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METODO STORIOGRAFICO
Tacito fu un grande storico, diversamente da come noi intendiamo uno storico oggi, infatti, per i romani la storia fu opus oratorium maxime, un genere letterario d'argomento ovviamente realmente accaduto che seguiva determinate regole compositive e che considerava più importante il fine artistico a quello storiografico. Tacito si concentra sull'obbiettività, quello studio scrupoloso delle fonti, delle cause, degli avvenimenti, concentrandosi sui fatti reali.
La ricerca dell'obbiettività sembra essere il problema principale dello storico, tanto che più di una volta sia nelle historiae, sia negli annales, afferma di voler essere imparziale, di voler indagare sui fatti sine ira et studio, lontano dai sentimenti e dalle simpatie. In realtà sembra che questo voglia essere un'excusatio non petita, in altre parole lo storico cerca di prevenire certe accuse di parzialità che non è facile muovergli. Tacito non si accontenta di una descrizione asettica degli avvenimenti, ma fornisce un giudizio su ciò che narra. Lo scrupolo della sua obbiettività va orientato verso le fonti, dove appare molto serio e scrupoloso, analizza tutto ciò che è possibile consultare, dalla letteratura, ai documenti del senato, alle testimonianze dirette e personali, tutto ciò per indagare sulle cause e il meccanismo che le hanno prodotte. Questa ricerca va indirizzata verso l'uomo, siccome gli appare come il centro di tutta la storia. Per questo possiamo raccontare che la storia di Tacito ha una via realistica, portando nella storia il suo contributo d'uomo che ha vissuto direttamente i meccanismi che regolano la vita politica.
Per quanto riguarda la storiografia, Tacito, appare l'ultimo continuatore della più viva tradizione storiografica romana, rilevato da valutazioni negative che egli fa sia dei giudei sia dei cristiani, o perché si sta rendendo conto della forza che stanno avendo su Roma, o perché avverte, anche se in modo inconsapevole, il pericolo del destino di Roma. Dopo di lui si abbandona l'indagine storiografica dando spazio alla curiosità storiografica e alla vacuità aneddotica, e tutto ciò sarà un segno inequivocabile della crisi di Roma di fronte al dilagare del cristianesimo.
TACITO NELLA CULTURA ROMANA E MODERNA
Tacito fu veramente l'ultimo grande storico del mondo romano, dopo di lui la storiografia imbocco strade diverse o verso indagini biografiche, o nello sforzo di ridurre brevemente il materiale concernente la storia romana.
Nel quarto secolo l'interesse per autori del passato favorì un recupero dell'opera del grande storico, che divenne un insostituibile punto di riferimento per quanti come Ammiano Marcello, tentarono di seguirne l'esempio, sia per quanti si limitavano a scrivere soltanto un sunto della storia romana, (Eutropio). Dopo un lungo silenzio del Medioevo e dell'Umanesimo, che non amavano Tacito, nel 500' ebbe inizio il recupero dell'opera tacitiana e si produsse addirittura sul fine del secolo, un fenomeno che va sotto il nome di TACITISMO. Difatti, autori come Benedetto Varchi presero a modello non più Livio ma Tacito, vedendo in lui, con uno stravolgimento interpretativo, la condanna morale sulla crisi dell'impero.
Tacito con la sua opera avrebbe studiato e descritto i metodi astuti e talvolta subdoli con cui i principi esercitavano il loro potere. Dal 500' in poi Tacito non conobbe più momenti d'oblio e la sua opera fu spesso oggetto d'indagini e discussioni.
Intellettuali come Alfieri e Foscolo, politici come il Manzoni, lo inserirono tra le lettere preferite. Ancora ai giorni nostri lo storico gode d'enorme considerazione
LO STILE
Lo stile risente dell'inquieta e tormentata personalità dell'autore. Non è corretto pensare di identificare attraverso le opere uno stile unico, infatti, Tacito ebbe una notevole evoluzione stilistica sin dalle prime opere.
Nel Dialogus de oratoribus che probabilmente è la prima opera, lo stile appare chiaramente influenzato da Cicerone.
