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La vita e le opere.
Sulla vita di Lucrezio non abbiamo notizie sicure. La biografia più ampia è tramandata da san Girolamo. Tito Lucrezio nacque nel 96 a . C. e reso pazzo da un filtro d'amore si uccise a 43 anni dopo aver scritto alcuni libri nei pochi momenti lucidi. La follia di Lucrezio deve essere sicuramente un invenzione. All'origine forse c'era il pregiudizio antimaterialista degli autori cristiani. Alcuni critici contemporanei danno valore a questa notizia per poter sostenere la tesi di una disperazione a sfondo patologico-depressivo dell'autore che, cantando un universo dove paure e infelicità non devono esistere, sarebbe in realtà terrorizzato dagli spettacoli che presenta. Ma questa tesi è smentita dai testi. Si è pensato che Lucrezio provenisse dalla Campania perché a Napoli era fiorente una scuola epicurea. Inoltre la Venus fisica venerata a Pompei ha tratti simili a quella cantata da Lucrezio nel proemio dell'opera. Non è possibile determinare la classe sociale di provenienza di Lucrezio: dal tono delle parole che rivolge nell'opera all'aristocratico Memmio, a cui è dedicato il poema, non si può capire se si rivolge ad un suo pari o ad un individuo di classe sociale superiore. Secondo la biografia di Borgia il poeta visse in intimità con Cicerone, Attico, Bruto e Cassio. Il poema De rerum natura è l'unica opera che abbiamo di lui. È in sei libri di esametri, forse non finito.
L'epicureismo romano e il poema didascalico.
La classe dirigente romana non si era opposta all'influenza della cultura greca, infatti si opponeva solo alle correnti di pensiero che contenevano elementi pericolosi per la res publica. La filosofia fondata dall'ateniese Epicuro nel 3 sec a . C., l'epicureismo, era quella più antitradizionalista e anticonformista. Epicuro insegnava che gli dei esistono, ma non intervengono nelle vicende degli uomini, che il piacere è il sommo bene, a cui si arriva attraverso l'atarassia, l'indifferenza alle passioni. Inoltre impartiva ai suoi discepoli il distacco dalla vita politica. Le sue concezioni mettevano in pericolo sia l'organizzazione romana dei culti, sia l'attività pubblica, poiché molti aristocratici romani, impauriti dai pericoli delle fazioni e della lotta tra i partiti, si distaccavano dalla politica. Di qui la forte ostilità dei tradizionalisti, come Cicerone. Già nel 2 sec erano stati espulsi due filosofi epicurei. Ma nel 1 sec l'epicureismo veniva ormai tollerato e raggiungeva una certa diffusione negli strati elevati della società romana. Lucrezio decide di farsi divulgatore di Epicuro, ma sceglie di scrivere un poema epico-didascalico, che riprende modelli antichi come Esiodo. Ciò destò sorpresa perché Epicuro stesso aveva condannato la poesia, considerandola fonte di inganni che allontanava dalla comprensione razionale dell'universo. Filodeno, epicureo più tardo, aveva attenuato la condanna di Epicuro coltivando una poesia scherzosa o di puro intrattenimento. Lucrezio scelse la poesia di ispirazione solenne per raggiungere anche gli strati più alti della società con il proprio messaggio. Nella dolcezza della poesia cerca l'antidoto al sapore amaro di una dottrina ardua e difficile, che potrebbe impaurire i lettori. Il titolo del poema, De rerum natura, traduce quello dell'opera più importante di Epicuro, Sulla natura. I sei libri dell'opera sono articolati in tre gruppi di due: la prima e l'ultima coppia trattano della fisica e del cosmo epicureo, la seconda espone l'antropologia e la psicologia. Prima del De rerum natura la letteratura latina non aveva prodotto opere di poesia didascalica di grande impegno, quindi non offriva grandi modelli. La letteratura ellenistica aveva invece impiegato il verso dell'epica, come dimostra l'opera di Arato, di cui Lucrezio conosceva una versione curata da Cicerone. Ma Lucrezio si differenzia nettamente da Arato, perché ambisce a spiegare ogni aspetto della vita del mondo e dell'uomo, e a convincere il lettore della validità della dottrina epicurea. La tradizione ellenistica, poi ripresa da Virgilio, ricerca invece la sua ispirazione in argomenti tecnici, sprovvisti di implicazioni filosofiche.
Lucrezio poeta-vate.
