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Le opere di Cesare.
Commentarii de bello Gallico.
I Commentarii de bello Gallico sono sette libri, uno per ognuno dei principali anni della conquista, dall'inizio (58 a.C.) alla sconfitta di Vercingetorige (52 a.C.). Non si sa con precisione quando Cesare li abbia scritti; un'ipotesi è che li abbia composti anno per anno pubblicandoli poi nel 51 a.C. Ma, sulla scorta dell'affermazione del suo generale Aulo Irzio (autore del libro VIII che narra le vicende del 51 - 50 a.C.), secondo il quale i sette libri furono scritti facile atque celeriter, si pensa ad una rapida stesura sulla base di appunti presi durante le operazioni. I particolari presuppongono una visione ed un'azione diretta, mentre la struttura generale fa pensare ad una rielaborazione, che risente dell'influsso di alcune letture. E' opera rielaborata tutta di sèguito verso il 51 a.C. e, comunque, quando si era già delineato il conflitto fra Cesare da una parte, e Pompeo col senato dall'altra. L'opera appare senza dubbio come di proanda.
Questi sono i sette libri dell'opera:
I) Introduzione sulla geografia ed etnografia della Gallia, guerra contro el, svevi e sequani ad est;
II) Guerra contro i belgi a nord;
III) Conquista ad ovest dei paesi lungo l'Atlantico;
IV) Vittoria contro i germani, primo passaggio del Reno, prima spedizione in Britannia;
V) Seconda spedizione in Britannia, ribellione degli eburoni;
VI) Secondo passaggio del Reno, punizione degli eburoni;
VII) Sollevazione generale delal Gallia e vittoria finale di Cesare.
Inoltre, un generale di Cesare, Aulo Irzio, scrisse un libro che di solito si fa seguire ai sette del de bello Gallico poichè racconta i fatti degli anni 51-50 a.C., gli ultimi in Gallia, cioè i precedenti la guerra civile. Questo libro permette una maggiore continuità con il de bello civili.
Commentarii de bello civili
I Commentarii de bello civili sono tre libri che narrano i fatti degli anni 49-48 a.C. dal passaggio del Rubicone al principio della guerra alessandrina, scritti poco prima della battaglia di Munda del marzo del 45 a.C. In realtà Cesare non aveva interesse a far conoscere immediatamente le vicende; aveva bisogno di presentare la guerra civile da un suo punto di vista, ma non aveva necessità di formare subito un'opinione pubblica; il potere era già nelle sue mani. Si è supposto anzi che l'opera fosse stata pubblicata postuma; sembra comunque che la morte abbia impedito all'autore di continuare la narrazione delle imprese successive e di rivedere la parte già scritta. Si tratta di due anni di guerra, e a qualcuno è sembrato strano che l'opera non fosse in due libri. Anzi, poichè in un importante codice il libro III è definito come libro X, contando gli otto sulla guerra gallica si è pensato che l'opera fosse originariamente in due libri.
Questi sono i libri dell'opera:
I) Presentazione psicologica, conquista dell'Italia fino a Brindisi, guerra in Sna e ribellione di Marsiglia;
II) Vittoria in Sna, resa di Marsiglia, guerra in Africa;
III) Avvenimenti del 48 a.C., sbarco in Epiro, Durazzo, Farsalo, uccisione di Pompeo, arrivo di Cesare ad Alessandria.
Sia gli antichi che i moderni sono quasi tutti concordi nell'ammirare la forma delle due opere, mentre molte riserve vengono fatte sul loro valore storico. Pollione accusava Cesare di essersi fidato troppo delle relazione dei suoi luogotenenti e di aver alterato la realtà. Alcuni, esagerando, ammettono che non ci sia alcuna alterazione della verità, mentre si può dire che la narrazione cesariana è sostanzialmente degna di fede. E' ovvio che Cesare sottolinei i successi, che furono costanti e, attenui gli insuccessi, che furono pochi e mai seriamente compromettenti. Si può ammettere che la narrazione gallica sia più obiettiva dell'altra; anche se la prima fu pubblicata come opera di proanda, essa poggia le basi sui resoconti inviati al senato, potenzialmente controllabili. L'obiettività è resa più evidente dal fatto che l'autore parla di sè in terza persona, concedendo nulla o poco al retorico. Anche della guerra civile egli parla in terza persona, ma qui l'intento apologetico è più scoperto: la guerra non è voluta da lui, tanto indulgente nei confronti degli avversari, quanto invece questi gli sono irresoluti ed ostili. La narrazione dei fatti, non sempre veridica, evidenzia più scopertamente una politica settaria, una preconcetta ostilità ed un atteggiamento di biasimo nei confronti dei nemici.
Più che opera storica, i Commentarii sono opera memorialistica. La lingua, la grammatica, la sintassi impostate sulle norme del 'purismo' divengono sotto la sua penna uno strumento per conrtibuire a fissare i canoni del latino classico, austero e composto, più rigoroso nei commentarii della guerra gallica, più vario in quelli della guerra civile, dove entra qualche elemento di uso comune. E' il trionfo dello stile 'cesariano', nè troppo semplice, nè troppo ornato; caratterizzato dalla brevità delle frasi, in cui predominano ablativi assoluti e presenti storici, un lessico nitido e preciso, esente da ogni possibile inquinamento. E' una prosa che è capace di tener desta l'attenzione del lettore, che vi sente vibrare lo spirito dell'autore, nella descrizione d'un paesaggio, d'un avvenimento, di un carattere.
Ma dove meglio Cesare ha dato la misura del suo genio artistico è nella rappresentazione di se stesso. Giganteggia la ura di un uomo straordinario, che tutto sa, tutto vede e prevede; che da nessun fatto si lascia prendere alla sprovvista, che è presente dappertutto per raddrizzare la situazione. Molti storici e poeti hanno cercato di emularlo o di raprresentarne il personaggio affascinante, ma nessuno ha mai raggiunto per potenza artistica la rappresentazione che Cesare diede si sè. Cesare fu, quindi, un grande uomo di lettere, creò uno stile e, ciò che più importa, ha sistemato definitivamente la lingua classica latina.
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