L'Agricola e la Germania segnano un cambiamento perché in esse si evidenzia una svolta asimmetrica, tendenza alla variatio e alla brevità mediante l'uso d'ellissi, zeugmi e soprattutto d'asindeti. Tutte particolarità presenti in maniera più visibile nelle Historia e negli Annales.
Gli elementi che costituiscono la brevitas, il poeticus color e la varietas della prosa tacitiana sono anche: l'uso frequente di costrutti nuovi e arditi, d'ellissi, asindeti, la valuta asimmetrica dei periodi, l'arcaismo del lessico, la molteplicità di brachilogie, anacoluti, chiasmi, anafore, metafore, le abbreviazioni ed ellissi, che rendono coincisa l'espressione; gli scarti della regola comune, che talvolta rendono laboriosa l'espressione, (participio perfetto con valore di gerundio, accusativo di relazione, complemento di causa espresso con per e l'accusativo, neutro d'aggettivi sostantivato in casi indiretti); l'apposizione o attributi posti a chiusura del periodo; infinito storico; discorso indiretto, frasi lapidarie.
TACITO UN POETA DELLA STORIA
L'opera di Tacito oltre che essere valutata da un punto di vista Storiografico ha anche un immenso valore dal punto di vista artistico, basti pensare alla collocazione dell'uomo al centro del reale, lo studio delle passioni e delle virtù, da un lato, e dall'altro lo scetticismo nei confronti del divino e l'intuizione che esita qualcosa che sfugge alla capacità di comprensione e analisi dell'uomo. Tutto questo ha un impianto strutturale di tipo drammatico, nel senso che tra l'uomo e il destino si stabilisce un continuo conflitto dall'esito sempre incerto. Ciò non deve destare stupore, basti pensare a come Tacito inizia a scrivere, attraverso le tragedie, che utilizza anche in seguito per esprimere i suoi sentimenti politici. I suoi personaggi sono orientati in questa prospettiva tragica, tanto che lo storico le delinea con grande perizia psicologica.
Accusa più volte analizzate nei personaggi è quella della SIMULAZIONE, (Tiberio). Così Tacito nell'analisi dei fatti non si limita alla loro descrizione ma ne ricerca le cause e crede di rintracciarle nell'intimo dell'uomo, così la storia tende a diventare psicologica e moralista, volta allo scavo interiore dei personaggi.
Un altro elemento drammatico di Tacito è il grande uso dei discorsi dei personaggi storici. Di quest'ultimo Tacito si vale anche per esprimere nella vivacità di una vera "azione" il proprio parere, o meglio le proprie valutazioni politiche e morali su quanto sta rappresentando.
RAPPORTI CON PLINIO IL GIOVANE
Nel 106 d.C. Tacito, dovendo scrivere un racconto storico degli anni relativi all'eruzione del Vesuvio che distrusse Ercolano e Pompei (79 d.C.), chiese all'amico Plinio il Giovane di fornirgli notizie relative alla morte dello zio Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), comandante della flotta romana a Misero ed autore della Historia naturalis, un'enciclopedia di 37 volumi. Quest'ultimo, secondo la tradizione, aiutò le popolazioni colpite dalla catastrofe ma morì asfissiato dai vapori del vulcano a causa della sua eccessiva curiosità che lo spinse ad osservare il fenomeno troppo da vicino (in realtà morì probabilmente per cause cardiache).
Tacito fu talmente interessato alla prima lettera dell'amico che gliene chiese una seconda che lo ragguagliasse sulla sorte sua e di sua madre dopo la morte dello zio (presso il quale Plinio il Giovane viveva in quanto orfano di padre).
Le lettere descrivono minuziosamente il fenomeno eruttivo, la morte di Plinio il Vecchio e i danni subiti dal Giovane e dalla madre a causa di questa perdita.
Mi chiedi
che io ti esponga la morte di mio zio, per poterla tramandare con una maggiore
obiettività ai posteri. Te ne ringrazio, in quanto sono sicuro che, se
sarà celebrata da te, la sua morte sarà destinata a gloria
immortale. Quantunque infatti, egli sia deceduto nel disastro delle più
incantevoli plaghe, come se fosse destinato a vivere sempre -insieme a quelle
genti ed a quelle città- proprio in virtù di
quell'indimenticabile sciagura, quantunque abbia egli stesso composto una lunga
serie di opere che rimarranno, tuttavia alla perennità della sua fama
recherà un valido contributo l'immortalità dei tuoi scritti.
