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Non dubito, Attico, che molto numerosi saranno coloro che giudicheranno questo mio modo di scrivere la storia, leggero ed inadeguato a grandi uomini, dato che vi si legge, per esempio, chi sia stato il maestro di musica di Epaminonda o si menziona tra le sue belle qualità l'agilità nella danza e la bravura nel suonare il flauto. Ma saranno probabilmente persone che, ignorando la cultura greca, crederanno di dover approvare soltanto ciò che è conforme al loro proprio modo di vivere. Ma quando avranno imparato che il criterio circa il ben fatto e il mal fatto non è uguale per tutti e che ogni cosa deve essere giudicata secondo le tradizioni dei propri avi, non si meraviglieranno che nella trattazione delle virtù dei Greci io mi sia uniformato alla loro forma di civiltà. Così non era vergognoso per Cimone, grandissimo tra gli Ateniesi, avere per moglie la sorella germana, perché i suoi concittadini seguivano la stessa usanza, mentre ciò, secondo i nostri costumi, è scandaloso. A Creta era segno di distinzione per i giovani l'essere stati amanti di molti. A Sparta non c'è vedova tanto nobile che non possa darsi alla prostituzione per guadagno. Così anche in tutta la Grecia si aveva per grande onore l'essere proclamato vincitore alle Olimpiadi, fare scene o esibirsi negli spettacoli non era ritenuto disonorevole per alcuno: tutte cose che da noi sono parte infamanti, parte umilianti e parte contro il decoro. Invece moltissime azioni giudicate decorose da noi invece sono giudicate turpi da loro. Chi dei Romani si fa scrupolo di portare la moglie al banchetto? o quale matrona non si fa vedere nell'atrio della casa o frequentare la società? In Grecia invece l'uso è molto diverso. La donna non è ammessa a conviti che non siano di congiunti e si trattiene solo nella parte più interna della casa, chiamata gineceo, dove nessuno può entrare se non uno stretto parente. Ma mi distoglie dal diffondermi più a lungo in codesta materia sia la mole dell'opera sia una certa fretta di dar corso a quello a cui ho accennato. Vengo quindi all'argomento propostomi e tratterò in questo libro della vita di alcuni grandissimi condottieri.
Padroni della Gallia intera
Spinti da questi motivi e scossi dall'autorità di Orgetorige, stabilirono di disporre l'occorrente alla partenza: adunare il maggior numero di bestie da soma e di carriaggi che si potesse acquistare, eseguire il massimo delle semine per non mancare di grano durante il viaggio, stabilire una pace amichevole con le nazioni limitrofe. per compiere questi preparativi giudicarono sufficiente un biennio, e al terzo anno fissano per legge la partenza. A realizzarli viene scelto Orgetorige. Questi nel corso delle ambascerie che compì presso varie nazioni convince Castico lio di Catamatalde - un sequano il cui padre aveva dominato per molti anni sul suo popolo ed era stato proclamato dal Senato amico del popolo romano - a prendere il potere tra i suoi connazionali come suo padre prima di lui; altrettanto fa con l'eduo Dumnorige, fratello di Diviciaco allora principe della sua nazione, e molto popolare, inducendo a compiere un tentativo analogo e concedendogli in moglie la propria lia. dimostra a entrambi l'estrema facilità dell'impresa, poiché anch'egli avrebbe ottenuto il dominio della propria nazione: ed essendo fuor di dubbio che gli El fossero il popolo più potente dell'intera Gallia, garantisce che con le sue risorse e il suo esercito egli avrebbe procurato loro il trono. Questo discorso li induce a giurare lealtà reciproca, e confidano che un volta raggiunto il potere, con quei tre popoli così forti e saldi potranno divenire padroni della Gallia intera.
'Annales' di Tacito
Ma ora abbiamo entrambi colmato la misura, sia tu, per quanto può un principe donare ad un amico, sia io per quanto può un amico ricevere da un principe; il di più può soltanto fomentare l'invidia, la quale, come tutti i diletti degli uomini, non giunge a toccare la tua grandezza; ma su di me sovrasta minacciosa e devo difendermi. E come invocherei il tuo soccorso se in una camna militare o in un viaggio mi trovassi spossato, così, vecchio ormai ed inetto anche agli uffici più lievi in questo viaggio della vita, sentendo di non poter sostenere oltre il carico delle mie ricchezze, chiedo a te aiuto. Ordina tu che i miei beni passino sotto la cura dei tuoi amministratori, rientrino a far parte delle tue sostanze. Non intendo con questo volermi ridurre in miseria, ma riconsegnarti quei beni il cuo fulgore mi abbaglia, potrò nuovamente dedicare alle occupazioni spirituali quel tempo che si perde nella cura dei giardini e delle ville. Tu hai ora abbondanza di energie e l'esperienza di un altissimo comando assimilata durante tanti anni: possiamo quindi noi, tuoi vecchi amici, chiedere congedo. Anche questo sarà per te titolo di gloria: aver elevato alle più alte fortune chi ne avrebbe accettata anche una modesta.
I Sanniti chiedono agli Etruschi di allearsi contro i Romani
I Sanniti si diressero verso l'Etruria e chiesero una assemblea sei capi dell'Etruria. E radunata questa espongono per quanti anni combattono per la libertà contro i Romani: avevano provato tutte le cose, nel caso in cui potessero affrontare un rischio tanto grande di guerra con le loro stesse forze: avevano tentato anche di ottenere gli aiuti delle genti vicine non con grande efficacia. Avevano chiesto la pace al popolo romano,, non potendo tollerare la guerra; si erano ribellate perché la pace per chi è schiavo è più tollerabile che la guerra per chi è libero. A loro restava un'unica speranza negli Etruschi: sapere che erano la gente più ricca d'Italia per armi, uomini, denaro; avevano come confinanti i Galli. nati tra spada e armi, feroci non solo con il loro ingegno ma anche contro i Romani, popolo che ricordano catturato da loro e riscattato con l'oro, non vantandosi inutilmente. Numma mancava a che costringessero i Romani cacciati da ogni territorio al di là del Tevere a combattere per la propria salvezza non per non tollerare il regno d'Italia nel caso in cui gli etruschi avessero lo stesso animo che un tempo era stato di Porsenna e dei loro antenati.
L'educazione presso i Romani
Ritengo che sarebbe opportuno che io dica poche cose sulla educazione dei li presso i romani per non tediarvi. Nessuno dei padri di famiglia non conosce la severità con la quale in tempi antichissimi venivano educati gli animi e i corpi dei li. Pertanto erano ritenuti ottimi i costumi della repubblica se nati da una disciplina fin dall'infanzia. Neppure le madri si vergognavano di passare i giorni costantemente a casa per educare i li, affinché diventassero ottimi cittadini della patria. Tuttavia gli scrittori delle cronache romane non raramente manifestavano dispiacere degli attuali costumi. Infatti si diceva che negli ultimi tempi della repubblica la vita della famiglia e dei cittadini era già corrotta. Allora le madri incominciarono ad essere infastidite dovendo rimanere a casa con i li, inoltre ai padri dispiaceva osservare tutto quello che gli avi avevano ritenuto non sconveniente. D'altra parte sembrava che i cattivi esempi dei genitori incitavano i li al lusso e alla pigrizia.
Trionfo di Camillo tre volte vincitore
Camillo tornò trionfante nella città vincitore contemporaneamente di tre battaglie. Portò moltissimi prigionieri etruschi davanti al carro, venduti i quali all'asta ricavò tanto denaro, che, rifuso il prezzo dell'oro versato dalle matrone, con ciò che era avanzato, sono state fatte tre coppe d'oro, le quali con l'iscrizione del nome di Camillo risulta che sono state poste nella cappella di Giove davanti ai piedi di Giunone prima dell'incendio del Campidoglio.
Gli studenti si devono esercitare attivamente
Ne lo stesso precettore deve solo insegnare queste cose, ma interrogare frequentemente e mettere alla prova il discernimento degli studenti. Così l'apatia si allontanerà da coloro che ascoltano, ne le cose che si andranno dicendo sfuggiranno agli orecchi: insieme, condurranno a ciò quello che da questo si chiede; cioè che loro conoscano e capiscano. Infatti che cos'altro facciamo insegnando a loro se non che sono sempre da informare? Questo genere di attenzione oserei dire più utile agli studenti più che a tutte le abilità in ogni cosa. Come tuttavia sono state tramandate alcune regole generali nell'arte della guerra molto maggiormente sarà comunque più vantaggioso conoscere per quale motivo qualcuno dei comandanti ne faccia uso sapiente in quale circostanza, in quale momento, in quale luogo o sia contrario: infatti in tutte le cose generalmente le regole valgono meno che la pratica.
Il re Pirro
Nel medesimo tempo fu dichiarata una guerra ai Tarantini,
che già si trovavano nella parte meridionale dell'Italia, poiché avevano
fatto un torto agli ambasciatori romani, questi chiesero aiuto contro i romani,
a Pirro, re dell'Epiro che traeva origine dalla stirpe di Achille. Egli venne
subito in Italia e allora per la prima volta i romani combatterono con un
nemico d'oltremare. Fu mandato contro Pirro il console P. Valerio Levino, il
quale dopo aver catturato gli esploratori di Pirro, ordinò che essi
fossero condotti per l'accampamento, che fosse mostrato tutto l'esercito e che
allora fossero lasciati andare, affinché riferissero a Pirro tutto ciò
che i romani stavano facendo. Attaccata immediatamente battaglia mentre,
sebbene Pirro fuggisse già, vinse con l'aiuto degli elefanti i quali
impaurirono i romani giacché non li avevano mai visti. Ma la notte pose fine al
combattimento; Levino tuttavia fuggì durante la notte. Pirro
catturò mille e ottocento romani e li trattò con sommo rispetto,
fece seppellire quelli uccisi. E dopo aver visto questi anche morti con ferite
sul petto e con un aspetto orribile, si dice che portò le mani al cielo
con queste parole: che egli avrebbe potuto essere padrone di tutto quanto il
mondo se gli fossero capitati tali soldati.
Scontro tra Cesare e i Britanni
Cesare capiva che anche se ciò che era accaduto nei giorni precedenti si sarebbe ripetuto, cioè che in nemici sconfitti fuggissero il pericolo velocemente, tuttavia trovati per caso circa trenta cavalieri, che Commio Atreba aveva portato con sé, dispose le legioni in schiere davanti all'accampamento. Incominciata la battaglia i nemici non poterono contrastare l'impeto dei nostri soldati per lungo tempo e così fuggirono. Ma avendoli inseguiti per un bel tratto, quanto potevano mettere assieme con la corsa e le forze, ne uccisero molti; e poi dopo aver bruciato tutte le case in lungo e in largo ritornarono agli accampamenti.
Prologo de 'Le Baccanti'
Io Dioniso, lio di Giove, sono giunto presso la terra dei Tebani, che la sposa lia di Cadmo Semele ha dato alla luce una volta, fatta partorire dalla fiamma del lampo; avendo assunto l'aspetto mortale al posto di quello divino sono giunto presso la fonte di Dirce, serpente del fiume Ismeo. Vedo il sepolcro di mia madre, la fulminata e vicino le rovine delle case e delle dimore fumanti per la fiamma ancora viva del fulmine di Zeus, oltraggio inestinguibile della madre. Era verso di me. Lodo Cadmo, che ha reso inviolabile questo suolo, recinto sacro della lia; io la coprii con i verdi grappoli della vite. Abbandonando i campi dei Lidi e dei Frigi ricchi d'oro, la pianura dei Persiani battute dal sole, le mura della Battriana e la gelida terra dei Medi, e dopo aver attraversato l'Arabia felice e tutta l'Asia che presso il mare salato si adagia con le città dalle belle torri; piene insieme di Greci e Barbari mescolati tra loro, prima andai verso la città dei Greci e avendo condotto una danza corale e avendo imposto i miei riti di iniziazioni, per rivelarmi dio ai mortali. È Tebe la prima città della terra ellenica che ho fatto risuonare di grida femminili, dopo aver ricoperto il loro corpo con una pelle di cerbiatto (nebride) avendo loro dato un'arma ricoperta di edera in mano. Ma lì le sorelle della madre, quelle che meno avrebbero dovuto farlo, dicevano che Dioniso non era lio di Zeus (ma dicevano che) Semele sedotta da un mortale, riferiva a Zeus il peccato del letto, astuta trovata di Cadmo e per questo esclamavano esultanti, Zeus l'aveva uccisa, poiché aveva mentito riguardo le sue nozze.
Un'ennesima ruberia di Verre
Non sarebbe certamente stato necessario che venisse portata via la statua di Apollo a Lisone di Lilibeto, primo uomo, presso il quale hai alloggiato. Dirai di averla acquistata. Lo so, per mille sesterzi. Così penso. So, dico. mostrerò il contratto di acquisto. Tuttavia non sarebbe stato necessario che ciò venisse fatto. Al minore Eio, a cui è tutore Gaio Marcello, al quale avevi sottratto una grande quantità di denaro e vasi con stemmi di Lilibeto, quali dei due dici che sono stati comprati o confessi che sono stati rubati?
Sogni e visioni
In sogno Giove ordinò al plebeo Latino di annunciare al senato che i consoli istituissero i giochi poiché non erano stati definiti secondo il rito: infatti prima dell'introduzione del corteo per il circo il servo era stato condotto in croce dal padrone. Siccome Latino dubitava, fu oppresso dalla improvvisa morte del lio, dopodiché della salute del suo corpo, continuando le profezie di Giove; finalmente portato su una lettiga riferì il sogno al senato e subito dopo uscì dalla curia con i propri piedi. Sembra che Creso, avendo due li, abbia visto in sogno il lio Ati mentre si strappava un giavellotto. Pertanto sembrò al re che al lio fosse proibito di usare il giavellotto. Poco dopo tuttavia, quando un cinghiale di dimensioni enormi devastava le culture del monte Olimpo, con frequenti devastazioni di campi coltivati, il li fu lasciato andare da Creso per ucciderlo. Così si dice che non avrebbe potuto evitare il destino del giovane. Infatti mentre tutti erano intenti con intensa passione ad uccidere il maiale, il caso sfortunato deviò verso Ati la lancia di qualcuno, scagliata al fine di colpire la bestia da colpire. Si dice che Annibale nominato responsabile e comandante dell'invasione dell'Italia, abbia visto in sogno un giovane mandato a lui da Giove. Poco dopo si dice che abbia visto un immenso serpente che spaventava tutto ciò che gli si parava davanti con slancio impetuoso; e poi sbalordito si dice che interrogò il giovane sul significato di ciò, il quale rispose: «guarda la grandezza dell'Italia: perciò taci e lascia al destino tutte le altre cose».
I libri sibillini
Si narra che una volta una certa vecchia si recò dal re Tarquinio, portando con se nove libri, che diceva contenevano i divini presagi e desiderava vendere. Tarquinio avendo domandato il prezzo, la vecchia chiese il prezzo massimo; il re la derise perché pensava avesse perso il senno a causa della tarda età. Allora quella, avendo posto un fuoco davanti a questo, bruciò tre dei nove libri e chiese se voleva comprare i sei rimanenti allo stesso prezzo. Ma parve a Tarquinio, che rideva molto di più, che la vecchia senza dubbio delirasse. Ma immediatamente la vecchia, bruciati altri tre libri, chiese candidamente di nuovo al re se voleva comprare gli ultimi tre libri al medesimo prezzo. Allora si dice che Tarquinio sia divenuto più attento; infatti pensò che una donna così costante e sicura di sé non fosse da sfidare; pertanto comprò immediatamente al medesimo prezzo i libri. Quando la vecchia partì da Tarquinio, nessuno seppe mai che cosa lei fosse stata ata: ciò non fu più visto da nessuna parte del mondo.