L'ethos del genere didascalico ellenistico era sempre stato encomiastico, ossia aveva solo l'intento di rendere lode alle cose. Per Lucrezio invece non c'è di che meravigliarsi davanti ai vari fenomeni, perché essi sono connessi necessariamente a regole oggettive, e chi ha capito i principi delle cose non può trarne stupore. Alla retorica del mirabile Lucrezio sostituisce la retorica del necessario. La formula necesse est è una delle più frequenti nell'opera. Il destinatario del messaggio, fatto responsabile, reagisce agli insegnamenti e diventa consapevole della propria grandezza intellettuale. Questa è la radice del sublime lucreziano. Il sublime, per l'autore che costruisce il suo testo, diventa una forma stilistica in cui è condensata una forma d'interpretazione del mondo. I toni grandiosi, gli scenari sublimi del poema lucreziano sono pensati per esortare il lettore a scegliere un modello di vita alta e forte. La mente del lettore deve diventare specchio della sublimità universale entrata nel poema; il lettore è chiamato a trasformarsi in eroe. In Lucrezio compaiono frequentemente appelli e invocazioni al lettore a farsi attento e forte come la poesia a cui è presentato. La necessità di eroismo della mente è un principio della didattica epicurea. Lo stesso Epicuro viene presentato come un eroe, colui che ha saputo liberare l'umanità dai terrori ancestrali. Lucrezio presenta la sua attività poetica come un entusiasmo eroico, quasi divino. L'allievo di Lucrezio quindi dovrà corrispondere con altrettanto entusiasmo agli sforzi didattici del maestro. La nuova forma che il genere didascalico assume con Lucrezio mira alla creazione di un destinatario che sappia adeguarsi alla forza sublime di un esperienza sconvolgente. Ma lo stile di Lucrezio non è solo quello emozionante e vertiginoso del sublime; spesso per convincere l'interlocutore, Lucrezio usa uno stile più aggressivo e violento, quello della diatriba, una forma di insegnamento filosofico il cui principale esponente era stato Bione di Boristene. Lo stile diatribico, caratterizzato da drammatizzazioni, personificazioni delle passioni e un tono volgare, appartiene alla tradizione della satira romana. Anche Lucrezio, a tratti, sceglie uno stile più realistico, popolato di caricature, invettive e aggressioni che devono scuotere l'uomo dalle sue follie. Sono appassionati anche i passaggi in cui Lucrezio invita il lettore a riflettere su quanto crudele e empia sia la religio tradizionale. Lucrezio mostra come anche il regno animale risenta delle conseguenze negative della religio. È proprio la religione tradizionale a opprimere la vita degli uomini e a turbare ogni loro gioia con la paura. Ma se gli uomini sapessero che dopo la morte non c'è nulla, se diventassero insensibili alle minacce di pene eterne proferite dai sacerdoti, smetterebbero di essere succubi della superstizione religiosa. È il timore della morte che deve essere eliminato, poiché ad esso si riconducono tutte quelle ansie che spingono l'uomo anche all'avarizia e ai vizi. Proprio la conoscenza sicura delle leggi che regolano l'universo è in grado di assicurare questa liberazione. Allo stesso modo è necessario liberarsi da idee collaterali come il concetto di provvidenza. I saggi che vivono mettendo in pratica i precetti di Epicuro sono paragonati a coloro che, al sicuro sulla terraferma, osservano con distacco il mare in tempesta, l'altrui pericolo.
Il corso della storia.
Lo sforzo di Lucrezio è di evitare che su argomenti di grande rilievo la mancanza di spiegazioni razionali in termini epicurei riconduca il lettore ad accettare le spiegazioni razionali della superstizione. Lucrezio dedica un ampia parte dell'opera alla storia del mondo, del quale era stata chiarita la natura mortale, essendo stato originato da una casuale aggregazione di atomi e destinato alla distruzione. Né gli esseri umani né gli animali sono stati creati da un dio, ma si sono formati grazie a particolari circostanze. I primi uomini conducevano una vita al di fuori di ogni vincolo sociale: la natura forniva il poco di cui c'era davvero bisogno, ma non erano privi di pericoli. Fra le tappe del progresso umano trattate da Lucrezio, quelle positive (scoperta del linguaggio, del fuoco, dei metalli, della tessitura e dell'agricoltura) sono alternate a quelle negative, come l'inizio e il progresso dell'attività bellica o il sorgere del timore religioso. Spesso è stata la natura che ha casualmente mostrato agli uomini come agire. La necessità di comunicare ha invece spinto l'uomo a creare le prime forme di linguaggio: caso e bisogno materiale sono i fattori di avanzamento della civiltà. Il poeta desidera contrapporsi alle visioni teologiche del progresso umano: la natura segue le sue leggi e nessun dio la piega ai bisogni dell'uomo. Lucrezio non poteva credere nell'esistenza di una mitica età felice in cui l'uomo viveva come in un paradiso terrestre dal quale il degenerare delle razze lo ha allontanato. Il progresso materiale ispirato al soddisfacimento dei bisogni primari è positivo, mentre è negativo quello che ha condotto la decadenza morale (guerra e ambizioni personali). Ma la visione di Lucrezio non è sconsolata e pessimistica: l'epicureismo è in grado di fornire risposte a questi problemi, invitando a riscoprire che la natura del corpo ha davvero bisogno di poche cose. Epicuro aveva prescritto di evitare i desideri non naturali e non necessari, e di soddisfare solo quelli naturali e necessari. L'epicureismo spesso era stato considerato erroneamente come una forma di edonismo sfrenato, non cogliendo così lo spirito dei suoi precetti fondamentali, volti alla limitazione dei bisogni e alla ricerca di piaceri naturali e semplici.
