per il frumento e l'altro vettovagliamento, poiché
fatta la resa e ricevuti gli ostaggi aveva pensato che non ci fosse nulla da
temere per umna guerra, convocata velocemente l'assemblea cominciò a
chiedere pareri. In quella assemblea, essendo capitato così grave
pericolo improvviso fuori da (ogni) attesa ed ormai si vedevano quasi tutti i
luoghi superiori riempiti da una moltitudine di armati e non si poteva venire
in aiuto né portare vettovaglie, essendo bloccati i passaggi, essendo ormai
quasi disperata la salvezza si esprimevano alcuni pareri di tal genere, che
abbandonati i carriaggi, fatta una sortita per gli stessi passaggi, attraverso
cui erano giunti là, si rivolgessero allo scampo.Tuttavia alla maggior
parte piacque, riservato questo piano per situazione estrema, tentare intanto
l'evenienza della situazione e difendere gli accampamenti.
3.IV.Attacco dei nemici ed
eroismo dei nostri.
Passato breve intervallo tanto che a stento si dava il tempo per sistemare le
cose che eran state decise ed organizzarle, i nemici da tutte le parti, dato il
segnale, correvano giù, scagliavano contro la trincea pietre ed armi.I
nostri dapprima con forze fresche resistevano aspremente e dalla postazione
superiore non scagliano invano nessuna arma, come una qualsiasi parte deglia accampamenti
priva di difensori sembri sguarnita, corrono là e portano aiuto, ma
erano vinti da questo che i nemici stanchi dal prolungamento della battaglia
uscivano dallo scontro, altri con forze fresche li sostituivano;di quelle cose
nulla si poteva fare da parte dei nostri soldati per la scarsezza, e non solo
per uno stanco di ritirarsi dalla mischia, ma neppure ad un ferito era data la
possibilità di abbandonare quel luogo dove si era messo e di ritirarsi.
3.V. Decisione di una sortita.
Poiché ormai si combatteva da più di sei ore, e non solo le forze, ma
anche le armi venivano a mancare ai nostri ed i nemici incalzavano più
apramente e, mentre i nostri piuttosto indeboliti, avevano cominciato a
sbrecciare la palizzata e riempire i fossati ed essendo la situazione ormai
arrivata al momento estremo, P. Sestio Baculo, centurione di prima fila, che
abbiamo ricordato ferito da parecchi colpi nella guerra nervia e ugualmente C.
Voluseno, tribuno dei soldati, uomo di grande saggezza e coraggio, corrono da
Galba e mostrano che la speranza di scampo è una sola, se tentavano
l'estremo aiuto, fatta una sortita.Così chiamati i centurioni
informò velocemente i soldati, di allentare un poco lo scontro e di
evitare solo le armi lanciate e di riprendersi dalla fatica, poi dato il
segnale di uscire dagli accampamenti e di porre tutta la speranza di scampo nel
valore.
3.VI. Sortita riuscita.
Quello di cui sono ordinati, lo fanno e subito fatta una sortita da tutte le
porte non lasciano ai nemici la possibilità di capire cosa accada e di
raccogliersi.Così cambiata la sorte, sorprendono, circondatili, quelli
erano venuti nella speranza di impadronirsi degli accampamenti e da più
di trenta mila uomini, numero di barbari che risultava esse venuto contro gli
accampamenti, uccisa più della terza parte gettano gli altri
terrorizzati in fuga e non permettono neppure che si fermino sulle postazioni
superiori.Così sbaragliate quasi tutte le truppe dei nemici e spogliati
delle armi si ritirano dentro le loro fortificazioniFatta questa battaglia,
poiché Galba non voleva tentare la sorte più oltre e ricordava di esser
venuto negli accampamenti invernali con un altro progetto, vedeva che s'era
imbattuto in altre situazioni, e soprattutto turbato per mancanza di frumento e
vettovagliamento, il giorno dopo bruciati tutti gli edifici di quel cantone
decise di ritornare nella provincia e senza che alcun nemico lo impedisse o
rallentasse la marcia condusse la legione incolume fra i Nantuati e di
lì tra gli Allobrogi e qui svernò.
3.VII. Causa di una nuova guerra.
Con queste imprese pensando Cesare che la Gallia fosse pacificata per tutte le
ragioni, vinti i Belgi, cacciati i Germani, vinti i Seduni sulle Alpi e
così essendo partito all'inizio dell'inverno per l'Illirico, perché
anche quelle nazionivoleva incontrarle e conoscere le regioni, improvvisa sorse
in Gallia una guerra. Questa fu la causa di quella guerra:P. Crasso il giovane
aveva svernato con la settima legione vicino al mare tra gli Andi. Egli, poiché
in quei luoghi c'era scarsità di frumento, inviò parecchi
prefetti e tribuni dei soldati nelle nazioni confinanti per cercare frumento e
vettovagliamento;in quel gruppo fu mandato T. Terrasidio dagli Unello e gli
Essuvi, M. Trebio Gallo dai Coriosoliti, Q. Velanio con T. Sillio dai Veneti.
3.VIII.Piano dei veneti di una
alleanza gallica contro i Romani.
La supremazia di questa nazione su tutta la costa marittima di quelle regionidi
questa nazione è vastissima, da una parte perché i Veneti hanno
parecchie navi, con cui sono soliti navigare verso la Britannia e superano per
esperienza e pratica delle tecniche nautiche gli altri e nella grande
impetuosità del mare e nell'Ocean aperto, inseriti pochi porti, che essi
occupano, quasi tutti quelli che sono soliti servirsi di quel mare versano
tributi.Da parte di questi c'è l'iniziativa di arrestare Sillio e
Velanio ed altri che poterono catturare, perché grazie a loro pensavano di
poter riscattare i loro ostaggi che avevano dato a Crasso.Spinti dal prestigio
di questi, come le decisioni dei Galli sono improvvise e repentine, i
confinanti per lo stesso motivo arrestano Trebio e Terrasidio e mandati
celermente ambasciatori per mezzo dei loro capi giurano tra loro che non
avrebbero fatto nulla se non di comune decisione e che tutti avrebbero
sopportato lo stesso esito della sorte, spingono le altre nazioni a preferire
di restare in quella libertà che avevano ricevuto dai loro antenati
piuttosto che tollerare la schiavitù dei Romani. Coinvolta volecemente
ogni zona marittima al loro parere, mandano una comune ambasceria a P. Crasso
(dicendo che) se volesse riprendere i suoi, liberasse loro gli ostaggi.
3.IX.Arrivo di Cesare e
preparazione della guerra marittima dei Veneti.
Informato di queste faccende da Crasso, Cesare, poiché egli era troppo lontano,
ordina che intanto si costruissero navi da carico sul fiume Loira che sbocca
nell'Oceano, che si comandassero rematori dalla provincia, che si preparassero
marinai e comandanti. Disposti velocemente questi piani egli, appena
potè a causa del periodo dell'anno, si diresse all'esercito.I Veneti e
similmente le altre nazioni, saputo l'arrivo di Cesare ed informati che la
speranza di recuperare gli ostaggi era fallita, insieme perché capivano quale
grave delitto avevano commesso - ambasciatori, nome che presso tutte le nazioni
era stato sacro rd inviolato, arrestati da loro e gettati in catene -, per la
gravità del pericolo decidono di preparare la guerra e provvedere
soprattutto quelle cose che servissero per luso delle navi, questo con una
maggiore speranza, perché confidavano della natura del luogo. Sapevano che le
marce a piedi erano bloccate da lagune, la navigazione impacciata per
l'ignoranza dei luoghi e la scarsità dei porti; confidavano che neppure
i nostri eserciti potessero fermarsi troppo a lungo presso di loro per la
mancanza di frumento;e anche se poi tutto accadesse contrariamente al loro
pensiero, tuttavia loro potevano moltissimo con le navi, i Romani invece non
avevano alcuna possibilità di navi neppure conoscevano secche, porti,
isole di quei luoghi, dove stavano per far guerra; e prevedevano che era di
gran lunga divers la navigazione in mare chiuso e nell'Oceano
apertissimo.Intrapresi questi piani fortificano le città, portano
cereali dalle camne alle città, radunano il maggior numero possibile
di navi nella Venezia, dove risultava che Cesare avrebbe dapprima dichiarato
guerra.Si uniscono come alleati per tale guerra Osismi, Lessovi, Namneti,
Ambiliati, Morini, Diablinti, Menapi; fanno venire aiuti dalla Britannia, che
è situata dirimpetto a quelle regioni.
3.X.Difficoltà della
situazione e decisione di Cesare di fare la guerra.
Queste erano le difficoltà di dichiarare guerra, che prima abbiamo
mostrato, ma tuttavia molte cose spronavano Cesare per tale guerra:l'oltraggio
dei cavalieri romani arrestati, la ribellione avvenuta dopo la resa, la
defezione dopo aver consegnato gli ostaggi, l'alleanza di tante nazioni,
soprattutto perché, trascurata questa parte le altre popolazioni non pensassero
che fosse loro lecita la stessa cosa: Così capendo che quasi tutti i
Galli cercavano situazioni nuove e si muovevano velocemente e prontamente,
inoltre che tutti gli uomini per natura sono spinti dalla brana di
libertà ed odiano la condizione di schiavitù, prima che parecchie
nazioni si unissero, pensò che egli doveva dividere e dividere
più ampiamente l'esercito.
3.XI.Grande preparativo conto
l'alleanza dei Gali..
Così invia T. Labieno come ambasciatore tra i treviri, che sono vicini
al fiume Reno, con l'esercito. Gli ordina che incontri i Remi e gli altri Belgi
e li mantenga nel patto e impedisca ai Germani, che si diceva esser stati
chiamati in aiuto dai Galli, se provassero con la violenza a passare il fiume
con navi. Comanda che P. Crasso con dodici coorti legionarie ed un gran numeri
di cavalleria parta per l'Aquitania, perché da quelle popolazioni nin siano
inviati aiuti in Gallia e così grandi popolazioni si uniscano. Manda il
legato Q. Tuturio Sabino con tre legioni contro gli Unelli, i Coriosoliti ed i
Lessovi, perché si impegni a trattenere quel manipolo.Mette a capo della flotta
e delle navi, che aveva ordinato di raccogliessero dai Pittoni, dai Santoni e
dalle altre regioni pacificate, D. Bruto il giovane e comanda, appena potesse,
di partire contro i Veneti. Egli con le truppe di fanteria si dirige là.
3.XII.Posizione delle
città nemiche e difficoltà delle nostre navi.
La posizione delle città era quasi di tal genere, che poste sulla punta
di lingue (di terra) e promontori non avevano accesso per le truppe di
fanteria, se la marea si fosse alzata in alto, cosa che capita due volte nello
spazio di dodici ore, ma neppure per le navi, perché diminuendo di nuovo la
merea le navi si sarebbero rovinate nelle secche.Così per entrambi i
motivi era impedito l'assedio. E se mai vinti per caso dalla grandiosità
della fortificazione, bloccato il mare con un terrapieno e dighe e rese queste
uguali alle mura della città avessero cominciato a disperare dei loro
beni, fatto approdare gran numero di navi, e di tale materiale avevano una
altissima disponibilità, portavan via tutte le loro cose e si ritiravano
in città vicine; li con le stesse opportunità della posizione si
difendevano di nuovo. Queste cose le facevano tanto più facilmente per
gran parte dell'estate, perché le nostre navi erano trattenute dalle tempeste e
grandissima era la difficoltà di navigare per un mare vasto e aperto,
per le grandi meree, per i porti rari o quasi nulli.
3.XIII. Le navi dei Veneti.
Infatti le loro navi eran state fatte ed armate in questo modo: le carena
alquanto più piatte delle nostre navi, per potere più facilmente
superare le secche ed il deflusso della marea; le pue molto alte ed ugualmente
le poppe, appropriate per la grandezza dei flutti e delle tempeste;le navi
intere fatte di rovere per sopportare qualunque forza e violenza; le travi di tavole
dello spessore di un piede fermate con chiodi di ferro della grandezza di un
pollice;le ancore legate con catene di ferro al posto delle funi;al posto delle
vele pelli e cuoio conciato sottilmente, sia per la mancanza di lino e della
non conoscenza dell'utilità, sia - cosa che è più
verosimile - perché pensavano che così grandi tempeste dell'Oceano e
così violente raffiche dei venti potessero essere sostenute ed i
così eccessivi pesi delle navi non si potessero guidare abbastanza
vantaggiosamente con le vele.La nostra flotta aveva un confronto con queste
navi di tal genere, che era superiore per la sola velocità e la spinta
dei remi, in rapporto alla restante natura del luogo, in rapporto alla violenza
delle tempeste quelle avevano cose più adatte e vantaggiose.Neppure le
nostre potevano nuocere col rostro - così grande in esse era la
robustezza - nemmeno per l'altezza si scagliava facilmente un giavellotto, e
per lo stesso motivo meno agevolmente erano trattenute dagli
arpioni.S'aggiungeva che, quando si fossero date al vento, sopportavano
più facilmente la tempesta e nelle secche resistevano più
sicuramente e lasciate dalla marea per nulla temevano scogli e massi; le nostre
navi dovevano temere le eventualità di tutte quelle situazioni.
3.XIV. Le falci dei Romani ed il
valore dei soldati.
Espugnate parecchie città, Cesare, quando comprese che una così
grande fatica si poteva intraprendere invano nè , prese le città,
si poteva bloccare la fuga dei nemici e nuocere loro, stabilì di
attendere la flotta.Quando essa giunse e per la prima volta fu vista dai
nemici, circa 220 loro navi preparatissime e fornitissime di ogni genere di
armi uscite dal porto si fermarono di fronte alle nostre.Ma non era abbastanza
chiaro a Bruto, che era a capodella flotta, o ai tribuni dei soldati ed ai
centurioni, a cui le singole navi erano state affidate, cosa fare e quale
tattica di scontro seguire.Si erano infatti accorti che non si poteva nuocere
col rostro;ma costruite delle torri, tuttavia l'altezza delle poppe da parte delle
navi barbare superava queste, tanto che né da una posizione più bassa si
potevano scagliare abbastanza agevolmente le armi e (quelle armi) inviate dai
Galli cadevano più pericolosamente.Una sola cosa preparata dai nostri
era di grande utilità, falci affilate inserite e conficcate su pertiche,
di forma non dissimile delle falci murali.Con queste quando le funi, che
tendevano le antenne agli alberi, erano prese e tirate, essendo la nave
accelerata dai remi, si rompevano. Tagliate quelle (funi) le antenne
necessariamente cadevano, cosi che mentre tutta la fiducia per le navi galliche
consisteva nelle vele e nelle attrezzature, tolte queste, allo stesso stempo
veniva tolta ogni uso.Lo scontro rimanente era posto nel valore, in cui i
nostri soldati facilmente erano superiori, e tanto più in quanto il
fatto si svolgeva al cospetto di Cesare e di tutto l'esercito, così che
nessun fatto un poco più valoroso poteva celarsi. Infatti tutti i colli
e le posizioni più alte, da cui era vicina la vista sul mare, erano occupati
dall'esercito.
3.XV.Abbattimento delle antenne e
fuga dei nemici.
Abbattute le antenne, come dicemmo, mentre due o tre navi ne circondavano una,
i soldati con somma violenza cercavano di passare sulle navi dei nemici. Dopo
che i barbari si accorsero che accadeva questo, dopo che parecchienavi erano
state espugnate, pochè a quel fatto non si trovava nessun rimedio,
cercavano di guadagnare lo scampo con la fuga.E mentre ormai le navi erano
rivolte in quella parte dove soffiava il vento, improvvisamente sorse una
così grande bonaccia e tranquillità del mare, che no potevano
muoversi dalla posizione.Davvero quel fatto fu di grandissima
opportunità per concludere l'affare.I nostri inseguendole le espugnarono
una per una, tanto che pochissime da tutto il numero con l'intervento della
notte giunsero a terra, essendosi combattuto quasi dall'ora quarta al tramonto
del sole.
3.XVI.Resa dei Veneti e castigo
di Cesare.
Con tale battaglia si concluse la guerra dei veneti e di tutta la costa
marittima. Infatti da una parte tutta la gioventù, tutti anche di
età più avanzata, in cui ci fu un qualcosa di senno ed
autorità, si erano radunati là, dall'altra avevano riunito in un
solo luogo quel che dovunque c'era stato di navigli.Ma perdute queste, gli
altri non avevano dove rifugiarsi né in che modo difendere le
città.Così consegnarono a Cesare se stessi e tutte le loro
cose.Verso di loro però Cesare decise di procedere tanto più
rigorosamente in quanto più attentamente fosse conservato dai barbari
nel tempo restante il diritto degli ambasciatori.Così, ucciso tutto il
senato, vendette gli altri all'incanto.
3.XVII. Esitazione di Q. Sabino
davanti a Virodovice, capo dei predoni.
Mentre si compivano queste cose contri i Veneti, Q. Titurio Sabino con quelle
truppe, che aveva ricevuto da Cesare, giunse nei territori degli Unelli.Era
loro capo Virodovice e teneva il controllo del potere di rutte quelle nazioni,
che s'erano ribellate, tra le quali aveva radunato un esercito e grandi
truppe;ma dopo pochi giorni, Aulirci, Eburovici e Lessovi, ucciso il loro
senato, perché non volevano essere iniziatori della guerra, chiusero le porte e
si unirono con Virodovice.Inoltre da ogni darte dalla Galli si era raccolta una
gran massa di personaggi perduti e predoni, che una speranza di far bottino ed
una voglia di combattere distoglieva dall'afgricoltura e dalla fatica
quotidiana.Sabino si manteneva negli accampamenti in posizione favorevole per
tutte le situazioni, mentre Virodovice si era insediato contro di lui alla
distanza di due miglia e quotidianamente fatte avanzare le truppe offriva la
possibilità di combattere, tanto che Sabino non solo per i nemici
arrivava al disprezzo, ma qualcosa si poteva cogliere anche dalle frasi dei
nostri soldati; ed offri una così grande convinzione di paura, che ormai
i nemici osavano avvicinarsi alla palizzata deglia accampamenti. Faceva
ciò per tale motivo, perché con una massa così grande di nemici,
soprattutto essendo assente colui che deteneva il supremo comando, il legato
non riteneva di scontrarsi se non in posizione favorevole o per una qualche
opportunità offertasi.
3.XVIII. Astuto piano di Sabino e
stolto attacco dei nemici.
Rafforzatasi questa convinzione di paura, scelse un personaggio adatto ed
astuto, Gallo, tra quelli che aveva con sé tra le truppe ausiliarie.Persuade
costui con premi e promesse di passere dai nemici e rivelare quello che vuol
fare.Egli quindi come giunse da loro come disertore, dichiara la paura dei
Romani, rivela con quali difficoltà lo stesso Cesare sia premuto dai
Veneti e che non mancava troppo che la notte seguente Sabino di nascosto muova
l'esercito dagli accampamenti e parta per portare aiuto a Cesare.Quando questo
fu sentito, tutti gridano che non bisognava perdere l'occasione di far bene un
affare, (che) bisognava si andarre agli accampamenti.Molte situazioni
spronavano i Galli a questa decisione:l'esitazione di Sabino dei giorni
precedenti, la conferma del disertore, la scarsità di cibi, alcui
problema da parte loro si era poco provveduto, la speranza della guerra veneta
e il fatto che gli uomini credono generalmente volentieri ciò che
vogliono.Spindi da queste cose non congedano dall'assemblea Virodovice e gli
altri capi prima che si conceda da parte loro di prendere le armi e dirigersi
agli accampamenti.Concessa tale richiesta, lieti, come per una vittoria
assaporata, raccolte fascine ed arbusti, con cui riempire i fossati dei Romani,
si affrettano agli accampamenti.
3.XIX.Triplice vittoria di
Cesare, carattere volubile dei Galli.
La postazione degli accampamenti era rialzata e dal basso un poco in pendio
circa mille passi.Qui di gran corsa si diressero perché ai Romani fosse data il
minimo possibile di tempo per raccogliersi ed armarsi, e giunsero senza
fiato.Sabino esortati i suoi dà il segnale a gente che lo desidera.
Essendo i nemici impacciati per i pesi che portavano, subito ordina una sortita
dalle due porte.Accadde che per il vantaggio della postazione, l'inesperienza e
la fatica dei nemici, il coraggio dei soldati e l'esercizio delle precedenti
battaglie, non sostennero neppure il primo assalto dei nostri e subito
voltarono le spalle.I nostri soldati con energie fresche inseguitili, ne
uccisero un gran numero; i cavagliegli raggiunti gli altri, ne lasciarono pochi
che si erano salvati con la fuga.Così nello stesso tempo da una parte
Sabino fu informato della battaglia navale e Cesare della vittoria di Sabino, e
tutte le nazioni subito si arresero a Titurio.Davvero come l'animo dei Galli e
svelto e pronto a dichiarare guerre, così il loro carattere è
fiacco e per nulla resistente a sopportare le avversità.
3.XX.Attacco dei Soziati contro P. Crasso.
Quasi nello stesso tempo P. Crasso, essendo giunto in Aquitania, e questa
parte, come è stato detto precedentemente, è da considerare per
estensione delle regioni e per quantità di uomini una terza parte della
Gallia, accorgendosi che doveva far guerra in quei luoghi, dove pochi anni
prima il legato L.
3.XXI.Lunga battaglia: fuga e resa dei nemici.
Si combattè a lungo ed accanitamente, perché i Soziati confidando per le
precedenti vittorie pensavano che la salvezza di tutta l'Aquitania fosse
riposta nel proprio valore, i nostri invece desideravano che si notasse cosa si
potesse ottenere senza il generale, senza le altre legioni e con un comandante
giovincello.Finalmente i nemici battiti dai colpi voltarono le spalle.Ma
uccisine un gran numero, Crasso in marcia cominciò ad assediare la
città dei soziati.Mentre essi resistevano valorosamente fece avanzare
gallerie e torri. Essi, tentata una sortita da una parte, e da un'altra scavati
cunicoli presso il terrapieno e le gallerie - di questa tecnica gli Aquilani
sono espertissimi, per il fatto che presso di loro ci sono miniere e cave -,
quando capirono che per l'attenzione dei nostri nulla si poteva ricavare da
questi tentativi, mandano ambasciatori da Cesare e chiedono che li riceva nella
resa.Ottenuta questa richiesta, obbligati a consegnare le armi, lo fanno.
3.XXII.Improvvisa sortita di
Adiatuano e dei suoi alleati e resa.
Ma mentre gli animi dei nostri erano intenti in quella situazione, da un'altra
parte della città Adiatuano, che aveva il supremo comando, con 400
fedeli, che i Galli chiamano solfuri - la loro condizione è questa che
in vita godono di tutti i vantaggi insieme con coloro alla cui amicizia abbiano
affidati se stessi, se a questi accada qualcosa per violenza, o insieme
tollerano lo stesso evento o si danno la morte;e fino ad ora, a memori d'uomo,
non è stato trovato nessuno che, se ucciso colui, alla cui amicizia
aveva votato se stesso, abbia rifiutato la morte - con costoro Adiatuano
tentando di fare una sortita, alzatosi il grido da quella parte della
fortificazione, essendo i soldati accorsi alla armi ed essendosi combattuto
violentemente, ricacciato in città, tuttavia ottenne da Crasso di godere
della stessa condizione di pace.
3.XXIII.Guerra di Crasso contro
Vocati e Tarusati.
Ricevute armi ed ostaggi, Crasso partì per i territori dei Vocali e dei
Tarusati. Allora davvero i barbari spaventati, perché avevano saputo che una
città fortificata dalla natura del luogo e dalla mano (umana) nei pochi
giorni, in cui si era giunti là, era stata espugnata, cominciarono a
mandare da ogni aprte ambasciatori, ad allearsi, a scambiarsi ostaggi, a
preparare truppe.Si mandano pure ambasciatori in quelle nazioni della Sna
citeriore che sono vicine all'Aquitania;di li si richiedono truppe ausiliarie e
comandanti. Al loro arrivo tentano con grande fierezza e con gran massa di
uomini di fare la guerra.Ma sono scelti come comandanti, quelli che erano stati
tutti gli anni insieme con Q. Sartorio e si riteneva avessero altissima
conoscenza di tattica militare.Questi secondo la tradizione del popolo romano
decidono di occupare posizioni, fortificare gli accampamenti, bloccare i nostri
dai vettovagliamenti. Quando Crasso si accorse di questo, che le sue truppe per
la pochezza non si schieravano facilmente, che il nemico si muoveva, bloccava
le vie e lasciava agli accampamenti sufficiente guardia, e per quel motivo meno
tranquillamente gli veniva fornito frumento e vettovagliamento, che il numero
dei nemici cresceva, pensò di non esitare a scontrarsi in battaglia.