Macedonia
Prima era Macedonia, fu chiamata così l'Emazia dal nome del re Emezio, di cui le prime prove di valore ancora sussistono in quei luoghi. Di questa come furono scarsi gli aumenti ( di territorio ), così i confini furono sempre piccoli. Era chiamata Beozia il territorio dove regnavano i Pelasgi. Ma poi per il valore dei re e l'operosità della gente forzati dapprima i confini, subito dopo forzati i popoli e le nazioni, estesero il dominio fino agli estremi confini dell'oriente. Nella regione della Poemia, che era una parte della Macedonia, si dice che abbia regnato Pelagono, padre di Aristopeo, il cui nome abbiamo appreso tra gli illustri difensori della città durante la guerra di Troia in Macedonia. Europo regnò da un'altra parte in Europa. Ma anche Carano, che aveva ricevuto dall'oracolo l'ordine di cercare dei territori in Macedonia, arrivando ad Emazia con una grande quantità di Greci, senza che i cittadini se ne accorgessero a causa di grandi piogge e nebbia, inseguì un gregge di capre che fuggivano la pioggia, occupò la città di Edessa; e ricordandosi (revocatus 'in memoria') dell'oracolo, dal quale aveva ottenuto l'ordine di cercare di ottenere il dominio con i comandanti e animali, stabilì la capitale del regno.
Auctores
Se gli uomini, così come si vede che sentono che c'è un
peso nel loro animo tale da affaticarli con la gravezza, potessero conoscere
anche da quali cause ciò derivi e da dove una così pesante mole
di male alberghi nel loro cuore, non trascorrerebbero la loro vita come oggi
per lo più vediamo che ciascuno non sa cosa vuole per se e sempre cerca
di cambiare luogo come se potesse deporre il peso. Esce spesso fuori dalle sue
grandi stanze colui che si è annoiato di stare in casa e subito vi
ritorna,come colui che si accorge che lo star fuori non è affatto
meglio.
Corre forsennatamente verso la sua villa spronando i manni,
come se fosse ansioso di portare aiuto alle sue case in fiamme. Non appena ha
sfiorato la soglia della sua villa immediatamente sbadiglia o sprofonda subito
nel sonno e sfiora l'oblio o ancora affrettandosi raggiunge la città e
torna a vederla. Così ciascuno fugge sé stesso, ma a colui il quale
naturalmente come accade non è possibile sfuggire, sta attaccato suo
malgrado e lo odia, per il fatto che non coglie la causa della malattia; mentre
se lo vedesse bene ormai lasciate le cose, ciascuno si preoccuperebbe anzitutto
di conoscere la natura, poiché è in gioco la condizione non di un'ora,
ma del tempo eterno, nel quale i mortali devono aspettarsi (che scorra) tutto
il tempo quale che sia che resta dopo la sua morte.
Dioniso accomnava i suoi sacrilegi con parole allegre. Spogliato il tempio di Proserpina a Locri, poiché viaggiava con la flotta, in alto maree col vento favorevole, ridente agli amici: "sembrò - disse - che la buona navigazione sia donata dagli stessi dei ai sacrileghi". Il medesimo Dioniso, sottratto dal tempo di Giove Olimpo un assai pesante mantello d'oro e posto a lui pallio di lana: "In estate - disse - un mantello d'oro è pesante, nel freddo inverno, invece è più adatto,, quello di lana invece è più adatto per entrambi i periodi dell'anno". Si dice che lo stesso abbia tolto la barba d'oro dall'Esculopio di Epidauro: "Non è conveniente - disse - che il padre di Apollo s'è visto senza barba, ed egli stesso con la barba". Dopo ciò a buon diritto quel tiranno sembra essere stato non solo sprezzatore degli dei ma anche beffeggiatore.
A) accomnato da agg. neutro id
B) accomnato da fore
C) accomnato da utite
D) accomnato da verbo impersonale
E) Significa sembrare bene
F) accomnato da verbo impersonale
Felice posizione di Roma
Romolo, nato da padre Marte, si dice che con il fratello Remo da Amulio, re Albano per timore di un infausto oracolo, fosse abbandonato presso il Tevere. In quel luogo poiché già sostenuto dalle mammelle selvagge della belva e poiché i pastori lo avevano allevato e poiché lo avevano cresciuto nella coltivazione agreste e nel lavoro, si narra che per primeggiò per le forze del corpo e per ferocità dell'animo. Nei confronti degli altrettanti che tutti, coloro che allora abitavano i loro campi, gli obbedirono con animo rassegnato e liberamente. Si tramanda che per mezzo delle armate di questi essendosi offerto comandante, avesse distrutto Albalonga, grande e potente città in quei tempi e avesse ucciso re Amulio. Acquisita qualche gloria, si dice che avesse deciso di fondare una nuova città. Scelse invece per la sua città u luogo (di) incredibile opportunità. E infatti non la fondo presso il mare: infatti sembra che di quelli uomini dotati di singolare preveggenza e saggezza
Attico aveva come zio Quinto Cecilio, cavaliere romano, appartenente alla famiglia di Licinio Lucullo, arricchito, per la natura difficilissima: del quale seppe trattare la durezza di carattere tanto come nessuno seppe sopportare, che seppe mantenere la benevolenza di questi senza screzi sino alla vecchiaia. Per questo fatto trasse guadagno dalla pietà. Cecilio morente infatti per testamento adottò quello e (lo) fece erede per la quarta parte: da quella eredità ricevette all'incirca dieci milioni di sesterzi. Era la sorella di attico sposa per Q. Tullio Cicerone, e M. Cicerone si era procurato quelle spose, con la quale viveva congiuntissimamente del condiscepolo, anche in maniera più intima che con Quinto, affinché possa essere considerato di valere più nell'amicizia che, confronto di moralità, la parentela. Era in relazione invece intimamente con Q. Hortensio che a quei tempi teneva il comando dell'eloquenza, affinché non potesse essersi accorto, quello dei due che più aveva amato quello, Cicerone o forse Hortensio: e, poiché ciò era difficilissimo, concluse che, tra quelli la gara di gloria fosse, e se invidia sarebbe sopraggiunta e fosse anello di congiunzione fra i due uomini.
È di questa civiltà di gran lunga la grande autorità su tutte le regioni marittime di quei luoghi, poiché e i Veneti hanno parecchie navi per mezzo delle quali hanno l'abitudine di navigare in Britannia, è nella scienza e nella tradizione delle cose nautiche precedono gli altri e nel grande impeto del mare e nei poveri porti posti in mezzo al mare aperto, quali gli stessi tengono che tutti partano, coloro che dal mare affinché abbiano l'abitudine, hanno i tributi. Da questi accade l'inizio del trattenere di Silla e Ielanio e possono sorprendere. Di questi i limitrofi condotti dall'autorità, poiché sono dei galli i repentini de improvvisi consigli, per la stessa causa Trabio e Terradisio frenarono e velocemente
Gli accampamenti difesi con zelo dalle milizie che erano rimaste come presidio. Infatti quei militari che erano fuggiti dalla battaglia con animo spaventato e sfiniti dalla stanchezza, la maggior parte dopo aver deposto le armi ed i vessilli militari, pensavano più alla restante fuga che alla difesa degli accampamenti. In verità per lungo tempo coloro che erano fermi nel vallone poterono sostenere la moltitudine dei dardi avevano abbandonato il luogo fuggirono verso gli altissimi monti, che conducevano agli accampamenti servendosi coma guide dei soldati come centurioni e tribuni.
Nell'accampamento di Pompeo fu permesso di vedere i pergolati eretti, grandi quantità di denari, i padiglioni coperti da verdi zolle, e le tende di Lucio e di Centulo e parecchie altre protette con l'edera e molte altre cose che indicassero l'attaccamento al lusso e la fiducia nella vittoria. Perché facilmente si potesse credere che essi per nessuna ragione avessero temuto per l'esito della sua morte tanto da non andare in cerca di piaceri non necessari. Questi contrapponevano il lusso al poverissimo e pazientissimo esercito di Cesare a cui sempre mancavano le cose se non strettamente necessarie.. Mentre i nostri si aggiravano dentro le trincee salito sul cavallo tolte le insegne imperiali, uscì dalla porta Decumena e subito contese al galoppo Larisa. E lì non perseverò ma con la stessa velocità fuggendo con pochi dei suoi pervenne al mare in un itinerario notturno con l'accomnamento della trentesima cavalleria e si imbarcò in una nave merci lamentandosi spesso, come si diceva di essere stato tanto deluso nell'aspettativa di quel genere di uomini dal quale si era visto tradito mentre davano inizio alla fuga.
Fu combattuta di giorno e vigorosamente la dubbia battaglia. Più lungamente quando i nemici non poterono sostenere l'impeto dei nostri, all'altro se, affinché cominciassero, ? nella montagna, all'altro si aveva pertanto i bagagli e i suoi carri. Infatti tutta questa battaglia, svoltasi dalla settima ora alla sera, i nemici posti di fonte poté vedere. Fino a notte inoltrata ai bagagli si combatté, per questo che avevano esposto, per la valle le ruote e le lance i giavellotti gettavano e ferivano i nostri. Avendo combattuto durante il giorno, si impadronirono dei nostri bagagli e dei nostri accampamenti. Qui i li di Argetorige e uno tra i li fu preso. Da questo combattimento circa 130 degli uomini sopravvissero e viaggiammo ininterrottamente tutta la notte: il viaggio non interrotto in nessuna parte della notte, alla fina a Ligano arrivammo il quarto giorno, quando e perché i soldati feriti e perché la sepoltura degli uccisi non avrebbe potuto seguire quelli nelle rimanenti tre giornate.
In tanta e tanto corrotta città Catilina, ciò perché era un fato facilissimo, di tutti i misfatti e le scelleratezze attorno a sé, tanto quanto dei ?, aveva folle. Infatti qualunque impudico, adultero, libertino, con la mano, col ventre percuotesse la buona patria, il quale redimesse il misfatto o l'altra turpitudine, inoltre tutti e dappertutto di parricide, di sacrilegio, di ? dei giudici a causa dei fatti tementi, a questo, questi la mano o la lingua alimentava con lo spergiuro o col sangue del popolo, questi perseguitava il misfatto, la povertà, il rimorso, a lui a Catilina erano i prossimi e i familiari. Perché anche se chi aveva reciso sgombri nell'amicizia di lui, era dovuto all'uso e al facile e i propri simili.
I Pompeiani cominciano a cedere (I)
Nello stesso tempo Cesare ordinò che la terza linea che era stata tranquilla e fino a quel momento si era mantenuto nel posto assegnato avanzasse. Così essendo succeduti i vigorosi e gli illesi agli stanchi, alcuni invece assalirono alle spalle, i Pompeiani non poterono resistere e batterono in ritirata. E Cesare non si era in verità ingannato sul fatto che da quelle truppe che erano collocate di contro ai cavalieri in quarta fila, comincia l'inizio della vittoria, come lui stesso aveva detto nell'incitare i soldati. Tra quelli infatti in primo luogo distrutta la cavalleria, tra gli stessi sono raccolti i corpi degli arcieri e dei frombolieri, tra gli stessi l'armata Pompeiana era circondata dalla parte sinistra e fu stabilito l'inizio della fuga.
I Pompeiani cominciano a cedere (II)
Ma Pompeo, come vide la sua cavalleria sconfitta e confidava massimamente in quella osservò quella parte spaventata, diffidato da chiunque altro, uscì dall'esercito e per mezzo del cavallo si rifugiò nell'accampamento senza fermarsi e ai suoi centurioni nel posto di guardia aveva collocato presso la porta pretoria, chiaramente. Affinché i soldati udissero distintamente: "Proteggete - disse - l'accampamento e difendete diligentemente, se qualcosa ? sarà accaduto. Io circondo le restanti parte a rafforzo". Avendo detto queste cose, sii rifugiò nel pretorio diffidando dell'esito finale e ciononostante aspettante l'evento. Cesare spinti i Pompeiani alla fuga nella valle, stimante che nessuno spazio fosse necessario di essere concesso agli spaventati, esortò i soldati affinché utilizzassero il beneficio della fortuna e assalgono l'accampamento. Quelli, anche se affaticarti dal calore( infatti la cosa si era prolungata oltre mezzogiorno), nonostante risoluti di ogni sforzo, furono sottomessi al comando.
La Gallia è nel suo insieme divisa in tre parti, delle quali i belgi abitano una, gli Aquitani un'altra, la terza coloro che sono chiamati nella stessa lingua dei Celti e chiamata nostra dei Galli. Questi si differenziano tra loro per lingua, istituzioni, leggi. Il fiume Garonna divide i Galli dagli Aquitani, la Marna e la Senna divide dai Belgi 8I Galli). Di tutti questi i più forti sono i Belgi, per il fatto che sono distanti dalla civiltà e dalla cultura della provincia e per niente spesso i mercanti capitano nel loro paese e le cose che mirano ad indebolire gli animi, importano e sono vicini ai Germani, che abitano oltre il Reno, con questi combattono continuamente. Per questo gli El superano anche i rimanenti Galli in virtù, perché combattono quotidianamente guerre con i Germani, o quando li tengono lontani dai loro territori o gli stessi combattono nei loro confini una parte dei territori che, come si è detto è occupata dai Galli ha inizio del fiume Rodano, è limitata dal fiume Garonna, dall'oceano, dai confini dei belgi, confina anche dalla parte dei Sequani e degli El. I belgi hanno origine dagli estremi confini della Gallia si estendono fino alla parte inferiore del fiume Reno, guardano verso il sole che sorge. L'Aquitania si estende dal fiume Garonna ai monti Pirenei e questa parte dell'oceano che è vicino alla Sna, si estende guarda verso al tramonto del sole e a settentrione.
incolo, is, inedui, incultum, incolerea
appello, as, avi, atuma, are
differo, differs, diftuli, dilatum, differre
divido, is, si, sum, dere
absum, abes, abfui, abesse
In Gallia non soltanto in tutte le città e in tutti i villaggi ma anche in ciascuna famiglia ci sono partiti e di loro sono i capi delle tribù che apparsi a giudizio di ? avere somma autorità in ogni decisione. Pare che questa tradizione sia stata istituita in epoca antica per questo, affinché nessun cittadino della plebe fosse privo di protezione contro uno più potente. Ciascun capo infatti non sopporta che i suoi siano oppressi e ingannati e se facesse altrimenti non avrebbero alcuna autorità fra i suoi. Questo costume regna in generale in tutta la Gallia e perciò tutte le popolazioni furono divise in due parti.
sum, es fui, esse
habeo, es, ui, itum, ere
videor, eris, visum sum, videri
ageo, es, agui, ere
divido, is, si divisum, ere
Vi sono due tipo in tutta la Gallia di quegli uomini, che sono di un certo numero e onore. Infatti la plebe è quasi considerata al pari dei servi, che niente da sola per mezzo di se stessa e non viene convocata per nessuna decisione. La maggior parte quando sono incalzati o dal debito o dalla grandezza dei tributi, o dalla ingiuria di potenti si consacrano alla servitù. Ai nobili nei confronti di questi sono gli stessi diritti che sono ai padroni nei confronti degli schiavi. Fra questi due gruppi sociali uno è dei druidi, l'altro dei cavalieri. Quelli prendono parte alla cerimonie sacre, compiono sacrifici pubblici e privati, interpretano i segni religiosi; presso questi accorre un grande numero di giovani per la cultura e questi sono in grande onore presso quelli. Infatti, decidono quasi tutte le controversie pubbliche e private, e se qualche omicidio è stato commesso, se una strage è stata fatta, se dell'eredità dei confini è controversa, gli stessi decidono, e assegnano premi e pene. Se qualcuno o da privato o da pubblico non si è attenuto alla legge di quelli lo allontanano dalle cerimonie pubbliche.
sum, es fui, esse
habeo, es, ui, itum, ere
audeo, es, auditus sum, audere
premo, pressi, pressum, ere
dico, is, dicavi, dicatum, are
procuro, as, avi atum, are
Druidi e Cavalieri (II)
Questa punizione presso essi è gravissima: coloro ai quali così fu vietato, questi ai quali è stato così vietato e scellerati tutti si allontanano da loro, di loro evitano la loro frequenza e il dialogo affinché abbiano alcun danno dal contatto dei dannosi, e non viene resa giustizia a questi qualora la chiedano e ne alcune cariche pubbliche è condivisa. Inoltre a tutti questi druidi presiede uno solo, che tra loro ha una somma autorità. Dopo che questo morì e se questo esce dalla religione, con dignità o succede, se chi sono parecchie parti, per suffragio viene eletto il druido; giammai si contendono per il primato questi in certi periodi dell'anno si riuniscono in un territorio consacrato nella regione dei Carnuti. Qui si radunano tutti coloro che hanno controversie e obbediscono ai loro giudizi decretanti.