Personalmente io stimo fortunati coloro ai quali per dono degli dei fu concesso
o di compiere imprese degne di essere scritte o di scrivere cose degne di
essere lette, fortunatissimi poi coloro ai quali furono concesse entrambe le
cose. Nel novero di questi ultimi sarà mio zio, in grazia dei suoi libri
e in grazia dei tuoi. Tanto più volentieri perciò accolgo
l'incombenza che tu mi proponi, anzi te lo chiedo insistentemente.
Era a Miseno e teneva personalmente il comando della flotta. Il 24 agosto,
verso l'una del pomeriggio, mia madre lo informa che spuntava una nube fuori
dell'ordinario sia per la grandezza sia per l'aspetto. Egli dopo aver preso un
bagno di sole e poi un altro nell'acqua fredda, aveva fatto uno spuntino stando
nella sua brandina da lavoro ed attendeva allo studio; si fa portare i sandali
e sale in una località che offriva le migliori condizioni per
contemplare il prodigio. Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non
riusciva a precisare da quale montagna [si seppe poi che era il Vesuvio]:
nessun'altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la forma. Infatti
slanciatosi in su in modo da suggerire l'idea di un altissimo tronco, si
allargava poi in quelli che si potrebbero chiamare dei rami, credo che il
motivo risiedesse nel fatto che, innalzata dal turbine subito dopo l'esplosione
e poi privata del suo appoggio quando quello andò esaurendosi, o anche
vinta dal suo stesso peso, si dissolveva allargandosi; talora era bianchissima,
talora sporca e macchiata, a seconda che aveva trascinato con sè terra o
cenere.
Nella sua profonda passione per la scienza, stimò che si trattasse di un
fenomeno molto importante e meritevole di essere studiato più da vicino.
Ordina che gli si prepari una liburnica e mi offre la possibilità di
andare con lui se lo desiderassi. Gli risposi che preferivo attendere ai miei
studi e, per caso, proprio lui mi aveva assegnato un lavoro da svolgere per
iscritto. Mentre usciva di casa, gli venne consegnata una lettera da parte di
Rettina, moglie di Casco, la quale, terrorizzata dal pericolo incombente
(infatti la sua villa era posta lungo la spiaggia della zona minacciata e
l'unica via di scampo era rappresentata dalle navi), lo pregava che la
strappasse da quel frangente così spaventoso. Egli allora cambia
progetto e ciò, che aveva incominciato per interesse scientifico,
affronta per l'impulso della sua eroica coscienza. Fa uscire in mare delle
quadriremi e vi sale egli stesso, per venire in soccorso non solo a Rettina ma
a molta gente, poichè quel litorale in grazia della sua bellezza, era
fittamente abitato.
Si affretta colà donde gli altri fuggono e punta la rotta e il timone
proprio nel cuore del pericolo, cosi immune dalla paura da dettare e da
annotare tutte le evoluzioni e tutte le conurazioni di quel cataclisma, come
riusciva a coglierle successivamente con lo sguardo.
Oramai, quanto più si avvicinavano, la cenere cadeva sulle navi sempre
più calda e più densa, vi cadevano ormai anche pomici e pietre
nere, corrose e spezzate dal fuoco, ormai si era creato un bassofondo
improvviso e una frana della montagna impediva di accostarsi al litorale. Dopo
una breve esitazione, se dovesse ripiegare all'indietro, al pilota che gli
suggeriva quell'alternativa, tosto replicò:
- 'La fortuna aiuta i prodi; dirigiti sulla dimora di Pomponiano'.