Portata la cosa nell'assemblea, dove capì che tutti eran d'accordo sulla
stessa cosa, fissò per la battaglia il giorno successivo.
3.XXIV.Assalto di Crasso contro i
nemici che astutamente temporeggiano.
Alla prima luce, fatte uscire tutte le truppe, schierata una duplice fila,
messe le truppr ausiliarie nella fila centrale, aspettava quale decisione
prendessero i nemici.Essi anche se ritenevano che per la quantità e
l'antica gloria di guerra e la pochezza dei nostri avrebbero combattuto con
sicurezza, tuttavia pensavano esser più sicuro, occupate le vie,
bloccato il vettovagliamento, di guadagnare la vittoria senza alcuna perdita e
se i Romani per la mancanza di mezzi alimentari avessero cominciato a
ritirarsi, giudicavano di assalirli con animo tranquillo impacciati in sciera e
inferiore sotto gli zaini.Approvata questa tattica, mentre le truppe dei Romani
erano guidate avanti dai comandanti, se tenevano neglia accapamenti.Scoperto
tale piano, poiché con la loro esitazione ed all'apparenza troppo timidi
avrebbero reso i nostri soldati più pronti a combattere e si sentivano
le frasi di tutti che non bisognava aspettava troppo ad andare contro gli
accampamenti, spronati i suoi, mentre tutti lo desideravano, si diresse agli
accampamenti.
3.XXV. Difficile scontro e facile
accesso dalla porta decumana.
Qui mentre alcuni riempivano fossti, sltri scagliati molti giavellotti
ricacciavano i difensori dalla trincea e dalle fortificazioni, e gli ausiliari,
di cui Crasso non si fidava molto per lo scontro, nel procurare pietre ed armi
e nel portare zolle per il terrapieno presentavano l'asspetto e l'idea di
combattenti, e mentre ugualmente si combatteva continuamente e non timidamente
da parte dei nemici e le armi scagliate da postazione superiore non cadevano
invano, i cavalieri, affirati gli accampamenti dei nemici riferirono a Crasso
che gli accampamenti non erano stati fortificati con la stessa cura dalla porta
decumana ed avevano un facile accesso.
3.XXVI.I nemici circondati ed
uccisi in fuga.
Crasso spronati i prefetti perché con grandi premi e promesse incitassero i
loro, espose cosa voleva si facesse.Essi, come era stato ordinato, fatte uscire
le coorti che erano rimaste a guardia degli accampamenti, non logorate dalla
fatica, guidate con una marcia più lunga perché non si potessero vedere
dagli accampamenti dei nemici, con gli occhi e le menti di tutti attente alla
battaglia, giunsero velocemente a quelle fortificazioni, che nominammo ed
abbattutele si insediarono neli accampamenti dei nemici prima che chiaramente
si potessero vedere da questi e si potesse far qualcosa.Allora proprio, sentito
un urlo da quella parte, i nostri, riprese le forze, cosa che per lo più
è solito accadere nella fiducia della vittoria, cominciarono a lottare
più accanitamente.I nemici, circondati da ogni parte, disperate tutte le
possibilità, cercarono di buttarsi attraverso le fortificazioni e
trovare la salvezza con
3.XXVII. Resa di tutta
l'Aquitania a Crasso.
Sentita questa battaglia, la massima parte dell'Aquitania si arrese a Crasso e
spontaneamente mandò ostaggi. In questo numero ci furono Tarbelli,
Bigerrioni, Piani, Vocati, Tarusati, Elusati, Gati, Ausci, Garunni, Sibulati,
Cocosati; poche nazioni lontanissime confidando nella stagione dell'anno,
poiché si avvicinava l'inverno, trascurarono di fare ciò.
3.XXVIII. Tentativo di Cesare
contro i Morini nascosti nelle selve.
Quasi nello stesso tempo Cesare, anche se ormai l'estate era quasi trascorsa,
poiché, mentre tutta la Gallia era pacificata, restavano i Morini ed i Menapi
che erano in armi e non avevano mai mandato ambasciatori per la pace, ritenendo
che quella guerra si potesse concludere velocemente, vi condusse l'esercito.Ma
essi decisero di muovere guerra con una tattica di gran lunga diversa dagli
altri Galli.Infatti poiché capivano che le più grandi nazioni, ch'
s'erano misurate con uno scontro, eran state sbaragliate e vinte ed avevano
selve e paludi vicine, recarono là se stessi e tutte le loro
cose.Essendo cesare giunto all'inizio di quelle selve ed avendo ordinato di
fortificare gli accampamenti ed intanto il nemico non era stato visto, all'improvviso,
mentre i nostri erano sparsi, volarono fuori da tette le parti della selva e
fecero un assalto contro i nostri. I nostri velocemente presero le armi e li
respinsero nelle selve e, dopo averne uccisi molti, inseguendoli in luoghi
troppo intricati persero pochi dei loro.
3.XXIX.Piano di
Cesare di tagliare la selva e le continue piogge.
In seguito negli altri giorni Cesare decise di tagliare le selve e perché con
si potessero verificare attacchi da lato ai soldati inermi e che non se
l'aspettavano, e tutto quel materiale, che era stato tagliato, lo metteva di
fronte contro il nemico, lo ammassava come trincea ad entrambi i lati.Con
incredibile velocità, realizzato un grande spazio in pochi giorni,
mentre ormai il bestiame e gli ultimi carriaggi erano conquistati, ed essi
cercavano selve più dense, giunsero tempeste di tal genere, che
necessariamente il lavoro veniva interrotto e per il prolungamento (continuo)
delle piogge i soldati non si potevano tenere più a lungo sotto le
pelli. Cosi devastati tutti i loro campi, bruciati villaggi ed edifici, Cesare
ritirò l'esercito e lo pose negli accampamenti invernali. Tra gli
Aulirci, i Lessovi, e ugualmente tra le altre nazioni che recentemente avevano
fatto la guerra.
QUARTO LIBRO
(Quarto anno della guerra gallica:
4.I.Il popolo dei
Suebi, il più bellicoso di tutti i Germani.
In quell'inverno che seguì, e quello fu l'anno del consolato di Gn.
Pompeo e M. Crasso, i Germani Usipeti, similmente i Tenteri con una grande
massa di uomini passarono il fiume Reno non lontano dal mare, dove sfocia il
Reno.La causa del transitare fu che tormentati per parecchi anni dai Suebi
erano incalzati dalla guerra ed erano impediti nell'agricoltura.Il popolo dei
Suebi è di gran lunga il più numeroso e più bellicoso di
tutti i Germani.Si dice che questi hanno cento cantoni, da cui ogni anno dai
loro territori traggono mille armati per ciascuno con lo scopo di
combattere.Gli altri che son rimasti a casa, mantengono se stessi e gli altri.
Questi a loro volta dopo un anno sono sotto le armi, quelli rimangono a casa.
Così non viene in terrotta né il sistema dell'agricoltura né la pratica
della guerra.Ma di terreno privato e separato presso di loro non c'è
nulla, e non è permesso rimanere più a lungo di un anno nello
stesso luogo a coltivare. Ma non vivono di frumento, ma per la massima parte di
latte e bestiame e stanno molto a caccia.Questa abitudine per il genere di cibo
e per l'esercitazione quotidiana e la libertà di vita, perché non
assuefatti da bambini a nessun dovere o disciplina non fanno nulla contro la
volontà, alimenta le forze e provoca uomini di enorme statura del corpo.
E si sono abituati in questa consuetudine che in località freddissime
non hanno nulla di vestiario eccetto pelli, ma a causa della scarsità di
esse gran parte del corpo è scoperta, e si lavano nei fiumi.
4.II. Costumi dei
Suebi ed esercizio delle armi..
I mercanti hanno accesso più per avere a chi vendere quello che han
catturato con la guerra che per desiderare che si importi qualche cosa.Anzi di
giumenti importati, di cui i Galli particolarmente e che procuraro, sborsata la
somma, i Germani non li usano, ma quelli che siano nati presso di loro, piccoli
e brutti, questi fanno sì che con l'esercizio quotidiano siano di
resistentissima fatica. Nelle battaglie a cavallo spesso saltan giù da
cavallo e combattono a piedi ed abituano i cavalli a rimanere nella stessa
posizione, ad essi poi si ritirano velocemente quando ci sia bisogno. E secondo
i loro costumi nulla è ritenuto più bruttoe più imbelle
che usare le selle.Così osano affrontare qualsiasi numero di cavalieri
sellati, anche se in pochi.Non tollerano assolutamente che si importi a loro il
vino, perché pensano che con tale mezzo gli uomini si rammolliscani e diventino
effeminati per sopportare la fatica.
4.III.Gli Ubi
sottomessi dai Suebi.
Per lo stato ritengono sia grande prestigio che i campi siano liberi per gran
tratto rispetto ai loro confini. Con questa cosa si dimostra che un gran numero
di nazioni non hanno potuto sostenere la loro potenza. Così si dice che
dalla parte dei Suebi i campi sono liberi per circa seicento mila passi.Presso
l'altra parte si trovano gli Ubi, la cui nazione fu ricca e fiorente, come
è la capacità dei Germani.Gli altri sono anche un po' più
civili (di quelli) deella stessa razza, per il fatto che raggiungono il Reno e
presso di loro vanno spesso i mercanti e perché essi per la vicinanza sono
abituati ai costumi dei Galli.Costoro, poiché i Suebi avendo tentato spesso con
molte guerre ad espellerli dai territori a causa della grandezza ed importanza,
tuttavia se li fecero tributari e li resero molto più sottomessi e
più deboli.
4.IV.Strage di
Menapi fatta dai Germani e passaggio al di qua del Reno.
Nella stessa situazione furono Usipeti e Tenteri, che prima nominammo, che per
parecchi anni sostennero la potenza dei Suebi, alla fine tuttavia espulsi dai
terreni e dopo aver vagato per un triennio in molti luoghi della Germania
giunsero al Reno, regioni che i Menapi abitavano. Questi avevano campi, edifici
e villaggi su l'una e l'altra riva.Ma terrorizzati dall'arrivo di così
grande massa emigrarono da quegli abitati che avevano avuto oltre il Reno e
disposte guarnigioni al di qua del Reno impedivano ai germani di passare.Essi
dopo aver tentato ogni cosa e non potendo passare di nascosto per la mancanza
di navi e per i controlli dei Menapi, finsero di ritornare nelle loro sedi e
regioni e avanzatisi per tre giorni di strada di nuovo ritornarono e, fatta
tutta questa marcia in una sola notte con la cavalleria, schiacciarono i Menapi
sorpresi e che non se l'aspettavano, e questi informati dagli esploratori della
partenza dei Germani, senza paura ritornarono al di là del reno nei loro
cantoni.Uccisi costoro ed occupate le loro navi, prima che quella parte dei
Menapi, che era al di qua del Reno, fosse informata, passarono il fiume ed
occupate tutte le loro abitazioni, si nutrirono per la restante parte
dell'inverno con le loro provviste.
4.V.Volubilità
dei Galli nel prendere decisioni.
Cesare informato di queste cose e temendo la leggerezza dei Galli, perché sono
volubili nel prendere decisioni e per lo più aspirano a fatti nuovi,
pensò di non fidarsi per nulla.Questo poi è (tipico) della
abitudine gallica, che costringono i viaggiatori, anche se contrari, a fermarsi
e indagano su ciò che ciascuno di loro abbia sentito o saputo su
qualunque cosa ed il popolo circonda in città i mercanti e li costringe
a rivelare da quali regioni vengano e quali cose lì abbiano
saputo.Colpiti da questi fatti e racconti spesso intraprendono decisioni di
estrema importanza, di cui è necessario che presto di pentano, essendo
schiavi di chiacchiere incerte e parecchi (stranieri) rispondano favole alla
loro voglia.
4.VI.Decisione di
Cesare di far guerra ai Germani.
Saputa tele abitudine, Cesare, per non affrontare una guerra troppo rischiosa,
parte più affrettatamente di quanto era solito verso l'esercito.Essendo
arrivato là, seppe accadute quelle cose che aveva sospettato sarebbero
avvenute:(che) eran state mandate ambascerie da parte di alcune nazioni ai
Germani e che essi eran stati invitati a partire dal Reno: che da parte loro
avrebbero preparato tutte le cose che avessero chiesto.Spinti da tale speranza
i Germani ormai vagavano abbastanza ampiamente ed erano giunti nei territori
degli Eburoni e dei condrusi, che sono clienti dei Treviri. Chiamati i capi
della Gallia, Cesare pensò di dissimulare le cose che aveva saputo e
lusingati i loro animi e rassicuratili, ordinata la cavalleria decise di far
guerra contro i Germani.
4.VII. Ambasceria dei Germani a Cesare.
Preparato il vettovagliamento, scelti i cavalieri, cominciò a marciare
in quei luoghi, in cui sentiva esserci i Germani.Essendo distante da loro una
marcia di pochi giorni, vennero ambasciatori da parte di questi.Il loro
discorso fu questo:i Germani non dichiaravano per primi guerra al popolo romano
e tuttavia non rifiutavano, se fossero provocati, di scontrarsi con le armi,
perché questa era tradizione dei Germani, tramandata dagli antenati, chiunque
dichiari guerra, opporsi e non pregare.Tuttavia affermavano questo: eran venuti
contro voglia, cacciati dalla patria; se i Romani volevano il loro favore,
potevano essere per loro amici utili; o concedessero loro terreni o
tollerassero quelli che possedevano con le armi; loro cedevano agli unici
Suebi, a cui nemmeno gli dei immortali potrebbero essere pari; del resto sulla
terra non c'era nessuno che non potessero vincere.
4.VIII. Risposta di
Cesare di ripassare il Reno.
A queste espressioni Cesare rispose, quello che gli parve opportuno; ma la fine
del discorso fu: per lui non ci poteva essere nessuna amicizia con loro, se
rimanevano in Gallia;nonera giustocce quelli che non avevano potuto difendere i
loro territori, occupassero gli altrui, che in Gallia nessun terreno era
libero, da poter dare soprattutto ad una moltitudine così grande senza
danno; ma era possibile, se volessero, fermarsi nei territori degli Ubi, cerano
presso di lui ambasciatori e si lamentavano degli oltraggi dei Suebi e gli
chiedevano aiuto;egli avrebbe ottenuto questo da parte degli Ubi.
4.IX. De Caesaris
recusatione morae Germanis concedendae.
Gli ambasciatori dissero che avrebbero riferito ai loro e deliberato il caso,
dopo il terzo giorno sarebbero ritornati.Intanto chiesero che egli non muovesse
più vicino gli accampamenti. Neppure quello Cesare disse che gli si
poteva chiedere. Aveva saputo infatti che era stata mandata da parte loro gran
parte della cavalleria alcuni giorni prima per far bottino e vettovagliamento
presso gli Ambavariti oltre la Mosa; riteneva si aspettassero questi cavalieri
e che si facesse una tregua per tale motivo.
4.X. Informazioni
sui fiumi Mosa e Reno, su posizione e abitanti..
La Mosa nasce dalla catena dei Vosgi, che è nel territorio dei Linoni, e
ricevuta in una certa parte dal Reno, che si chiama Vacalo, forma l'isola dei
Batavi e sfocia nel Reno non più lontano dall'Oceano di 80 mila passi.Il
Reno nasce dai Lepontini, che abitano le Alpi e per lungo tratto passa rapido
attraverso i territori di Nantuati, El, Sequani, Mediomatrici, triboli,
Treviri e quando si è avvicinato all' Oceano si divide in parecchie
parti, dopo aver fatte molte e grosse isole, la cui maggior parte è
abitata da popolazioni feroci e barbare, tra cui ci sono quelli che si dice
vivono di pesi e di uova di uccelli, e con molte foci sbocca nell'Oceano
4.XI.Seconda
richiesta dei Germani di concedere una tregua.
Stando Cesare lontano dal nemico non più di 12 mila passi, come era
stato stabilito, gli ambasciatori tornano da lui.Ed entri incontratisi in
marcia pregavano molto che non procedesse più avanti.Non avendolo
ottenuto, chiedevano che desse ordini a quei cavalieri che avevano preceduto la
schiera e li distogliesse dallo scontro e di dar ad essi la possibilità
di mandare ambasciatori dagli Ubi. Se i loro capi ed il senato avessero dato al
parola con giuramento, dichiaravano che essi si sarebbero serviti di quella
condizione che era data da Cesare: concedesse loro per portare a termine quelle
cose un tempo di tre giorni.Cesare riteneva che tutte queste scuse mirassero
allo stesso punto, che interposta una tregua di tre giorni, i loro cavalieri,
che erano lontani, ritornassero, tuttavia disse che in quel giorno non sarebbe
avanzato più di quattro mila passi a causa del bisogno di acqua; il
giorno dopo tornassero là nel maggior numero possibile per giudicare
delle loro richieste.Intanto ordina ai prefetti, che erano andati avanti con
tutta la cavalleria di comandare di non provocare i nemici a battaglia, e se
loro fossero provocati, resistessero fino a che lui fosse arrivato più
vicino con l'esercito.
4.XII. Vile
attacco dei Germani e morte dei due fratelli Aquitani.
Ma i nemici appena videro i nostri cavalieri, il cui numero era di cinque mila,
mentre essi non avevano più di ottocento cavalieri, poiché quelli che
erano andati oltre la Mosa per far provviste, non erano ancora tornati, mentre
i nostri non temevano nulla, poiché i loro ambasciatori poco prima erano
partiti da Cesare e quel giorno era stato da essi richiesto per la tregua,
lanciato un attacco velocemente scompigliarono i nostri.Ma, resistendo i
nostri, secondo la loro abitudine saltaron giù a piedi e colpiti da
sotto i cavalli, e scavalcati parecchi nostri, misero in fuga gli altri e li
resero così terrorizzati che no cessarono dalla fuga prima di esser
giunti in vista della nostra schiera. In quello scontro vengono ammazzati
settanta quattro dei nostri cavalieri, tra questi un uomo fortissimo Pisone
Aquilano nato da nobile famiglia, il cui avo aveva tenuto il potere nella sua
nazione, dichiarato amico dal nostro senato.Costui mentre portava aiuto al
fratello chiuso tra i nemici, lo strappò dal pericolo, lui sbalzato dal
cavallo ferito, fin che potè resistette molto audacemente; attorniato,
essendo caduto dopo aver ricevuto molte ferite ed essendosi accorto di questo
da lontano il fratello, che ormai era uscito dalla mischia, spronato il cavallo
si buttò tra i nemici e allo stesso modo fu ucciso.
4.XIII.Occasione
molto favorevole offerta dai vili Germani.
Fatta questa battaglia, Cesare pensava che ormai non doveva ascoltare gli
ambasciatori né accogliere condizioni da parte loro, che avevano mosso la
guerra con l'inganno e le insidie, dopo aver chiesto la pace; aspettare poi fin
che le truppe dei nemici fossero aumentate e ritornasse la cavalleria, lo
considerava di grande stoltezza e saputa la leggerezza dei Galli si accorgeva
quanto di prestigio ormai presso di loro avessero ottenuto.Riteneva che non
bisognava dare ad essi nessuno spazio (di tempo) per prendere
decisioni.Stabilite queste cose e comunicato il piano con i legati ed il questore,
di non rimandare nessun giorno per la battaglia, molto opportunamente accadde
il fatto che il giorno seguente a quello di mattina, servendosi della stessa
slealtà e falsità, usati tutti i capi ed anziani, numerosi
vennero da lui, allo stesso tempo, come si diceva, per scusarsi, perché essi
contrariamente a quello che era stato detto ed essi stessi avevano chiesto,
avevano attaccato battaglia il giorno prima, e nello stesso tempo, perché, se
potevano qualcosa, ingannando ottenessero per la tregua.Rallegratosi che gli si
fodero presentati, Cesare, comandò di arrestarli, egli fece uscire tutte
le truppe dagli accampamenti e la cavalleria, comandò che la schiera lo
seguisse.
4.XIV. Assalto di
Cesare agli accampamenti dei Germania.
Schierata una duplice fila e fatta velocemente la marcia di otto miglia
giunsero agli accampamenti dei nemici, prima che i Germani potessero capire
cosa fare.Essi improvvisamente atterriti da tutte le situazioni, e dalla
velocità del nostro arrivo e dalla partenza dei loro, poiché non era
stato concesso lo spazio né di prendere una decisione né di prendere le armi,
erano turbati se fosse meglio guidare le truppe contro il nemico oppure
difendere gli accampamenti o cercare scampo con
4.XV.Strage di
Germani e loro resa.
I Germani sentito alle spalle il grido, vedendo che i loro erano massacrati,
gettate le armi ed abbandonate le insegne militari si cacciarono fuori
dall'accampamento, ed essendo giunti alla confluenza della Mosa e del Reno,
essendo la restante fuga disperata, massacrato un gran numero, gli altri si
gettarono nel fiume e qui oppressi da paura, stanchezza, violenza del fiume
perirono.I nostri incolumi fino all'ultimo, tutti, feriti in pochissimi dal
terrore d'una guerra così grande, mentre il numero dei nemici era stato
di quattrocento trenta mila persone, si ritirarono negli accampamenti.Cesare
diede la possibilità a quelli, che aveva arrestato negli accampamenti di
andarsene. Essi temendo le pene e le punizioni dei Galli, i cui Campi avevano
devastato, dissero di voler restare presso di lui. Ad essi Cesare concesse la
libertà.
4.XVI. Decisione
di Cesare di passare il Reno.
Terminata la guerra germanica, per molti motivi Cesare stabilì di dover
passare il Reno.Di esse questa fu la più importante, che vedendo che i
Germani così facilmente erano spinti a venire in Gallia, volle che essi
temessero anche per i loro beni, comprendendo che l'esercito del popolo romano
e poteva e osava passare il Reno.Si aggiunse anche che quella parte della
cavalleria di Usipeti e Tenteri, che prima ricordai aver passato il Reno per
far preda e vettovagliamento, non aveva partecipato allo scontro, dopo la fuga
dei loro si era ritirata oltre il Reno nei territori dei Sugambri e si era
unita con essi.Avendo Cesare mandati ambasciatori presso di loro per chiedere
che gli consegnassero quelli, che avevano dichiarato guerra a lui ed alla
Gallia, risposero:(che) il Reno delimitava il potere del popolo romano;se
pensava che non era giusto che i Germani passassero in Gallia, lui contrario,
perché pretendeva ci fosse qualcosa di potere suo e di autorità oltre il
Reno?Gli Ubi poi, che unici tra i Transrenani avevano mandato ambasciatori a
Cesare, avevan pattuito amicizia, avevan dato ostaggi, molto insistevano di
portare loro aiuto, perché erano incalzati pesantemente dai Svevi; (pensava che
) se però era impedito da impegni di stato, portasse almeno l'esercito
oltre il Reno; questo sarebbe loro stato sufficiente per l'aiuto e per la
speranza del tempo restante. Presso di loro la fama e la stima del popolo romano
era così grande, sconfitto Ariovisto e conclusa questa ultima battaglia,
fino alle ultime nazioni dei Germani, che per la stima e l'amicizia del popolo
romano potevano essere sicuri.Promettevano grande quantità di navi per
trasportare l'esercito.
i
4.XVII. Decisione di Cesare di costruire un ponte sul Reno.