I Druidi sono soliti astenersi dalla guerra né versano i tributi insieme agli altri. Molti vanno alla scuola spontaneamente incitati da tanti premi servizio militare e l'immunità di tutte le cose e altri sono mandati dai genitori e dai familiari. Si dice che qui imparino a memoria un gran numero di versi. Pertanto alcuni rimangono a scuola vent'anni per ciascuno; e pensano che sia lecito affidare quelle cose alle lettere usando nelle restanti cose sia pubbliche che private servano delle lettere greche. Mi sembra che abbiano stabilito ciò per due motivi perché ne vogliono che la dottrina sia diffusa nel popolo ne che quelli che imparano confidando nelle lettere si affidino meno alla memoria; questo in genere avviene che rallentino la diligenza nell'imparare e la memoria a causa del ? e delle lettere. Fra le prime cose vogliono persuadere riguardo a ciò che le anime non muoiono ma che le anime passano dall'uno all'altro e soprattutto questo ritengono e ciò sono spinti alla virtù essendo stato messo da parte il dolore della morte. Inoltre discutono molte cose circa gli astri e il loro movimento sulla grandezza del mondo, ?; sulla natura, sulla potenza degli dei mortali.
L'altra classe è dei cavalieri. Questi quando c'è bisogno e capita qualche battaglia - che prima dell'avvento di Cesare era solita accadere ogni anno che essi stessi portare offese o respingessero gli attacchi portati - tutti (questi) dedicano alla guerra, e fra questi più uno è importante e per stirpe e per abbondanza tanto più ha intorno a sé parecchi seervi e clienti. Conoscono solo questa forza e potenza.
sum, es fui, esse
fero, fers, tuli, latum, ferre
infero, infers, intuli, illatum, inferre
Fu un uomo senza dubbio degno per tutti della lode guerresca, eccellente non solo per il vigore dell'uomo, ma anche nelle forze del corpo. La singolare agilità dei piedi era dentro di lui, la quale diede anche il soprannome; e dicono che era stato vincitore di tutti nel corso della sua vita o per la forza degli uomini o per la molta pratica, di cibo e di vino lo stesso (eccezionale mangiatore) capacissimo; ne più aspro con alcuno, poiché lo stesso fosse invincibile al lavoro del corpo, che il servizio militare fosse alla fanteria in uguale modo alla cavalleria. E una straordinaria forza era in quell'uomo di autorità allo stesso modo nei soci e nei cittadini, Il pretore di Preneste per timore aveva condotto i suoi alquanto poiché tra le truppe in prima fila; che poiché andava su e giù davanti alla tenda fu ordinato che fosse chiamato, ordinò che il ? togliesse la scure.
Dario invece, essendo tornato dall'Europa in Asia, gli amici esortati affinché riconducesse la Grecia sotto il suo potere; allestì una flotta di cinquecento navi e a questa mise a capo Dati e Artaferne, e a quelli diede duecentomila fanti, diecimila cavalieri, adducendo il pretesto che egli sia nemico degli Ateniesi, poiché con l'aiuto di quelli gli Ioni conquistarono i Sardi e distrussero i loro presidi. Quelli Satrapi, approdati con la flotta a Bubonea, velocemente presero l'Eretria e mandarono al re in Asia tutti i cittadini rapiti di quella gente. Quindi accedettero all'Attica e condussero le loro armate nel campo di Maratona: quello è a circa diecimila passi dalla città di Atene.
Annibale fatto comandante a meno di 25 anni, nei tre anni seguenti sottomise tutte le genti della Sna, espugnò Sagunto, città confederata, con la forza unì tre eserciti molto grandi. Tra questi mandò uno in Africa, un altro lo lasciò col fratello Asdrubale in Sna, il terzo condusse in Italia con sé. Superò il valico dei Pirenei. Ovunque andasse, combatté con tutti gli abitanti: non lascio andare nessuno se non vinto. Dopo che giunse alle Alpi che separano l'Italia dalla Gallia, che mai nessuno con un esercito prima di lui eccetto Ercole aveva passato (per questo fatto quello[il passo] è chiamato oggi il passo Greco), annientò gli Alpigiani che tentavano di impedirgli il passaggio, fortificò i sentieri, e fece in modo che per quei sentieri un elefante equigiato potesse passare.
Marco Catone, nato nel municipio di Fuscolo, adolescente, prima di dedicarsi alla carriera politica, visse tra i Sabini, poiché lì aveva un podere lasciato dal padre. Quindi per esortazione di C. Valerio Flacco, che ebbe collega nel consolato e nella censura(carica del console) emigrò a Roma e cominciò fare l'avvocato. Meritò il primo stipendio militare a 17 anni. Fu tribuno militare in Sicilia, sotto Quinto Fabio e M. Claudio consoli. Quindi come ritornò, seguì l'accampamento di C.C.N., e al sua grande opera fu molto stimata nella battaglia presso la Sena, nella quale cadde Asdrubale, fratello di Annibale. Fu eletto Edile della plebe con C. Elvio. Divenne pretore della provincia di Sardegna, dalla quale tempo prima aveva condotto Quinto Ennio il poeta, il che stimiamo meno di qualsiasi grandissimo trionfo in Sardegna.
Tra la gente macedone due superano di molto gli altri per la gloria delle gesta: Filippo, lio di aminta, e Alessandro Magno. Uno di questi due consumato dalla malattia a Babilonia, Filippo fu ucciso dagli Egeati, mentre andava a vedere i giochi vicino al teatro. Un Epirota, Pirro, che combatté contro il popolo romano. Egli mentre espugnava la città di argo nel Peloponneso, colpito da un sasso, morì. Uno del medesimo genere Siculo, il vecchio Dioniso. Infatti fu sia forte meno che esperto in guerra e, che non è facile da trovare in un tiranno, minimamente avido, non lussurioso, non avaro; e infine per niente cupido di alcuna cosa se non
È questa vecchia opinione, che sussiste dalle antichissime testimonianze scritte dei Greci, secondo ciò tutta l'intera isola di Sicilia sia consacrata a Cerere e Libera. Infatti credono (si crede) che queste dee siano nate in quei luoghi, che il grano in quelle terre venga ottenuto per la prima volta che sia stata rapita Libera, la quale medesima chiamano Proserpina, dal bosco degli abitanti di Enna (dagli abitanti del bosco di Enna), il quale luogo, che è situato nel centro dell'isola, è chiamato l'ombelico della Sicilia. Cerere avendo voluto investigare e cercare quella, si dice che avesse acceso le torce con quei fuochi che fuoriuscivano dal vortice dell'Etna. Enna d'altra parte è in un luogo elevato e prommente che nella sommità del quale vi è una pianura spianata del terreno e le acque perenni: tutta in verità è scosceso a picco da ogni avvicinamento(parte). All'intorno di questa ci sono un lago, dei boschi e parecchi e rigogliosi fiori in ogni tempo dell'anno.
C'è un bue con la forma di un cervo, del quale dal centro della fronte tira le orecchie spunta un unico corno più eminente de diritto di quelle, che sono note a noi, corna; dalla sommità di questo si dipartono per ampio tratto rami simili alle palme di una mano. La stessa è la natura della femmina e del maschio, stessa (è) la forma e la grandezza delle corna. ½ sono ugualmente animali che sono chiamati alci. Di questi la forma e la varietà delle pelli è del tutto simile alla capre; ma precedono un poco per grandezza e sono senza corna e hanno le gambe senza giunture e sono senza articolazioni, né si sdraiano per dormire né, se per qualche accidente cadono, non possono ergersi e sollevarsi. Per questi gli alberi sono come giacigli: a quelli si appoggiano e solamente cosi si addormentano un poco. Il terzo è il genere di quelli, che sono chiamati Uri. Questi sono un poco per grandezza più piccoli degli elefanti, con l'aspetto, colore e ura del toro Grande è la loro forza e grande velocità, risparmiano né l'uomo né le fiere, che avvistano. L'ampiezza e le ura è la specie delle corna differisce molto dalle corna dei nostri bovi.
Per la ritirata delle navi Liburniche dall'Illiria Marco Ottaviano con queste, che aveva, non pervenne a Salona. Lì sollevati i Dalmati e i restanti barbari respinse Issa dall'amicizia di Cesare; la comunità dei cittadini romani a Salona, non potendo muovere né con promesse né con avvertimenti di pericolo, iniziò ad attacare la fortezza. D'altra parte della città è fortificata della natura del luogo.Ma velocemente i cittadini romani, costruite torri di legno, si fortificarono con queste e, essendo deboli per resistere a causa della scarsezza di uomini, sfiniti dalle numerose ferite, risolsero per un estremo mezzo di salvezza e liberarono tutti i servi schiavi adulti e tagliati i capelli di tutte le donne ne fecero delle corde. Saputa l'intenzione di quelli, Ottavio circondò la fortezza per mezzo di cinque accampamenti e in un momento cominciò che quelli assalirono per mezzo dell'assedio e dell'espugnazione. Quelli lavoravano al frumento tutti interrotti massimamente esperti. Per queste cose mandati a Cesare degli ambasciatori, gli chiedevano aiuto; i restanti scomodi come poterono, si sostenevano da soli.
Era allora tra i cavalieri il tribuno militare Aulo Cornelio Cosso, di singolare per la bellezza del corpo, eguale per animo e per le forze, e memore della famiglia che maggiore e più onorata ricevuta ragguardevolissima lasciò ai posteri. Egli vedendo all'assalto di Tolumnio gli squadroni romani trepidanti e essendo venuto a sapere, quello straordinario che correva di qua e là e portamento regole per l'esercito schierato. È questo qui - disse - il trasgressore del patto dell'uomo e il violatore del diritto delle genti? Già io offrirò questa vittima sacrificata ai Mani, clemente se gli dei vogliono che qualcosa di santo sia in terra. E si scagliò dato di sprone con la lancia pronta per essere scagliata un solo nemico: che essendo caduto da cavallo per il colpo, e subito egli stesso appoggiandosi alla lancia la ebbe estratta dai suoi piedi, Lì con lo scudo fa cadere il ree che tentava di alzarsi, colpì il ree più volte con la lancia e lo inchiodò a terra. Allora il vincitore sottratte le spoglie dell'esangue e recisa la testa spense col terrore ? col terrore, portando i nemici uccisi de re con il giavellotto.
Giugurta, quando stimò che i legati romani si erano allontanati dall'Africa, e non poté espugnare con le armi Cirta per la natura del luogo, circondo le mura con una trincea e con una fossa, innalzò delle torri e rafforzò quelle con delle guardie; inoltre attaccarla giorno e notte o con la forza o con delle astuzie, prometteva ora premi ai difensori delle mura, ora li minacciava, incitava i suoi con l'esortare alle virtù, insomma predisponeva ogni ?. Aderbale quando si accorse che tutte le sue speranze erano riposte nell'estremità, che era minaccioso il nemico, che la speranza di aiuto era nulla, che la guerra non poteva essere continuata per la penuria delle cose necessaire, tra quelli, che si erano rifugiati a Cirta contemporaneamente, designò due massimamente attivi: persuase quelli col promettere molte cose e col commiserare la sua disgrazia, a dirigersi attraverso le fortificazioni dei nemici, nottetempo fino al vicino mare, in segiuto a Roma.
Fortificato completamente l'accampamento Caio Semplicio Gallo, tribuno dei soldati della seconda legione, che era stato capo l'anno precedente, convocata l'assemblea con il permesso del console proclamò ai soldati convocati che la seguente, perché non prendessero ciò come presagio, che la luna sarebbe stata sul punto di mancare dall'ora quarta della notte. Ciò perché avvenisse in tempi stabiliti e con ordine naturale, sia per essere saputo, sia per poter essere detto. E così in modo che, poiché fossero certi sia del sorgere sia del tramontare del sole della luna, non si meravigliassero che la luna risplendesse ora in pieno cerchio, ora decrescente in uno stretto corno, così che nemmeno l'essere oscurato mettendolo insieme all'ombra della terra, non dovesse essere trasformato in prodigio. Di notte, il giorno prima che arrivasse il giorno della nona di settembre, all'ora divulgata quando la luna mancò, i Galli furono visti dai soldati romani con saggezza quasi divina; né diversamente il profeta, annunciando il tramonto del regno e la rovina della gente mosse i macedoni tenendo conto di un triste presagio. Nell'accampamento dei macedoni ci fu il clamore e le urla finché al luna apparì nella sua luce.
Tre bravissimi storici esaltarono con grandissime lodi Alcibiade denigrato da molti: Tucidide, che fu dello stesso periodo, Teopompo, nato dopo un certo periodo, e Tuneo: tuttavia questi due estremamente maledicenti furono d'accordo nel lodare proprio quello, non so in che modo. Infatti quelle cose, che abbiamo scritto prima, dissero di lui più e più di questo; poiché nacque ad Atene, durante la gloriosa civiltà; poi espulso si recò a Tebe, così unì agli studi di loro, che nessuno seppe eguagliarlo nella fatica e nella forza fisica (infatti i Beozi servono tutti maggiormente per la consistenza del corpo che per la vivacità dell'ingegno), lo stesso presso gli spartani, dei quali per costumi la somma virtù era messa nella pazienza, così fosse data a lui insensibilità, come la parsimonia di viltà e di rispetto provarono tutti gli spartani gli spartani; stette presso i Traci, uomini violenti dediti alle cose di Venere. Anche questi anticipasse in queste cose; andò dai Persiani presso i quali era somma lode andare a caccia fortemente, vivere dissolutamente: di loro così ho imitato le abitudini, come loro stesso ammirano lui in quello. Con le quali cose fece come, presso chiunque fu.
Poiché i veienti, spinti dai romani dentro le mura, non potevano essere catturati con una guerra lunga e dura, poiché quel ritardo sembrava intollerabile, gli dei immortali manifestarono con un meraviglioso prodigio la strada della vittoria. Improvvisamente il lago Albano non aumentato dalle piogge celesti e non aiutato dall'inondazione di alcun fiume superò il solito livello di stagno. Per esaminare quella cosa sembrò opportuno ai romani mandare ambasciatori all'oracolo di Delfi. Gli ambasciatori riferirono dei pregi venivo il consiglio che diffondesse l'acqua del lago per i campi; così infatti Veio sarebbe caduto nel dominio del popolo romano.
Brescia è la patria di dei Minucio, di quella nostra Italia che sino ad ora tiene e conserva molta della timidezza, dell'onestà ed anche della semplicità antica. Padre di lui è Minucio Matrino, capo dell'ordine equestre, perché non ha voluto nulla di più alto e riteneva essere abbastanza di stima per lui quell'ordine. Infatti scelto dal divinizzato Vespasiano tra i pretori, antepose l'onesta alla nostra ambizione, insofferente dalle preoccupazioni. Ha nonna materna Serrana Procina con municipio di Padova. Ha conosciuto luoghi e modi, Serrana, tuttavia non solo è memore dell'antico pudore, ma è anche prova della severità dei Padovani Ha eguaglio sia lo zio materno sia P. Acilia per serietà, per prudenza, per una lealtà ? ?, Nell'insieme in tutta la casa non ci sarà niente, che non ti piacerà come nella tua.