Questi si trovava a Stabia; dalla parte opposta del golfo (giacchè il
mare si inoltra nella dolce insenatura formata dalle coste arcuate a
semicerchio); colà, quantunque il pericolo non fosse ancora vicino,
siccome però lo si poteva scorgere bene e ci si rendeva conto che, nel
suo espandersi era ormai imminente, Pomponiano aveva trasportato sulle navi le
sue masserizie, determinato a fuggire non appena si fosse calmato il vento
contrario. Per mio zio invece questo era allora pienamente favorevole, cosi che
vi giunge, lo abbraccia tutto spaventato com'era, lo conforta, gli fa animo,
per smorzare la sua paura con la propria serenità, si fa calare nel bagno:
terminata la pulizia prende posto a tavola e consuma la sua cena con un fare
gioviale o, cosa che presuppone una grandezza non inferiore, recitando la parte
dell'uomo gioviale.
Nel frattempo dal Vesuvio risplendevano in parecchi luoghi delle larghissime
strisce di fuoco e degli incendi che emettevano alte vampate, i cui bagliori e
la cui luce erano messi in risalto dal buio della notte. Egli, per sedare lo
sgomento, insisteva nel dire che si trattava di fuochi lasciati accesi dai
contadini nell'affanno di mettersi in salvo e di ville abbandonate che
bruciavano nella camna. Poi si abbandonò al riposo e riposò di
un sonno certamente genuino. Infatti il suo respiro, a causa della sua
corpulenza, era piuttosto profondo e rumoroso, veniva percepito da coloro che
andavano avanti e indietro sulla soglia. Senonchè il cortile da cui si
accedeva alla sua stanza, riempiendosi di ceneri miste a pomice, aveva ormai
innalzato tanto il livello che, se mio zio avesse ulteriormente indugiato nella
sua camera, non avrebbe più avuto la possibilità di uscirne.
Svegliato, viene fuori e si ricongiunge al gruppo di Pomponiano e di tutti gli
altri, i quali erano rimasti desti fino a quel momento. Insieme esaminano se
sia preferibile starsene al coperto o andare alla ventura allo scoperto.
Infatti, sotto l'azione di frequenti ed enormi scosse, i caseggiati
traballavano e, come se fossero stati sbarbicati dalle loro fondamenta,
lasciavano l'impressione di sbandare ora da una parte ora dall'altra e poi di
ritornare in sesto. D'altronde all'aperto cielo c'era da temere la caduta di
pomici, anche se erano leggere e corrose; tuttavia il confronto tra questi due
pericoli indusse a scegliere quest'ultimo. In mio zio una ragione
predominò sull'altra, nei suoi comni una paura s'impose sull'altra.
Si pongono sul capo dei cuscini e li fissano con dei capi di biancheria; questa
era la loro difesa contro tutto ciò che cadeva dall'alto.
Altrove era già giorno, là invece era una notte più nera e
più fitta di qualsiasi notte, quantunque fosse mitigata da numerose
fiaccole e da luci di varia provenienza. Si trovò conveniente di recarsi
sulla spiaggia ed osservare da vicino se fosse già possibile tentare il
viaggio per mare; ma esso perdurava ancora sconvolto ed intransitabile.
Colà, sdraiato su di un panno steso a terra, chiese a due riprese
dell'acqua fresca e ne bevve. Poi delle fiamme ed un odore di zolfo che
preannunciava le fiamme spingono gli altri in fuga e lo ridestano.
Sorreggendosi su due semplici schiavi riuscì a rimettersi in piedi, ma
subito stramazzò, da quanto io posso arguire, l'atmosfera troppo pregna
di cenere gli soffocò la respirazione e gli otturò la gola, che
era per costituzione malaticcia, gonfia e spesso infiammata.
Quando riapparve la luce del sole (era il terzo giorno da quello che aveva
visto per ultimo) il suo cadavere fu ritrovato intatto, illeso e rivestito
degli stessi abiti che aveva indossati: la maniera con cui si presentava il
corpo faceva più pensare ad uno che dormisse che non ad un morto.
Frattanto a Miseno io e mia madre ma questo non interessa la storia e tu non
hai espresso il desiderio di essere informato di altro che della sua morte.
Dunque terminerò.
Aggiungerò solo una parola: che ti ho esposto tutte circostanze alle
quali sono stato presente e che mi sono state riferite immediatamente dopo,
quando i ricordi conservano ancora la massima precisione. Tu ne stralcerai gli
elementi essenziali: sono infatti cose ben diverse scrivere una lettera od una
composizione storica, rivolgersi ad un amico o a tutti.
Stammi bene.
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