Cesare per quei motivi, che ricordai, aveva deciso di passare il Reno.Ma
passare con navi non lo considerava abbastanza sicuro ne decideva non essere di
prestigio né suo né del popolo romano.Così anche se si proponeva una
grandissima difficoltà di fare il ponte per la larghezza la
rapidità e la profondità del fiume, tuttavia riteneva che egli lo
doveva tentare e non trasportare l'esercito diversamente.Organizzo questo
progetto di ponte:due travi per volta di un piede e mezzo appuntite un poco in
basso, misurate secondo la profondità del fiume le univa tra loro ad
intervallo di due piedi.Queste le aveva piantate nel fiume con congegni e
assicurate con battipali, ma non direttamente in perpendicolare (come) palafitte,
ma obliquamente e con pendenza, perché si piegassero secondo la natura del
fiume, ne disponeva ugualmente opposte a queste due divise allo stesso modo con
intervallo di quaranta piedi dalla parte inferiore rivolte contro la forza e
l'impeto del fiume. Queste coppie, messe sopra travi di due piedi, per quanto
distava la congiunzione delle due travi, erano tenute dalla parte estrema da
ambo le parti da due chiavi ( di legno).Essendo fermate e legate in pare
contraria, la saldezza dell'opera era così grande e tale la natura delle
cose, che , quanto maggiore si fosse alzata al forza dell'acqua, tanto
più saldamente erano tenute legate. Queste erano collegate con legname
diritto messo sopra ed erano coperti da tavole e graticci. E non di meno
palafitte anche alla parte a valle del fiume erano collegate obliquamente, che
sottoposte come un ariete e collegate con tutta l'opera sostenessero la forza
del fiume ed ugualmente altre sopra il ponte a breve distanza, perché se da
parte dei nemici fossero stati mandati tronchi di pianta o navi per distruggere
l'opera, con queste difese la forza di quegli elementi sarebbe diminuita e non
danneggerebbero il ponte.
4.XVIII. Resa di
molti popoli e fuga dei Sugambri nelle selve.
Con dieci giorni, da quando il materiale si cominciò a raccogliere,
completata tutta l'opera, l'esercito è fatto passare.Cesare, lasciata
una forte guarnigione ad ambedue le parti del ponte, si diresse nei territori
dei Sigambri.Intanto giungono la lui ambasciatori da parecchie nazioni.Poiché
essi richiedevano pace ed amicizia, risponde generosamente e comanda gli siano
portati ostaggi.Ma i Sigambri da quel momento che il ponte cominciò ad
esser costruito, preparata la fuga, mentre li incitavano quelli, che avevano
tra loro (provenienti) da Tenteri ed Usipeti, erano usciti dai loro territori,
avevan portato via tutte le loro cose e si erano nascosti in isolamento e
selve.
4.XIX.Paura dei Germani e ritorno di Cesare in Gallia..
Cesare, fermatosi per pochi giorni nei loro territori, dopo aver bruciato tutti
i villaggi e le abitazioni, tagliati i cereali si ritirò nei territori
degli Ubi e promesso ad essi il suo aiuto, se fossero oppressi dai Svevi, seppe
da loro queste cose:( che) gli Svevi, essendosi accorti per mezzo degli
esploratori che si faceva il ponte, tenuta l'assemblea secondo il loro costume,
avevano inviato araldi in tutte le parti, perché partissero dalle città,
mettessero nelle selve li, mogli e tutte le loro cose e riunissero tutti,
quelli che potevano portare armi in un sol luogo;questo era stato scelto quasi
al centro di tutte quelle regioni che i Svevi occupavano.Qui aspettavano
l'arrivo dei Romani e lì avevan deciso di scontrarsi.Quando Cesare lo
seppe, raggiunti tutti quegli obiettivi, per i quali aveva deciso di far
passare l'esercito, per incutere paura ai Germani, per vendicare i Sigambri,
per liberare gli Ubi dall'assedio, trascorsi in tutto 18 giorni al di là
del Reno, pensando si fosse fatto abbastanza sia per la gloria che per
l'interesse del popolo romano, si ritirò in Gallia e tagliò il
ponte.
4.XX. Piano di
Cesare di partire per la Britannia.
Nella piccola parte restante dell'estate, Cesare, anche se in questi luoghi,
poiché tutta la Gallia si volge a settentrione, tuttavia decide di partire per
la Britannia, poiché capiva che in quasi tutte le guerre galliche di lì
erano offerti aiuti ai nostri nemici, anche se il periodo dell'anno non bastava
per fare una guerra, tuttavia riteneva che gli sarebbe stato di grande
utilità, almeno se fosse andato sull'isola, avesse analizzato il tipo di
gente, avesse esplorato luoghi, porti, accessi.Tutte cose che erano quasi
sconosciute ai Galli.Nessuno infatti eccetto i mercanti nessuno va da loro
facilmente e neppure ad essi stessi è noto qualcosa al di fuori della
zona marittima e quelle regioni, che sono di fronte alla Gallia.Così
chiamati a sé da ogni parte i mercanti non poteva nemmeno scoprire quanto
grande fosse l'estensione dell'isola né quali o quanto importanti nazioni
abitassero né quale tattica bellica avessero o di quali istituzioni si
valessero né quali porti fossero idonei per una quantità di navi
maggiori.
4.XXI.Esplorazione
della Britannia per mezzo di Voluseno e l'atrebate Commio. .
Per conoscere queste cose, prima che ci fosse rischio, pensando che fosse
adatto manda avanti C. Voluseno con nave da guerra, a costui raccomanda che,
esplorate tutte le cose, torni al più presto. Egli con tutte le truppe
parte per i Morini, perché di lì il tragitto per la Britannia è
brevissimo.Qui ordina che si radunino le navi da ogni parte dalle regioni
vicine e quella flotta che l'estate precedente aveva fatto costruire per la
guerra contro i Veneti. Intanto, conosciuto il suo progetto e riferito per
mezzo di mercanti ai Britanni da parte di parecchie nazioni di quell'isola
vengono da lui ambasciatori, per promettere di dare ostaggi ed obbedire al
comando del popolo romano.Ascoltatili, promettendo con generosità e dopo
aver esortato di restare in quella decisione, li rimanda a casa ed insieme con
essi manda Commio, che egli stesso, vinti gli Atrebati, lo aveva creato re, di
cui lodava coraggio e saggezza, e che riteneva essergli leale ed il cui
prestigio in quelle regioni era considerato molto.A costui ordina di avvicinare
le nazioni, che potesse e di esortarle a seguire la lealtà del popolo
romano e di annunciare che lui arriverà là velocemente.Voluseno,
osservate tutte le regioni, per quanto di possibilità gli potè
esser data, ma che non osava sbarcare dalla nave ed affidarsi ai barbari, al
quinto giorno ritorna da Cesare e riferisce quelle cose che lì aveva
osservato.
4.XXII.Resa dei
Morini e grande preparativo per visitare
Mentre Cesare
4.XXIII.Arrivo di
Cesare in Britannia.
Decise queste cose colto il momento opportuno per navigare, quasi alla terza
veglia sciolse le navi e comandò che i cavalieri avanzassero al porto
più avanti, salissero sulle navi e lo seguissero.Mentre da parte di
questi si agiva piuttosto lentamente, egli circa alla quarta ora del giorno con
le prime navi toccò la Britannia e qui vide su tutte le colline le
truppe dei nemici in posizione armate.La natura di quel luogo era questa ed il
mare era delimitato così da strette montagne, che dalle postazioni
superiori si poteva lanciare un giavellotto sul lido.Ritenendo che questo non
fosse assolutamente un luogo adatto a sbarcare, aspettò nelle ancore
fino all'ora nona fin che le altre navi giungessero là.Intanto chiamati
i legati ed i tribuni dei soldati, rivelò quelle cose che eran state conosciute
da Voluseno e le cose che voleva fare e raccomandò che, come la tattica
del mondo militare e soprattutto le situazioni marittime richiedevano, come
quelle che avevano movimento veloce e instabile, si facessero tutte le cose da
parte loro al cenno e a tempo.Congedatili e colto nello stesso tempo vento e
marea favorevole, dato il segnale e tolte le ancore, avanzatosi da quel luogo
circa sette mila passi, fermò le navi su di un lido aperto e piano
4.XXIV.Difficoltà
dei nostri di scendere dalle navi.
Ma i barbari, capito il piano dei Romani, mandata avanti la cavalleria e gli
essedari, infatti sono soliti servirsi per lo più di tal genere nei
combattimenti, venendo dietro con le altre truppe impedivano ai nostri di
scendere dalle navi. C'era grandissima difficoltà per questi motivi, il
fatto che le navi per la stazza non potevano fermarsi se non al largo, poi su
luoghi sconosciuti ai soldati, con le mani impedite, oppressi dal grande e
grave peso delle armi e nello stesso tempo bisognava e saltar giù dalle
navi e fermarsi tra le onde e combattere con i nemici, mentre quelli o
dall'asciutto o avanzati un poco in acqua, con tutte le membra libere, su
luoghi notissimi lanciavano audacemente giavellotti e spronavano cavalli
addestrati. I nostri atterriti da queste cose ed inesperti del tutto di questo
genere di battaglia usavano non la stessa sveltezza e animo, con cui eran
soliti nelle battaglie di fanteria.
4.XXV. Sommo
valore dell'aquilifero e sbarco dei soldati.
Quando Cesare se ne accorse, comandò che le navi lunghe (da guerra), il
cui aspetto era per i barbari troppo inusuale ed il movimento più veloce
all'uso, si allontanassero un poco dalle navi da carico e che accelerassero coi
remi e si ponessero al lato scoperto dei nemici e di lì i nemici fossero
respinti e cacciati con fionde, frecce, macchine.Questa tattica per i nostri fu
di grande utilità. Infatti spaventati dall'aspetto delle navi e
dall'accelerazione dei remi e dall'inusuale genere di macchine, i barbari si
fermarono e poi un poco ripiegarono. Ma ai nostri soldati che esitavano
soprattutto per la profondità del mare, quello che portava l'aquila
della decima legione, invocati gli dei perché quella azione riuscisse
fortunatamente per la legione, 'Saltate giù, disse, comni, se
non volete consegnare l'aquila ai nemici; io certamente faro il mio dovere per
lo stato e per il comandante.'Avendo detto questo a gran voce, si
gettò dalla nave e cominciò a portare l'aquila contro i
nemici.Allora i nostri esortandosi tra loro, perché non si permettesse un
così grande disonore, tutti saltaron giù dalla nave.Similmente
avendo visto costoro dalle navi vicine, seguendoli si avvicinarono ai nemici.
4.XXVI.Aspra
battaglia e fuga dei nemici.
Si combattè aspramente da entrambi (gli eserciti). I nostri tuttavia,
per il fatto che non potevano conservare le file né fermarsi saldamente né
avanzare le insegne, e uno da una nave l'altro da altra si aggregava a
qualunque insegna si era imbattuto, erano fortemente scompigliati. I nemici
invece, essendo conosciuti tutti i bassifondi, appena avevano visti alcuni
scendere dalla nave da soli, spronati i cavalli, li assalivano (mentre erano)
impacciati, in molti circondavano pochi, altri dal lato scoperto lanciavano
armi contro tutti. Avendo notato questo, Cesare, ordinò di riempire di
soldati i battelli delle navi da guerra ed ugualmente le imbarcazioni di
vedetta, e quelli che aveva visti in difficoltà, ad essi inviava
rinforzi. I nostri finalmente si fermarono all'asciutto, riunitisi tutti i
loro, fecero un assalto contro i nemici e li mandarono in fuga, e non poterono
proseguire più lontano, perché i cavalieri non avevano potuto tenere la
rotta e toccare l'isola. Questo solo mancò a Cesare per la consueta
sorte.
4.XXVII.Resa dei
nemici e ritorno dell'atrebate Commio.
I nemici vinti dallo scontro appena si ripresero dalla fuga, subito mandarono
ambasciatori da Cesare; promisero di dare gli ostaggi e di fare tutto quello
che avesseordinato.Insieme con questi ambasciatori giunse l'atrebate Commio,
che prima abbiamo detto mandato avanti da Cesare in Britannia.Questo sceso
dalla nave, mentre portava ad essi le istruzioni di Cesare secondo la usanza
dell'ambasciatore, essi l'avevano catturato e buttato in catene.Poi avvenuto lo
scontro lo rimandarono e nel chiedere la pace attribuirono la colpa di quella cosa
alla folla e chiesero che si perdonasse per l'ignoranza.Cesare lamentatosi
perché, dopo aver mandati ambasciatori nel continente gli avevano chiesto la
pace e vavevano mosso guerra senza motivo, disse di perdonare l'ignoranza ed
ordinò gli ostaggi. Essi parte ne diedero subito, parte, fatta venire da
località piuttosto lontane, dissero che li avrebbero dati.Intanto
ordinarono di ritornare nelle loro camne ed i capi cominciarono a riunirsi
da ogni parte e raccomandare a Cesare se stessi e le loro nazioni.
4.XXVIII.Improvvisa
tempesta e cavalleria ricacciata in Gallia.
Rafforzata da pace con questi adempimenti, il quarto giorno dopo che si era
giunti in Britannia, le 18 navi di cui primasi è parlato, che avevano
preso i cavalieri, salparono dal porto più lontano con vento
leggero.Mentre si avvicinavano alla Britannia e si vedevano dagli accampamenti,
improvvisamente scoppiò una tempesta così grande che nessuna di
esse poteva tenere la rotta, ma alcune erano riportate là donde erano
partite, altre erano scagliate con loro grave rischio verso al parte inferiore
dell'isola, che è più vicino al tramonto del sole.Esse tuttavia,
gettate le ancore, mentre eran sommerse dai flutti, necessariamente portate al
largo, sopraggiunta la notte, si diressero al continente.
4.XXIX. Disfatta
di parecchie navi e paura dei nostri per l'inverno.
Nella stessa notte accadde che ci fosse la luna piena, e quel giorno è
solito provocare nell'Oceano le più grandi maree marittime, e questo ai
mostri era sconosciuto.Così in uno stesso tempo sia le navi da guerra,
con cui Cesare aveva fatto trasportare l'esercito e quelle che aveva tirato in
secco, la marea le riempiva, la tempesta le colpiva ed ai nostri non era data
alcuna possibilità o di controllare o di porre rimedio.Distrutte parecchie
navi ed essendo le altre legate con funi alle ancore e perdute le restanti
attrezzature inutili per navigare, il turbamento di tutto l'esercito, cosa che
era necessario accadere, diventò grande.Infatti non c'erano altre navi,
con cui si potesse trasportare e mancavano tutte le cose che erano di
utilità per ricostruire le navi, e, poiché era chiaro a tutti che
bisognava svernare in Gallia, in quei luoghi non si era provvisto il frumento
per l'inverno.
4.XXX.Ribellione dei nemici contro Cesare.
Sapute queste cose, i capi della Britannia, che dopo la battaglia erano venuti
da Cesare, dopo aver parlato tra loro, comprendendo che ai Rimani mancavano,
cavalieri, navi e frumento e conoscendo il piccolo numero dei soldati dalla
esiguità degli accampamenti, che erano anche più piccoli per
questo, perché Cesare aveva trasportato le legioni senza carriaggi, pensarono
ottima cosa da farsi, ripresa la guerra, impedire ai nostri rifornimento e
vettovagliamento e portare la situazione all'inverno, perché, vinti questi e
impediti dal ritorno, confidavano che in seguito nessuno sarebbe passato in
Britannia per dichiarare guerra.Così di nuovo, fatta un'alleanza, a poco
a poco cominciarono ad uscire dagli accampamenti e di nascosto richiamare i
loro dalle camne.
4.XXXI. Decisione di Cesare di ricostruire le navi.
Ma Cesare, anche se non aveva conosciuto i loro piani, tuttavia e dalla rovina
delle sue navi e dal fatto, che avevano smesso di dare ostaggi, sospettava che
sarebbe avvenuto ciò che accadde.Così preparava soccorsi per
tutte le evenienze.Infatti sia quotidianamente portava frumento dalle camne
sia quelle navi che erano state colpite moto gravemente, usava il loro
materiale ed il bronzo per rifare le altre e quelle cose che erano di
utilità per quei fini, ordinava si portassero dal
continente.Così, essendosi operato con sommo impegno da parte dei
soldati, pur essendosi perse 12 navi, fece sì che per le altre si
potesse navigate adeguatamente.
4.XXXII.Improvviso
attacco dei nemici.
Mentre si facevano quelle cose, inviata una sola legione, secondo sua
abitudine, per approvvigionarsi di frumento, quella che si chiamava settima,
mentre parte degli uomini restava nei campi, parte anche veniva negli
accampamenti, quelli che erano in guardia davanti alle porte, riferirono a
Cesare che un polverone maggiore, che l'abitudine recava, si vedeva in quella
parte proprio verso la parte cui aveva fatto marcia la legione.Cesare quello
che aveva sospettato, che si intraprendesse qualcosa di nuovo da parte dei
barbari, comandò che le coorti che erano di guardia partissero con lui
verso quella parte, che due delle altre vi subentrassero per la guardia, le
altre si armassero e subito lo seguissero. Essendo avanzato un poco più
lontano dagli accampamenti, capì che i suoi erano incalzati dai nemici e
resistevano con difficoltà e serrata la legione da tutte le parti si
lanciavano giavellotti. Infatti poiché dalle altre parti, essendo stato mietuto
tutto il frumento, una sola parte era restante, sospettando i nemici che i nostri
sarebbero venuti qui, di notte si erano nascosti nelle selve. Poi assaliti
subito quelli che erano sparsi, deposte le armi, occupati a mietere, uccisi
alcuni, avevano dispersi gli altri in file incerte, nello stesso tempo avevano
circondato con cavalleria e carri.
4.XXXIII. Genere
di battagli dagli essedi.
Il genere di battaglia dai carri è questo: anzitutto cavalcano per tutte
le parti e lanciano giavellotti e con il terrore stesso dei cavalli e lo
strepito delle ruote per lo più scompigliano le file, e una volta che si
sono insinuati tra le squadre dei cavalieri, saltano giù dai carri e
combattono a piedi.Gli aurighi intanto si ritirano un poco dalla mischia e
collocano i carri così che , se essi sono incalzati dalla folla dei
nemici, hanno libero rifugio presso i loro.Così negli scontri superano
la mobilità dei cavalieri, la stabilità dei soldati e con la
pratica e l'esercizio quotidiano riescono tanto, che sono abituati a frenare i
cavalli al galoppo in un luogo in pendio e scosceso e controllare in breve
(spazio) e piegare e correre su per il timone e fermarsi sul giogo e di l'
ritirarsi molto velocemente sui carri.
4.XXXIV. Arrivo di
Cesare breve ritirata dei nemici.
Essendo i nostri turbati da queste cose per la novità del combattimento
in un momento molto propizio Cesare portò aiuto.Infatti al suo arrivo i
nemici si fermarono, i nostri si ripresero dalla paura. Ritenendo che fosse
occasione sfavorevole per provocare il nemico ed attaccare battaglia, si
mantenne nella sua posizione e trascorso un breve tempo ricondusse le legioni
negli accampamenti.Mentre si compivano queste cose, essendo tutti i nostri
occupati, gli altri che erano nelle camne si allontanarono.Seguirono per
parecchi giorni tempeste frequenti, da tenere i nostri negli accampamenti e
bloccare il nemico dallo scontro.Intanto i barbari inviarono in tutte le parti
araldi e annunciarono ai loro la esiguità dei nostri soldati e
rivelarono quale grande facilità fosse data di fare bottino e liberarsi
per sempre, se avessero cacciato i Romani dagli accampamenti.Con tali
situazioni, raccolta velocemente una grande moltitudine di fanteria e
cavalleria, giunsero agli accampamenti.
4.XXXV. Attacco
dei nemici , loro fuga e strage .
Cesare anche se vedeva che sarebbe accaduto proprio quello che era successo nei
giorni precedenti, che se i nemici fossero stati respinti, con la
velocità avrebbero sfuggito il pericolo, tuttavia ottenuti 30 cavalieri,
che l'atrebate Commio, di cui si è detto precedentemente, aveva portato
con sé, schierò le legioni in ordine davanti agli accampamenti.
Attaccata battaglia i nemici non poterono sostenere più a lungo
l'attacco dei nostri soldati e voltarono le spalle. Ma avendoli inseguiti per
tanto spazio, quanto poterono con la corsa e le forze, uccisero parecchi tra
loro, poi bruciati in lungo ed in largo tutte le abitazioni, si ritirarono
negli accampamenti.
4.XXXVI. Resa dei
nemici e ritorno di Cesare in Gallia.
Nello stesso giorno ambasciatori inviati dai nemici per la pace giunsero da
Cesare.Per questi Cesare raddoppiò il numero degli ostaggi che aveva
ordinato e comandò che fossero condotti nel continente, perché nella
giornata vicina dell'equinozio non riteneva che navi insicure dovessero
sottoporre la navigazione ad una tempesta.Egli colto l'occasione opportuna poco
dopo la mezza notte sciolse le navi.Quelle giunsero nel continente tutte
incolumi.Ma due di esse da carico non poterono raggiungere gli stessi porti,
che le altre (raggiunsero) e furono portate un poco più lontano.
4.XXXVII.Attacco
dei vili Morini e vittoria dei nostri.
Da queste navi essendo sbarcati circa trecento soldati e dirigendosi agli
accampamenti, i Morini, che Cesare partendo per la Britannia aveva lasciato in
pace, spinti dalla speranza di bottino, dapprima con un numero non così
grande dei loro accerchiarono ed ordinarono, se essi non volevano essere
uccisi, di deporre le armi.Poichè quelli, fatto un cerchio, si
difendevano, al grido giunsero velocemente circa seimila uomini.Annunciata la
cosa, Cesare dagli accampamenti mandò in aiuto tutta
4.XXXVIII.
Accampamenti invernali tra i Belgi e riti per venti giorni a Roma, voluti dal
Senato.
Cesare il giorno dopo mandò il legato T. Labieno con quelle legioni, che
aveva riportato dalla Britannia, contro i Morini che avevano fatto una
ribellione.Ma essi a causa delle siccità delle paludi, dove si
ritiravano, non avevano, il rifugio di cui s'erano serviti l'anno precedente,
quasi tutti vennero in potere di Labieno.Ma i legati Q. Titurio e L. Cotta che
avevano guidato le legioni nei territori dei Menapi, devastati tutti i loro
campi, tagliati i cereali, perché i Menapi si erano nascosti tutti in
densissime selve, si riportarono da Cesare.Cesare stabilì gli
accampamenti invernali di tutte le legioni tra i Belgi. Dalla Britannia due
nazioni in tutto mandarono là gli ostaggi, le altre (lo)
tralasciarono.Per queste imprese (conosciute) dalle lettere di Cesare, fu
decretato dal Senato un rendimento di grazie di venti giorni.
5.I. Ritorno di Cesare in Italia
e costruzione delle navi.
Sotto il consolato di L. Domizio ed Ap.Claudio, Cesare partendo dagli
accampamenti verso l'Italia, come ogni anno era solito fare, ordina ai legati,
che aveva messo a capo delle legioni, che durante l'inverno di prodigassero di costruire
il maggior numero possibile di navi e di riparare le vecchie.Insegna il loro
modello e
5.II. Preparazione di cesare per
la Britannia ed intervento contro i Treviri.
Terminate queste imprese e concluse le sessioni, ritorna nella Gallia citeriore
e di là parte per l'esercito.Essendo giunto là, circondati tutti
gli accampamenti invernali con la singolare cura dei soldati, nella massima
scarsezza di tutte le cose, trovò allestite circa seicento navi di quel
genere, di cui sopra parlammo, e ventotto da guerra, allestite e non mancava
molto che in pochi giorni potessero essere varate.Lodati i soldati e quelli che
erano stati a capo dell'impresa, dichiara che cosa voglia che si faccia ed
ordina che tutti si radunino al porto di Izio, da questo porto aveva saputo che
era molto facile esser portati in Britannia, passaggio a circa 30 mila passi
dal continente .Per questa cosa, di soldati ne lascia quello che sembrò
sufficiente. Egli con quattro legioni senza bagagli e 350 cavalieri parte per i
territori dei Treviri, poiché essi non venivano alle assemblee né obbedivano
all'ordine e si diceva sollecitassero Germani e Transrenani.
5.III.Il popolo dei Treviri, i
loro capi Induziomaro e Cingetorige..
Questa nazione è di gran lunga la più potente di tutta la Gallia
in cavalleria, ha grandi truppe di fanti e tocca, come prima dicemmo, il
Reno.In quella nazione contendevano per la supremazia due, Induziomaro e
Cingetorige.Tra questi uno, appena si seppe dell'arrivo di Cesare e delle
legioni, venne da lui ed assicurò che lui e tutti i suoi sarebbero stati
all'impegno e non si sarebbero allontanati dall'amicizia del popolo romano e
rivelò le cose che si facevano tra i Treviri.Ma Induziomaro decise di
radunare cavalleria e fanteria e nascosti quelli che non potevano essere in
armi a causa dell'età nella selva Ardenna, che per la enorme estensione
attraverso i territori dei Treviri dal fiume Reno arriva all'inizio dei Remi, e
preparare la guerra.Ma dopo che alcuni capi tra quella nazione, spinti anche
dal prestigio di Orgetorige ed atterriti dall'arrivo del nostro esercito,
vennero da Cesare ed cominciarono a chiedergli a proposito dei loro affari in
privato, poiché non potevano provvedere per la nazione, Induziomaro temendo di essere
abbandonato da tutti, manda ambasciatori da Cesare: (dicendo che) lui per
questo non s'era allontanato dai suoi e non era voluto venire da lui, per
mantenere più facilmente nell'impegno la nazione, perché con la partenza
di tutta la nobiltà la plebe per ignoranza non cadesse;e così la
nazione era in suo potere e lui, se Cesare permetteva, sarebbe venuto negli
accampamenti e avrebbe affidato i beni suoi e della nazione alla sua parola.