( . )Gli uni sono dei giovani, gli altri sono doveri degli anziani. È proprio degli adolescenti avere rispetto per i più vecchi ed eleggere tra di loro i migliori ed i più buoni, con il consiglio ed il parere dei quali sostiene, poiché l'inesperienza giovanile dell'età deve essere creata e retta con la prudenza degli anziani. Ma quella età della moltissima voglia deve essere ritenuta ed essere esercitata nel lavoro e nella pazienza sia nell'anima che del corpo. E infatti, quando vogliono rilassare gli animi e dorsi alla scherzosità evitando la smodatezza, ricordando della fanciullezza. ( . )
Invece i vecchi spartani, quando volevano nascondere ed occultare le lettere pubblicamente mandate ai loro comandanti, affinché non fossero prese dai nemici, non fossero conosciute le loro decisioni, mandavano lettere fatte in qualche modo. I due bastoncini erano lisci, allungato, dello stesso spessore e della stessa lunghezza, lucidati e ornati similmente; uno era stato dato al comandante che partiva in guerra; i magistrati avevano l'altro in casa con il diritto e con il simbolo connesso. Quando l'abitudine pre diffusa delle lettere molto segrete, piegavano attorno a quel bastoncino una cinghia di scarsa sottigliezza, tuttavia quando era sufficiente, al bisogno con una forma rotonda e semplice, così che i margini uniti da ogni parte e se unissero alla cinghia, che era piegava. Quella cinghia avvolta attorno al bastoncino con le lettere così incisa dal comandante consapevole della strategia. Tuttavia lo sciogliere della cinghia restituiva le lettere dalla cinghia tagliate e incomplete e sparivano le frasi e i segni di quelle in parti diversissime.
M. Catone, consolare e censore, dice che le sue fattorie rimasero incolte e incomplete fino al settantesimo anno della sua età. E dopo aggiunge con queste parole, dice: "Né mi è prezioso né un edificio né un vaso né alcun vestito né il servo, né una serva. Se c'è qualcosa di cui servirsi lo uso; se non c'è ne faccioa meno. Achiunque è lecito servirsi e godere del suo, secondo me". Ma poi aggiunse: "Per me si cambiano in vizio, perché manco di molte cose,, ma iole volgo contro di loro poiché dicono di non mancare". Questa verità di catone, il qual se dice di fare ameno di molte cose né di qualsiasi cosa, allora induce a desiderare sopportando la povertà più che le parole di coloro che se dicono di filosofare ne se viene meno il denaro ? poiché qualcosa ? mentre ? per il di avere.
Il ragazzo Emilio Lepido allora disfò anche l'avanzata nella schiera nemica, salvava il cittadino. Del quale una statua a forma di balla e conta con al toga è posta nel Campidoglio incice a così memorabili opere, senatus consulto: infatti pensava ingiusto che lui non sembrasse ancora proprio all'onore, che già fosse maturo per la virtù. Infatti Lepido prevenì fortemente il rafforzamento dell'età con la rapidità del fare è ritorno dalla guerra la doppia lode, di cui soffrivano lui essere ? spettatore dell'età: infatti ai giovani incute alquanto terrore l'esercito nemico, sia le spade sguainate, sia lo spargersi dappertutto della frecce, sia il rumore dell'arrivare della cavalleria, sia l'impeto dell'esercito accorrente, tra quelle cose della gente Emilio la fanciullezza merita la corona, può afferrare i boltini.
Eterio Rufo, dando a Siracusa uno spettacolo di gladiatori, vide se essere trafitto, durante il riposo per mano di un reziario e il giorno seguente lo raccontò durante lo spettacolo a chi gli sedeva vicino. Quindi accade che fosse introdotto un reziario con un mirmillone vicino ai posti riservati ai cavalieri. Dopo che vide l'aspetto di questo disse agli stessi di aver pensato di essere trucidato da quel reziario e volle subito allontanassi da lì. Quelli, allontanando con il loro discorso il suo timore provocarono la causa della morte dell'infelice: infatti il reziario, in quel luogo spinto il mirmillione e gettatolo a terra, mentre tentava di colpire il mirmillone che giaceva, uccise Eterio dopo averlo trafitto con la spada.
Infatti in quanto l'amicizia è superiore alla parentela, che dalla parentela l'affetto si può eliminare, il titolo di amicizia si elimina, di parentela rimane. Quanta d'altra parte sia la forza dell'amicizia soprattutto da questo si può capire principalmente, che dall'infinita società del genere umano, la quale la stessa maturità ha conciliato, la cosa è stata raccolta e ridotta in limiti ben precisi, così che tutto l'amore sia stato riunito tra due o tra pochi. L'amicizia infatti non è nient'altro il consenso di tute le cose divine e umane con al benevolenza dell'amore; per questo non so se non infatti sottratta la sapienza, niente sia stato dato di migliore all'uomo dagli dei immortali. Altri preferiscono la ricchezza, altri la buona salute, altri la potenza, altri l'onore, molti anche i divertimenti. Questa estrema è certamente delle bestie (da bestie), queste cose più superiori sono inutili e incerte, poste non tanto nei nostri consigli quanto nei casi della sorte. Coloro che invece pongono nella virtù il sommo bene, quelli per di più fanno meravigliosamente, ma questa stessa virtù sia generi, sia conservi l'amicizia, l'amicizia non può essere senza virtù in alcun modo.
Gavio Basso nel suo libro di memorie, così pure Giulio Modesto tramandano con memoria ed ammirazione al degna storia di un cavallo di Seaino: dicono che quel cavallo era di una nuova grossezza, con un collo alto, di colore purpureo, con una criniera florida e chiomata, con tutte le altri lodi dei cavalli e eccelleva anche in lunghezza; ma raccontano che lo steso cavallo fosse tale per una mlaedizione o per la sorte che chiunque lo aveva e lo possedeva, (ut) egli per tutti i doni andavano in rovina, con la famiglia e con tutte le sue ricchezze fino alla strage. E così ( . ) a M. Antonino che fu in seguito triumvirato incaricato della riforma della costituzione dello stato, ( . ) nel medesimo periodo il console Cornelio Dolobella, partito in Siria, con ( . ).
Ma anche lo stesso Dolobella durante la guerra civile in Siria, si racconta che sia stato assediato e massacrato; in seguito lo stesso cavallo, che era stato di Dolobella ( . )
Direi che l'attività anche di Archimede fu redditizia se non lo stesso a quello avesse dato e tolto la vita. Infatti presso Siracusa, Marcello aveva percepito che la sua vittoria era stata impedita molto e per lungo tempo dalle sua macchine: tuttavia attratto dall'eccellente saggezza dell'uomo, ordinò che fosse risparmiata la testa di quello, rispondendo quasi tanta gloria in Archimede salvato, quanto in Siracusa vinta. Ma quello, mentre tracciava ure geometriche con gli occhi e la mente fisse a terre, al soldato, che era entrato in casa per depredare, e sguainare ( . ).
Pompeo, che aveva gli accampamenti nell'altura, schierava l'esercito in ordine di battaglia alle falde più basse del monte, sembrava che, sempre aspettando 8aspettante) se Cesare si riducesse a posizioni sfavorevoli. Cesare stimando che Pompeo potesse essere stanato da se in nessun modo per il duello giudicò che questa la miglior condotta di guerra, per spostare l'accampamento fuori da quel luogo e fosse sempre in cammino, mentre questo guardare, poiché potesse avvalersi di migliori e più frequenti approvvigionamenti di grano per muovere gli accampamenti e andare per luoghi ?, e contemporaneamente per trovare nel cammino una qualche occasione di combattere e stancasse l'esercito di Pompeo non abituato alla fatica con viaggi quotidiani, Da queste determinate cose, già con il segno delle partenza data e smontando le tende, si accorse poco prima, altri alla consuetudine congius da un palo che l'accuratezza di Pompeo fosse progredita, poiché non sembrava possibile combattere in un luogo così accidentato.
È ingiusto non fare menzione dell'animo coraggioso di Attilio Regolo che fu mandato a Roma dai Punici per persuadere i suoi concittadini restituissero i prigionieri. Poiché non aveva voluto persuadere i concittadini, poteva rimanere a casa ma preferì tornare, sia che volesse conservare la parola data, sia che sperasse che i Punici fossero meno crudeli. Egli non doveva ritornare, ( . ), doveva fare ( . ).
L'ordine di marcia era tale. Il fuoco, che gli stessi chiamavano sacro ed eterno, era portato sull'altare argenteo. Gli indovini vicini cantavano canti degli avi. 365 giovani seguivano gli indovini, coperti di vestiti porpora, un numero uguale ai giorni di tutto l'anno; infatti anche per i persiani l'anno è diviso in altrettanti giorni. Appresso i cavalli bianchi trasportavano il carro consacrato a Giove; un cavallo di grandezza unica, che chiamavano del sole, seguiva questo. I vestiti rami d'oro e bianchi ornavano i cavalli del re. Non erano lontani dieci carri cesellati con oro e argento. Seguivano questi i cavalieri di dodici popolazioni con varie armi e maniere. Subito dopo che i Persiani chiamavano immortali, camminavano a dieci miglia. Il colto non onorava più gli altri delle ricchezze straniere; quelli avevano collane auree, alcuni (avevano) il vestito fregiato con l'oro e tuniche fornite di maniche anche ornate di pietre preziose. Dopo un breve intervallo seguono quelli che chiamavano parenti del re, 15000 uomini. Quella davvero una folla, abbigliata quasi ala maniera delle donne, era ammirabile più per il lusso che per la bellezza delle armi.
Quando gli altri che stavano attorno si congratularono con Annibale vincitore, e persuaderono, portata a compimento tanta battaglia, e poiché lo stesso sia prese a se sia detto ai soldati stanchi ciò che era restato dei giorni e la quiete della notte, Maarbale prefetto dei cavalieri, convinto di non essere cessato, disse: "Piuttosto, poiché sai che sia condotto questa battaglia, vincitore banchetterai nel Campidoglio nel quinto giorno. Seguimi ?; andrò avanti con la fanteria, che sappiamo che tu sei giunto, prima ancora che dovresti arrivare. Ad Annibale la situazione era sembrata eccessivamente favorevole e troppo grande perché possa accettarla immediatamente. Perciò disse che lodasse la volontà di Maarbale. Ma c'era bisogno di tempo per preparare un piano, tuttavia Maarbale: "Gli dei non hanno dato veramente alle stesse persone tutte le cose: tu sai vincere Annibale, non sfruttare la vittoria". Si crede che il ritardo di quel giorno fosse sufficiente alla salvezza per Roma e per il suo potere".
Durante la guerra del Pelopponeso con il consiglio e l'autorità di Alcibiade gli Ateniesi dichiararono guerra ai Siracusani. Egli stesso fu eletto comandante per portare avanti ciò, inoltre gli furono dati due colleghi, Nicio e Lamaco. Mentre preparava quella, prima che la flotta uscisse, accadde che i una sola notte tute le Erme, che erano nella città di uno, vennero buttate e terra tranne una, che stava davanti alla porta di Andocide. Così quella dopo fu chiamata Mercurio di Andocide. Mentre appariva che questo non era stato fatto senza un grande accordo di molti, poiché era stato utile non alle cose private, ma allo stato, un grande timore fu incassa ad un gran numero, poiché una qualche forza improvvisa esiste nei cittadini, che aveva schiacciato la libertà del popolo. Sembrava che soprattutto testimonianze contro ad Alcibiade, poiché era stimato sia più potente sia come più illustre dei privati. Infatti aveva superato molti con la generosità, aveva reso molti suoi anche con il lavoro di avvocato. Per ciò accadeva che, ogni volta che si era mostrato in pubblico, attrasse su di se gli sguardi di tutti e che qualcuno non era posto pari a lui nella cittadinanza. Perciò non solo avevano la massima speranza in egli ma anche timore, questa cosa poteva nuocere moltissimo nuocere e giovare anche una cattiva reputazione, si diceva che celebrava i misteri in casa sua: ciò era empietà per la tradizione degli Ateniesi, e questo non per la religione, ma era giudicato per una congiura che si diffondeva.
Vengo ora alla passione di costui come lui stesso chiama, morbo e insania come i suoi amici, latrocinio secondo i siciliani: io non so con che nome chiamarla; vi presenterò i fatti; voi li giudicherete non secondo il loro nome ma secondo la gravità.O giudici, prima conoscete la natura stessa poi forse senza grande fatica cercherete in che modo potreste chiamarlo. Affermo che in tutta la Sicilia, provincia tanto ricca, tanto vecchia di così grandi città, di tante famiglie così ricche, nessun vaso d'argento, nessun di Corinto o di Ielo c'è stato, nessuna gemma o pietra preziosa, qualcosa fatto d'oro e d'avorio,nessuna statua bronzea, marmorea o d'avorio, affermo che non c'è stata nessuna pittura nè su tavola né su tela che non abbia cercato, attentamente esaminato che gli sia piaciuto e abbia portato via.Sembra un'esagerazione la mia, state bene attenti in che modo parlo. Non infatti per dare più forza alle mie parole né al crimine metto insieme tutto. Quando dico che questo delle cose di questo genere niente ha lasciato in tutta la provincia sappiate che uso parole latine, non parlo in modo accusatorio. Parlerò con ancora più chiarezza: Verre non ha lasciato nulla in casa di nessuno nemmeno in quelle degli ospiti, niente nei luoghi comuni, niente nemmeno nei templi, niente presso i Siciliani niente ai cittadini rimani, insomma niente di ciò che gli sia capitato sotto gli occhi e abbia suscitato la sua bramosia, sia oggetto privato, sia pubblico, sacro o profano, ha lasciato in tutta la Sicilia.
Stabilita questa cosa, usciti dall'accampamento al secondo turno di sentinelle con molto strepito e tumulto, senza un odine e non un comando, quando ciascuno si cerca per primi la strada migliore e si affrettano a tornare a casa, fecero si che la partenza sembrasse simile alla fuga. Cesare informato dagli osservatori, temendo le imboscate che si ritrovano, e per questa ragione non avevano ispezionato trattene l'esercito nell'accampamento. Allo spunto del giorno, confermate la notizia degli esploratori, mando avanti tutta la cavalleria, in modo da fermare la retroguardia, comando l'ambasciatore T. Lobieno di seguirla con 3 legioni. Questi, assalita ed inseguita la retroguardia, per molte miglia, massacrarono una grande moltitudine da loro fuggiti, poiché dalla retroguardia si collocavano e sostenevano con forza l'impeto dei nostri soldati, i primi poiché sembravano essere lontani dal pericolo ed essere composti da alcune necessità ed ordini, udito il tumulto e sconvolto le file, tutti mettevano la guarnigione in fuga da loro. Così senza nessun pericolo i nostri uccisero un gran numero di loro e quanto fu la durata del giorno e verso il tramonto del sole cessare di inseguirli e accolsero loro nell'accampamento così come era comandato.
Aristippo filosofo socratico, poiché avere rivolto l'attenzione al disastro presso al spiaggia di Rodi trattate la geometria con un giro di parole, avendo guidato contro i comni così ebbe detto: "Speriamo bene! Infatti vedo le impronte degli uomini. È immediatamente andò nella città di rodi e andò direttamente a finire nel ginnasio, e qui discutendo della filosofia, fu donato, poiché non tanto per prepararsi, ma anche a loro., i quali nello stesso tempo saranno stati sia i vestiti sia le quali cose che sono necessarie per il nutrimento. Affinché fosse superiore poiché d'altra parte aveva voluto che i comni di lui ritornassero in patria e poiché lo interrogò, pochi voleva qualcuno che non avrebbe rinunciato alla cosa, allora ordinò che dicessero: "In tal maniera per il viaggio ai li è opportuno che si prepari, per le quali così anche dal disastro nello stesso tempo possono enare da un naufragio". Infatti quelle protezioni sono il mezzo di sopravvivenza, alle quali potevano nuocere né il sfavorevole di fortuna, né il mutamento delle cose pubbliche, né la devastazione della guerra.
