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Nessuno è senza colpa (De ira 2,28 - Seneca)
Se vogliamo essere giudici giusti in tutti i casi (di tutte le cose), persuadiamoci innnanzitutto che nessuno di noi è senza colpa: infatti, nasce da qui la massima indignazione: "non ho peccato in nulla" e "non ho fatto nulla". In verità tu non confessi nulla. Ci indigniamo per essere stati castigati con qualche ammonimento o provvedimento punitivo. Mentre poi nello stesso tempo commetiamo una colpa per il fatto che alle nostre malefatte aggiungiamo l'arroganza e la tracotanza.
Chi è costui che proclama di essere innocente rispetto ad ogni legge? Anche se fosse così, o che gretta innocenza è l'essere virtuoso secondo la legge. O quanto la regola del dovere è più estesa di quanto non sia la regola del diritto. Quante cose abbondantemente sono richieste dai nostri sacri legami di affetto, umanità, liberalità, giustizia e lealtà, tutte cose che si trovano scritte al di fuori delle tavole della legge.
Ma neppure possiamo soddisfare quella formula ristrettissima dell'innocenza: certe colpe le abbiamo commesse, altre colpe le abbiamo pensate, altre le abbiamo desiderate, altre ancora le abbiamo incoraggiate; in taluni casi siamo innocenti, perchè non è accaduto.
Pensando ciò, cerchiamo di essere più equi di coloro che cadono in colpa, e prestiamo orecchio a coloro che ci rimproverano; pertanto con chi ci arrabbiamo contro se ci arrabbiamo anche con i buoni? Pochissimo con gli dei; infatti soffriamo non per decisione loro, ma per la legge della mortalità qualunque cosa accade di spiacevole. "Ma - tu dirai - ci piombano addosso malattie e dolori". In ogni caso dobbiamo sbarazzarci come se sia di questo domicilio cascante che ci è stato dato in sorte.
Si dirà che qualcuno ha parlato male di te: pensa se non hai fatto tu (la stessa cosa) per primo, pensa di quanta gente sparli assai. Pensiamo, dico, che alcuni non ci facciano offesa, ma la ricambiano, altri abbiano fatto quest'offesa per il nostro bene, altri sono costretti a fare l'offesa, altri per ignoranza, e che anche quelli che fanno l'offesa volontariamente e scientemente non hanno come fine nell'offenderci il far l'offesa stessa: o (colui che) si è lasciato trascinare dalla piacevolezza di un motto spiritoso, o ha fatto qualcosa non per nuocerci, ma perchè non poteva conseguire (qualcosa), senza metterci da parte; spesso l'adulazione offende mentre vuol blandire.
Chiunque si rammenterà quante volte egli stesso è caduto in sospetti ingannevoli, quante sue premure hanno investito per eccesso delle circostanze di fortuna l'aspetto dell'offesa, quante molte persone, dopo averle odiate, (egli) ha potuto cominciare ad amare; riuscirà a non adirarsi subito, specialmente se ad ogni singola offesa dirà tacitamente tra sé e sé: "Anch'io ho fatto così".
Dove troverai mai un giusto giudice? Quello che desidera la dona di qualcuno e considera abbastanza come giusta causa amare ciò che appartiene agli altri, questo stesso non vuole che la sua donna sia guardata, ed è un perfido esattore di lealtà, e lo stesso impostore vendica le menzogne, e il falso accusatore consente che gli sia mossa lite con molta fatica; chi non rispetta il suo non vuole che si attenti al pudore degli schiavetti.
Abbiamo davanti agli occhi i difetti altrui, i nostri sono alle spalle: da ciò deriva che un padre peggiore del lio rimprovera i banchetti iniziati prima del tempo del lio, e che chi non si è negato nulla dei suoi beni non perdona alcunchè del lusso altrui, e il tiranno si irrita col colpevole, e il sacrilego punisce i furti. E' una grande parte degli uomini quella che si irrita non con i peccati, ma con i peccatori. Ci rende più tolleranti il volgerci indietro verso di noi, se ci domanderemo: "Non abbiamo forse commesso qualcosa del genere? Non abbiamo forse errato allo stesso modo? Ci giova condannare codeste trasgressioni?".
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