5.IV.Pace fatta da Cesare tra i
Treviri Cingetorige ed Induziomaro..
Cesare anche se capiva per quale motivo fossero dette quelle cose e quale
situazione lo distogliesse dal piano stabilito, tuttavia, per non essere
costretto a consumare l'estate tra i Treviri, dopo aver preparato tutte le cose
per la guerra britannica, ordinò che Induziomaro venisse da lui con
duecento ostaggi.Portati questi, tra essi il lio e tutti i suoi parenti, che
aveva chiamato per nome, dopo aver rassicurato Induziomaro lo esortò a
tenersi all'impegno; non di meno convocati presso di sé i capi dei Treviri,
conciliò questi singolarmente con Cingetorige, poiché capiva che per suo
merito si poteva agire da parte sua (di Cesare), poi riteneva che interessava
molto che il suo prestigio valesse il più possibile tra i suoi, avendo
visto una così nobile amicizia nei propri confronti.Tale fatto
Induziomaro lo tollerò male, che il suo favore diminuisse tra i suoi e
chi già prima era stato verso di noi di animo ostile, molto più
pesantemente bruciò per questo dolore.
5.V.Decisione di Cesare di
portare con sé anche i capi della Gallia.
Sistemate queste cose, Cesare giunse al poro di Izio con le legioni.Qui viene a
sapere che 60 navi, che erano state fatte tra i Meldi, per una tempesta non
avevano potuto tenere la rotta ed erano ritornate là donde erano partite.Le
altre le trovò pronte a navigare ed allestite con tutte le
cose.Là giunse la cavalleria di tutta la Gallia nel numero di quattro
mila ed i capi da tutte le nazioni.Tra questi aveva deciso di lasciare
pochissimi, la cui fedeltà verso di sé aveva ben controllato, in Gallia,
gli altri di portarli con sé come ostaggi, perché temeva una ribellione della
Gallia, quando lui fosse lontano.
5.VI.Volontà dell'eduo
Dumnorige di restare in Gallia.
C'era insieme con gli altri l'eduo Dumnorige, di cui prima da parte nostra si
è parlato.Aveva deciso di tenere costui anzitutto con sé, poiché aveva
conosciuto avido di cose nuove, avido di potere, di grande coraggio, di grande
autorevolezza tra i Galli.A questo si aggiungeva il fatto che già
nell'assemblea degli Edui Dumnorige aveva sostenuto che il potere della nazione
gli era stato conferito da Cesare; ma questa espressione gli Edui mal
tolleravano e non osavano mandare ambasciatori a Cesare per contestare o
implorare. Tale fatto Cesare l'aveva saputo da suoi ospiti. Quello prima con
tutte le suppliche prese a chiedere di esser lasciato in Gallia, in parte
perché non abituato a navigare temeva il mare, in parte perché diceva essere
impedito da scrupoli religiosi. Dopo che vide che questo gli era ostinatamente
negato, tolta ogni speranza di ottenerlo, cominciò a sollecitare i capi
della Gallia, a chiamarli in disparte uno ad uno e ad esortare a restare nel
continente:(diceva che) non senza motivo accadeva che la Gallia era spogliata
di tutta la nobiltà; questo era il piano di Cesare, che quelli che
temeva di far fuori al cospetto della Gallia, tutti questi, fatti passare i
Britannia, li uccidesse;offriva la parola agli altri, chiedeva giuramento per
affrontare con decisione comune quello che avessero compreso essere di utilità
alla Gallia.Queste cose eran riferite a Cesare da parecchi.
5.VII.Uccisione di Dumnorige che
rifiuta l'ordine di Cesare.
Saputa questa cosa, Cesare, poiché tributava un così grande onore alla
nazione edua, decideva di costringere e spaventare Dumnorige con tutti i mezzi
che potesse;ma, poiché vedeva che la sua pazzia avanzava troppo, si doveva
provvedere che in qualcosa potesse nuocere a lui ed allo stato (romano).
Così fermatosi in quel luogo circa 25 giorni, poiché il vento Coro
impediva la navigazione, e questo è solito soffiare gran parte di ogni
stagione in quei luoghi, faceva opera di mantenere Dumnorige nell'impegno, non
di meno di sapere tutti i suoi piani.Finalmente colta l'occasione favorevole
comanda che soldati e cavalieri salgano sulle navi.Ma mentre gli animi di tutti
erano indaffarati, Dumnorige con i cavalieri degli Edui, all'insaputa di
Cesare, cominciò ad allontanarsi dagli accampamenti verso la
patria.Annunciato tale fatto, Cesare, interrotta la partenza e rimandati tutti
gli impegni, manda gran parte della cavalleria ad inseguirlo e comanda che sia
riportato;se facesse resistenza e non obbedisse, ordina di ucciderlo, pensando
che costui, in sua assenza, non avrebbe fatto nulla di sano, avendo trascurato
il comando di (Cesare) presente.Egli però richiamato cominciò a
resistere a difendersi con la forza ed implorare la lealtà dei suoi,
spesso gridando che lui era libero e di una nazione libera.Essi, come era stato
comandato, circondano l'uomo e l'ammazzano.I cavalieri edui così
ritornano tutti da Cesare.
5.VIII. Arrivo di Cesare in
Britannia.
Fatte queste imprese, lasciato Labieno sul continente con tre legioni e due
migliaia di cavalieri, per proteggere i porti e provvedere al vettovagliamento,
e sapere le cose che si facevano in Gallia, e prendere decisione a seconda
della opportunità e della situazione, egli con cinque legioni e numero
di cavalieri pari (a quello) che lasciava sul continente, al calar del sole
sciolse le navi e portato dal leggero Africo, a mezzanotte circa cessato il vento,
non tenne la rotta e portato più lontanodalla marea, sorta la luce vide
la Britannia lasciata a sinistra.Poi di nuovo seguendo il cambiamento della
marea si diresse coi remi per raggiungere quella parte dell'isola. Dove
l'estate precedente aveva scoperto esserci un ottimo sbarco.Ma in quella
situazione il valore dei soldati fu da lodare molto, essi infatti con navigli
da carico pesanti, senza interrompere la fatica di navigare uguagliarono la
corsa delle navi da guerra.Si arrivò alla Britannia con tutte le navi
quasi a mezzogiorno, ed in quel luogo il nemico non fu visto. Ma come poi
Cesare seppe dai prigionieri, essendo giunte lì molte squadre,
spaventate dalla quantità delle navi, queste infatti con quelle
dell'anno prima e le private, che ognuno aveva costruito per sua
utilità, nello stesso tempo ne furono viste più di ottocento, (i
nemici) si erano allontanati dal lido e si eran nascosti in luoghi superiori.
5.IX.Primo assalto di Cesare
contro i nemici.
Cesare, sbarcato l'esercito ed occupato un luogo adatto per gli accampamenti,
quando seppe dai prigionieri in quale luogo le truppe dei nemici si erano
fermate, lasciate presso il mare dieci coorti e trecento cavalieri, che fossero
di guardia alle navi, alla terza veglia si diresse contro il nemico, temendo
per questo di meno per le navi, perché le lasciava legate alle ancore su di un
lido sabbioso ed aperto.Mise a capo di quella guarnigione Q. Atrio. Egli
avanzando di notte circa 12 mila passi notò le truppe dei nemici.Essi
avanzando lungo il fiume con cavalleria e carri cominciarono a fermare i nostri
dalla postazione superiore ed attaccare battaglia.Respinti dalla cavalleria si
nascosero nelle selve, raggiunti un luogo straordinariamente protetto e dalla
natura e dalla fortificazione, che, come sembrava, avevano predisposto
già prima a causa di una guerra intestina; infatti tagliati molti alberi
tutti gli ingressi erano bloccati.Essi sparsi combattevano dalle selve ed
impedivano ai nostri di entrare dentro le fortificazioni.Ma i soldati della
settima legione, fatta una testuggine e costruito un terrapieno vicino alle
fortificazioni occuparono la postazione e li cacciarono dalle selve, ricevute
poche perdite. Ma Cesare proibì di inseguirli troppo mentre fuggivano
sia perché ignorava la natura del luogo sia perché, passata gran parte del
giorno, voleva che si lasciasse tempo per la fortificazione degli accampamenti.
5.X.Grave danneggiamento delle
navi per una gravissima tempesta.
Il giorno seguente a quello, di mattina, fatte tre schiere, mandò in
spedizione soldati e cavalieri per inseguire quelli che erano fuggiti.
Avanzatisi questi un po' di strada, mentre ormai gli ultimi erano in vista,
giunsero da Cesare cavalieri da parte di Q. Atrio per dire che la notte
precedente, sorta una gravissima tempesta, quasi tutte le navi erano state
danneggiate e scagliate sul lido, perché ne le ancore né le funi resistevano né
marinai e piloti potevano contrastare la violenza della tempesta;così da
quello scontro di navi era stato subito un grave danneggiamento.
5.XI. Decisione di Cesare di
ricostruire le navi e ritorno contro Cassivellauno.
Sapute queste cose, Cesare ordina di richiamare le legioni e la cavalleria e di
resistere durante la marcia, egli ritorna alle navi;quasi le stesse cose che
aveva saputo da araldi e lettere, lo vede di persona, così che sembrava
che, perdute circa 40 navi, le altre si potessero riparare con grande
impegno.Così dalle legioni sceglie operai e ordina che se ne chiamino
altri dal continente;scrive a Labieno che costruisca il maggior numero
possibile di navi con quelle legioni che sono presso di lui.Egli, anche se la
cosa era di molta fatica ed impegno, tuttavia decise che era utilissimo si
tirassero in secca tutte le navi e con una sola fortificazione si unissero agli
accampamenti.trascorse circa 10 giorni in queste cose, non tralasciati neppure
i momenti di notte per il lavoro dei soldati.Tirate in secca le navi e
fortificati egregiamente gli accampamenti, lascia le stesse truppe che prima (
aveva lasciato) a difesa per le navi, egli parte per lo stesso luogo donde era
venuto. Essendo giunto là, già da ogni parte parecchie truppe dei
Britanni s'erano riunite, affidato per comune decisione il massimo grado di
potere e di dirigere la guerra a Cassivellauno, i cui territori li divide dalle
nazioni marittime il fiume che si chiama Tamigi, circa a 80 mila passi dal
mare.Per costui nel periodo precedente erano intercorse continue guerre con le
altre nazioni.Ma al nostro arrivo i Britanni sconvolti avevano eletto costui
per tutta la guerra ed il comando.
5.XII. Natura della Britannia interna e costumi degli abitanti..
La parte interna della Britannia è abitata da coloro che essi stessi
dicono tramandato dalla memoria esser nati nell'isola, la parte marittima da
coloro erano emigrati dal Belgio per far preda e bottino - e tutti quelli si
chiamano con quei nomi delle nazioni, dalle quali nazioni originari, giunsero
là - e provocata la guerra sono rimasti lì e cominciarono a
coltivare i campi. C'è una moltitudine infinita di uomini e densissime
abitazioni quasi simili alle (abitazioni) galliche, un numero enorme di
bestiame.Usano o bronzo o moneta d'oro o verghe di ferro valutate secondo un
peso preciso al posto della moneta.Qui si trova lo stagno (piombo bianco) nelle
regioni interne, nelle costiere il ferro, ma la sua quantità è
esigua; usano bronzo importato.C'è materiale di qualunque genere, come
in Gallia, eccetto il faggio e l'abete.Pensano non sia lecito assaggiare lepre,
gallina, oca;questi (animali) però li allevano per passione e piacere. I
luoghi sono più moderati che in Gallia per i freddi più miti.
5.XIII.Altre informazioni sui
luoghi della Britannia.
L'isola è per natura triangolare, un lato solo di essa è di
fronte alla Gallia.Un secondo angolo di questo lato, che si trova verso Canzio,
dove quasi tutte le navi dalla Gallia approdano, volge verso il sole nascente,
quello più basso (volge) a mezzogiorno.Questo lato misura circa
cinquanta mila passi.Il secondo volge verso la Sna ed il sole che
tramonta.Da quella parte si trova l'isola Ibernia, minore della metà
come si penda della Britannia, ma il tragitto dalla Gallia alla Britannia
è di pari spazio.In questa rotta al centro c'è l'isola che si
chiama Mona; sono contate inoltre parecchie isole minori contrapposte; alcuni
scrissero su queste isole che in inverno la notte è di trenta giorni
continui.Noi non scoprivamo nulla su ciò vedevamo, se non che vedevamo
che da precise misurazioni con l'acqua (clessidre) le notti erano più
brevi che nel continente.La lunghezza di questo lato è, come racconta la
loro credenza, di settecento miglia.Il terzo (lato) è verso
settentrione; a questa parte non è contrapposta nessuna terra, ma
l'angolo di quel lato guarda soprattutto alla Germania.Si stima che questo sia
di lunghezza ottocento mila passi. Così tutta l'isola è di venti
volte cento mila (duemila) passi di perimetro.
5.XIV.Usanze dei Britanni.
Tra tutti questi di gran lunga i più civili sono quelli che abitano
Canzio, e tutta quella regione è marittima e non differiscono molto
dalla tradizione gallica.Parecchi interni non seminano cereali, ma vivono di
latte e carne e sono vestiti di pelli.Tutti i Britanni poi si tingono di guado,
che produce un colore ceruleo, e per questo in battaglia sono piuttosto
spaventosi d'aspetto; sono di capigliatura lunga e di ogni parte del corpo
rasata eccetto il capo ed il labbro superiore.Ogni dieci o dodici hanno mogli
comuni e soprattutto fratelli con fratelli e genitori con li.Ma se alcuni
sono nati da questi, sono considerati li di quelli, da cui ogni (donna da )
ragazza è stata presa la prima volta.
5.XV.Battaglia dei cavalieri e
fuga dei nemici.
I cavalieri dei nemici e gli essedari dei nemici si scontrarono aspramente in
battaglia con la nostra cavalleria durante la marcia, tuttavia così che
o nostri furono superiori in tutte le parti e li respinsero nelle selve e sui
colli.Ma essendone stati uccisi parecchi (dei nemici), inseguendo (i nostri)
piuttosto accanitamente persero alcuni dei loro. Ma quelli frapposto dello
spazio ( di tempo), essendo i nostri disattenti ed occupati nella
fortificazione degli accampamenti, improvvisamente si slanciarono dalle selve e
fatto un assalto contro quelli che erano stati posti di guardia davanti agli
accampamenti, combatterono aspramente, ed inviate da Cesare in aiuto due coorti,
e queste le prime di due legioni, essendosi esse fermate con pochissimo spazio
interposto tra loro, spaventati i nostri dal nuovo genere di battaglia, molto
audacemente ruppero in mezzo e si li si ritrassero incolumi.In quel giorno
viene ucciso Q. Liberio Druso, tribuno dei soldati. Quelli, accorse parecchie
coorti, sono respinti.
5.XVI.Tattica di guerra dei
nemici e difficoltà dei nostri.
In tutto questo genere di battaglia scontrandosi sotto gli occhi di tutti e
davanti agli accampamenti, si capì che i nostri per la pesantezza delle
armi, poiché non potevano inseguire chi cedeva e non osavano allontanarsi dalle
insegne, erano meno adatti contro un nemico di tal genere, che i cavalieri pure
si scontravano in battaglia con grave rischio, per il fatto che quelli anche
d'accordo per lo più cedevano e dopo aver allontanato un poco i nostri
dalle legioni, saltavano giù dai carri ed attaccavano a piedi con
mischia impari.La tattica dunque dello scontro di cavalleria offriva uguale e
pari pericolo sia ritirandosi (i nostri) che inseguendo.Si aggiungeva a questo
che mai combattevano serrati, ma sparsi ed a grandi intervalli ed avevano
guarnigioni appostate ed alcuni a vicenda sostituivano gli altri e i freschi e
riposati si avvicendavano agli spossati.
5.XVII.Improvviso attacco e fuga dei nemici.
Il giorno dopo lontano dagli accampamenti i nemici si fermarono sui colli e
cominciarono a mostrarsi sparsi e provocare i nostri cavalieri più
fiaccamente del giorno prima.Ma a mezzogiorno, avendo Cesare inviato tre legioni
e tutta la cavalleria per foraggiare col legato C. Trebonio, improvvisamente da
tutte le parti volarono contro i foraggiatori, così che non erano
lontani dalle insegne e dalle legioni.I nostri, fatto un assalto contro di essi
aspramente li respinsero e non posero fine dell'inseguimento, fin che i
cavalieri confidando nella protezione, vedendo dietro a sé le legioni, volsero
i nemici precipitosi ed ucciso un gran numero di loro, non diedero la
possibilità né di raccogliersi né di resistere né di saltare giù
dai carri. Da quella fuga, le truppe ausiliarie che erano giunte da ogni parte
si allontanarono e dopo quella occasione mai i nemici si scontrarono con noi
con grandissime truppe.
5.XVIII.Attacco dei nostri presso
il Tamigi e fuga dei nemici.
Cesare, saputo il loro piano, guidò l'esercito presso il fiume Tamigi
nei territori di Cassivellauno;questo fiume però solamente in un unico
luogo ed in questo a fatica si può passare a piedi.Essendo giunto
là, s'accorse che sull'altra riva c'erano schierate grandi truppe di
nemici.La riva poi era fortificata con pali appuntiti e conficcati, pali dello
stesso genere conficcate sott'acqua erano coperte dal fiume.Sapute queste cose
da disertori e prigionieri, Cesare, mandata avanti la cavalleria, ordinò
che le legioni lo seguissero subito. Ma i soldati avanzarono con tale
celerità e con tale impeto, stando fuori dall'acqua con la sola testa,
che i nemici no potevano sostenere l'impeto delle legioni e dei cavalieri ed
abbandonavano le rive e si davano alla fuga.
5.XIX.Tattica di guerra di
Cassivellauno e piano di Cesare.
Cassivellauno, come dicemmo prima, deposta ogni speranza di contesa, congedate
le truppe maggiori, lasciati circa quattro mila essedari, seguiva le nostre
marce ed un poco s'allontanava dal percorso e si nascondeva in luoghi impervi e
selvosi ed in quelle regioni, in cui aveva saputo che noi avremmo marciato, e
cacciava mandrie ed uomini dai campi nelle selve e, quando la nostra cavalleria
si spandeva troppo liberamente nei campi per devastare e predare, da tutte le
strade e sentieri conosciuti mandava essedari dalle selve e con grande pericolo
dei nostri cavalieri si scontrava con questi e con questa paura impediva di
vagare più in largo.Restava che Cesare non permettesse di allontanarsi
troppo dalla schiera delle legioni e si nuocesse ai nemici col devastare campi
e fare incendi tanto, quanto i soldati legionari potevano realizzare durante la
fatica e la marcia.
5.XX.Ambasceria a Cesare dei
Trinovanti per chiedere amicizia.
Intanto i Trinovanti, forse la nazione più salda di quelle regioni - da
cui il giovane Mandubracio seguendo la protezione di Cesare era venuto da lui
sul continente, e suo padre aveva detenuto il potere in quella nazione ed era
stato ucciso da Cassivellauno, ed egli (Mandubracio) aveva evitato la morte con
la fuga -, mandano ambasciatori a Cesare e promettono di arrendersi e di
eseguire gli ordini;chiedono che difenda Mandubracio dall'attacco di
Cassivellauno e lo rimandi alla nazione, per guidarla e tenere il potere.A
questi Cesare comanda 40 ostaggi e vettovagliamento per l'esercito e manda ad
essi Mandubracio.Essi velocemente eseguirono gli ordini, inviarono ostaggi
secondo il numero e vettovagliamento.
5.XXI.Assedio della città
di Cassivellauno.
Difesi i Trinovanti e protetti da ogni danneggiamento dei soldati, Cenimagni,
Segontiaci, Ancaliti, Bibroci, Cassi, inviate ambascerie, si arrendono a
Cesare.Da essi viene a sapere che la città di Cassivellauno distava da
quel luogo non molto e fortificata da selve e paludi, dove era riunito un
numero abbastanza grande di uomini e bestiame.I Britanni però chiamano
città, quando hanno fortificato selve bloccate da trincea e fossato,
dove sono soliti riunirsi per evitare l'incursione dei nemici.Vi si dirige con
le legioni. Trova un luogo egregiamente difeso da natura e
fortificazione.Tuttavia decide di assalirlo da due parti.I nemici resistendo un
poco non sopportarono l'assalto dei nostri soldati e si lanciarono da un'altra
parte della città.Qui fu trovato un gran numero di bestiame, molti furono
catturati in fuga ed uccisi
5.XXII. Rivolta di Cassivellauno
ed ambasceria di pace.
Mentre queste cose accadono in questi luoghi, Cassivellauno invia a Canzio, che
dicemmo trovarsi sul mare, nelle regioni in cui comandavano quattro re,
Cingetorige, Carvilio, Tassimagulo, Segovace, degli ambasciatori ed a questi
ordina che radunate tutte le truppe assalgano gli accampamenti navali
all'improvviso e li espugnino.Essendo essi giunti agli accampamenti, i nostri,
fatta una sortita, uccisi molti di essi, catturato anche il nobile comandante
Lugotorige, riportarono i loro incolumi.Cassivellauno, annunciato questo
combattimento, ricevuti tanti danni, devastati i territori, soprattutto colpito
dalla defezione delle nazioni, manda ambasciatori a Cesare per mezzo dell'atrebate
Commio per la resa.Cesare avendo deciso di svernare nel continente a causa dei
repentini movimenti della Gallia, e non restando molto dell'estate, e
comprendendo e che ciò facilmente si poteva protrarre, ordina ostaggi e
stabilisce quanto di tributo la Britannia asse nei singoli anni al popolo
romano; minaccia e comanda a Cassivellauno di non nuocere a Mandubracio ed ai
Trinovanti.
5.XXIII.Ritorno di Cesare in
Gallia.
Ricevuti gli ostaggi riconduce l'esercito al mare, trova le navi ricostruite.Tratte
queste in secca, sia perché aveva un gran numero di prigionieri ed alcune
tempeste avevano rovinato le navi, decise di riportare l'esercito con due
convogli. E così accadde che da un così grande numero di navi per
tante navigazioni né in questo né nell'anno precedente assolutamente nessuna
nave, che potava soldati, si rimpiangeva ma tra quelle che venivano rimandate a
lui vuote dal continente sia del primo convoglio dopo aver sbarcato i soldati
sia quelle che Labieno si era premurato di costruire nel numero di 60,
pochissime raggiungevano il luogo, quasi tutte le altre venivano respinte.Ma
avendole aspettate invano per un poco, Cesare, per non essere escluso dalla
navigazione dal periodo dell'anno, poiché era vicino l'equinozio, mise i
soldati più strettamente del necessario, sopraggiunta una grandissima
bonaccia, essendo salpato alla seconda veglia, alla prima luce toccò
terra e ricondusse tutte le navi incolumi.
5.XXIV. Sistemazione delle
legioni negli accampamenti invernali di parecchie città.
Tirate in secco le navi, conclusa l'assemblea dei Galli a Samarobriva, poiché
in quell'anno il vettovagliamento in Gallia era giunto troppo scarsamente per
le siccità, fu obbligato a sistemare l'esercito negli accampamenti
invernali diversamente dagli anni precedenti e distribuire le legioni in
parecchie nazioni.Tra queste una la diede da guidare tra i Morini al legato C.
Fabio, una seconda tra i Nervi a Q. Cicerone, la terza tra gli Essuvi a L.
Roscio; la quarta ordinò che svernasse tra i Remi con Q. Trebonio nel
confine dei Treviri; tre le pose in Belgio; ad esse mise a capo il questore M.