Si dice che le anatre del ponto si nutrano davanti a tutti col mangiare veleno. È stato scritto anche da Leneo, liberto di Pompeo, che Mitridate, famoso re del Ponto, fosse abile dei rimedi e dell'arte medica e fosse solito mischiare il sangue di quelle ai medicamenti, poiché servono nel digerire il veleno, ed anche quel sangue fosse potentissimo in quella fattura; ma (è stato scritto) che lo stesso re s guardasse dalle insidie dei cibi con l'uso continuo di tali medicinali, che anzi ne bevesse consapevolmente anche altre sia e spesso per mostrare gli effetti di un veleno rapido e di grande efficacia e che ciò fosse senza danno. Per cui poi, quando vinto in battaglia fuggì nell'ultima parte del suo regno e aveva deciso di morire dopo aver provato ad affrontare inutilmente la morte un veleno violentissimo, trapassò sa stesso con la sua spada. L'antidoto di questo re è famosissimo, che è chiamato, "Mitridatico".
Ma il re, poiché provava un odio viscerale nei confronti di Datame, essendosi reso conto che questi non poteva essere ucciso in guerra, tentò di eliminarlo mediante delle insidie: ma costui le evitò quasi tutte. Datame poiché ricevette un messaggio che certi tendevano a lui un agguato, quelli che erano nella categoria degli amici; volle provare se gli fosse stato riferito il vero o il falso. E così si recò là, per la strada nel quale avevano detto ci sarebbero state le insidie. Ma scelse (un tale) con corporatura e statura più simile alla sua e a lui diede il suo abito e ordinò che lui andasse dove lo stesso aveva stabilito; ma lo stesso equigiato e vestito da militare cominciò a fare il viaggio col guardie del corpo. Al contrario gli assalitori, dopo che l'esercito arrivò in quel luogo, ingannati dal vestito, si lanciano contro lui che era sostituito. Tuttavia aveva avvisato quelli con i quali faceva il viaggio, perché fossero preparati lo stesso che ebbero visto forse a lui. Quello, poiché fece attenzione agli insidiatori accorrenti, lanciò a loro dardi. Dopo che ebbe fatto lo stesso con tutti prima che accorressero quelli che volevano aggredire (a) lui, morirono.
Mentre gli Etruschi irrompevano nella città per un fatto di travi, Orazio Coclite occupò la parte estrema di quello e affrontò l'esercito dei nemici, mentre dietro di le sue spalle il ponte4 fosse squarciato, con una infaticabile battaglia, quando vide ila patria liberata da un pericolo imminente, armato si gettò nel Tevere. Gli dei immortali meravigliati della forza di quello, assicurarono a lui una totale incolumità: infatti né scosso dall'altezza della caduta, né oppresso dal peso dell'armamento, né spinto da qualche vortice del fiume, neppure dalle frecce, che si raggruppano da ogni parte, danneggiato, ebbe del nuotare un ?. E così uno, attirava su di sé gli sguardi di tutti i nemici, dei tanti cittadini essendo stupiti quelli per l'ammirazione, questi rimanevano perplessi tra gloria e paura, e uno solo allertato, per una durissima guerra, ( . ) combattendo. Infine lo stesso difese la nostra città difese tanto al suo scudo quanto il bacino del Tevere. Perciò allontanandosi gli etruschi poterono dire: "Vincemmo i romani., fummo vinti da Orazio".
I romani avevano affrettato il chiudere la porta durante la guerra Sabina, che scoppiò a causa dei rapimenti delle vergini, che stava sotto le radici del colle Viminale, che dopo dall'evento viene chiamato Di Gian, perché nella stessa i nemici si precipitarono dopo che fu chiusa, subito spontaneamente si aprì; e poiché era accaduta la stessa cosa una seconda e una terza, moltissimi uomini armati davanti alla soglia, poiché non potevano chiuderla, stettero schierati in qualità di custodi, e mentre si combatteva dall'altra parte con una guerra implacabile, improvvisamente giunse la notizia che i nostri fossero respinti da Tito Tazio. Per questa ragione i romani che custodivano l'ingresso, scapparono spaventati. E mentre i Sabini furono sul punto di entrare con impeto attraverso la porta aperta, si dice che dal tempio di Giano fuoriuscisse un grande torrente con onde trascinanti e facesse morire una massa enorme di traditori o trascinati dal ribollire o tra ( . ). Per ciò fu stabilito che in tempo di guerra come un dio arrivi in città, ( . ).
Epamimondo, ferito gravemente presso Martinea, morì, ed anche le truppe dello stato caddero con lui. Ma fu incerto se fosse un uomo migliore o comandante. Poiché chiedeva il comando se, mi sempre patria, e sembrava ammirabile, i dove una conoscenza della milizia fosse, tanto distinta un uomo noto attraverso gli scritti. Né il modo in cui morì dissenti da questo modello di vita: infatti non appena riportato semivivo nell'accampamento la voce e lo spirito, e chiese una cosa sola tra i circostanti; se il nemico avesse tolto lo scudo a lui cadente, quando che questo era stato salvato, lo bacio come un comno di lavoro e di gloria. Di nuovo chiese quale die due avesse vinto. Come senti che erano i Tedoni, disse che le cose andavano bene per lui e così spirò congratulandosi vivamente con la patria.
Dicono che, quando Simonide pranzò a Cronnone in Tessaglia presso Scopa, uomo fortemato e nobile, e quando aveva cantato quel carme che aveva scritto in onore di quello, nel quale erano scritte molte cose in onore di Castore e Polluce secondo l'abitudine dei Poeti per abbellire, quello avesse detto troppo volgarmente a Simonide che lui avrebbe dato ad egli per quel carme la metà di ciò, che era stato pattuito, che chiedesse il resto ai suoi Dioscuri che aveva lodato ugualmente, se a lui sembrava giusto. Dissero che poco dopo fosse annunziato a Simonide, (poiché uscisse fuori) di uscire dicevano due certi giovani stavano presso le porte, che lo invitavano vivamente, (dicono) che lui si alzasse, uscisse, non vedesse nessuno. Intanto quella sala, dove banchettasse Scopa, era crollata: e in quel crollo lo stesso Scopa schiacciato morì con in suoi parenti.
Alessandro, quando Tolomeo, suo generale, era stato ferito in battaglia da una freccia velenosa e per questo ferita morendo con sommo dolore, mentre sedeva al capezzale si addormentò per il sonno. E allora durante il sonno si dice che gli sembrò che un drago che la madre Olimpia allevava, portasse in bocca una piccola radice e contemporaneamente dicesse dove nascesse in quel luogo( e ne egli non era lontano da quel luogo) e quella aveva tanta forza che guariva facilmente Tolomeo. Quando Alessandro, dopo essersi svegliato, aveva raccontato agli amici il sogno, furono mandati per cercare la piccola radice.
Benché Miliziade fu accusato per l'insuccesso di Paro, tuttavia per una causa fra molte fu condannato. Infatti gli ateniesi vicini alla tirannide di Pisistrato, che era di pochi anni prima, di molti suoi cittadini avevano paura della forza. Miliziade, preso in consegna molti incarichi pubblici di potere, non era sembrato avere potuto esserne privato, specialmente quando sembra che la consuetudine del comando essere indotta in cupidigia. Infatti nel Chersoneso tutte le ? che aveva abitanti negli anni la dannazione aveva mantenuto il tiranno era stato chiamato, ma questo non era infatti subentrato con la violenza ma con il loro consenso, e mantenere questa sovranità con la loro benevolenza. Tutti d'altra parte sono stati e sono comandati da tiranni i quali con il comando sono sempre in questa città che con la libertà fu amministrata. Ma Miliziade era sia di grande umanità sia di grande affidabilità, come nessuno fosse di umili origini, che non verso egli fosse accessibile l'ingresso prende autorità presso ogni popolazione di nobile nome, di grandissima gloria militare. Questo popolo accogliente preferì vederlo punito senza colpe piuttosto che stare lui stesso molto tempo nella paura.
Dopo Tarquinio Prisco si tramanda che Servio Tullio abbia regnato per primo senza l'autorizzazione del popolo, raccontano che fosse nato da madre nobile ma schiava. Essendo educato nella casa di Tarquinio e partecipando ai banchetti del re non venne meno la fiamma d'ingegno che già splendeva nel fanciullo. E perciò Tarquinio che aveva dei li alquanto piccoli sembrò prediligere Servio così che apertamente egli veniva considerato come un suo lio. Curò che si dovesse erudire infatti in tutte quelle arti che egli stesso aveva appreso. Avendo i li di Anco ucciso Tarquinio Servio cominciò a governare non per ordine ma per volontà dei cittadini. Mentre frattanto si crede che Tarquinio fosse ammalato per la ferita e che falsamente viva, quello stabilì di amministrare la giustizia con uso regale e usando molta generosità e benevolenza liberò i debitori col suo denaro. Poiché i due li di Anco sopportavano a stento di essere fraudati del regno paterno e avendo cominciato a chiedere ai patrizi che Servio venisse privato del potere egli volle affidarsi alla volontà del popolo e fu comandato di regnare.
Questo essendo in età tarda ed avendo finito di esercitare cariche pubbliche, gli Ateniesi iniziarono ad essere incalzati da ogni parte a causa della guerra. Samo aveva disertato, l'Ellesponto si era ribellato, Filippo già allora valoroso macedone, tramava molte cose, al quale essendosi opposto Careste, si stimava non ci fosse abbastanza difesa. Diviene stratega Menestole, lio di Ficerate, genero di Timoteo e scelto affinché parta per la guerra. A questo sono affidati due parenti per pratica e per esperienza, il padre e il suocero. Essendo questi partiti per Samo Careste nel medesimo, conoscendo il loro arrivo, partendo con le sue truppe, accadde che avvicinandosi all'isola, scoppiasse una grande tempesta e i due vecchi comandanti ritenevano utile evitarla, fecero fermare la loro flotta.
Inoltre la maggior parte che possiamo portare per testimoniare sulla moderata e sapiente vita di Timoteo, saremo hi di uno, perciò potrà essere impiegato facilmente, di quanto egli sarà stato propizio. Quando l'adolescente (dovette) difendersi in tribunale da un'accusa ad Atene, non solo gli amici e ospiti privati si ritrovarono per difenderlo ma anche lo stesso Giasone, tirano della Tessaglia, che a quel tempo era il più potente di tutti. ( . )
Io vi scrivo le lettere meno spesso di quanto possa, poiché per me sono miseri tutti i tempi, allora ?, o scrivo a voi o leggo le vostre, sono così provato dal dolore, che io non possa sopportare, magari ? fossimo stati meno attaccati alla vita! Perché sicuramente avremmo vista nessun male o non molto. ( . )
Tullio Ostilio essendosi avvicinato a Fidele con tutte le truppe militari, Metrio Furfentio comandante degli Abbani svelò la dubbiosa e sempre sospetta fiducia della sua alleanza improvvisamente nello steso campo di battaglia. Infatti abbandonato l'esercito dei Romani che era nascosto si accampò nel colle più vicino, spia futura della guerra, che o insultava i dominanti o accusava i vincitori affaticati. Non era un dubbio anzi che questa strategia stesse per indebolire gli animi dei nostri vedendo nello stesso tempo e i nemici combattere e gli aiuti perdersi di anima. E affinché non accadesse quello che Tullio prevedette: velocemente percorse tutte le truppe dei militari a cavallo proclamando con il suo ordine.
Bisogna riconoscere che tutte le cose che vediamo sono state procurate per gli uomini, manca soltanto che queste cose siano state preparate anche per le bestie sono state create per gli uomini che cos'altro portano le pecore se non che lavorate e tessute le loro pelli gli uomini si vestano, le quali pecore. In verità ne avrebbero potuto alimentarsi né sostenersi né produrre da sé alcun frutto senza l'allevamento degli uomini. In verità tanta fedele guardia dei cani, ( . ) tanta alacrità nel cacciare se non che i cani sono stati creati per la comodità degli uomini. Che cosa dire sui buoi? Le stesse schiene dei quali manifestano di non essere state create ad accogliere i pesi al contrario i colli sono fatti per i giochi, e allora la forza e la larghezza delle stalle a trascinare l'aratro. Sarebbe troppo lungo annoverare l'utilità dei muli e degli asini che sono stati creati per l'utilità egli uomini.
Accadde per caso che gli ambasciatori di Prusia cenassero presso Quinzio Flaminio a Roma, e là fatta menzione di Annibale, uno di quelli dicesse che quello si trovava nel regno di Prusia. Il giorno seguente Flaminio riferì ciò al senato. I senatori ( . ) inviarono gli ambasciatori in Bitinia, affinché chiedessero al re affinché non avesse con se il più grande nemico del popolo romano e lo consegnasse loro. Intanto Prusia no osò dire di no a questi, una sola cosa rifiutò: che non pretendessero da lui che si facesse ciò che fosse contrario al diritto dell'ospitalità, essi stessi se avessero potuto lo prendessero, infatti Annibale si nascondeva in un fortezza, che gli era stato dato in dono dal re, e lo aveva costruito così che in ogni parte dell'edificio avesse per sé un'uscita temendo sempre che accadesse ciò che accadde. ( . ) Essendo giunti in quel luogo gli ambasciatori dei romani e avendo occupato tutte le porte dell'edificio, quello sentì che non doveva conservare a lungo la sua vita, ragion per cui bevette la pozione, che era abituato ad avere sempre con sé.
Saputi allora questi avvenimenti, gli amici del re, che amministravano il regno a causa della sua tenera età, o per timore come andavano dicendo più tardi che, dopo aver subornato l'esercito regio, Pompeo non occupasse Alessandria e l'Egitto o per disprezzo della fortuna, come per lo più avviene nella sventura, che gli amici diventano nemici, risposero apertamente con belle parole ai messi e dissero che egli venisse dal re; ma consigliatisi di nascosto, mandarono ad uccidere Pompeo Achilla, generale del re, uomo di rara audacia, e il tribuno militare Lucio Settinio. Invitato gentilmente da costoro e fatto uscire dalla sua nave per una certa conoscenza che aveva con Settinio perché nella guerra contro i pirati aveva comandato nel suo esercito una centuria, salì sopra una piccola navicella con pochi dei suoi; e là viene ucciso da Achilla e Settinio.
Ariovisto rispose a queste cose: che il diritto di guerra che coloro che avessero vinto e chi avessero vinto. Così il popolo romano era solito comandare i vinti non secondo l'ordine altrui ma secondo il proprio ordine in qualsiasi modo volessero: ( . ) se egli stesso non avesse ordinato al popolo romano in quale modo si servisse del suo diritto non era opportuno al popolo romano essere ostacolato nel suo ordinamento. ( . )
Così è stato tramandato un altro sogno molto famoso: quando due tali familiari Arcadi insieme fecero un viaggio e essendo arrivati a Megara, l'uno aveva alloggiato da un oste, l'altro da un ospite. I quali mentre riposavano dopo aver cenato, nel suo sogno a notte inoltrata sembrò che quello tra i due che era nell'alloggio(dall'ospite) pregare che venisse l'altro quanto prima, poiché gli apparse la sua morte a causa dell'oste. Che il primo, spaventato dal sogno, si fosse svegliato. In seguito, se quando avesse compreso e ciò che avendo considerato aveva visto fosse poca cosa, si fosse riaddormentato. Allora a lui che dormiva chiese se gli sembrò di averlo visto pregare, poiché se non fosse sopravvissuto vivo (sibi), la sua morte non invendicata ma essere chiara. Se per uccidere fosse stato gettato nel carro dell'oste e coperto sopra di sterco. Chiedere, i quale porta fosse andato al mattino, prima che il carro uscisse dalla città.
