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Letteratura Latina
L'età preletteraria
La nascita della Letteratura
Latina si colloca convenzionalmente nel
Il latino come lingua, però, comincia ad essere usato a partire dal VII-VI sec. a.C. per leggi, iscrizioni votive o sepolcrali, iscrizioni su oggetti o brevi componimenti, di cui si è persa traccia.
Le fonti archeologiche hanno portato alla luce basi di statue o "cippi", vale a dire colonnette, recanti iscrizioni in una lingua molto arcaica ma già in caratteri latini e di ordine giuridico o votivo; quelle letterarie, invece, parlano di testi che circolavano presso cerchie ristrette di utenti, come caste sacerdotali o cenacoli aristocratici: si trattava, in questo caso, di registrazioni d'archivio, pubbliche o private, di fatti, eventi o imprese particolari. Oltre al materiale scritto era molto popolare anche una tradizione orale che tramandava, di generazione in generazione, canti e componimenti di vario genere. Questa fase della produzione scritta in lingua latina si definisce come "pre-letteraria".
I primi testi prodotti furono composti e tramandati, in forma scritta od orale, in prosa, ma, per lo più, in poesia, in versi saturni, vale a dire in metri di antichissima origine greca, ma così ben acclimatati nel mondo romano che già nel VII sec. a.C. li si sentì correntemente come indigeni. Il termine che li definisce, carmina, ne indicava la prevalente lettura od esecuzione canora e, soprattutto, continuativa. Caratteristica delle più antiche composizioni era l'abbondante ricorso a ure di suono (allitterazione, omoteleuto, poliptoto, rima, assonanza, consonanza, ecc.), tipicamente italiche e che ne favorivano la celere memorizzazione.
Sotto il profilo giuridico, le leggi delle XII tavole (455-
Sul piano religioso si ricordano il Carmen Arvale, per la purificazione dei campi, il Carmen Saliare, eseguito da sacerdoti danzanti con funzioni apotropaiche ed il Carmen Lustrale, ancora di carattere rurale. Erano poi diffusi Carmina popolari o Neniae.
Per quanto concerne la vita pubblica e la società erano diffusi i Carmina Triumphalia, canti derisori verso i generali vincitori, i Carmina Convivalia, intonati nei banchetti aristocratici, tramandato oralmente e di argomento mitologico, in qualche modo ricollegabile alla genealogia delle gentes Romane.
Di pubblico interesse erano poi gli Annales Maximi, i Fasti
e le Laudationes Funebres. I
primi erano scarni resoconti annuali redatti dal Pontifex Maximus su tavole di legno imbiancate, esposte fuori la
sua casa e poi archiviate. Andarono distrutti con l'incendio del
In conclusione, alcuni oggetti recano iscrizioni in latino,
come
Una personalità
sicuramente eminente, in un simile panorama, è Appio Claudio Cieco, censore dal 312 al 307 e console nel 307 e
Anche il dramma, in quanto rappresentazione scenica di attori davanti ad un
pubblico, conosce i suoi primi sviluppi in questa fase, attraverso l'evoluzione
di produzioni ed usi di varia natura, di carattere indigeno italico.
Per le prime vere
rappresentazioni sceniche, secondo la discussa testimonianza liviana, occorre
attendere il
Sotto il profilo materiale, il primo teatro in pietra a Roma fu
inaugurato da Pompeo nel
Gli attori che componevano un grex erano generalmente cinque o sei e tutti rigorosamente uomini, giacché alle donne era proibito recitare, per di più privi della civitas, per il fatto che, altrimenti, il loro mestiere li avrebbe macchiati di infamia, privandoli di ogni diritto e prestigio. La recitazione era innaturale ed enfatizzata e forse corroborata con maschere, che permettevano agli uomini specializzati di recitare parti femminili ed a singoli attori di recitare anche più di una parte a seconda della convenienza. In realtà, sull'uso delle maschere a Roma il dibattito è ancora piuttosto aperto, benché i dubbi si concentrino sul primo e più antico teatro: in età sillana pare potersi escludere ogni incertezza. Le opere prodotte si avvalevano di pesanti contributi presi dal teatro greco, attraverso il procedimento della contaminatio[3].
Le trame delle singole opere erano definite fabulae, non erano divise in atti ed erano, perciò, rappresentate in maniera continuativa. Le parti che le componevano si dividevano in deverbia, cioè parti recitate, in senari giambici, cantica, cioè parti liriche, in metri lirici molto complessi, e "recitativi", cioè parti in cui l'attore recitava cantilenando la propria parte, accomnato da un flauto, in settenari trocaici. Le fabuale si suddividevano in:
Fabula palliata: (il pallium era la mantellina della vita quotidiana in Grecia) commedia con personaggi ed ambientazione greci;
Fabula togata: (la toga era la veste della vita quotidiana a Roma) commedia con personaggi ed ambientazione latini;
Fabula cothurnata: (i cothurni erano i sandali molto alti con cui recitavano gli attori greci) tragedia con personaggi ed ambientazione greci;
Fabula praetexta: (la toga praetexta era una veste molto preziosa e caratteristica della nobilitas e dei cittadini più facoltosi) tragedia con personaggi ed ambientazione greci.
Rimasero "s" le consonanti derivanti dalla semplificazione di "ss" (caussa>causa) o quelle che subirono l'influsso della dissimilazione (Caesar, la "r" finale impedì il rotacismo della "s" intervocalica). Col tempo, peraltro, si segnalano anche casi di rotacismo in contesti non intervocalici, in parole come labos ed honos, di cui si sono diffuse forme alternative labor e honor.
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