Crasso ed i legati L. Minucio co e C. Trebonio.Mandò una legione,
che aveva arruolato recentemente oltre il Po, e 5 coorti tra gli Eburoni, la
cui maggior parte è tra la Mosa ed il Reno, che erano sotto il potere di
Ambiorige e Catuvolco.Ordinò che a questi soldati fossero a capo Q.
Titurio Sabino e L. Aurunculeio Cotta.In questo modo distribuite le legioni
pensò che si potesse rimediare molto più facilmente alla
scarsità di vettovaglie.E gli accampamenti invernali tuttavia di tutte
queste legioni eccetto quella che aveva dato a L. Roscio da portare in una
parte molto tranquilla e calmissima, erano contenute entro cento mila
passi.Egli intanto, fino a quando avesse saputo sistemate le legioni e
fortificati gli accampamenti, decise di fermarsi in Gallia.
5.XXV.Uccisione di Tasgezio,
amico di Cesare, tra i Carnuti.
C'era tra i Crnuti Tasgezio, nato da nobile famiglia, i cui antenati nella loro
nazione avevano tenuto il potere.A costui Cesare per il suo valore e l'affetto
verso di lui, poiché in tutte le guerre si era servito della sua opera
singolare, aveva restituito il ruolo degli antenati.Mentre già regnava
da tre anni gli avversari apertamente uccisero costui, essendo molti i
promotori (provenienti) dalla nazione. Quel fatto è deferito a
Cesare.Egli temendo, poiché coinvolgeva parecchi, che la nazione per loro
istigazione si ribellasse, comanda che L. co con la legione parta
velocemente dal Belgio verso i Carnuti e lì sverni, e mandi da lui
catturatili, coloro per la cui opera aveva saputo che Tasgezio era stato
ucciso. Intanto fu informato da tutti i legati e dai questori a cui aveva
assegnato le legioni che si era giunti agli accampamenti invernali ed il luogo
per gli accampamenti invernali era stato fortificato.
5.XXVI.Improvvisa rivolta di
Ambiorige e Catuvolco e tradimento.
Circa dopo quindici giorni che si giunse negli accampamenti invernali, sorse
l'inizio di una improvvisa rivolta e ribellione da parte di Ambiorige e
Catuvolco.Essi dunque essendo stati ad attendere ai confini del loro regno
Sabino e Cotta ed avendo portato il vettovagliamento negli accampamenti
invernali, spinti dai messaggeri del treviro Induziomaro sobillarono i loro ed
improvvisamente uccisi gli approvvigionatori di legna con una grossa squadra
vennero ad assediare gli accampamenti. Avendo i nostri prese rapidamente le
armi e saliti sul trinceramento e mandati da una parte i cavalieri ispanici,
essendo riusciti vincitori con uno scontro di cavalleria, essendo la situazione
disperata, i nemici ritirarono i loro dall'assedio. Poi come loro abitudine
gridarono che qualcuno dei nostri uscisse al colloquio: (dicendo che) essi
avevano cose che volevano dire di comune interesse, sulle cui cose speravano che
le controversie si potessero minimizzare.
5.XXVII.Scusa di Cingetorige.
Viene mandato presso di loro il cavaliere romano C. Arpinio, amico di Q.
Titurio, ed un tale Q. Iunio della Sna, che già prima era solito
andare e venire da Ambiorige per mandato di Cesare.Davanti a loro Ambiorige
parlò in questo modo:(diceva che ) lui doveva riconoscere moltissimo per
i benefici nei suoi confronti di Cesare, perchè per intervento suo era
stato liberato dal tributo, che era solito are ai loro confinanti Atuatuci,
e perché gli erano stati liberati sia il lio che il lio del fratello, che
gli Atuatuci, sebbene inviati in condizione di ostaggi, avevano tenuto in
schiavitù ed in catene.Ma quello che aveva fatto per l'assedio degli
accampamenti, non l'aveva fatto per decisione o volontà sua, ma per
costrizione della nazione, ed i suoi poteri erano di tal genere che la folla
non aveva meno autorità verso di lui che lui verso la folla.Quindi per
la nazione la causa di guerra era stata questa, che non aveva potuto resistere
alla improvvisa alleanza dei Galli.Facilmente per la sua pochezza lo poteva
testimoniare, perché non era a tal punto inesperto delle cose da sperare con le
sue truppe di superare il popolo romano.Ma il piano della Gallia era comune:era
questo il giorno stabilito per espugnare tutti gli accampamenti invernali di
Cesare, perché una legione non potesse venire in aiuto all'altra. Non
facilmente come Galli avevano potuto dir di no a dei Galli, soprattutto perché
sembrava giusto una decisione presa per recuperare la comune libertà.Ma
poiché aveva dato soddisfazione ad essi per amor di patria, ora aveva morivo di
dovere per i benefici di Cesare; chiedeva, pregava Titurio di
ospitalità, di provvedere alla salvezza sua e dei soldati. Una grande
schiera assoldata di Germani avevano passato il Reno; questa si sarebbe
avvicinata in due giorni.La loro (dei Romani) decisione era, se volevano prima
che i confinanti se ne accorgessero, riportare i soldati fatti uscire dagli
accampamenti invernali o presso Cicerone o Labieno, uno dei quali era lontano
da loro circa cinquanta mila passi, l'altro poco di più. Lui prometteva
questo e lo confermava con giuramento, avrebbe concesso una marcia sicura
attraverso i suoi territori.Facendo questo, egli provvedeva sia alla (sua)
nazione, perché era sollevata da accampamenti invernali, e restituiva a Cesare
il favore per i suoi meriti. Fatto questo discorso Ambiorige parte.
5.XXVIII.Lite nell'assemblea dei
Romani.
Arpinio e Giunio,
riferiscono ai legati, quello che avevano udito.Essi turbati dal fatto
improvviso, anche se quelle cose erano dette da un nemico, pensavano tuttavia
che non si dovessero trascurare e soprattutto erano scossi da questa cosa, che
a stento si doveva credere che la nazione sconosciuta e povera degli Eburoni
avesse osato fare guerra al popolo romano di sua iniziativa.Così
riferiscono la cosa al consiglio e nasce tra esse una grande controversia.L.
Auruncukeio e parecchi tribunu dei soldati ed i centurioni dei primi ordini
giudicavano che non si doveva far nulla alla leggera e non si doveva partire
dagli accampamenti invernali senza l'ordine di Cesare;sostenevano che con gli
accampamenti invernali fortificati si potevano sostenere quante si voglia,
anche grandi truppe di Germani, un fatto era a testimonianza, che avevano
sostenuto il primo attacco dei nemici molto valorosamente, pur avendo inferte
per giunta molte perdite; non erano preoccupati per il vettovagliamento;
intanto stavano per arrivare rinforzi dagli accampamenti invernali vicini e da
Cesare; infine cosa c'era di più sciocco o più brutto che
prendere decisione su affari importantissimi su iniziativa del nemico?
5.XXIX.Parere di Titurio di partire contro i nemici.
Contro tali pareri Tiburio gridava che avrebbero agito tardi, quando maggiori
truppe di nemici, unitisi i Germani, si fossero riunite, o quando nei vicini
accampamenti invernali si fosse ricevuto un qualcosa di disastroso. Il momento
di decidere era breve. Pensava che Cesare fosse partito per l'Italia;altrimenti
i Carnuti non avrebbero presa la decisione di uccidere tasgezio, e gli Eburoni,
se ci fosse presente lui, non sarebbero giunti agli accampamenti con
così grande disprezzo di noi.Lui non guardava al nemico suggeritore, ma
alla realtà;il Reno era vicino; per i Germani era di grande dolore la
morte di Ariovisto e le nostre precedenti vittorie;la Gallia ridotta sotto il
potere del popolo romano dopo aver ricevuti tanti oltraggi, bruciava, estinta
la precedente fama di tattica militare. Infine chi si persuadeva in questo, che
Ambiorige esse giunto ad una decisione di tal genere senza una sicura speranza?
Il suo parere era certo in entrambe le direzioni;se non ci fosse nulla di
troppo duro, con nessun rischio sarebbero giunti alla legione vicina; se tutta
la Gallia si accodasse con i Germani, l'unica salvezza sarebbe stata posta
nella velocità.Veramente il piano di Cotta e di quelli che dissentivano,
quale esito avrebbe?In questo se non un pericolo presente, certamente
però si doveva temere la fame per il lungo assedio.
SESTO LIBRO
(Sesto anno della guerra gallica: 53 a. C.)
6.I. Leve concesse dal proconsole
Pompeo a Cesare per amicizia.
Per molte cause Cesare aspettando una maggiore sollevazione della Gallia decise
di fare una leva per mezzo dei legati M. Silano, C. Antistio Regino, T. Sestio.
Contemporaneamente chiede al proconsole Gn. Pompeo, poiché egli rimaneva presso
Roma col comando per motivo di stato, che, quelli che aveva chiamato dalla
Gallia Cisalpina con giuramento consolare, ordinasse di raggiungere le insegne
e di partire alla volta di lui (Cesare), pensando anche che importasse molto
per il tempo successivo per la stima della Gallia che si vedessero le risorse
dell'Italia così grandi, che, se in guerra si fosse ricevuto qualcosa di
danno, non solo quello si risarcisse in breve tempo, ma anche si potesse
incrementare con truppe maggiori. Ed avendolo concesso Pompeo per (motivi di)
stato e di amicizia. Terminata velocemente la leva per mezzo dei suoi,
organizzate prima della fine dell'inverno tre legioni e guidatele, e raddoppiato
il numero di quelle coorti che aveva perduto con Q. Titurio, sia con la
velocità che con le truppe insegnò cosa potessero la disciplina
ed i mezzi del popolo romano.
6.II. Alleanza dei Treveri con Ambiorige.
Tolto di mezzo Induziomaro, come rivelammo, il comando è concesso ai
suoi parenti da parte dei Treveri. Essi non desistono dal sollecitare i
confinanti Germani e promettere denaro.
Non potendo ottenere dai vicini, tentano i lontani.
Trovate alcune nazioni si rassicurano tra loro con giuramento e con gli ostaggi
garantiscono per il denaro; si uniscono Ambiorige con alleanza e patto.
Sapute queste cose, Cesare vedendo che da ogni parte si preparava la guerra,
che Nervi, Atuatuci, Menapi, aggiuntisi tutti i Germani Transrenani, erano in
armi, che i Senoni non venivano secondo l'ordine e scambiavano piani con
Carnuti e nazioni confinanti, che i Germani erano sollecitati dai Treveri con
frequenti ambascerie, pensò che dovesse riflettere più
adeguatamente alla guerra.
6.III. Strage e resa dei nervi;
concilio di tutta la Gallia indetto da Cesare.
Così non trascorso ancora l'inverno, raccolte quattro legioni vicine
all'improvviso si diresse nei territori dei Nervi e, prima che essi potessero o
riunirsi o fuggire, catturato un gran numero di bestiame e di uomini, e
concessa quella preda ai soldati, devastati i campi, li costrinse a venire alla
resa e dargli
ostaggi.
Conclusa velocemente quella impresa di nuovo ricondusse le legioni negli
accampamenti invernali.
Indetto il concilio della Gallia in primavera, come aveva deciso, mentre gli
altri eccetto Senoni, Carnuti e Treveri, erano arrivati, pensando essere questo
l'inizio della guerra e della ribellione, tanto che sembrava (giusto) anteporre
tutto trasferisce l'assemblea a Lutezia dei Parisi.
Questi erano confinanti dei Senoni ed al tempo degli antenati avevano unito la
nazione, si pensava fossero lontani da questo piano. Detta questa cosa dalla
tribuna nello stesso giorno parte con le legioni dai Senoni e vi arriva a marce
forzate.
6.IV.Resa di senoni e Carnuti.
Conosciuto il suo arrivo, Accone, che era stato l'iniziatore di quella
decisione, ordina che la moltitudine si riunisca in città.
Ai Carnuti viene annunciato, prima che si potesse fare ciò, che ci sono
i Romani.
Necessariamente desistono dall'idea e mandano ambasciatori a Cesare per
supplicarli; si presentano per il tramite degli Edui, sotto la cui protezione
si trovava la nazione dall'antichità.
Volentieri Cesare, chiedendolo gli Edui, concede il perdono ed accoglie la
scusa, poiché riteneva che l'estate fosse tempo di imminente guerra, non di
processo.
Comandati i cento ostaggi li consegna da custodire agli
Edui.
Nello stesso luogo i Carnuti mandano ambasciatori e ostaggi, servendosi come
intermediari dei Remi, nella cui clientela si trovavano; portano le stesse
risposte. Cesare conclude l'assemblea e comanda cavalieri alle nazioni.
6.V.Piano di Cesare contro
Ambiorige e marcia contro i Messapi .
Pacificata questa parte della Gallia con intelligenza e coraggio si dà
tutto per la guerra di Treveri e di Ambiorige.
Comanda che Cavarino con la cavalleria dei Senoni parta con lui, perché non ci
sia nessuna ribellione della nazione per il rancore di costui o per quell'odio,
che aveva meritato.
Stabilite queste cose, poiché aveva per risaputo che non avrebbe indotto
Ambiorige allo scontro, indagava con attenzione gli altri suoi piani.
I Menapi erano vicini ai territori degli Eburoni, fortificati da continue
paludi e selve, che unici non avevano mai inviato ambasciatori a Cesare per la
pace.
Sapeva che Ambiorige aveva vincolo di ospitalità con essi; ugualmente
aveva saputo che tramite i Treveri era venuto in amicizia con i Germani.
Pensava che bisognava togliergli questi aiuti prima che lo provocasse con la
guerra, perché, disperato lo scampo, o si nascondesse dai Menapi o fosse
costretto ad unirsi ai Tranrenani.
Presa questa decisione, manda i carriaggi di tutto l'esercito da Labieno presso
i Treveri e comandano che partano due legioni verso di lui, egli con cinque
legioni libere parte per
i Menapi.
Quelli, radunata nessuna squadra, confidando nella difesa del luogo si
rifugiano nelle selve e nelle paludi e là portano le loro cose.
6.VI. Resa dei Menapi.
Cesare, divise le truppe col legato C. Fabio ed il questore M. Crasso,
costruiti velocemente dei ponti, avanza su tre fronti, incendia abitazioni e
villaggi, s'impossessa di gran numero di bestiame e di uomini.
Costretti da queste cose, i Menapi inviano Ambasciatori a lui per chiedere la
pace.
Egli, ricevuti gli ostaggi, conferma che li avrebbe considerato nel numero dei
nemici, se avessero accolto nei loro territori o Ambiorige o i suoi
ambasciatori.
Rafforzate queste posizioni, lascia l'atrebate Commio tra i Menapi in
qualità di custode con la cavalleria, egli parte contro i Treveri.
6.VII.Piano di Labieno di fingere
paura verso i Treveri.
Mentre da parte di Cesare si facevano queste cose, i Treveri, raccolte grandi
truppe di fanteria e cavalleria, si preparavano ad assalire Labieno con una
sola legione, che aveva svernato nei loro territori. Ed ornai non erano lontani
da lui più di una marcia di due giorni, quando vengono a sapere che
erano giunte due legioni per ordine di Cesare. Posti gli accampamenti a
quindici mila passi decidono di aspettare gli aiuti dei Germani.
Labieno saputo il piano dei nemici sperando che per la loro impazienza sarebbe
capitata qualche possibilità di scontrarsi, lasciata una guarnigione di
5 coorti per i carriaggi, con 15 coorti e con una numerosa cavalleria parte
contro il nemico e lasciato in mezzo uno spazio d mille passi fortifica gli
accampamenti.
C'era tra Labieno ed il nemico un fiume di difficile passaggio e con rive
scoscese.
Egli né aveva in animo di passare questo né pensava che l'avrebbero
attraversato i nemici.
Ogni giorno aumentava la speranza di aiuti.
Parla apertamente all'assemblea, poiché si diceva che i Germani si
avvicinavano, lui non avrebbe messo a rischio le sorti sue e dell'esercito ed
il giorno dopo alla prima luce avrebbe levato gli accampamenti. Velocemente
queste cose vengono riferite ai nemici, poiché tra un gran numero di cavalieri
galli la natura costringeva che alcuni favorissero le cose galliche.
Labieno di notte, radunati i tribuni dei soldati ed i primi ordini, rivela cosa
ci sia di suo piano e, per dare ai nemici più facilmente il sospetto di
paura, comanda di levare gli accampamenti con chiasso e disordine maggiore di
quanto porti la consuetudine del popolo romano.
Con queste cose rese la partenza simile ad una fuga.
Queste cose prima della luce vengono riferite tramite gli esploratori ai nemici
in così grande vicinanza di accampamenti.
6.VIII. Improvviso attacco di
Labieno e fuga dei nemici.
L'ultima schiera (la retroguardia) era appena uscita fuori dalle
fortificazioni, quando i Galli rincuoratisi tra di loro per non perdere la
preda sperata - (dicendo che) era lungo aspettare l'aiuto dei Germani, essendo
i Romani terrorizzati, e la loro dignità non tollerava di non osare
assalire con così grandi truppe una squadra così piccola,
soprattutto che fuggiva ed impacciata - non esitano a passare il fiume e attaccare
battaglia in postazione sfavorevole.
Ma Labieno sospettando che sarebbe accaduto, per attirare tutti al di qua del
fiume, usando la medesima finzione di marcia avanzava tranquillamente. Poi
mandati avanti un poco i carriaggi e dislocatili su di una altura 'Avete,
disse, soldati, la opportunità che avete cercato;
tenete il nemico in un luogo difficile e sfavorevole: offrite a noi comandanti
lo stesso valore che molto spesso avete offerto al vostro generale (Cesare), e
pensate che lui è presente e vede queste cose di persona.'
Contemporaneamente comanda che le insegne si girino contro il nemico e che la
schiera avanzi, e lasciate poche squadre di guardia ai carriaggi, dispone gli
altri cavalieri ai lati.
Velocemente i nostri, alzato il grido, lanciano i giavellotti contro i nemici.
Quelli, quando al di là dell'attesa, videro quelli che poco prima
credevano in fuga, venire contro di loro con le insegne contro, no poterono
sostenere l'impeto e al primo scontro mandati in fuga di diressero alle selve
vicine.
Avendoli quindi inseguiti, Labieno, fattone fuori un gran numero, catturatine
parecchi, dopo pochi giorni accolse la (resa della) città.
Infatti i Germani che venivano in aiuto, sentita la fuga dei Treveri, si
diressero in patria.
Con questi i parenti di Induziomaro, che erano stati autori della ribellioni,
accomnandoli se ne andarono dalla nazione. A Cingetorige, che fin
dall'inizio abbiamo detto esser rimasto all'impegno, fu consegnato il comando
ed il potere.
6.IX.Piano di cesare di costruire un ponte e resa degli Ubi..
Cesare, dopo che giunse (provenendo) dai Menapi ai Treveri, decise di passare
il Reno per due motivi;
uno di questi era il fatto che avevano mandato aiuti ai Treveri contro di lui,
il secondo, perché Ambiorige non avesse accoglienza da loro. Decise queste
cose, poco più sopra a quel luogo, dove aveva fatto passare l'esercito,
ordinò di costruire un ponte. Essendo conosciuto e stabilito il sistema,
con grande sforzo dei soldati, in pochi giorni l'opera è compiuta.
Lasciato tra i Treveri una forte guarnigione presso il ponte, perché nessuna
ribellione sorgesse da parte di questi, fa passare le altre truppe e la
cavalleria.
Gli Ubi che prima avevano dato ostaggi ed erano venuti alla resa, per scusarsi
gli mandano ambasciatori, a dire che né dalla loro nazione erano stati inviati
aiuti verso i Treveri né da loro era stata violata la lealtà; chiedono e
scongiurano di perdonarli, perché per il comune odio dei Germani (loro)
innocenti non assero il fio al posto di colpevoli; promettono, se volesse un
di più di ostaggi, che sia dato.
Saputo il motivo, Cesare scopre che gli aiuti erano stati mandati dagli Svevi,
accolse la giustificazione degli Ubi, indaga (per sapere) gli accessi ed le
strade verso gli Svevi.
6.X. Decisione degli Svevi di aspettare
l'arrivo di Cesare alla selva di Baceni.
Intanto dopo pochi giorni viene informato dagli Ubi che gli Svevi radunano
tutte le truppe in uno stesso luogo e ordinano alle nazioni che sono sotto il
loro potere di inviare aiuti di fanteria e di cavalleria.
Conosciute queste cose provvede il vettovagliamento, sceglie un luogo adatto
per gli accampamenti; ordina agli Ubi di portare via le mandrie e di radunare
tutte le loro cose dai campi in città, sperando che uomini barbari ed
inesperti spinti dalla mancanza delle cibarie possano essere indotti ad una
sfavorevole condizione di combattere; comanda di inviare continui esploratori
dagli Svevi e sapere le cose che si fanno presso di loro.
Essi eseguono i comandi e trascorsi pochi giorni riferiscono: ( che) tutti gli
Svevi, dopo che erano giunte notizie piuttosto sicure sull'esercito dei Romani,
con tutte le truppe loro e degli alleati, che avevano radunato, si erano
raccolti completamente agli estremi confini; lì c'era una selva di
infinita grandezza, che si chiama Baceni; questa si estende molto all'interno e
gettata come un muro naturale blocca da danneggiamenti ed incursioni i Cherusci
dagli Svevi e gli Svevi dai Cherusci. All'inizio di quella selva gli Svevi
avevano deciso di aspettare l'arrivo dei Romani.
6.XI.Tradizioni della Gallia e della Germania.
Poiché si è giunti a questo luogo, non sembra
essere strano riflettere sulle tradizioni della Gallia e della Germania e in
che cosa queste nazioni differiscano
tra loro. In Gallia ci sono dei partiti non solo in tutte le nazioni e in tutti
i villaggi e frazioni, ma quasi anche nelle singole case e sono capi di quei
partiti, coloro che sono stimati avere
il massimo prestigio secondo il loro parere, all'arbitrio
e giudizio dei quali vada la conclusione di tutte le cose e decisioni.
E sembra che ciò sia stato organizzato anticamente a causa di quel
motivo, perché nessuno tra la plebe mancasse di aiuto contro uno più
potente. Nessuno infatti sopporta che i suoi siano oppressi o circuiti,
altrimenti se lo facesse, non ha più alcun prestigio tra i suoi. Questo
è un metodo nel complesso di tutta la Gallia; infatti tutte le nazioni
sono divise in due partiti.
6.XII.I due partiti della Gallia:
Edui e Sequani.
Quando Cesare venne in Gallia, capi di un partito erano gli Edui, dell'altro i
Sequani.
Questi valendo di meno in sé, perché anticamente
la totalità del prestigio era negli Edui e le loro
clientele erano grandi, si erano alleati i Germani ed
Ariovisto e li avevano attirati a sé con grandi danni e
promesse.
Fatti quindi parecchi scontri favorevoli e fatta fuori tutta la nobiltà
degli Edui erano cresciuti così tanto in potenza, da trascinare a sé
dagli Edui gran parte dei clienti e ricevere da essi come ostaggi i li dei
capi e costringere a giurare pubblicamente di non intraprendere nessuna
decisione contro i Sequani e possedere la parte del territorio
confinante,occupata per mezzo della forza, e mantenere il potere di tutta la
Gallia.
Spinto da questa necessità Diviziaco partito per Roma per chiedere aiuto
al senato, era ritornato, senza concludere l'impresa. All'arrivo di Cesare,
avvenuto il cambiamento, restituiti gli ostaggi agli Edui, ripristinate le
vecchie clientele, procuratene nuove grazie a Cesare, perché quelli che si
erano aggregati alla loro amicizia, vedevano che godevano di migliore
condizione e potere più giusto, essendo amplificata per le altre cose il
loro favore e prestigio, i Sequani avevano perso la supremazia. Al loro posto
erano succeduti i Remi; e poiché si capiva che essi li eguagliavano in favore
presso Cesare, quelli che a causa di antiche inimicizie in nessun modo potevano
essere uniti agli Edui, si davano ai Remi per la clientela.
Essi li difendevano attentamente; così ottenevano una nuova
autorevolezza e raccolto improvvisamente; ed allora la situazione era in uno
stato tale che di gran lunga i capi erano ritenuti gli Edui, i Remi detenevano
in secondo posto di prestigio.
6.XIII. Due classi di persone in Gallia.
In tutta la Gallia di quelle persone che sono in qualche stima ed onore, ci
sono due classi.
Infatti la plebe è considerata quasi alla maniera di schiavi, ed essa
nulla osa da sé, non è usata per nessuna decisione.