Tullio S.O. sua Terenzia e Tullia e Cicerone
Ricevetti da Aristocrito tre lettere, che io con le lacrime quasi cancellai. Sono consumato infatti dal dolore, mia Terenzia, le mie sfortune non mi tormentano quanto le tue e le vostre. Io per questo d'altra parte sono afflitto più di te, che sei miserissima, ma la mia colpa è personale(propria). Per con questo sventurato, turpe, indegno fu senza valore per noi. Perché mi struggo con calore e poi ancora con (nel) disonore. Mi vergogno infatti di non aver garantito alla mia ottima moglie la virtù e la cura dei soavissimi li. Infatti ho dinanzi ai miei occhi giorno e notte il vostro dolore e tristezza e la debolezza di salute, e d'altra parte la speranza di salvezza mi è apparsa assai tenue. I nemici sono molti, guardo con sospetto pressoché tutti. Fu cosa grande esiliare noi, è facile non lasciarci entrare. Ma tuttavia, per tutto il tempo che sarete nella speranza, non vi abbandonerò affinché non sembri che tutte le cose siano accadute per colpa mia.
Entrambe queste assi erano tenute ferme da entrambi le parti dall'estremità da due arpioni all'estremità essendo state poste sopra travi dallo spessore di due piedi per quanto distante il collegamento di quelle assi. Due assi che separate e legate strettamente alle parti opposte tanta era la solidità della costruzione e questa una caratteristica del legname che sarebbero state tenute più strettamente con questo legame. Quanto più incalzante fosse diventata la furia delle acque. Questi erano uniti con travi disposte orizzontalmente ed erano ricoperti con lunghi pali e graticcio. E ciò nonostante erano conficcati dei pali di traverso(obliquamente) nella parte più bassa del fiume, che posti sotto per sostegno e affinché resistessero alla violenza della corrente tutte le costruzioni legate e gli altri erano conficcati spinti nello stesso modo in uno piccolo spazio sopra il ponte, affinché se i tronchi degli alberi o piuttosto le navi (da rimuovere) a causa dell'opera dei barbari fossero missute. Con questi mezzi di difesa affinché l'urto di questi oggetti fosse attenuato e non danneggiassero il ponte.
Fosse in pericolo la mia libertà e di tutti i benpensanti e tutto costato e gli tu puoi sapere la nostra casa e la stessa patria che abbandonammo sia depredata quanto bruciata. In questo luogo la cosa fu condotta come, se non che Dio avrà soccorso al caso di qualcuno noi non potremmo essere salvati. Certamente, quando arrivai alla città, non rinuncia tutto e sentire e dire e fare tutto ai quali concernessero la concordia. Ma mirabile furore aveva colto non solo gli imbrobi ma anche i benpensanti che sono portati a combattere lo desiderassero, me gridante che nulla essere più misero di una guerra civile. Così, fino a quando Cesare sarà preso da mancanza di senno e dimenticato le sue origini e dignità avesse occupato Rimini, Pesaro, Ancona, Arezzo, le città che noi lasciammo, quanto sapientemente o fortemente non importa parlarne.
Il contadino sognatore
Un tempo un povero contadino, uomo stolto e rustico, viveva in una piccola casa. Il contadino aveva alcune galline e gli procuravano uova quotidianamente. Il contadino frequentava la piazza della città vicina, infatti nella piazza vendeva le uova. Una volta procedeva attraverso la strada e sulla testa portava il paniere, pieno di uova. Tra sé e sé pensava: ' Nella piazza venderò le uova e comprerò pecore. Le pecore genereranno molti agnelli dalla carne tenera e saporita. Io venderò a grande prezzo gli agnelli, e le loro madri mi daranno la lana. La lana sarà trattata dalla mia moglie operosa. Venderò anche la lana; allora comprerò mucche e tori. Il mio gregge crescerà e molti servi pascoleranno le mie greggi nei miei poderi, e non verrò in città a piedi ma sarò trasportato con un carro e con i miei servi andrò nel foro. I contadinelli mi saluteranno ma io avanzerò in silenzio. Gli uomini di grande autorità verranno a casa mia come ospiti e lieto davanti agli ospiti così io piegherò la testa'. Mentre pensava, piegò la testa e il paniere con le uova cadde. Al povero agricoltore non rimase nessun uovo integro.
Orbene a loro la stirpe, le età, l'eloquenza furono vicini all'uguale, la grandezza dell'animo pari, stessa gloria, ma differente l'una da quella dell'altro. Cesare per i suoi benefici e per e la liberalità era ritenuto grande, Catone per la rettitudine della vita. Cesare con la mitezza e la pietà fu reso famoso, a questo la severità aveva dato prestigio. Cesare col dare, col soccorrere, col perdonare, Catone col nulla concedere ha ottenuto la gloria. Nell'altro è il ricovero della miseria, l'altro è infaticabile per (nei confronti dei) malfattori. Di uno è lodata la facilità, di questo la costanza. Per ultimo Cesare si era proposto in animo di operare senza sosta, di vegliare, sollecito agli affari degli amici, trascurava i suoi, nessuno negava che fosse degno di essere donato; a se un grande comando, l'esercito, bramava la guerra nuova, dove potesse brillare la sua virtù. In Catone, al contrario, c'era desiderio di moderazione, di dignità, ma soprattutto di austerità. Non in ricchezze gareggiava col ricco, ne in intrighi col settario, ma in energia con l'operoso, in ritegno con il morigerato, in disinteresse con l'onesto; voleva piuttosto essere che sembrare buono; così, quanto meno egli cercava gloria, tantopiù essa gli teneva dietro.
Descrizione di Catilina
'L. Catilina nato da nobile stirpe, ebbe grande vigore intellettuale e fisico, ma un'indole malvagia e perversa. Di questo dalla adolescenza fu compiacente (si compiaque) di rapine, guerre civili, uccisioni, discordie civili, tra le quali visse la sua giovinezza. Il corpo era tollerante del digiuno, del freddo e della veglia al di là di ogni credere. L'animo era audace, scaltro, mutevole, delle cui cose si compiaceva (di essere) simulatore e dissimulatore; bramoso dell'altrui, prodigo del suo; ardente in cupidigia; abbastanza loquace, poco assennato. Il suo grande spirito, incredibilmente, desiderava sempre altro. Dopo la tirannide di L. Silla, lo aveva invaso una brama immensa di impadronirsi dello stato; ne si dava alcun pensiero del modo con cui conseguire questo scopo, purché si assicurasse un potere assoluto. Il suo animo fiero era ogni giorno di più, agitato dalla scarsità del patrimonio, e dalla coscienza dei suoi crimini che, l'una e l'altra, egli aveva accresciuto con la pratica dei vizi sopra ricordati. lo incoraggiavano inoltre i costumi corrotti della città, che ospitavano due mali pessimi e opposti fra loro: il lusso e la cupidigia. Poiché l'occasione mi ha richiamato a mente i costumi della città, l'argomento stesso perché mi inciti a risalire indietro ai pochi ordinamenti degli uomini e degli antenati in pace ed in guerra, come essi abbiano governato lo Stato e quanto grande l'abbiano lasciato e come, a poco, a poco cambiatosi, da nobilissimo e virtuosissimo sia divenuto pessimo e viziosissimo (pieno di vizi).'
Belo, re di Tiro, morì e lasciò come eredi il lio Pigmalione e la lia Ellissa, vergine dalla forma nobile. Ma il popolo consegnò il regno a Pigmalione; ma Ellissa si sposò Sicheo, suo zio, sacerdote di Ercole. Sicheo aveva un grande potere ma, per paura dei ladri lo nascose sotto terra. Tuttavia la fama delle ricchezze di Siche fu divulgata. Allora Pigmalione, per l'ardente desiderio di oro tese un'insidia a Sicheo e lo uccise. Ellissa odiò suo fratello a lungo per il delitto, infine preparò una fuga di nascosto: prese in società i principi di Tiro che avevano uguale odio verso il re e uguale desiderio di fuga. E così Ellissa con gli alleati si imbracò e con una lunga navigazione giunse in Africa. Lì strinse amicizia con gli abitanti del luogo, poi comprò il luogo, lì Cartagine fu fondata. Nelle prime fondamenta fu trovata una testa di bue, il quale fu interpretato come un auspicio di città fruttuosa, ma laboriosa e sempre schiava. Allora il luogo della città fu mutato e lì fu trovata una testa di cavallo, che poi fu interpretato come un auspicio di città bellicosa e potente.
Il Dio Mercurio e il contadino onesto
Un misero contadino taglia la legna sulle rive del fiume. Tuttavia l'ascia cade nell'acqua discende sotto le onde. Il contadino triste si siede sulla riva e piange. In cielo Mercurio vede la scena, scende dal cielo, si immerge nel fiume. Balza fuori dall'acqua con un'ascia aurea e dice al contadino:' L'ascia è tua: tieni!' 'Ti ringrazio, o padre ma non è mia'. Per la seconda volta il dio si immerge nel fiume e tira fuori una d'argento e il contadino di nuovo rispose: 'Questa ascia è bella ma non è mia'. Per la terza volta il dio si immerge ed estrae un'ascia ferrea e la offre al contadino.' Questa è veramente mia!' esclama il contadino. Il dio, lieto per l'onesta risposta, restituisce l'ascia ferrea, dona anche l'argentea e l'ascia d'oro.
Discorso di Catilina prima della battaglia
So bene, oh soldati, che le parole non aggiungono virtù, ne portano l'esercito da ignavo a strenuo, ne da timido a forte per un discorso del generale. Quanto ardimento alberga nell'animo di ciascuno per natura o per educazione, tanto suole manifestarsi in guerra. Esorteresti invano chi né la gloria né i pericoli riescono a spronare: la paura che invade l'animo tappa gli orecchi:
'Ma io vi ho convocato per ricordare poche cose e al tempo stesso per spiegarvi la causa della mia decisione. Sapete certamente, soldati, che la stoltezza e l'indolenza di Lentulo apportò a se stesso e a noi tanta grande perdita e in che modo, mentre attendevo i rinforzi da Roma, io non sia potuto partire per la Gallia. Adesso in verità, a che punto siano le nostre cose le comprendete tutti al pari di me. Due eserciti nemici mi ostacolano uno dalla Città (Roma) e uno dalla Gallia. E quand'anche l'animo vi ci spingesse con grandissimo desiderio, la mancanza di frumento e di tutte le altre cose mi proibisce di restare più a lungo in questi luoghi. Dovunque decida di andare, il cammino deve essere aperto con il ferro. Perciò vi ammonisco affinché siate forti e con l'animo preparato e, quando si accende la battaglia, ricordate la ricchezza, l'onore, la gloria e inoltre (che) portate nella vostra destra la libertà e la patria: Se vinciamo, col bottino abbondante ?, libereremo i municipi e le colonie, se per paura cedessimo, le stesse saranno stimate contro, e nessuno, ne luogo, ne amico, proteggerà colui che le armi non avranno protetto. E inoltre, soldati, non la stessa necessità preme noi e quelli; noi combattiamo per la patria, per la libertà, per la vita, a loro è superfluo per la potenza combattere con pochi. Perciò con maggiore ardimento andate all'attacco, memori della primitiva virtù. ½ sarebbe stato possibile con somma infamia passare la vita in esilio, avreste potuto alcuni di Roma, mandati via i buoni, espulse dal petto le altre forze; perché sembra agli uomini che questi deformi e insopportabili (esseri) vadano diminuendo. Se questo volete respingere c'è bisogno di audacia; nessuno se non vincitore mutò mai la guerra in pace. Infatti sperare salvezza nella fuga dopo aver distolto dai nemici le armi di cui il corpo è protetto, questa è una follia. In battaglia il maggior pericolo lo corrono sempre quelli che più temono, l'ardimento è come un muro. 'Con voi osservo, e valuto le vostre azioni, maggiore speranza di vittoria mantiene da me l'animo, l'età, la virtù vostra mi incoraggiano, inoltre la necessitudine, che anche da timido rende forte.
La lode ad Epicuro
L'umanità conduceva in terra, davanti agli occhi i tutti, un'esistenza brutta, oppressa com'era sotto il grave peso della superstizione, che mostrava il capo dalle ragioni del cielo, incombendo con orribile aspetto sui mortali. Fu un uomo greco (Epicuro) che per la prima volta osò levarle contro i suoi occhi mortali, e il primo a ergersi contro. Non lo arrestarono né la fama degli dei, né il cielo con il suo minaccioso rumore; anzi eccitarono ancor più la fiera virtù del suo animo, fino al punto da desiderare di infrangere per primo le porta strettamente chiuse della natura. La vigorosa forza del suo animo ottenne completa vittoria: egli andò oltre le fiammanti barriere dell'universo; con lo spirito ed il pensiero percorse tutta l'immensità, da cui tornò vittorioso per riferirci cosa può nascere e cosa non può, per insegnarci le leggi che delimitano il potere di ciascuna cosa e mostrarci il termine profondamente infisso in ciascuna. Sicché la superstizione è stata buttata a terra e calpestata, e la vittoria ci eleva fino al cielo.
Annibale lascia l'Italia
Si dice che Annibale abbia ascoltato le parole dell'ambasciatore arrotando i denti, gemendo e a stento trattenendo le lagrime. Dopo che gli ordini furono resi noti, disse: ((Oramai non più nascostamente ma apertamente mi richiamano quelli che, vietandomi l'invio di aiuti e denari, già da tempo mi volevano far tornare. Dunque ha vinto Annibale non il popolo romano, tante volte distrutto e messo in fuga, ma il senato cartaginese con la malignità e l'invidia. Nè invero Scipione esulterà per questo mio vergognoso ritorno e ne andrà orgoglioso tanto quanto Annone, il quale cercò la rovina della nostra stirpe a danno di Cartagine, non potendo fare altro ». Già presagendo questo, aveva fatto preparare le navi. E così mandata qua e là nelle fortezze, in apparenza come truppe di guarnigione, la turba ormai inutile dei soldati - ormai pochi ubbidivano e più per paura che per fedeltà -trasportò in Africa il fiore dell'esercito, dopo aver empiamente ucciso molti Italici, i quali rifiutandosi di seguirlo in Africa si erano rifugiati nel tempio di Giunone Laicinia fino a quel giorno inviolato. Dicono che raramente un altro, lasciando la patria per andare in esilio, si sia allontanato tanto mestamente quanto Annibale che si allontanava da una .terra nemica.
La morte di Eurialo e Niso
Intanto trecento cavalieri mandati avanti dalla città Latina, mentre l'altra legione indugia schierata e distesa sul campo, portavano la risposta a Turno, guidati da Volcente. Avanzavano nella agli accampamenti e sotto le mura, quando vedono quelli da lontano girando (che girano) verso la sinistra, e l'elmo tradisce l'incauto Eurialo nell'ombra rischiarata dalla notte, e rifulge posto di fronte ai raggi. Non invano fu visto dalla schiera. Grida Volcente: "Fermatevi, oh uomini; qual è la causa della vostra strada? Chi siete voi armati? Verso dove tenete la strada (state andano)"?
