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Elogio di Epicuro ( De rerum natura, I, vv. 62-79 )
Quando la vita umana in un tempo remoto giaceva sulla terra
orribile agli occhi di tutti oppressa sotto il peso della religione,
che ostentava il suo capo dalle regioni celesti
con orribile aspetto incombendo dall'alto sui mortali,
un uomo greco per la prima volta osò sollevarle contro
gli occhi mortali e per primo resisterle;
e non lo intimorirono né le chiacchiere sugli dei, né i fulmini,
né il cielo con il suo minaccioso mormorio. Anzi gli stimolarono
ancor più il fiero valore dell'animo, così che per primo volle
infrangere gli stretti serrami delle porte della natura.
E dunque prevalse il vivido vigore dell'animo
e si spinse lontano, oltre le fiammeggianti mura del mondo
e percorse con la forza dell'animo tutta l'immensità,
da cui vittorioso ci riferisce quel che può nascere,
quel che non può, e infine per quale ragione per ognuno
ci sia un potere definito e un limite profondamente infisso.
Perciò la religione è a sua volta calpestata e
straziata, mentre la vittoria ci eguaglia al cielo.
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