Parecchi quando sono oppressi o da debito o da
quantità di tributi o da oltraggio di più potenti, si offrono in
schiavitù.
I nobili hanno su questi tutti gli stessi diritti che i padroni (hanno) sugli
schiavi.
Ma tra queste due classi la prima è dei druidi, la seconda dei
cavalieri.
Quelli intervengono nei riti sacri, curano i sacrifici pubblici e privati,
interpretano le cose religiose.
Presso questi accorre un gran numero di giovani per l'educazione e questi
presso di loro sono in grande onore.
Infatti decidono di quasi tutte le controversie pubbliche e private, e se
è stato commesso qualche delitto, se c'è stata una uccisione, se
la controversi è per l'eredità, per i confini, ugualmente
giudicano e decidono premi e castighi.
Se qualcuno o privato (cittadino) o un gruppo non si è attenuto alla
loro decisione, lo interdicono dai sacrifici.
Questo castigo presso di loro è gravissimo.
A chi si è interdetto, questi sono considerati nel novero degli empi e
degli scellerati, tutti schivano costoro, sfuggono dal loro incontro e dialogo,
per non ricevere dal contatto un qualcosa di danno, né anche se questi lo
chiedono è data giustizia e non si concede alcun onore.
Ma uno solo è a capo di tutti questi druidi, che ha tra loro la massima
autorità.
Morto questi o succede, se qualcuno eccelle per prestigio, o se parecchi sono i
pari, si elegge col suffragio dei druidi;
talvolta si scontrano anche con le armi per la
supremazia.
Questi in un preciso periodo dell'anno risiedono in un luogo sacro nei
territori dei Carnuti, regione che è considerata centrale di tutta la
Gallia. Qui tutti da ogni parte, quelli che hanno controversie, si riuniscono
ed obbediscono ai loro decreti e giudizi. Si ritiene che la dottrina sia stata
inventata in Britannia e di lì portata in Gallia e adesso quelli che
vogliono conoscere meglio quella cosa, per lo più vanno là per
imparare.
6.XIV. La classe di druidi.
I druidi sono soliti esser lontani dalla guerra e non ano tributi insieme
con gli altri.
Hanno la dispensa del servizio militare e l'immunità di tutte le cose.
Spronati da così grandi premi molti sia spontaneamente vanno a scuola
sia vengono mandati da genitori e parenti.
Si dice che lì imparano a memoria un gran numero di versi.
Così alcuni restano a scuola per venti anni.
Ritengono non essere lecito affidare quelle cose alla scrittura, mentre in
quasi tutte le altre cose, in affari pubblici e privati, usano la scrittura
greca.
Questo a me sembra l'abbiano stabilito per due motivi, perché né vogliono che
la dottrina sia portata al volgo né quelli, che imparano, confidando nella
scrittura occupino meno la memoria, cosa che accade quasi a parecchi che con la
garanzia della scrittura tralasciano l'impegno nell'apprendere bene e la
memoria. Anzitutto vogliono persuadere di questo, che le anime non muoiono, ma
dopo la morte da alcuni passano al altri, e ritengono che questo soprattutto
sproni al valore, trascurata la paura della morte. Inoltre trattano molte cose
sulle stelle ed il loro moto, sulla grandezza del mondo e delle terre, sulla
natura delle cose, sulla forza ed il potere degli dei immortali e le
trasmettono alla gioventù.
6.XV. La seconda classe dei
cavalieri.
La seconda è la classe dei cavalieri.
Questi quando c' bisogno e capita qualche guerra - cosa che prima dell'arrivo
di Cesare soleva accadere quasi annualmente che o essi recassero danni o
respingessero quelli inferti -,
tutti si trovano in guerra e quanto uno di loro è più ricco per
famiglia e ricchezze, così ha attorno a sé moltissimi servi e clienti.
Conoscono questo unico credito e potenza.
6.XVI. Pratiche religiose dei
Galli.
Tutta la nazione dei Galli è molto dedita alle pratiche religiose e per
tale motivo, quelli che sono affetti da malattie piuttosto gravi e quelli che
si trovano nei combattimenti e nei pericoli o sacrificano persone come vittime
o promettono di sacrificarne, e per tali sacrifici si servono dei druidi come
ministri, perché pensano che la volontà degli dei immortali non possa
essere placata altrimenti se per la vita di un uomo non è riata dalla
vita di un ( altro ) uomo, e a spese pubbliche hanno stabilito sacrifici di tal
genere. Altri hanno statue di enorme grandezza, le cui membra intessute di
vimini riempiono di uomini vivi; ed essendo queste (statue) bruciate, gli
uomini, circondati dalla fiamma, muoiono.
I supplizi di coloro che siano stati sorpresi nel furto o nella rapina o
colpevoli di qualcosa, ritengono siano più graditi agli dei immortali.
Ma quando manca la disponibilità di tal genere, ricorrono anche a
sacrifici di innocenti.
6.XVII. Le divinità dei
Galli.
Come dio adorano soprattutto Mercurio.
Di costui ci sono moltissime immagini, questi lo dicono inventore di tutte le
arti, questi guida delle vie e dei viaggi, credono che questi abbia una potenza
grandissima per ricerche di denaro e per i commerci.
Dopo questi Apollo, Marte, Giove, Minerva.
Su di questi hanno quasi la stessa concezione che (hanno) gli altri popoli:
(che) Apollo caccia le malattie, Minerva tramanda i principi delle
attività e dei mestieri, Giove detiene il potere dei celesti, Marte
governa le guerre.
A questi, quando hanno deciso di scontrarsi in battaglia,dedicano per lo
più le cose che hanno preso con la guerra; quando hanno vinto,
sacrificano gli animali catturati e radunano le altre cose in un solo luogo: In
molte nazioni è possibile vedere tumuli di queste cose innalzati in
luoghi sacri;
né capita spesso che qualcuno, trascurato lo scrupolo religioso, osi o
nascondere presso di sé le cose prese o togliere quelle deposte, per questa
cosa è stato stabilito il supplizio più grave con la tortura.
6.XVIII.Origine dei Galli ed
educazione dei li.
I Galli proclamano di essere nati tutti da Dite e dicono che ciò
è stato tramandato dai druidi.
Per tale motivo definiscono gli spazi di tutto il tempo non col numero dei
giorni, ma delle notti; i giorni natalizi e gli inizi dei mesi e degli anni li
celebrano così che il giorno venga dopo la notte. Nelle altre
istituzioni della vita in questo un poco differiscono dagli altri, per il fatto
che non tollerano che i loro li vadano da loro in pubblico, se non quando
sono cresciuti da poter sostenere il dovere della vita militare e reputano disdicevole
che un lio in età da bambino appaia in pubblico alla presenza del
padre.
6.XIX.Mariti e mogli.
I mariti, quanti beni hanno ricevuto dalle mogli a titolo di dote, altrettanti
dei loro, fatta la stima, li mettono in comune con le doti.
L'amministrazione di tutto questo bene si tiene congiuntamente ed i frutti si
conservano; chi di loro sia sopravvissuto, a lui va parte di entrambi con i
frutti dei tempi precedenti.
I mariti hanno sulle mogli potere di vita e di morte come sui li e quando un
capo famiglia di rango piuttosto elevato è morto, i suoi parenti si
riuniscono e per la morte, se il fatto viene in sospetto, fanno una inchiesta
sulle mogli al modo degli schiavi e, se si è avuta prova, le fanno fuori
dopo averle seviziate col fuoco e con tutte le torture.
I funerali a confronto della civiltà dei Galli sono magnifici e
sontuosi; tutte le cose che pensano fossero state a cuore ai vivi le gettano
sul fuoco, anche gli animali, e fino a poco prima di questa epoca anche schiavi
e clienti, che risultava esser stati da loro amati, fatti i rituali funerali,
venivano cremati insieme.
6.XX.Segreti di stato conservati
dai magistrati.
Le nazioni che sono stimate amministrare meglio il loro stato, hanno sancito
per legge che, se uno ha saputo qualcosa dai confinanti sullo stato da notizia
e voce, lo riferisca al magistrato e non lo comunichi con un altro, poiché
è risaputo che uomini imprudenti ed inesperti si spaventano per false
chiacchiere e sono indotti a mala azione e prendere decisione su cose importantissime.
I magistrati segregano quello che è parso (giusto) e rivelano alla folla
quello che hanno giudicato essere di utilità.
Sullo stato non è concesso parlare se non per mezzo dell'assemblea.
6.XXI. Tradizioni dei Germani.
I Germani si differenziano molto da questa consuetudine.
Non hanno infatti druidi, che presenzino ai riti religiosi, né si curano dei
sacrifici.
Considerano nel novero degli dei i soli, che vedono e dai cui potenze sono
aiutati, (cioè) Sole, Vulcano, Luna, gli altri non li hanno accolti
neppure per fama.
Tutta la vita consiste in cacce ed impegni di attività militare; da
piccoli si applicano alla fatica ed alla asprezza.
Quelli che sono rimasti per molto tempo casti, ottengono molto onore tra loro;
con questo credono che si aumenti la statura, si rafforzino forze e nervi.
Ma l'aver avuto conoscenza di una femmina entro il ventesimo anno lo
considerano tra le cose più brutte.
Di questa cosa non c'è alcun mistero, perché promiscuamente si lavano
nei fiumi o usano piccoli rivestimenti, con gran parte del corpo nuda.
6.XXII.Agricoltura,
alimentazione, voglia di guerra.
Non praticano l'agricoltura, e la maggior parte del loro vitto consiste in
latte, formaggio, carne.
Nessuno ha una misura precisa di terreno o territori propri, ma i magistrati ed
i capi per i singoli anni attribuiscono alle famiglie ed alle parentele di
persone e quelli che si sono messi insieme, quanto di terreno e in che luogo
sia parso (opportuno) e dopo un anno li obbligano a passare altrove.
Di tale cosa portano molti motivi:
perché presi da continua abitudine non mutino la voglia di far guerra con
l'agricoltura;
perché non vogliano procurare territori vasti e (uomini) più potenti
caccino dai possedimenti (uomini) più umili;
perché non costruiscano (abitazioni) troppo accuratamente per evitare i freddi
ed i caldi; perché non nasca una bramosia di denaro, dalla qual cosa nascono
partiti e divisioni;
perché mantengano il popolo con l'eguaglianza dell'animo, vedendo ciascuno che
le sue ricchezze si equiparano con i più potenti.
6.XXIII.Usanze di vita..
Per le nazioni è massima gloria è che essi abbiano attorno il
più ampiamente possibile, devastati i territori, dei deserti. Questo
stimano proprio del valore, che i confinanti espulsi si ritirino dai campi r
che nessuno osi fermarsi vicino a loro.
Con questo insieme pensano che saranno più sicuri, tolto il timore di un
improvviso assalto.
Quando la nazione o s'oppone ad una guerra dichiarata o la dichiara, vengono
scelti magistrati che presiedano a quella guerra ed abbiano il potere di vita e
di morte.
In pace non c'è nessun magistrato comune, ma i capi delle regioni e dei
villaggi amministrano la giustizia tra i loro e riducono le controversie. Le
rapine non hanno nessuna infamia, quelle (però) che siano fatte fuori
dei territori di ogni nazione, e proclamano che si facciano per esercitare la
gioventù e diminuire la pigrizia.
Ma quando uno tra i capi ha detto in assemblea che sarà comandante
(d'una spedizione) e quelli che vogliono seguirlo lo dichiarino, si alzano
quelli che approvano la causa e la persona e promettono il loro aiuto e sono
approvati dalla folla;
quelli tra loro che non l'anno seguito sono considerati nel novero dei
disertori e traditori, ed in seguito a questi è tolta il credito di
tutte le cose.
Credono sacrilego violare l'ospite; quelli che per qualunque motivo sono
arrivati da loro, li difendono da danno e li considerano sacri, per questi le
case di tutti sono aperte e viene condiviso il vitto.
6.XXIV.Povertà dei Germani
e ricchezze dei Galli.
Ma ci fu prima un tempo, quando i Galli superavano i Germani per valore,
spontaneamente dichiaravano guerra, inviavano colonie oltre il Reno a causa
della quantità di uomini e povertà di terreno.
Così quei luoghi della Germania che sono i più fertili attorno
alla selva Ercinia, che vedo esser stata conosciuta per fama ad Eratostene e ad
alcuni Greci, che essi chiamano Orcinia, li hanno occupati i Volci ed i
Tettosagi e lì si sono insediati; questo popolo fino a questa epoca si
mantiene in queste sedi ed ha una grandissima fama di giustizia e di valore
militare.
Ora poiché i Germani permangono nella stessa povertà, bisogno,
rassegnazione usano lo stesso vitto e cultura, ai Galli invece la vicinanza
delle province e la conoscenza delle cose d'oltremare offre molte cose per
l'abbondanza e l'utilità, a poco a poco assuefatti ad esser superati e
vinti da molte battaglie, essi non si paragonano neppure con essi per il
valore.
6.XXV. La selva Ercinia.
La larghezza di questa selva Ercinia, che sopra è stata nominata, si
espande per un cammino di nove giorni di buona lena:
infatti non può essere misurata altrimenti e non sanno le misure dei
percorsi.
Nasce dai territori di El, Nemesi, Rauraci e dalla regione
parallela del fiume Danubio giunge ai territori dei Daci e degli Anarti.
Di qui si flette a sinistra in regioni diverse dal fiume e per la grandezza
tocca i territori di molti popoli.
E non c'è nessuno di questa Germania che dica o di aver raggiunto
l'inizio di quella selva, pur avendo camminato (per) un percorso di 60 giorni o
abbia saputo da quale luogo nasca.
Risulta che in essa nascono generi di fiere, che non sono state viste negli
altri luoghi, ma tra questi quelli che particolarmente differiscono dagli altri
e sembrano da assegnare al ricordo, sono questi
6.XXVI.Un bue dall'aspetto di
cervo.
C'è un bue dall'aspetto di cervo, dal centro della cui fronte si alza
tra le orecchie un unico corno più grande e più diritto di questi
corni, che sono noti a noi;
dalla sua sommità si diffondono attorno come palme e rami.
Identica è la natura del maschio e della femmina, identico l'aspetto e
la grandezza delle corna.
6.XXVII. Le alci.
Ci sono ugualmente quelle che si chiamano alci.
L'aspetto di queste e la varietà delle pelli è simile alle capre,
ma per la grandezza le superano un poco, sono mozze di corna ed hanno le zampe
senza giunture ed articolazioni.
Non si coricano per il riposo, né se sono cadute per qualche caso, possono
ergersi o alzarsi. Esse hanno le piante come tane;
ad esse si appoggiano e così appena un poco piegate prendono riposo.
Quando da parte dei cacciatori è stato notato dalle orme dove sono
solite ritirarsi, in quel luogo scalzano tutti gli alberi o li tagliano, tanto
che si lascia la massima apparenza di quelle (piante) che stanno (in piedi).
Quando si so sono piegate qui per abitudine, col peso colpiscono le piante ed
esse insieme stramazzano.
6.XXVIII. Gli uri.
Terza è la specie di quelli che si chiamano uri.
Questi per grandezza sono un poco sotto gli elefanti, con aspetto, colore,
ura di un toro.
Grande è la loro forza, e grande la velocità; ma non risparmiano
né una persona né una fiera, che hanno visto.
Fanno fuori costoro, catturatili con buche.
In questa fatica si fortificano i giovani e si esercitano con questo genere di
caccia, e quelli tra essi che ne hanno uccisi moltissimi, portate in pubblico
le corna, che siano di testimonianza, riportano grande gloria.
Ma catturati neppure da piccoli possono abitarsi agli uomini ed essere
addomesticati.
L'ampiezza delle corna, la ura e l'aspetto differisce molto dalle corna dei
nostri bovini.
Queste (corna) appassionatamente ricercate, le coprono di argento sugli orli e
le usano come coppe nei banchetti più fastosi
6.XXIX.Partenza di Cesare contro Ambiorige.
Cesare dopo che venne a sapere attraverso gli esploratori Ubi che gli Svevi si
erano ritirati nelle selve, temendo la scarsità di vettovagliamento,
perché, come prima dicemmo, i Germani non praticano minimamente l'agricoltura,
decise di non avanzare più a lungo; ma, per non togliere completamente
ai barbari la paura di un suo ritorno e per ritardare i loro aiuti, riportato
indietro l'esercito taglia l'ultima parte del ponte, che toccava le rive degli
Ubi per la lunghezza di duecento piedi ed all'estremità del ponte
costruisce una torre di quattro piani e pone una guarnigione di dodici coorti
per custodire il ponte e rafforza quel luogo con grandi fortificazioni.
Mette a capo di quella postazione e guarnigione C. Volcacio Tullo il giovane.
Egli, poiché i cereali cominciavano a maturare, partito per la guerra di
Ambiorige attraverso la selva Ardenna, che è la maggiore di tutta la
Gallia e si estende dalle rive del Reno ed i territori dei Treveri fino ai
Nervi e si espande per più di cinquecento miglia in lunghezza, manda
avanti L. Minucio Basilo con tutta la cavalleria, se potesse guadagnare
qualcosa con la velocità della marcia e l'opportunità
dell'occasione;
dispone che vieti si facciano fuochi negli accampamenti, perché da lontano non
si faccia una qualche segnalazione del suo arrivo; dice che lui segue subito.
6.XXX.Fuga di Ambiorige, con
l'aiuto della sorte.
Basilo fa come è stato comandato.
Effettuata la marcia velocemente e contro l'aspettativa di tutti, sorprende
molti che no sospettavano nei campi.
Con la loro indicazione si dirige contro lo stesso Ambiorige, nel luogo in cui
si diceva che fosse con pochi soldati.
Molto sia in tutte le cose, sia in tattica militare può la (dea)
Fortuna.
Infatti accadde per grande casualità, che capitasse proprio su di lui
incauto e pure impreparato, e che il suo arrivo fosse visto da tutti prima che
la fama e la notizia venisse arrecata, e così di grande fortuna, tolto
ogni apparato militare che aveva attorno a sé, essendo stati catturati carri e
cavalli, che lui sfuggisse alla morte.
Ma questo avvenne perché, essendo l'abitazione circondata da una selva, come
sono per lo più le case dei Galli, che per evitare il caldo generalmente
cercano le vicinanze di selve e fiumi, i suoi comni e famigliari in un luogo
ristretto sostennero un poco l'attacco dei nostri cavalieri.
Mentre questi combattevano, uno dei suoi lo mise a cavallo,
le selve lo protessero.
Così sia per affrontare il pericolo sia per evitarlo molto valse la
(dea) Fortuna.
6.XXXI.Nazioni congedate da Ambiorige e suicidio del re Catuvolco.
Se Ambiorige non guidò le sue truppe per decisione, perché non ritenesse
di scontrarsi a battaglia, o distolto dalla situazione e bloccato dall'arrivo
improvviso dei cavalieri, credendo che il resto dell'esercito seguisse,
è cosa dubbia.
Ma certamente mandati messaggeri per i campi ordinò che ciascuno badasse
a se stesso.
E una parte di essi si rifugiò nella selva Ardenna, parte nelle paludi
vicine.
Quelli che furono vicini all'Oceano, questi si nascosero nelle isole che le
maree sono solite fare.
Molti usciti dai propri territori affidarono se e tutte le loro cose ai
più estranei.
Catuvolco re della metà degli Eburoni, che insieme con Ambiorige aveva
intrapreso il piano, ormai oppresso dall'età, non potendo sostenere la
fatica o della guerra o della fuga, dopo aver detestato con grandi imprecazioni
Ambiorige, che era stato promotore di quel piano, col tasso, di cui in Gallia
ed in Germania c'è grande abbondanza , si suicidò.
6.XXXII.Accampamenti posti ad
Atuatuca nei territori degli Eburoni.
Segni e Condrusi, della razza e della popolazione dei Germani,
che sono tra Eburoni e Treveri, mandarono ambasciatori da Cesare per pregare di
non considerarli nel numero dei nemici e non pensasse che la causa di tutti i
Germani, che sono di qua dal Reno fosse unica;
essi non avevano macchinato nulla circa la guerra, non avevano mandato nessun
aiuto ad Ambiorige.
Cesare esaminata la situazione con l'interrogatorio dei prigionieri,
ordinò che se alcuni Eburoni fosse venuto in fuga da loro, fosse
riportato da lui; se avessero fatto così, disse che no avrebbe violato i
loro territori.
Poi distribuite le truppe in tre parti portò i carriaggi di tutte le
legioni presso Atuatuca. Tale è il nome della fortezza.
Questa è quasi al centro dei territori degli Eburoni, dove Titurio ed
Aurunculeio si erano stanziati per svernare.
Approvava sia per altre cose questo luogo, sia poiché le fortificazioni
dell'anno precedente rimanevano intatte, per alleviare le fatiche dei soldati.
Lasciò a guarnigione per i carriaggi la quattordicesima legione, una
delle tre, che recentemente arruolate aveva portato
dall'Italia.
A tale legione ed accampamenti mise a capo Q. Tullio Cicerone e gli
assegnò duecento cavalieri.
6.XXXIII.Divisione dell'esercito
su Oceano, Atuatuci e fiume Schelda.
Diviso l'esercito ordina che T. Labieno parta con tre legioni per l'Oceano
verso quelle parti, che toccano i Menapi, L. Trebonio con pari numero di
legioni per quella regione,
che giace vicino agli Atuatuci, lo manda a saccheggiare, egli decise di andare
con le altre tre legioni presso il fiume Scheda, che sfocia nella Mosa ed alle
parti estreme dell'Ardenna, dove sentiva (dire) essere partito Ambiorige con
pochi
cavalieri.
Partendo assicura di ritornare entro il settimo giorno, data per la quale
sapeva che si doveva il frumento a quella legione, che era rimasta a presidio.
Esorta Labieno e Trebonio, se potessero farlo a vantaggio dello stato, di
ritornare per quella data, perché, di nuovo riunito il consiglio ed esplorate
le tattiche dei nemici potessero intraprendere un altro inizio di guerra.
6.XXXIV.Massima prudenza di
Cesare per la natura del luogo.
C'era, come accennammo prima, nessuna truppa precisa, non una città, non
un guarnigione che si difendesse con le armi, ma una folla dispersa per tutte
le parti.
Dove o una valle nascosta o un luogo selvoso o una palude inaccessibile offriva
ad uno una qualche speranza di difesa o di scampo, s'era stanziato.
Questi luoghi erano noti ai vicinati e la cosa richiedeva grande attenzione non
per difendere la totalità dell'esercito - nessun rischio infatti poteva
accadere a tutti insieme da parte
di atterriti e sparliati -, ma nel preservare i singoli soldati; cosa che in
parte riguardava l'incolumità
dell'esercito.
Infatti sia la brama di bottino invitava molti troppo lontano sia le selve per
insicuri e nascosti passaggi impediva di andare uniti.
Se si voleva concludere il problema e far fuori una masnada di uomini
scellerati, bisognava impiegare parecchie squadre e disporre i soldati; se
volevano tenere i manipoli vicini alle insegne, come richiedeva una
organizzazione consolidata e la tradizione del popolo romano, il luogo stesso
era di protezione per i barbari, e non mancava l'audacia ai singoli di
insidiare da un luogo nascosto e circondare quelli che erano sparsi.
Come si poteva provvedere in difficoltà di tal genere quanto ad
attenzione, si provvedeva, tanto da tralasciare qualcosa nel nuocere, anche se
gli animi di tutti ardevano per vendicarsi, piuttosto che si nuocesse con
qualche danno dei soldati.
Cesare spedisce messaggeri alle nazioni confinanti; spinge con la speranza di
bottino a saccheggiare gli Eburoni, perché fosse in pericolo nei boschi la vita
dei Galli più che un soldato
legionario, ed insieme perché la stirpe ed il nome della nazione,
attorniata da grande folla fosse tolta per un tale misfatto.
Da ogni parte giunse un gran numero.
6.XXXV.I Sigambri condotti ad Atuatuca.
Queste cose si facevano in tutte le parti degli Eburoni e si avvicinava il
settimo giorno, data per la quale Cesare deciso di ritornare ai carriaggi ed
alla legione.
A questo punto si potè verificare quanto possa la Fortuna in guerra e
quali gravi casi produca.
Dispersi ed atterriti i nemici, come dicemmo, non c'era
nessuna squadra che producesse un soltanto piccolo motivo di timore.
Oltre il Reno arrivò ai Germani la notizia che Gli Eburoni erano
saccheggiati e che per giunta tutti erano chiamati al bottino.