Ma quelli non andarono incontro, ma accelerarono la fuga nella selva e confidavano nella notte. Si slanciano i cavalieri ai passaggi conosciuti da ogni parte e coronano (circondano) di un custode ogni passaggio. La selva era irta di cespugli e di nero leccio (neri lecci), che folti rovi avevano riempito da ogni parte; per la nascosta pista riluceva qualche sentiero (nel senso che in alcuni sentieri oscuri, a tratti riluceva il riflesso dell'elmo di Eurialo)
L'oscurità del bosco e la preda abbondante e il timore gli fa sbagliare strada. Niso va via, dimenticandosi dell'amico aveva evitato i nemici e i luoghi; che dopo dal nome di Alba, furono detti Albani (allora il re latino aveva alti pascoli) quando si fermò e invano cercò di guardare (trovare) l'amico mancante: "Oh, infelice Eurialo, per quale ragione ti ho lasciato? Per dove ti cercherò? Ripercorre tutta l'intricata strada della ingannatrice selva e nello stesso tempo rifà le orme attentamente scrutate e vaga tra i cespugli silenziosi. Sente i cavalli, sente le grida, e i segnali degli inseguitori; non passo molto tempo quando un clamore arriva alle orecchie ?, che ormai tutto lo schieramento nemico lo rapisce (In questo momento Virgilio descrive Eurialo circondato dai nemici) sopraffatto per l'inganno dei luoghi e della notte, e che tenta invano molte uscite (molte vie) essendoci l'improvviso assalto impetuoso. Cosa dovrebbe fare? Con quale forza, con quale armi, dovrebbe osare salvare il giovane? Forse dovrebbe gettarsi pronto a morire in mezzo alle spade per cercare una bella morte per vi delle ferite.
Rapidamente ritratto il braccio e vibrando l'asta guardando l'alta luna prega così con la voce: "Tu, dea, tu Latonia, custode dei boschi, decoro degli astri soccorri la nostra fatica. Se il Irtago ha offerto alcuni doni a mio favore sui tuoi altari, se io stesso ho aggiunto alcuni doni a te, con le mie cagioni, ho infissi al sacro frontone, permetti che io possa turbare questa schiera e guida i miei dardi per l'aria.
(Così) aveva detto, e appogiandosi su tutto il corpo lanciò il ferro: l'asta volando nella notte fende le ombre della notte e viene contro il petto di Sulmone e lì si ruppe, e con il legno spezzato trage il cuore. Vomitando dal petto un fiume di sangue caldo e con lunghissimi sussulti, ormai cadavere, agita i fianchi.
La morte di Didone
Ma la trepida e feroce Didone, volgendo gli occhi rossi di sangue con le guance frementi cosparse di rabbia e pallida per la morte vicina, irrompe sulla soglia interna della casa e furibonda monta sull'alto rogo ed estrae la spada di Dardano dono non chiesto per questo uso. Allora, dopo che le vesti greche ed il letto nuziale attirarono l'attenzione (volse la sua attenzione al letto nuziale), indugiò piangendo e ricordando e si sdraiò sul letto e disse (dicendo) estreme parole:
"Dolci spoglie finche il fato e il dio (gli dei) lo permetteva(no), accettate questa anima e me, e slegate questo senato. Ho vissuto e ho percosso la vita che mi aveva assegnato la Fortuna, e fra poco la mia grande immagine andrà all'Averno. Fondai la città famosa (Cartagine), vidi le mie mura, vendicai il marito e feci are il fratello nemico: felice, davvero molto felice (sarei stata), se soltanto le navi troiane non avessero mai toccato le nostre spiagge. Disse (così), e premendo la bocca sul letto:»Moriremo invendicate, ma moriremo" esclamò "così, così andrò sotto terra. Il crudele Dardano veda l'alto rogo e a se la nostra morte porti presagio".
Aveva detto, e dopo le ancelle appoggiarono quella riversa sulla spada mentre stava ancora parlando e (le mani erano già sporche di sangue). Così il clamore per la stanza alta (si sparse): la Fama imperversa per la città sconvolta. Le case fremono di lamenti, di gemiti, di femminili ululati. E risuonano enormi i colpi sul petto nell'aria, non diversamente che se (l'intera Cartagine) rovini per l'irruzione dei nemici tutta intera o l'antica Tiro, e fiamme furiose si prohino per le case degli uomini e per i templi degli dei.'
Presa Troia, i re dei Greci ritornarono verso la patria con gli eserciti, poiché avevano offeso Minerva, nessun comandante giunse in patria velocemente e senza danno. Troia non lasciò Aiace Telamonio, poiché si procurò la morte presso il litorale Frigio. Aiace Oileo fu colpito da un fulmine di Giove. Infatti, mentre navigava verso la Grecia, Nettuno suscitò una grande tempesta e affondò la nave di Aiace. Il re nuotò attivamente con grande sforzo fino ad uno scoglio, così salvo, poiché era sfuggito dalla morte senza aiuto degli dei, con grande voce e illustri parole oltraggiò gli dei. Agamennone- povero!- giunse in patria. Ma la moglie uccise il re, per vendicare la lia Ienia. Idomeneo navigò verso Creta ma, essendo stato sballottato da una grande tempesta, dopo che le onde così ebbero immerso la sua nave, chiese la salvezza da Nettuno, promettendo il primo uomo che avesse visto sulla terra come vittima. Dopo che Nettuno ebbe calmato la tempesta, Idomeneo accostò la nave alla costa. Subito il liolo venne incontro al re e il re immolò suo lio. Diomede, poiché aveva oltraggiato Venere sotto le mura di Troia durante la battaglia in battaglia, si imbatté nell'odio della dea. Per conseguenza Venere allontanò la moglie di Diomede.Il re, che amava molto la moglie, fu vinto dalla sua perfidia. Allora decise di abbandonare sia la moglie sia il regno e con pochi comni si diresse verso l'Italia con una vela. Dopo l'esule visse in Puglia. Per molti anni Menelao errò con Elena attraverso il mare, finché arrivò in Egitto. Infine arrivò a Sparta. Ulisse ritornò in patria per ultimo, dopo che ebbe attraversato molte terre.
Il seguito di Catilina
In questa grande e corrotta civiltà Catilina, cosa che era facilissima a farsi, aveva attorno a se le schiere di tutte le scelleratezze dei delitti, come guardie del corpo. Infatti chiunque era impudico, adultero, crapulone, aveva dilapidato al gioco, nei banchetti, nelle lussurie, le fortune paterne, e chi aveva contratto un grande debito, per riscattarsi con esso da un'infamia o da un delitto e anche tutti gli assassini di ogni paese, i sacrileghi, rei convinti nei processi o timorosi di un giudizio processuale per le loro malefatte, oltre a ciò, quelli che vivevano della loro mano e della loro lingua con lo spergiuro o con il sangue dei cittadini, tutti quelli che dei flagellati, coloro che erano agitati dal rimorso, di loro Catilina era intimo e familiari. Questa se ancora senza colpa cadeva nella sua amicizia, per il contatto quotidiano e per gli adescamenti, facilmente era reso simile ai restanti. Ma maggiormente cercava di ottenere le amicizie dei giovani. I loro animi ancora e mutevoli erano catturati non difficilmente con favori, infatti a seconda dei gusti giovani di ciascuno, ad alcuni procurava le donne, ad altri cani e comprava cavalli, non risparmiava ne il suo denaro ne il suo amore, pur di farseli amici. So che ci fu qualcuno che riteneva che la gioventù che frequentava la casa di Catilina contaminasse i proprio pudore, ma questa dicerie (ebbe) credito più a seguito delle altre cose che perché ciò fosse conosciuto con certezza da qualcuno.'
Timoteo Ateniese, lio di Conone, fu un uomo accorto, impigro, laborioso, esperto nell'arte militare. Sono molte le gesta famose di Timoteo: sottomise Olinto con un'aspra battaglia, prese Samo, liberò Cizico da un assedio. Ma dopo gli Ateniesi condannarono Timoteo, perché non aveva condotto favorevolmente una sola guerra, quando i Samii si staccarono dagli Ateniesi. E così Timoteo, per l'odio della sua ingrata cittadinanza, si allontanò da Atene e arrivò a Calcide, dove condusse la vita rimanente. D'altra parte sono molte le testimonianza della vita moderata e sapiente di Timoteo. Ebbe come ospiti moltissimi amici, tra i quali ci fu anche Giasone, tiranno di Tessaglia. Tuttavia dopo Timoteo, per ordine del popolo ateniese, condusse una guerra contro Giasone, perché stimava sacre le leggi della patria e le anteponeva all'amicizia. dopo la sua morte non ci fu nessun (altro) famoso comandante di Atene.
Annibale aveva una grandissima capacità di giudizio tra gli stessi pericoli, una grandissima audacia nell'affrontare i pericoli. Il capo non poteva essere provato da nessuna fatica e l'animo non poteva essere vinto. Pari la sopportazione del caldo e del freddo. La misura di cibo e di bevande era limitata dal desiderio naturale, non dal piacere. Il tempo delle veglie e del sonno non era distinto né di giorno né di notte: ciò che rimaneva nelle cose da farsi era dato al riposo. Questo non era cercato nel morbido letto né nel silenzio, molti spesso lo videro giacere per terra coperto da un mantello militare tra le guardie e le stazioni militari. Nel vestire per niente si elevava al di sopra dei coetanei; erano notati le armi e i cavalli. Era di gran lunga il primo dei cavalieri e dei fanti; andava per primo in battaglia e per ultimo se ne allontanava una volta terminata. Ingenti vizi eguagliano queste così numerose virtù dell'uomo: una crudeltà immane, una perfidia più che punica, niente di vero, niente di santo, nessuna paura degli dei, nessun giuramento, nessuna religione.
Dioniso, avendo ricevuto dal padre in eredità la tirannide di Siracusa e quasi tutta la Sicilia signore di grandi ricchezze, comandante degli eserciti, capo della flotta e della cavalleria. Insegnò a causa della povertà lettere ai giovani di Corinto e nominato maestro di gioco dal tiranno ammonì affinché gli uomini non credessero eccessivamente nella fortuna. Dopo Dioniso il re Siface conobbe similmente la fortuna avversa. Fu amico infatti dei romani per Scipione e dei Cartaginesi per Asdrubale. Infatti arrivò a tanta fama così da essere l'arbitro della vittoria di tantissimi popoli. Ma dopo poco tempo Siface fu portato in catene supplice dall'ambasciatore Laelio e condotto da Scipione e si inginocchiò sulle ginocchia di Scipione, del quale una volta con mano arrogante aveva astretto la mano destra quando sedeva sul trono reale.
Gli ambasciatori furono inviati dai nemici e vennero per parlare della pace con Cesare. Cesare duplicò il numero di ostaggi che prima aveva ordinato e nel continente comandò che fossero condotti (di portarli), poiché credeva che in inverno vicino al giorno dell'equinozio le fragili navi non potevano navigare. Lui stesso decise il tempo adatto e poco dopo la mezzanotte rilasciò le navi. Le quali arrivarono tutte incolumi al continente. Ma le due grandi navi non poterono entrare in porto. Poiché i soldati sarebbero stati (furono) esposti si diressero nelle fortezze. I Morini, che Cesare aveva lasciato pacifici partendo (partente) per la Britannia, furono attirati dalla speranza di un bottino. Quellli si misero in cerchio, si difesero.
Alla guerra Gallica, il 405 anno dalla fondazione di Roma, i romani perdono tempo durante le soste. Un gallo con forza e armi potenti, avanzò e battendo lo scudo alla lancia, avendo fatto silenzio, provocò per mediatore uno dei romani; affinché si scontrasse a duello con lui. Marco Valerio, giovane tribuno dell'esercito, avendo aspirato alla carica di console, avanzò ornato al centro. Allora accadde una cosa sorprendente infatti un corvo si posò sull'elmo del giovane romano, quando fu iniziato a duello con il gallo. Ciò fu giudicato come un'augurio mandato dal cielo e parlò agli ei affinché gli fossero favorevoli e ai romani. L'uccello rimase non solo sull'elmo ma quando i romani e i galli iniziarono la guerra, librandosi sulle ali.
Il re Creonte, lio di Meceneo, ordinò che non fosse sepolta la salma di Polinice. Sua sorella Antigone e sua moglie Argia seppellirono segretamente di notte il corpo di Polinice nella stessa pira dove fu sepolto Esteocle. Quando furono scoperte dai guardiani, Argia fuggì, Antigone fu condotta dal re. Questi ordinò al lio Emone di ucciderla. Ma Emone, rapito dall'amore, ignorò l'ordine del padre e affidò Antigone ai pastori e affermò di averla uccisa. Quando questa ebbe un lio e egli arrivò all'età della pubertà, venne ai giochi di Tebe. Il re Creonte lo conobbe. Quando Ercole supplicò il re con parole di scusa a favore di Emone affinché gli concedesse il perdono, non avendo ottenuto nulla, Emone uccise sé e sua moglie Antigone. Tempo dopo Creonte diede in matrimonio ad Ercole sua lia Megara.
Un attore in terra greca fu di celebre fama, che superava gli altri nel portamento e nella voce ? e nell'eleganza, dicono che il nome fosse Polo, ( . ). Questo Polo conobbe la morte del caro lio ( . ).
Mentre Anfitrione era lontano per espugnare Elalia, Alcmena credendo che Giove fosse il suo coniuge lo accolse nel suo letto. Quando egli venne nella camera e disse a essa che ritornava da Elalia, essa credendolo il coniuge lo accolse nel suo letto. Lui dormì tanto piacevolmente con lei che da un giorno, raddoppiò per due notti così che Alcmena fu meravigliata di tanta lunga notte. Poi quando gli fu annunciato che il coniuge ritornava vincitore, non se ne curò per niente, per il fatto che già credeva di avere con lei il coniuge. ( . )
La Campania terra fortunata
La regione della Campania è la più bella non solo di tutte le terre d'Italia ma di tutto il mondo. Niente più mite del clima, poiché il tempo di tutto l'anno è mitissimo. Niente di più fertile del terreno, infatti la terra produce abbondantemente molti generi di frutti. Niente di più ospitale del mare poiché sono famosissimi i porti di Gaeta, Miseno e Baiae dalle sorgenti tiepide ?. Qui ci sono, coperti dalle viti, i monti Gauro, Falerno, Massico e il più famoso di tutti il Vesuvio. Vicino al mare le città sono più antiche e famose: Formia, Cuma, Pozzuoli, Napoli, Pompei e la stessa capitale delle città Capua, una volta tra le migliori considerata. Davanti alla baia di Cuma ci sono le bellissime isole: Ischia, Procida e fra tutte Capri la più famosa.
Annibale riceve da Filippo l'offerta di alleanza
Tre anni dopo che Annibale arrivò in Italia, il console M. Claudio Marcelllo fu mandato dal senato a combattere contro Annibale presso Nola, città della Campania. Infatti Annibale ormai aveva occupato molte città romane in Puglia, Calabria, dei Bruzi e molte altre stavano per essere occupate. Intanto anche Filippo, re dei macedoni, alleato di Annibale, promise il suo aiuto contro i Romani, se Annibale dist5rutta Roma avesse portano aiuto a Filippo contro i greci che infatti avevano intrapreso la guerra contro Filippo per recuperare la libertà. Dopo che gli alleati di Filippo furono catturati e la cosa fu scoperta dai romani, il senato mandò da Filippo in Macedonia M. Valerio Lavinio che agì con i re della lega. Poi quando anche la Sardegna, insidiata da Annibale che i romani abbandonarono, fu mandato nell'isola T. Manlio Torquato, che compose le controversie, e nuovamente esercitò la potestà romana sulla Sardegna.
Furio Camillo
Il dittatore fu mandato dal senato contro i Veiani, che si erano ribellati. Vinse i Veiani in battaglia, quindi prese anche la loro città. Vinti i Veiani, prese anche i Falisci la cui città non meno nobile. Ma contro Camillo sorse una forte invidia, poiché aveva maldiviso il bottino e per tale motivo condannato, fu espulso dalla città. Dopo i Galli Senoni arrivarono alla città e l'esercito romano sconfitto al fiume Alia, occuparono Roma oltre al campidoglio. Ma Camillo, che era esule in una vicina città, portò l'aiuto dei suoi concittadini e essendo stati vinti i Galli liberò Roma e ritornò vincitore in patria.
