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Quando la Gallia era tranquilla, Cesare, come aveva stabilito, si reca in Italia per tenervi le sessioni giudiziarie. Qui viene a sapere dell'assassinio di P. Clodio. Poi, messo al corrente della delibera del senato che chiamava al giuramento in massa i giovani dell'Italia, inizia il reclutamento in tutta la provincia. Le notizie vengono ben presto riferite in Gallia transalpina. I Galli stessi aggiungono e inventano altri particolari, che sembravano adatti alla circostanza: Cesare era trattenuto dai disordini della capitale e non poteva certo raggiungere l'esercito mentre erano in corso contrasti così aspri. I Galli, già prima, afflitti di sottostare al dominio del popolo romano, cominciano a prendere decisioni per la guerra con maggior libertà e audacia, spronati dall'occasione favorevole. I capi della Gallia si riuniscono in zone boscose e appartate, si lamentano della morte di Accone, spiegano che la stessa sorte poteva toccare anche a loro. Deplorano la situazione comune a tutto il paese: promettendo premi d'ogni sorta, chiedono con insistenza qualcuno che apra le ostilità e renda libera la Gallia a rischio della vita. Innanzi tutto, dicono, si trattava di tagliare a Cesare la strada per l'esercito prima che venissero conosciuti i loro piani segreti. Era facile: assente il comandante in capo, le legioni non avrebbero osato lasciare gli accampamenti invernali, né Cesare avrebbe potuto raggiungerle, senza la scorta dovuta. Infine, era meglio morire sul campo piuttosto che non recuperare l'antica gloria militare e la libertà ereditata dagli avi.
(Cesare 7, 1-90)
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