I Sigambri, che sono vicini al Reno, raccolgono due mila cavalieri, e da essi
dicemmo prima erano stati accolti i Tenteri e li Usipeti in fuga.
Attraversano il Reno con navi e zattere a trenta mila passi tra quel luogo,
dove era stato completato il ponte ed il presidio lasciato da Cesare.
entrano nei primi territori degli Eburoni; catturano molti dispersi in fuga, si
impossessano di un gran numero di bestiame, di cui i barbari sono avidissimi.
Invitati dal bottino avanzano maggiormente.
Questi non li fermano la palude - nati nelle guerre e nelle rapine - non le
selve.
Chiedono ai prigionieri, in quali luoghi sia Cesare; lo scoprono partito
più avanti e vengono a sapere che tutto l'esercito
è partito.
Ma uno dei prigionieri ' Perché voi, disse, inseguite questa misera e
leggera preda, a cui è permesso essere già fortunatissimi?
In tre ore potete arrivare ad Atuatuca; qui l'esercito dei
Romani ha portato tutti i suoi averi; c'è tanto di difesa, che nemmeno
si può cingere il muro e nessuno osa uscire dalle fortificazioni'.
Offertasi la speranza, i Germani, quella preda che avevano ottenuto, la
lasciano in un luogo nascosto; essi si dirigono ad Atuatuca servendosi come
guida dello stesso, per indicazione del quale avevano saputo queste cose.
6.XXXVI.Imprudenza di Cicerone.
Cicerone, che nei giorni precedenti secondo gli ordini di Cesare aveva
mantenuto con grandissimo scrupolo i soldati negli accampamenti e non aveva
permesso che neppure un portatore qualsiasi uscisse fuori delle fortificazioni,
al settimo giorno diffidando che Cesare avrebbe rispettato la parola sul numero
dei giorni, perché sentiva che lui era partito troppo lontano e non gli veniva
portata nessuna notizia sul suo ritorno, insieme spaventato dalle chiacchiere,
che chiamavano la sua pazienza quasi un assedio, dal momento che non si poteva
uscire dagli accampamenti, aspettando nessun caso di genere tale, per cui,
essendo disposte nove legioni e grandissima cavalleria, essendo i nemici
dispersi e quasi cancellati, si potesse esser danneggiati in tremila passi,
manda cinque coorti a far vettovagliamento nelle messi vicine, tra le quali e
l'accampamento c'era in tutto una sola collina. Parecchi tra le legioni erano
rimasti negli accampamenti malati; tra questi coloro che nello spazio di
(sette) giorni erano guariti, circa trecento vengono inviati insieme col
vessillo; inoltre una grande moltitudine di facchini, una gran quantità
di giumenti, che erano stati negli accampamenti, dato il permesso, seguono.
6.XXXVII.Attacco dei nemici e
turbamento in tutti gli accampamenti.
In questo stesso tempo per caso i cavalieri germani sopraggiungono e subito con
la stessa corsa con cui erano giunti tentano di irrompere dalla porta decumana
negli accampamenti e, frapposte le selve, non furono visti prima che si
avvicinassero agli accampamenti, al punto che i mercanti che si attendavano
sotto il trinceramento, non avevano la possibilità di ritirarsi. Non aspettandoselo
i nostri si scompigliavano per il nuovo fatto, e a stento la coorte in guardia
sostiene il primo attacco. Dalle altre parti i nemici si spandono, se potessero
trovare qualche passaggio.
A fatica i nostri difendono le porte; il luogo stesso difende gli altri
ingressi e per la fortificazione se stesso.
In tutti gli accampamenti si trepida, ed uno chiede all'altro la causa dello
scompiglio; e non vedono dove si portino le insegne, né in quale parte uno si
riunisca.
Uno annuncia gli accampamenti già presi, uno afferma che, distrutto
l'esercito ed il generale, i barbari erano arrivati vincitori.
Parecchi dalla situazione si immaginano nuovi elementi religiosi e mettono
davanti agli occhi la disgrazia di Cotta e Titurio, che erano caduti nella
stessa fortezza.
Spaventati tutti da tale paura, si conferma per i barbari l'idea, come avevano
sentito dai prigionieri, che dentro non ci fosse alcuna difesa. Tentano di
irrompere e di esortano a vicenda, di non lasciarsi scappare dalle mani una
così grande fortuna.
6.XXXVIII.Eroismo del primipilo
P. Sestio Baculo..
C'era malato, rimasto nella guarnigione il primipilo P. Sestio Baculo, che
presso Cesare aveva guidati la prima fila, di cui abbiamo fatto menzione in
precedenti combattimenti, e già da tre giorni era privo di cibo.
Costui diffidando della salvezza sua e di tutti,
inerme esce dalla tenda; vede che i nemici incalzano e che la situazione
è in pericolo; prende le armi dai vicini e si ferma sulla porta.
Lo seguono i centurioni di quella coorte era di guardia; insieme per un poco
sostengono insieme la battaglia.
Lo spirito abbandona Sestio, dopo aver ricevute gravi ferite;
svenendo a stento è salvato sottratto di mano in mano.
Trascorso questo tempo, gli altri si rafforzano tanto che osano fermarsi sulle
fortificazioni ed offrono una parvenza
di difensori.
6.XXXIX.Scompiglio di tutti i nostri.
Intanto finito di far frumento i nostri soldati sentono il grido; i cavalieri
corrono avanti; s'accorgono quanto la cosa sia in pericolo.
Qui però non c'è alcuna fortificazione che accolga gli atterriti;
ora le reclute e gli inesperti della tattica militare volgono gli sguardi al
tribuno dei soldati ed ai centurioni;
aspettano cosa da questi si comandi.
Nessuno è tanto forte, che non si turbi dalla novità di una cosa:
i barbari avendo visto da lontano le insegne desistono dall'assedio, prima
credono che siano tornate le legioni, che avevano saputo dai prigionieri essere
partite abbastanza lontano; poi, disprezzata l'esiguità da tutte le
parti fanno un assalto.
6.XL.Attacco di Trebonio e valore di tutti.
I facchini corrono sull'altura vicina.
Di qui velocemente cacciati si gettano tra le insegne ed i manipoli; tanto
più atterriscono i soldati impauriti.
Altri fatto un cuneo per attaccare velocemente, pensano, poiché gli accampamenti
sono così vicini, anche se una parte circondata fosse caduta, confidano
però che gli altri si possano salvare, altri (pensano) di fermarsi sul
giogo e tutti affrontare lo stesso caso.
I soldati anziani non approvano questo, quelli che abbiam detto partiti insieme
col vessillo.
Così rincuoratisi tra loro, sotto il comando di C. Trebonio, cavaliere
romano, che era stato messo a capo di essi, irrompono in mezzo ai nemici ed
incolumi fino all'ultimo arrivano tutti agli accampamenti. Seguendo questi, cavalieri
e facchini con lo stesso attacco si salvano per l'eroismo dei soldati.
Ma quelli che si erano fermati sul giogo, non avendo ricevuta fino ad allora
nessuna esperienza di tattica militare e di permanere in quella decisione, che
avevano presa, di difendersi sulla posizione superiore e non poterono imitare
quella forza e velocità che avevano visto aver giovato agli altri, ma
tentando di ritirarsi negli accampamenti si persero in un luogo sfavorevole.
I centurioni di cui alcuni dagli ordini inferiori delle altre legioni erano
passati per il valore agli ordini superiori di questa legione, per non perdere
l'onore dell'impegno militare guadagnato prima, combattendo molto eroicamente
caddero.
Parte dei soldati, cacciati i nemici dal valore di questi giunse negli
accampamenti contro (ogni) speranza, parte circondata dai barbari perì.
6.XLI.Partenza dei nemici e
terrore dei soldati.
I Germani essendo disperato l'assedio degli accampamenti, perché vedevano che i
nostri già si erano stabiliti sulle fortificazioni, si ritirarono oltre
il Reno con quella preda, che avevano deposto nelle selve.
E tanto fu il terrore dei nemici anche dopo la partenza, che in quella notte,
essendo C. Voluseno, inviato con la cavalleria, giunto negli accampamenti, non
faceva credere che Cesare si avvicinasse con l'esercito incolume.
La paura aveva preso così gli animi, che quasi impazzita la mente,
dicevano che , distrutte tutte le truppe, la cavalleria s'era salvata dalla
fuga e sostenevano che con l'esercito incolume i Germani non avrebbero
assediato gli accampamenti.
Questo timore lo cancellò l'arrivo di Cesare.
6.XLII.. Lamentela di Cesare e
potenza della sorte.
Ritornato, egli, non ignorando gli eventi di guerra, lamentatosi d'una sola
cosa, che le coorti che erano state mandate per guarnigione e presidio -
neppure per il minimo caso si sarebbe dovuto lasciare la postazione -
giudicò che la Fortuna aveva potuto molto nell'improvviso arrivo dei
nemici, ed anche molto di più perché aveva respinto i barbari quasi
dalla stessa trincea e dalle porte degli accampamenti. Tra tutte quelle cose
soprattutto sembRava da meravigliarsi, il fatto che i Germani, che avevano
attraversato il Reno con quel proposito, (cioè) di devastare i territori
di Ambiorige, portatisi presso gli accampamenti dei Romani avevano offerto ad
Ambiorige un vantaggio molto gradito.
6.XLIII.Partenza di Cesare per molestare i nemici ed inseguimento di
Ambiorige.
Cesare di nuovo partito per devastare i nemici, radunato un gran numero di
cavalieri dalle città confinanti, le manda in tutte le parti.
Tutti i villaggi e tutte le abitazioni, che uno aveva visto, erano incendiati,
le mandrie uccise, da tutti i luoghi si portava
bottino; i cereali non solo da una così grande quantità di uomini
e di giumenti erano rovinati, ma erano anche cadute per la stagione dell'anno e
per le piogge, tanto che se alcuni al momento si fossero nascosti, da parte di
questi, passato l'esercito, sembrava che si dovesse morire per la
scarsità di tutte le cose.
E spesso si giunse a tal punto, mentre era inviato in tutte le parti una
così grande cavalleria, che i prigionieri vedevano attorno Ambiorige
appena visto da loro in fuga e sostenevano che non era ancora del tutto
scappato dalla vista, tanto che presa la speranza di raggiungerlo e intrapresa
l'infinita fatica, quelli che pensavano che avrebbero incontrato la somma
riconoscenza di Cesare, quasi vincevano la natura con l'impegno, e sembravano
esser mancati per poco alla massima fortuna, e quello si sottraeva in
nascondigli o selve o gole e nascostosi di notte si dirigeva in altre regioni e
parti con una guardia (del corpo) non maggiore di quattro (uomini), ai quali
soli osava affidare la sua vita.
6.XLIV.Assemblea della Gallia
indetta da Cesare e partenza per l'Italia.
In tale modo devastate le regioni Cesare riporta l'esercito con la perdita di
due coorti a Durocontoro dei Remi ed indetta l'assemblea di tutta la Gallia in
quel luogo decise di tenere una inchiesta sulla congiura dei Senoni e dei
Carnuti e su Accone, che era stato il promotore di quel piano, pronunciata una
sentenza piuttosto pesante, ne decretò la morte secondo la tradizione
degli antenati. Alcuni temendo il giudizio fuggirono.
Avendo interdetto questi dall'(uso dell') acqua e del fuoco, pose due legioni
ai confini dei Treveri, due tra i Lingoni, le altre sei nei territori dei
Senoni negli accampamenti invernali ad Agedinco e provvisto il
vettovagliamento, come aveva deciso, partì per l'Italia per fare le
sessioni giudiziarie.
7.I. La Gallia pacificata ed
assemblee occulte contro i Romani.
Quietata la Gallia, Cesare, come aveva deciso, parte per l'Italia per fare le
sessioni giudiziarie.
Qui viene a sapere della uccisione di P. Clodio ed informato della legge del
senato di arruolare tutti i giovani d'Italia, decise di tenere una leva per tutta
la provincia.
Quelle cose velocemente vengono riferite nella Gallia Transalpina. Gli stessi
Galli aggiungono ed inventano con dicerie, cosa che la situazione sembrava
richiedere: (che) Cesare era trattenuto da una sollevazione romana e che in
così gravi scontri non poteva venire presso l'esercito. Spinti da questa
occasione, quelli che prima si lamentavano di essere soggetti al potere del
popolo romano, più liberamente ed audacemente cominciano ad
intraprendere piani sulla guerra. Indette assemblee in luoghi selvosi e lontani
i capi della Gallia si lamentano della morte di Accone; dichiarano che questa
sorte può capitare anche a loro; compiangono il comune destino della
Gallia;
con tutte le promesse e premi cercano chi faccia l'inizio della guerra e col
pericolo della propria testa riporti la Gallia alla libertà.
Anzitutto dicono che bisogna avere una strategia, prima che i loro piani
clandestini siano rivelati, che Cesare sia tagliato fuori dall'esercito.
(Dicono che) ciò era facile, perché le legioni non osano, assente il
generale, uscire dagli accampamenti invernali né il generale può senza
presidio, arrivare alle legioni.
Infine (dicono) esser meglio esser fatti fuori in battaglia che non recuperare
l'antica gloria di guerra e la libertà, che avevano ricevuto dagli
antenati.
7.II. Giuramento dei Galli contro
i Romani.
Trattate queste cose, i Carnuti dichiarano di non rifiutare nessun pericolo per
la comune salvezza e promettono, primi fra tutti, di fare la guerra e, poiché
al momento non possono garantirsi con ostaggi tra loro, perché la cosa non sia
rivelata, ma chiedono che si sancisca con giuramento e parola data, radunate le
insegne militari, con questo rituale la loro cerimonia è
importantissima, per non essere abbandonati dagli altri, dichiarato l'inizio
della guerra. Poi approvati i Carnuti, dato il giuramento da tutti quelli che
erano presenti, stabilito il tempo dell'impresa, ci si congeda dall'assemblea.
7.III.Strage di cittadini romani
e sua fama in tutte le nazioni.
Quando venne quella giornata, i Carnuti sotto la guida di Cotuato e
Conconnetodumno, uomini disperati, dato il segnale corrono a Cenabo e fanno
fuori i cittadini romani, che si erano fermati lì per commerciare, tra
questi C. Fufio Cita, famoso cavaliere romano, che era a capo del
vettovagliamento per ordine di Cesare, e sequestrano i loro beni.
La notizia è portata celermente a tutte le città della Gallia.
Infatti dovunque accade una cosa piuttosto grande e famosa, la segnalano col
grido per campi e regioni;di qui altri poi la ricevono e trasmettono ai vicini;
come accadde allora.
Quelle cose che erano accadute a Cenabo al sorgere del sole, prima della fine
della prima veglia furono udite nei territori degli Averni, e questa distanza
è di circa cento sessanta mila
passi
7.IV. Vercingetorige e la sua
crudeltà.
Con simile metodo qui Vercingetorige, lio di Celtillo, giovane arverno di
grandissima potenza, il cui padre aveva tenuto il primato di tutta la Gallia e
per tale motivo, perché aspirava al potere, era stato ucciso dalla nazione,
convocati i clienti facilmente li incendia.
Saputo il suo piano si corre alle armi.
Viene bloccato da Gobannizione, suo zio e dagli altri capi, che non ritenevano
si dovesse tentare questa sorte, viene cacciato dalla città di Gergovia.
Non desiste tuttavia e nelle camne tiene una leva di indigenti e banditi.
Raccolto questo manipolo, chiunque incontra della nazione, lo induce alla sua
idea; esorta a prendere le armi per la comune libertà, e raccolte grandi
truppe, caccia dalla nazione i suoi avversari, dai quali poco prima era stato
cacciato.
E' acclamato re dai suoi.
Manda ovunque ambascerie; scongiura che rimangano nella lealtà.
Velocemente si unisce Senoni, Parisi, Pittoni, Caderci, Turoni, Aulirci,
Lemovici, Andi e tutti gli altri, che toccano
l'Oceano; con consenso di tutti il comando viene conferito
a lui.
Offertogli questo potere, ordina ostaggi a tutte queste nazioni, comanda che
velocemente gli sia portato un preciso numero di soldati, stabilisce quanto di
armi ogni nazione ed in quale tempo debba fare; anzitutto si occupa della
cavalleria.
Alla massima scrupolosità aggiunge una massima severità di
potere; obbliga gli esitanti con la gravità dei supplizi.
Infatti per un delitto abbastanza grave commesso uccide col fuoco e con tutte
le torture, per un motivo più leggero, tagliate le orecchie o cavati gli
occhi, li rimanda in patria, perché siano di insegnamento ai rimanenti ed
atterriscono con l'enormità della pena gli altri.
7.V.Slealtà dei Biturigi ed incerta lealtà degli Edui..
Con queste crudeltà raccolto velocemente un esercito, manda il caduco
Lucterio, uomo di somma spregiudicatezza con una parte delle truppe contro i
Ruteni; egli parte contro i Biturigi.
Al suo arrivo i Biturigi mandano ambasciatori agli Edui, nella cui protezione
si trovavano, per chiedere aiuto, per poter sostenere più facilmente le
truppe dei nemici.
Gli Edui su consiglio degli ambasciatori, che Cesare aveva lasciato presso
l'esercito, mandano truppe di cavalleria e di fanteria in aiuto ai Biturigi.
Essendo giunti questi al fiume Loira, che divide i Biturigi dagli Edui,
fermatisi lì pochi giorni e non osando attraversare il fiume ritornano
in patria e riferiscono ai nostri ambasciatori che temendo la slealtà
dei Biturigi, erano ritornati, ed avevano saputo che essi avevano avuto quel
piano, che, se avessero passato il fiume, da una parte essi ( i Biturigi),
dall'altra gli Arverni li avrebbero accerchiati.
Se avessero fatto ciò per quel motivo, che avevano detto agli
ambasciatori, o spinti da malafede, cosa che per nulla risulta a noi, non
sembra che si debba dare per certo.
I Biturigi alla loro partenza subito si uniscono agli Arverni.
7.VI. Difficoltà di Cesare
di arrivare in Gallia presso l'esercito..
Annunciate queste cose a Cesare in Italia, comprendendo egli che ormai le
situazioni romane per merito di Gn. Pompeo erano arrivate ad uno stato
più vantaggioso, partì per la Gallia Transalpina.
Essendo giunto là, era preso da grande difficoltà, con quale modo
potesse arrivare all'esercito.
Infatti se richiamasse le legioni in provincia, capiva che avrebbero combattuto
in battaglia durante la marcia, essendo lui assente; se egli si dirigesse verso
l'esercito, neppure a quelli che in quel tempo sembravano quieti, vedeva che si
affidava bene la sua incolumità.
7.VII.Arrivo di Cesare nella città di Barbona contro il caduco
Lucterio.
Intanto il caduco Lucterio, mandato contro i Ruteni concilia quella nazione con
gli Arverni.
Avanzando contro i Nitobrogi ed i Gabali riceve da entrambi ostaggi e raccolta
una grande squadra intende fare una irruzione in provincia alla volta di
Barbona.
Annunciata tale cosa Cesare pensò di anteporre a tutti i piani, di
partire per Narbona.
Essendo giunto là, rassicura i timorosi, organizza guarnigioni tra
Ruteni provinciali, Volci, Arecomici, Tolosati ed attorno a Barbona, luoghi che
erano confinanti coi nemici, ordina che parte delle truppe dalla provincia ed
il rinforzo, che aveva guidato dall'Italia, si riunisse verso gli Elvi, che
toccano i territori degli Arverni.
7.VIII.Improvviso arrivo di Cesare tra gli Elvi oltre la Cevenna.
Preparate quelle cose ed ormai allontanato e cacciato Lucterio, pechè
pensava pericoloso entrare in mezzo a guarnigioni, parte verso gli Elvi.
Anche se il Monte Cevenna, che separa gli Arverni dagli Elvi, impediva la marcia
per la durissima stagione dell'anno per la neve, tuttavia spalata la neve di
sei piedi d'altezza e così aperte le vie con somma fatica dei soldati
giunse ai territori degli
Arverni.
Vintili mentre non se l'aspettavano, perché si credevano protetti dalla Cevenna
come da una muraglia e in quella stagione dell'anno neppure ad un uomo da solo
le strade erano aperte, ordina ai cavalieri, che, quanto più possano
attorno, si spandino ed incutano il più possibile terrore ai nemici.
Velocemente queste cose vengono riferite da fama e messaggeri a Vercingetorige.
Atterriti, tutti gli Arverni lo attorniano e lo scongiurano di provvedere ai
loro beni e non permetta di essere rapinati dai nemici, soprattutto vedendo che
tutta la guerra è passata su di loro.
Egli scosso dalle loro preghiere, leva gli accampamenti dai Bituriig in
direzione degli Arverni.
7.IX. Improvviso arrivo di Cesare
nella città di Vienne.
Ma Cesare fermatosi in questi luoghi per due giorni, poiché aveva previsto per
supposizione secondo esperienza su Vercingetorige che sarebbero avvenute queste
cose, si allontana dall'esercito a motivo di raccogliere rinforzo e cavalleria,
mette a capo di queste truppe Bruto il giovane; lo esorta che i cavalieri
scorazzino il più ampiamente possibile attorno; lui avrebbe fatto in
modo di non essere lontano dagli accampamenti più di tre giorni.
Stabilite queste cose, mentre tutti i suoi non se l'aspettavano, arriva a marce
il più possibile forzate a Vienne.
Qui ottenuta una cavalleria fresca, che molti giorni prima aveva mandato
avanti, non interrotta la marcia né diurna né notturna si dirige attraverso i
territori degli Edui nei Linoni, dove svernavano due legioni, in modo che, se
da parte degli Edui si tramasse un qualcosa sulla sua incolumità, lo
prevenisse con la velocità. Essendo giunto là, manda (ordini)
alle altre legioni e raduna tutti in un solo luogo prima che si potesse
riferire agli Arverni del suo arrivo.
Conosciuta questa cosa, Vercingetorige di nuovo riporta l'esercito nei Biturigi
e di lì partito per Gorgobina, città dei Boi, che Cesare aveva
sistemato lì, vinti con la battaglia elvetica, ed aveva affidati agli
Edui, decide di assediare la città.
7.X.Piano di Cesare di tollerare
tutte le difficoltà.
Questa cosa presentava a Cesare grande difficoltà per prendere una
decisione:
se teneva per la restante parte dell'inverno le legioni in uno stesso luogo,
(temeva) che, sottomessi i tributari degli Edui, tutta la Gallia si ribellasse,
perché vedeva che nessuna difesa veniva riposta in lui per gli amici; se troppo
presto faceva uscire (le legioni) dagli accampamenti invernali, (temeva) che
fosse in difficoltà per il vettovagliamento per i duri trasporti.
Sembrò esser meglio sopportare tuttavia tutte le difficoltà
piuttosto che, ricevuto un così grande disonore, alienarsi gli animi di
tutti i suoi.
Così rincuorati gli Edui a sopportare il trasporto, manda (ordini) ai
Boi, che informino del suo arrivo ed esortino a restare sotto la protezione e
sostenere l'assalto dei nemici con grande
coraggio.
Lasciate ad Agedinco due legioni ed i carriaggi di tutto l'esercito parte verso
i Boi.
7.XI.Assedio di Vellaunoduno posto da Cesare .
Il giorno dopo essendo giunto a Vellaunoduno, città dei Senoni, per non
lasciare dietro di sé nessun nemico, per servirsi di un vettovagliamento
più libero, decise di assediare e così la cinse di trincea in due
giorni.
Al terzo giorni, inviati ambasciatori dalla città per la resa, ordina
che sian consegnate le armi, che sian condotti giumenti, che sian dati seicento
ostaggi. Per concludere tali cose lascia il legato C. Trebonio; egli per
concludere la marcia al più presto, parte per Cenabo (città) dei
Carnuti.
Ma questi, appena portata la notizia dell'assedio di Villaunoduno, pensando che
quella cosa sarebbe stata condotta abbastanza a lungo, preparavano una
guarnigione, da mandare là, per difendere Cenabo.
Qui arriva in due giorni.
Posti gli accampamenti davanti alla città, bloccato dal tempo della
giornata, rimanda l'assedio al giorno dopo, ordina ai soldati quelle cose che
sono necessarie per quella impresa e poiché il ponte del fiume Loira
raggiungeva la città di Cenabo, temendo che di notte fuggissero dalla
città, comanda che due legioni vigilino in armi. I Cenatesi poco prima
di mezza notte in silenzio usciti dalla città cominciarono a passare il
fiume.