L'interpretazione dell'opera.
Una tesi interpretativa molto diffusa e errata fu quella formulata dal critico francese Patin, avverso al materialismo. Secondo Patin vi era un dissidio tra l'intenzione epicurea ottimista e l'insoddisfatta religiosità del poeta, che portava i lettori a scorgere nell'opera tracce di squilibrio mentale. Leggendo oggettivamente l'opera si può constatare invece che l'autore tende sempre ad argomentare razionalmente la propria verità , a trasmettere una dottrina di liberazione morale nella quale crede profondamente. È indubbio che nel poema hanno spazio anche descrizioni violentemente drammatiche. Il problema del pessimismo di Lucrezio occupa un ruolo centrale in buona parte della critica. Bisogna però respingere le presunte contraddizioni sistematiche e clamorose di Lucrezio rispetto a Epicuro, cercate nell'opera. Lucrezio ripete molto spesso che la ratio da lui esposta conduce alla serenità interiore. Eppure a volte questo razionalismo mostra i suoi limiti. Alcuni critici hanno proposto l'immagine di un Lucrezio dissidente nei confronti di un sistema filosofico dall'aspetto troppo sereno, ma impotente di fronte ad angosce primordiali: di qui la concezione di un Lucrezio assetato di fede. Certe incoerenze, risposte cercate ma non trovate, appaiono arricchimenti del testo: danno in più alla personalità poetica di Lucrezio una dimensione
di insoddisfazione amara.
Lingua e stile di Lucrezio.
Cicerone ammirava in Lucrezio non solo l'acutezza del pensatore, ma anche grandi capacità di elaborazione artistica. La critica moderna giudicava lo stile del poeta troppo rude e legato all'uso arcaico, a tratti prosaico e ripetitivo, ma ha in seguito modificato questa prospettiva. Anche lo stile, come l'organizzazione della materia, doveva piegarsi al fine di persuadere il lettore. Si spiegano in questa luce le frequenti ripetizioni, considerate a lungo un segno di immaturità stilistica: alcuni concetti andavano riassunti in brevi formule facilmente ricordabili, come insegnava Epicuro, collocate nei punti chiave del poema. Anche l'invito all'attenzione del lettore doveva essere ripetuto spesso; alcuni termini della fisica epicurea e i nessi logici dovevano restare il più possibile fissi per consentire al lettore di familiarizzare con un linguaggio non facile. Inoltre alla lingua latina mancava la possibilità di esprimere certi concetti filosofici, e Lucrezio si trovò costretto a ricorrere a perifrasi nuove, a coniazioni e a riprendere vocaboli greci. La povertà della lingua latina era limitata però al lessico tecnico: Lucrezio sfrutta moltissimi vocaboli poetici della tradizione arcaica (soprattutto enniana) specie nel campo degli aggettivi composti, e molti ne crea egli stesso rivelando una spiccata propensione per nuovi avverbi e perifrasi. Dal patrimonio della poesia elevata romana trae le più caratteristiche forme dell'espressione: assonanze, allitterazioni, costrutti arcaici. L'esametro lucreziano si differenzia nettamente da quello arcaico di Ennio, rispetto al quale predilige l'incipit dattilico. Lucrezio dimostra di possedere una vasta conoscenza della letteratura greca, come testimoniano le riprese di Omero, Platone, Eschilo, Euripide, Callimaco e Antipatro. Il tratto distintivo dello stile di Lucrezio va individuato nella concretezza dell'espressione. Evidenza e vivacità descrittiva, visibilità e percettibilità degli oggetti intorno a cui si ragiona, corporalità dell'immaginario: questi caratteri dell'esposizione derivano dalla mancanza di un linguaggio astratto già pronto. L'espressione trae un guadagno formale da ciò: deve infatti supplire i vuoti verbali ricorrendo a molte immagini e a esempi esplicativi.
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