Annucciato tale fatto dagli esploratori a Cesare, incendiate le porte fa
entrare le legioni, che aveva comandato fossero pronte e si impadronisce della
città, essendo mancati pochissimi dal numero dei nemici che fossero
presi tutti, perché le strettezze del ponte e dei passaggi avevano bloccato la
fuga.
Saccheggia ed incendia la città, regala il bottino ai soldati, fa
passare l'esercito oltre la Loira e giunge nei territori dei
Biturigi.
7.XII.Improvviso arrivo di Vercingetorige nella città di Novioduno,
già arresasi a Cesare.
Vercingetorige, quando seppe dell'arrivo di Cesare, desiste dall'assedio e
parte contro Cesare.
Egli aveva deciso di assediare Novioduno, città dei Biturigi posta sulla
strada.
Essendo però giunti da lui ambasciatori da quella città per
chiedere di perdonarli e provvedere alla loro vita, per concludere le altre
cose con velocità, con cui aveva ottenuto parecchie cose, comanda che
siano consegnate le armi, portati cavalli, dati ostaggi. Consegnata ormai gran
parte degli ostaggi, mentre si organizzavano le altre cose, entrati i
centurioni e pochi soldati, per cercare armi e giumenti, da lontano fu vista la
cavalleria dei nemici, che aveva preceduto la schiera di Vercingetorige.
Ed appena gli abitanti lo videro e vennero nella speranza di aiuto, alzato un
grido, cominciarono a prendere le armi, chiudere le porte, assieparsi sulla
muraglia.
I centurioni in città, avendo capito dalla segnalazione dei Galli che da
perte loro si intraprendeva qualcosa di un nuovo piano, sguainate le spade
occuparono le porte e riportarono incolumi tutti i loro.
7.XIII. Vittoria di Cesare.
Cesare comanda di far uscire la cavalleria dagli accampamenti ed attacca uno
scontro di cavalleria; essendo i suoi ormai in difficoltà, invia circa
400 cavalieri germani, che aveva deciso di tenere con sé dall'inizio.
I Galli non poterono sostenere il loro attacco e cacciati in fuga, perduti
molti, si rifugiarono presso la schiera.
Essendo stati essi ricacciati, i cittadini di nuovo atterriti condussero da Cesare
dopo averli catturati quelli per la cui opera pensavano che il popolo fosse
stato sobillato, e si consegnarono a lui. Concluse queste cose, Cesare
partì per la città di Avarico, che era la più importante
ela più fortificata nei territori dei Biturigi ed in una regione
fertilissima di terreno, perché confidava che, presa quella città, egli
avrebbe ridotto in (suo) potere la nazione dei Biturigi.
7.XIV.Assemblea di Vercingetorige
contro gli insuccessi provocati da Cesare.
Vercingetorige, ricevuti tanti continui insuccessi a Vellaunoduno, a Cenabo, a
Novioduno, chiama i suoi ad un'assemblea.
Dichiara che bisogna fare la guerra assolutamente con un'altra strategia di
quanto sia stato fatto prima; in tutti i modi bisogna impegnarsi in questa
cosa, per impedire i Romani da pascolo e vettovagliamento. Ciò è
facile, perché essi abbondano di cavalleria e sono aiutati dal periodo
dell'anno.
Non si può tagliare il foraggio; necessariamente i nemici dispersi lo
cercano dalle abitazioni; tutti questi quotidianamente possono esser
annientati.
Inoltre per la salvezza bisogna trascurare i vantaggi del bene famigliare;
occorre che siano incendiati villaggi ed abitazioni accessibili in questo
spazio in ogni direzione, dove sembri si possa andare per foraggiare. La
disponibilità di queste cose viene assicurata ad essi, perché sono
aiutati dai mezzi di coloro nei cui territori si faccia la guerra; i Romani o
non sopporteranno la mancanza o con grande pericolo s'allontaneranno dagli
accampamenti; ad essi non interessa se ucciderli o spogliarli dei carriaggi,
perduti i quali, non si può fare la guerra.
Inoltre occorre che siano incendiate le città, che non sono sicure da
ogni pericolo per fortificazione e natura del luogo, perché non siano rifugio
ai loro per rifiutare il servizio militare né siano offerti ai Romani per
prendere quantità di vettovagliamento e preda. Se queste cose sembrano
pesanti e dure, si doveva stimare più pesantemente quelle cose: che
li e mogli siano strappati in schiavitù, essi stessi uccisi; cose che
è necessario accadere per i vinti.
7.XV.Tutti i villaggi dei Galli
bruciati..
Col consenso di tutti, approvata questa idea in un solo giorno più di 20
città dei Biturigi sono incendiate.
La stessa cosa avviene nelle altre nazioni.
In tutte le parti si vedono incendi.
Anche se queste cose tutti le sopportavano con grande dolore, tuttavia questo
di sollievo si proponevano, il fatto che, quasi con una vittoria intravista,
confidavano di recuperare velocemente le cose perdute. Si decide su Avarico
nell'assemblea comune se si stabilisca di incendiarla o difenderla.
I Biturigi si gettano ai piedi di tutti i Galli, perché la città quasi
più bella di tutta la Gallia, che è di difesa e di prestigio per
la nazione, non siano costretti ad incendiarla con le proprie mani; dicono che
l'avrebbero difesa con la natura del luogo, perché circondata quasi da tutte le
parti da un fiume e da una palude ha un solo accesso e strettissimo.
Si dà l'autorizzazione ai richiedenti, mentre inizialmente
Vercingetorige disapprova e poi accorda sia per le loro preghiere che per
pietà del popolo. Si scelgono difensori adatti per la città.
7.XVI.Grave perdita inflitta da
Vercingetorige ai nostri.
Vercingetorige segue Cesare con tappe più piccole e sceglie per gli
accampamenti un luogo difeso da paludi e selve lontano da Avarico 16 mila
passi.
Qui attraverso esploratori sicuri nei singoli momenti del giorno sapeva le cose
che si facevano presso Avarico e comandava cosa voleva si facesse.
Osservava tutti i nostri foraggiamenti e gli approvvigionamenti ed assaliva i
dispersi, quando si allontanavano più lontano del necessario e colpiva
con grave danno, anche se, per quanto si poteva prevedere con strategia, si
ricorreva da parte dei nostri, che si andasse per periodi imprevisti e diverse
strade.
7.XVII. Gravità della
carestia: pazienza e coraggio dei nostri.
Cesare, posti gli accampamenti verso quella partedella città, che
interrotta dal fiume e dalla palude, come dicemmo prima, aveva uno stretto
accesso, cominciò a preparare un terrapieno, tracciare gallerie,
costruire due torri; infatti la natura del luogo impediva di chiudere attorno
con una trincea.
Non smise di sollecitare Boi ed Edui per il vettovagliamento; ma di costoro gli
uni agivano con nessun impegno, non aiutavano molto, gli altri per le non
grandi disponibilità, poiché la nazione era piccola e debole,
velocemente consumarono, quello che avevano.
Colpito l'esercito dalla somma difficoltà di approvvigionamento per la
leggerezza dei Boi, per la povertà degli Edui, per gli incendi delle
abitazioni, fino al punto che i soldati per parecchi giorni mancarono di
frumento e sopportavano una estrema fame col bestiame portato da villaggi
piuttosto lontani, da essi tuttavia nessuna frase è stata sentita non
degna della maestà del popolo romano e delle precedenti vittorie.
Anzi addirittura quando Cesare sul lavoro chiamava le singole legioni e, se
sopportavano troppo duramente la privazione, diceva che avrebbe smesso
l'assedio, tutti gli chiedevano di non
farlo:
(dicevano che) così loro per parecchi anni, sotto il suo comando,
avevano prestato servizio, che non accettavano nessun affronto, mai se n'erano
andati, non conclusa l'impresa: questo l'avrebbero preso come un affronto, se
avessero lasciato un assedio iniziato; era meglio che tutti sopportassero le
asprezze, che non vendicare i cittadini romani che a Cenabo per la
slealtà dei Galli erano periti. Queste stesse cose le presentavano ai
centurioni ed ai tribuni dei soldati, perché per mezzo loro le riferissero a
Cesare.
7.XVIII. Piano di Cesare di assalire
Vercingetorige.
Essendosi le torri ormai avvicinate al muro, Cesare seppe dai prigionieri che
Vercingetorige, finito il foraggio, aveva mosso gli accampamenti più
vicino ad Avarico e lui con la cavalleria e fanti (armati alla leggera), che
erano soliti combattere tra i cavalieri era partito per fare un agguato
là, dove pensava che il giorno seguente i nostri sarebbero andati per
foraggiare.
Sapute queste cose, a mezzanotte, partito in silenzio, al mattino giunse agli
accampamenti dei nemici.
Essi conosciuto velocemente l'arrivo di Cesare per mezzo degli esploratori,
nascosero i carri e le loro salmerie in selve piuttosto folte, schierarono
tutte le truppe in luogo sopraelevato ed aperto.
Riferita tale cosa, Cesare comandò che si riunissero velocemente i
bagagli, di preparare le armi.
7.XIX. Rabbia dei soldati romani
contro i nemici.
Il colle era leggermente in pendio dal basso.
questo da tutte le parti lo cingeva una palude difficile ed inaccessibile non
più ampia di cinquanta piedi.
Su questo colle, interrotti i ponti, i Galli si tenevano nella fiducia della
posizione e distribuiti per tribù secondo le nazioni occupavano tutti i
guadi ed i passaggi di quella palude con guarnigioni sicure, pronti di spirito
così che, se i Romani tentavano di forzare quella palude, assalissero
gli esitanti dalla postazione superiore, tanto che, chi osservava la vicinanza
del luogo, pensava fossero pronti a combattere quasi con Marte pari (scontro
alla pari), chi esaminava la disparità di condizione, s'accorgeva che
essi si gloriavano di una finzione vuota.
Cesare istruisce i soldati frementi, perché i nemici potevano sopportare la
loro presenza, lasciato un così piccolo spazio in mezzo, e che
chiedevano il segnale di combattimento, di quanto grande perdita e della morte
di quanti uomini forti fosse necessario che costasse una vittoria; ma vedendoli
di spirito così pronti, da non rifiutare nessun rischio per il suo ( di
Cesare) onore, (dice che) egli si doveva condannare al colmo della ingiustizia,
se non considerava la loro vita più cara della sua incolumità.
Così confortati i soldati nello stesso giorno li riporta negli
accampamenti e decise di organizzare le altre cose che miravano all'assedio
della città.
7.XX. Vercingetorige accusato di tradimento dai suoi e suo discorso.
Vercingetorige, essendo ritornato tra i suoi, accusato di tradimento, perché
aveva tolto gli accampamenti troppo vicino ai Romani, perché s'era allontanato
con tutta la cavalleria, perché aveva lasciato senza comando così grandi
truppe, perché con la sua partenza i Romani erano giunti con così grande
tempestività e velocità; - (che) tutte queste cose non erano
potute capitare a caso o senza un piano; che lui preferiva il regno della
Gallia per concessione di Cesare che col loro favore - in tale modo accusato,
rispose a queste cose: che avesse levato gli accampamenti, era accaduto per
mancanza di foraggio mentre anche loro lo esortavano; che si fosse avvicinato
troppo ai Romani, era stato persuaso dalla opportunità del luogo, che si
difendeva da sé senza fortificazione; inoltre l'opera dei cavalieri non doveva
essere richiesta in un luogo paludoso ed era stata utile là dove erano
andati. Quando partiva non aveva dato il supremo comando a nessuno di
proposito, perché egli non fosse spinto dalla voglia della moltitudine a
combattere; vedendo che tutti miravano a quella cosa per debolezza di spirito,
per cui non potevano sopportare a lungo la fatica. Se i Romani erano per caso
sopraggiunti, bisognava ringraziare la (dea) Fortuna, se chiamati dalla spia di
qualcuno, (ringraziare) costui, perché avevano potuto conoscere dalla
località superiore sia la loro esiguità sia disprezzare il loro
valore, (Romani) che non osando combattere s'erano ritirati vergognosamente
negli accampamenti. Lui non desiderava da parte di Cesare col tradimento nessun
potere, che poteva avere con la vittoria, che ormai era per lui e per tutti i
Galli pregustata; addirittura si rimetteva a loro, se sembravano attribuire a
lui più onore che ricevere salvezza da lui.
'Perché capiate che queste cose, disse, sono affermate sinceramente da me,
ascoltate i soldati romani.'
Fa avanzare degli schiavi, che pochi giorni prima aveva catturati nel
foraggiamento ed aveva torturato con la fame e le catene.
Questi istruiti già precedentemente cosa dire, (se) interrogati, dicono
di essere soldati legionari; spinti dalla afme e dalla indigenza erano usciti
di nascosto dagli accampamenti, se potessero reperire qualcosa di cereale o di
bestiame nelle camne; tutto l'esercito era oppresso da simile indigenza e le
forze di nessuno ormai erano sufficienti e non potevano sopportare la fatica
del lavoro; cosi il generale aveva deciso che, se non si fosse guadagnato nulla
nell'assedio della città, dopo tre giorni leverebbe l'esercito.
'Questi, disse, i favori da me Vercingetorige, che voi accusate di
tradimento; per la cui opera voi vedete, senza il vostro sangue, un così
grande esercito vincitore quasi consumato dalla fame; e quello mentre
vergognosamente si ritira in fuga, perchè nessuna nazione lo riceva nei
propri territori, è stato provveduto da me.'
7. XXI.Vercingetorige acclamato comandante supremo dai suoi.
Tutta la moltitudine acclama e secondo il suo costume rumoreggia con le armi,
cosa che sono soliti fare per colui di cui approvano il discorso; (dicevano
che) Vergingetorige fosse il comandante supremo e che non c'era da dubitare
sulla sua lealtà.
E (che) la guerra non si poteva organizzare con metodo migliore.
Decidono che 10 mila uomini scelti tra tutte le truppe siano inviati in
città, e non pensano che la salvezza comune non sia da affidare ai soli
Biturigi, perché capivano che il risultato della vittoria consisteva quasi in
questo, se avessero mantenuta quella città.
7.XXII.Assedio posto dai Romani
ed ostacoli dei nemici.
Strategie dei Galli di qualunque tipo contrastavano il singolare valore dei
nostri soldati, come è una razza di somma abilità e capacissima
ad imitare e fare le cose che sono date da
chiunque.
Infatti con lacci distoglievano le nostre falci, che quando le avevano
afferrate, le tiravano dentro con macchine, facevano crollare il terrapieno con
cunicoli, tanto più abilmente per il fatto che presso di loro ci sono
molte miniere di ferro ed ogni tipo di cunicoli è noto e praticato.
Avevano poi attrezzato di piani tutto il muro con torri e le avevano ricoperte
di pelli.
Poi con frequenti sortite diurne e notturne o
appiccavano il fuoco al terrapieno o assalivano i soldati occupati nel lavoro
ed eguagliavano l'altezza delle nostre torri, quanto il terrapieno quotidiano
le innalzava, legate travi delle loro torri e bloccavano i cunicoli aperti con
materiale
appuntito e induriti al fuoco e con pece bollente e massi di enorme peso ed
impedivano di avvicinarsi alle mura.
7.XXIII. Forma delle mura dei
Galli.
Tutte le mura galliche sono press'a poco di questa foema.
Travi continue perpendicolari sono poste sul suolo
in lunghezza a pari intervalli, distanti tra loro due
piedi.
Queste sono legate all'interno e rivestite di molto terrapieno, poi quegli
intervalli che dicemmo sono riempiti di fronte con grandi massi.
Collocati questi e congiunti, sopra si aggiunge un'altra serie, sicchè
si conservi quello stesso intervallo e che le travi non si tocchino tra loro,
ma dislocate a pari spazi siano tenute ognuna sui singoli massi posti.
Così poi tutta l'opera viene costruita, fin che si completi la giusta
altezza del muro.
Questa opera da una parte non è brutta per l'aspetto e la varietà
con alterne travi e macigni, che conservano le loro file con linee rette,
dall'altra ha un'ottima opportunità per l'utilità e la difesa
delle città, perché la pietra difende dall'incendio ed il materiale da (
i colpi de) ll'ariete, e tale materiale legato all'interno da travi per lo
più lunghe quaranta piedi non si può spezzare
né staccare.
7.XXIV.Sortita notturna fatta dai
nemici.
Impedito l'assedio da queste tante cose, i soldati, essendo bloccati per tutto
il tempo da fango, freddo e piogge continue, tuttavia con una fatica incessante
vinsero tutte queste cose ed in 25 giorni costruirono un terrapieno largo 330
piedi ed alto 80 piedi.
Quando quello (terrapieno) toccava quasi il muro dei nemici e Cesare secondo
l'abitudine sorvegliava il lavoro ed esortava i soldati a non interrompere
assolutamente nessun momento dall'impresa, poco prima la terza veglia si vide
il terrapieno fumare, ed i nemici con un cunicolo l'avevano incendiato e nello
stesso tempo alzatosi un grido da tutto il muro dalle due porte da entrambi i
lati delle torri avveniva una sortita.
Alcuni da lontano lanciavano fiaccole e materiale secco dal muro sul terrapieno,
rovesciavano pece ed altre cose, con cui si può ravvivare il fuoco,
così che a stento si poteva intraprendere una strategia dove si corresse
per prima cosa o a quale cosa si portasse aiuto. Tuttavia poichè per
decisione di Cesare due legioni vegliavano sempre davanti agli accampamenti e
parecchi, divisi i tempi, erano all'opera, velocemente avvenne che alcuni
resistevano alle sortite, altri ritiravano le torri e tagliavano il terrapieno,
poi tutta la folla dagli accampamenti accorreva a spegnere.
7.XXV.Eroismo dei Galli degno di menzione.
Combattendosi in tutti i luoghi, passata ormai la restante parte della notte e
sempre per i nemici si rinnovava la speranza della vittoria, tanto più
che vedevano bruciati i parapetti delle torri e capivano che (soldati) scoperti
non potevano avvicinarsi per soccorrere e mentre essi sempre avvicendavano
(uomini) freschi agli spossati e ritenevano che tutta la salvezza della Gallia
era riposta in quel frammento di tempo, accadde, mentre noi guardavamo, quello
che sembrò degno di menzione e noi giudicammo non doversi trascurare. Un
gallo davanti alla porta della città, che lanciava nel fuoco nella zona
della torre zolle di grasso e pece passate di mano in mano, trapassato dal
fianco destro da uno scorpione cadde stramazzato.
Uno tra i vicini passando su questo che giaceva (a terra) svolgeva lo stesso
compito.
Al secondo stramazzato per la stessa ragione da un colpo di scorpione successe
un terzo ed al terzo un quarto e quel posto non fu lasciato vuoto dai
difensori, prima che, spento il terrapieno ed allontanati da tutta quella parte
i nemici, fu messa la fine del combattere.
7.XXVI.Suppliche delle madri ed
abbandono del piano di fuga.
Avendo sperimentato tutto i Galli, poiché nessuna cosa era successa, il giorno
dopo presero la decisione di fuggire dalla città, esortando ed
orinandolo Vercingetorige.
Tentando ciò col silenzio della notte speravano di farlo con non grande
perdita dei loro, per il fatto che gli accampamenti di Vercingetorige non erano
lontano dalla città ed una palude continua, che si frapponeva, ritardava
i Romani dall'inseguire.
Ormai preparavano per fare queste cose di notte, quando le madri di famiglia
subito corsero in (luogo) pubblico e gettatesi ai loro piedi piangendo chiesero
con tutte le suppliche di non consegnare loro ed i li comuni ai nemici per
il supplizio, loro che la debolezza di natura e delle forze impediva a prendere
la fuga.
Quando li videro persistere nell'idea, poiché per lo più nel massimo
pericolo il timore non accoglie la pietà, cominciarono a gridare e
segnalare ai Romani della fuga.
Atterriti da questo spavento i Galli, perché le strade non fossero occupate
dalla cavalleria dei Romani, desistettero dal piano.
7. XXVII.Premi offerti da Cesare
ed improvvisa scalata delle mura.
Il giorno dopo Cesare fatta avanzare la torre e concluse le operazioni, che
aveva deciso di fare, scatenatasi una grande pioggia, ritenendo che questa non
fosse una inutile occasione per prendere una decisione, poiché vedeva sul muro
le sentinelle disposte un po' troppo incautamente e ordinò che pure i
suoi si applicassero al lavoro piuttosto con calma e mostrò cosa volesse
che si facesse, e con le legioni pronte nelle gallerie di nascosto, esortando
che finalmente raccogliessero in cambio di così grandi fatiche il frutto
della vittoria, promise premi e diede
il segnale.
Essi subito volarono fuori da ogni parte e velocemente riempirono (occupando)
la muraglia.
7.XXVIII. Grande strage di nemici.
I nemici atterriti dalla cosa nuova, buttati giù dal muro e dalle torri
si raccolsero sulla piazza e nei luoghi più aperti a cuneo con questo
intento, di, se si venisse contro da qualche parte, combattere in fila serrata.
Quando videro che nessuno scendeva su postazione adatta, ma si spandevano su
tutto muro da ogni parte, temendo che fosse tolta del tutto la speranza di
fuga, gettate le armi si diressero alle ultime parti della città con
slancio continuo, e qui una parte, premendosi loro stessi nella stretta uscita
delle porte, fu uccisa dai soldati, parte ormai uscita dalle porte (fu uccisa)
dai cavalieri.
E non ci fu nessuno che si occupasse del bottino.
Così eccitati sia dalla strage di Cenabo sia dalla fatica del lavoro,
non risparmiarono i gravati dall'età, non le donne, non i bambini.
Infine da tutta quella folla, che fu di circa 40 mila, a stento 800, che si
erano buttati fuori dalla città, sentito il primo grido, giunsero
incolumi da Vercingetorige.
Ed egli già a notte fonda nel silenzio li accolse dalla fuga
così, temendo che negli accampamenti sorgesse una qualche ribellione del
popolo per il loro arrivo e pietà, che lontano lungo la strada,
dislocati suoi congiunti e capi di nazioni curasse a dividere e portare i loro,
(a quella) parte degli accampamenti che dall'inizio era toccata ad ogni
nazione.
7.XXIX.Conforto ed esortazione di
Vercingetorige.
Il giorno dopo, convocata l'assemblea, confortò e rincuorò di non
abbattersi troppo nello spirito e di non turbarsi per la
disgrazia.
(Diceva che) i Romani non avevano vinto col valore ed in campo aperto, ma con
un'astuzia e con la tecnica dell'assedio, di cui essi eran stati sprovvisti.
Sbagliavano, se alcuni aspettassero in guerra come favorevoli tutti gli
avvenimenti delle cose.
A lui non era mai piaciuto che si difendesse Avarico, della cui cosa aveva loro
stessi come testimoni, ma era accaduto per la stoltezza dei Biturigi ed il
troppa accondiscendenza degli altri, perché fosse ricevuta questa perdita. Lui
tuttavia avrebbe rimediato con maggiori vantaggi. Infatti le nazioni che
dissentivano dagli altri Galli, queste con la sua premura le avrebbe alleate ed
avrebbe realizzato un unico piano di tutta la Gallia, al cui assenso neppure il
mondo intero potrebbe resistere; egli lo riteneva quasi già realizzato.
Intanto era giusto chiedere a loro per la salvezza comune, di decidere di
fortificare gli accampamenti, per sostenere più facilmente gli
improvvisi attacchi dei nemici.
7.XXX.Crescita del prestigio di Vercingetorige.
Questo discorso non fu sgradito ai Galli e soprattutto perché egli non s'era
perduto d'animo, ricevuta una così grande perdita e non si era nascosto
in segreto ed evitata la vista del popolo e si riteneva che aveva previsto e
pronosticato con intelligenza meglio, perché aveva ritenuto, essendo la
situazione intatta, prima che bisognava incendiare Avarico, poi abbandonarlo.
Così come le avversità diminuiscono il prestigio degli altri
comandanti, così l'autorevolezza di costui al contrario, ricevuta la
perdita, si accresceva di giorno in giorno.
Contemporaneamente arrivavano alla speranza, su sua affermazione, circa
l'allearsi le altre nazioni; anzitutto i Galli decisero di fortificare gli
accampamenti, ed uomini non abituati alla fatica erano così prostrati di
spirito, che tutte le cose che venivano loro comandate pensavano si dovessero
sopportare e tollerare.
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