La plebe si ritira sull'Aventino contro il sopruso dell'uccisione di Virginia
In quell'anno Roma fu presa dai Galli. Appio Claudio quando cadde nell'amore della vergine Virginia, rapito, poiché vi era uno che la chiedeva in schiavitù, impose il suop volere al padre virginio. Prso un coltello dalla taverna più vicina uccise la lia, affinché non cadesse nel potere di coloro i quali stavano per denunciare lo sturpro. A questa così grande offesa la plebe occupò adirata il monte Aventino e spinse i quindicemviri a rinunciare alla magistratura. Il quale Appio, che aveva ottenuto una particolare pena, nel carcere fu rinchiuso, di solito atta nell'esilio. La cosa oltre alle grandi gesta contro Sabini e Volsciil libro di Livio riunisce e denuncia l'onestà del popolo romano che giudice tra gli abitanti di ardea e gli Argini, prese posseso dei campi, per il quale aveva deciso, di se scrisse.
L'amicizia fra filosofi
Si può ben dire che indugiano in veri impegni coloro che vogliono essere ogni giorno quanto più intimi di Zenone, di Pitagora, di Democrito e degli altri sacerdoti delle buone arti, di Aristotele e di Teofrasto. Nessuno di costoro non avrà tempo, nessuno non accomiaterà chi viene a lui più felice ed affezionato a sé, nessuno permetterà che qualcuno vada via da lui a mani vuote; da tutti i mortali possono essere incontrati, di notte e di giorno. Nessuno di essi ti costringerà a morire, tutti (te lo) insegneranno; nessuno di essi logorerà i tuoi anni o ti aggiungerà i propri; di nessuno di essi sarà pericoloso il parlare, di nessuno sarà letale l'amicizia, di nessuno sarà dispendiosa la considerazione. Otterrai da loro qualsiasi cosa vorrai; non dipenderà da essi che tu non assorba quanto più riceverai. Che gioia, che serena vecchiaia attende chi si rifugia in seno alla clientela di costoro!
Seneca
Dio disse al serpente: "Poiché ingannasti la donna sarai odiato e maledetto tra tutti gli esseri viventi, striscerari sul petto e mangerai la terra. Cia sarà l'inamicizia tra te e la donna: più di una volta batterai il tuo capo" disse ancora alla donna "ti procurerò molti mali: partorirai i li nel dolore e sarai nel dominio dell'uomo". Dopo disse ad Adamo: "Poiché facesti come tua moglie coltiverai la terra ostile: produrrà spine e cardi: per questo avrai il pane con molto lavoro". Allora cacciò Adamo ed Eva dal giardino e collocò un angelo con la spada di fuoco custode delle porte del paradiso.
C. Eio è messinese sotto ogni aspetto ( tutti quelli che a Messina andarono me lo concedano senza alcuna obiezione) in quella città è il cittadini più in vista.La sua casa è forse la più bella di Messina, certamente è la più nota e la più ospitale e la più aperta per i nostri concittadini.Quella casa prima del suo arrivo era così ornata da essere quasi da ornamento per la città; infatti la stessa Messina per quanto sia bella per posizione per mura e per porto, tuttavia è priva e vuota da queste cose con le quali costui si diverte.C'era presso Eio una magnifica cappella, nella sua casa molto antica, ereditata dai suoi avi, nella quale c'erano quattro bellissime statue di splendida fattura, molto note, tali che non solo potevano piacere a questo uomo ingegnoso e intelligente, ma anche a qualsivoglia dei nostri che costui chiama idioti; uno era un Cupido di marmo di Prassitele, e proprio così mentre indagavo su costui ho imparato i nomi degli artisti. Se non sbaglio lo stesso artista ha fatto un Cupido identico a quello che si trova a Tespie, a causa del quale Tespie è visitata, infatti non c'è nessun altra ragione per visitarla. E quel famoso Lucio Mummio portando via le tespiadi, che adesso si trovano nel tempio della felicità e tutte le altre statue profane da quella città, non toccò questo Cupido di marmo che era sacro.
Ma per tornare a quella cappella c'era da una parte questa scultura, che dico, del Cupido di marmo, dall'altra parte un Ercole egregiamente fatto in bronzo. Si diceva fosse di Mirone, come credo, e lo è certamente.
Proprio davanti a queste due divinità c'erano due piccoli altari che a chiunque potevano lasciar intendere la sacralità del luogo, c'erano inoltre due statue bronzee non molto grandi, ma di esimia bellezza vestite con abito verginale che con le mani alzate sorreggevano alcuni oggetti sacri posti sul corpo secondo il costume delle vergini ateniesi; queste erano chiamate Canefore, ma chi il loro artista? Chi mai? Fai bene a suggerirmelo: Policleto dicevano che fosse. Non appena uno di noi era giunto a Messina queste statue era solito andare a vedere; a tutti ogni giorno era possibile visitarle; la casa era non meno al padrone di onore che alla città.Tutte queste statue, o giudici, che ho detto, Verre portò via dalla cappella di Eio di queste, ripeto, non ne lasciò nessuna tranne una molto vecchia di legno, la buona Fortuna, se non sbaglio, non volle averla in casa sua.
La libertà di Cicerone
Marco Cicerone, sballottato tra i Catilina e i Clodii e poi tra i Pompei e i Crassi, quelli avversari manifesti, questi amici dubbi, mentre fluttuava assieme allo Stato e lo sorreggeva mentre andava a fondo, alla fine sopraffatto, non calmo nella buona sorte e incapace di sopportare quella cattiva, quante volte impreca contro quel suo stesso consolato, lodato non senza ragione ma senza fine! Che dolenti parole esprime in una lettera ad Attico, dopo aver vinto Pompeo padre, mentre in Sna il lio rimetteva in sesto le armate scominate! 'Mi domandi' dice 'cosa faccio qui? Me ne sto mezzo libero nel mio podere di Tuscolo'. Poi aggiunge altre parole, con le quali rimpiange il tempo passato, si lamenta del presente e dispera del futuro.
I Galli discesero in Italia dalle alpi e devastarono tutta la regione col ferro e col fuoco. Il terrore della morte e della paura dei nemici colsero all'improvviso tutti gli abitanti delle città. Immediatamente un console fu mandato con due legioni dai romani contro le smisurate truppe dei barbari ma i Galli assalirono il console e le sue legioni e vinsero con una dura battaglia vicino al fiume Alia, in seguito marciarono contro Roma. Allora i romani presi dal terrore, lasciarono la città e con i vecchi, le mogli e i li si rifugiarono nelle foreste. I barbari arrivarono alla città senza pericolo e occuparono il Campidoglio, fortezza di Roma. Già i Galli scalavano le mura della fortezza. ( . )
Spesso gli animali, come gli uomini coltivano l'amicizia. Il topo di camna invitò un giorno il topo di città a pranzo. E servì all'ospite nella mensa uve secche e dure ghiande. Ma il topo di città assaggiava appena col dente il cibo di scarso valore e infine disse così: "Perché amico conduci una vita tanto misera nei campi? Perché la fame e la sete tanto spesso sopporti? Vieni con me nella città, dove c'è grande abbondanza di cibo!" Il consiglio piacque al topo di camna e si trasferì col comno nella magnifica villa. Qui, mentre mangiano, risuonano le voci dei cani, i servi irrompono. Il topo di città si nascose, ma il topo di camna, spaventato così disse: "Godi amico la tua condizione, a me piace di più la mia povertà". E immediatamente ritornò alle selve.
Spesso le colombe fuggivano dallo sparviero rapace ed evitavano la morte con un veloce volo. Allora il furbo sparviero muta la risoluzione in inganno e induce le inermi colombe all'errore. "La vostra vita è dura ed agitata; io posso fare voi sicure d'ogni pericolo. Infatti ho potenti forze ? di corpo e d'animo. Perché non mi nominate vostro protettore?". Le candide colombe gli rispondono: "A te porgiamo ringraziamenti; tu sei veramente generosissimo!". E si consegnano allo sparviero. E così lo sparviero ottiene a se il dominio e subito uccide le colombe ad una ad una con crudeli inganni.
Gli Achei non avendo potuto espugnare Troia per dieci anni, Epeo, con il progetto suggerito da Minerva e Ulisse, fece un cavallo di maestosa grandezza e là dentro furono riuniti Menelao, Ulisse, Diomede e molti altri forti eroi Greci. Nel cavallo i Greci scrissero: "I Danai danno in dono a Minerva" e trasferirono gli accampamenti nell'isola di Tenedo. I troiani videro ciò, valutarono la prova della partenza dei nemici. Allora Priamo, re dei troiani ordinò che il cavallo di Minerva fosse condotto nella fortezza e proclamò che i troiani trascorressero un giorno di festa. I troiani avendo collocato il cavallo nella follia del divertimento e stanchi della notte si addormentarono, gli Achei uscirono dal cavallo aperto da Simone, uccisero i custodi delle porte e lasciarono entrare i suoi nella città. E così occuparono Troia e la distrussero a ferro e fuoco.
Oreste giunse a Delfi, essendo perseguitato dalle Furie perché finalmente sapesse l'estensione delle miserie. Il responso è che entrasse nella terra Tauride e di là nel tempio di Diano portasse le statue ad Argo; allora ( . ).
Mario, sebbene non fosse nobile, per la virtù in guerra e la simpatia del popolo, trascorse una rapida carriera politica. Infatti fu indovino, questore, tribuno della plebe, pretore, censore e console per sette volte. Con il secondo consolato portò la guerra contro Giugurta, re dei Numidi, e dopo la vittoria celebrò con il trionfo. Condusse davanti al suo carro, il prigioniero Giugurta, fino al campidoglio. Console per la quarta volta sconfisse l'esercito dei Teutoni, che erano penetrati nel confine romano, ottenne l'onore del trionfo. Per la quinta volta console schiacciò i Limbri e nel sesto consolato ristabilì la pace a Roma sconvolta per le rivolte della plebe, ma odiato dalla plebe perché aveva represso le rivolte del popolo, è stato allontanato. Alla fine, richiamato in patria, fu eletto console per la settima volta.
Temistocle fu grande a causa di questa guerra e non meno in pace importante. Infatti gli ateniesi possedendo il porto del Falero né importante, né prospero, di questo fu presa posizione al triplice consiglio sul porto del Pireo e quello sul 8circondato) circondare con le mura, affinché paragonasse la stessa città con il prestigio che oltrepassasse l'utilità. Lo stesso ricostruì le mure degli Ateniesi col suo individuale rischio. Infatti gli Spartani tentarono di allontanare gli Ateniesi che costruiscono dopo i validi motivi attenti vicino alle incursioni dei barbari che negassero il necessario eccetto il Peloponneso alcun muro alla città che avevano affinché non fossero fortificate le regioni che i nemici possedessero. Gli Ateniesi infatti con le due vittorie di Maratona e Salamina, erano stati seguiti presso tutte le genti una gloria tanto grande, affinché conoscessero il primato degli spartani con l'intenzione di esserci per questo lotta. Ma dopo che sentirono che le mura erano costruite, mandarono gli ambasciatori ad Atene che questi si opposero a diventare.
Cesare manda dall'Italia Galba per avanzare con la dodicesima legione e con parte della cavalleria contro i Nantuani, i Verogri e i Seduni. La causa per cui dovette essere mandato per scoprire un sentiero per la Alpi. Galba espugnando parecchie delle loro fortezze e compiute alcune favorevoli battaglie, ricevuto da ogni parte le garanzie date e fatta la pace collocò le truppe ausiliarie dei Nantuati e con le restanti truppe è chiamato nel villaggio dei Veragri. Avendo passato molti giorni all'improvviso fu informato dai suoi esploratori che i ? si sarebbero divisi nella notte. Ricevuta la notizia, Galba sebbene le fortificazioni non fossero complete, convocato rapidamente il consiglio difese gli accampamenti.
Le vittorie di Cesare sono tante e così grandi che è difficile contarle. Quando fu eletto console, dapprima combatté contro i Galli e in tutta la Gallia inserì l'autorità dei romani, in seguito condusse con grande difficoltà l'esercito in Birtannia dove combatté con i britanni allora barbari e d'aspetto orribile. Quando scoppiò la guerra civile a Roma, richiamato dalla Gallia in Italia; Cesare con le sue legioni superò il fiume Rubicone, che allora terminava nei confini dell'Italia, e andò verso Roma dove celebrò il trionfo. Poi con il potente esercito si diresse a Brindisi e in seguito in Grecia affinché scongesse Pompeo: quando Cesare vinse i Pompeiani nella violenta battaglia di Farsalo, Pompeo in fuga verso la salvezza da Tolomeo, re degli Egizi, si rifugiò. Ma Cesare inseguì ancora in Egitto ( . ).
Coriolano, giovane patrizio romano, poiché a Roma c'erano grandi discordie fra patrizi e plebei, venne in odio la plebe per la sua superbia. Per questo fu spinto in esilio e fuggì dai Volsci, ostile al popolo romano. Coriolano non solo fu benevolmente accolto dai Volsci, ma anche nominato comandante supremo del loro esercito. Allora il giovane spinto dall'odio, con i suoi cittadini guidò le truppe nei confini dei nemici romani e assediò Roma, la sua patria. Nella città spesso sono stati mandati a Coriolano degli ambasciatori di pace, ma egli rifiutò sempre il colloquio, poi negli accampamenti dei Volsci sono state mandate Vetruvia, madre di Coriolano, e Volumia sua moglie con i piccoli. Coriolano fu vinto dalle preghiere della madre e della moglie e l'odio calò contro la sua patria. Immediatamente tolse l'assedio dalla città e condusse fuori le truppe dei Volsci dai confini romani.
Un cane calunnioso disse che a lui era dovuto un pane da una pecora. La pecora affermava inoltre di non avere mai preso pane da lui. Poi quando venne il giudice il cane disse che egli aveva testimoni. Entrato il lupo disse: "Io so che il pane è stato affidato dal cane alla pecora". Entrato il nibbio: "Davanti a me" disse "la pecora accetto il pane". Il falco, come testimone, disse: " Perché pecora, negasti di accettare il pane?". La pecora, vinta dai falsi testimoni, fu costretta a vendere la sua lana anzitempo affinché rendesse ciò che non aveva ricevuto.
Antichi re del Lazio
Saturno negli antichi tempi venne in Italia e edificò nel Lazio una rocca non lontano dal colle Gianicolo: alla rocca fu dato il nome Saturnia. Poi la gente d'Italia viveva di agricoltura e di mestieri, infatti sotto il regno di Saturno ci fu in Italia una vita piacevole. Dopo la vita di Saturno il Latino regnò nel Lazio. I Greci distrussero con un incendio la città di Troia. Poi Enea emigrò profugo in Italia insieme al padre Anchise e al lio Ascanio. Qui ebbe una moglie Lavinia lio di un Latino e in onore della moglie costruì la città Lavinia. Dopo la morte di Enea toccò al regno di Ascanio lio di Enea. Ascanio collocò la sede del regno sul monte Albano il nome della nuova città fu Albalonga.
Sotto i regni di Alba fiorirono le città per abbondanza e per le ricchezze con affluenza di cittadini sino ad Numinatore, antenato di Romolo e Remo.
Arguzia di Nasica
Quando Nasica venne dal poeta Ennio e dalla porta chiese Ennio, e la serva gli rispose che in casa egli non c'era; ma Nasica capì che lei l'aveva detto per ordine del padrone. Nasica si allontanò fingendo di aver creduto alle parole delle ancelle. Ma dopo pochi giorni quando Ennio venne da Nasica e chiese di lui dalla porta, Nbasica esclamò a gran voce che lui non c'era. Allora Ennio: 'Come? Io non riconosco la voce', dice, 'la tua?'. Qui Nasica: 'L'uomo è senza vergogna; quando io ho chiesto di te, io ho creduto alla tua serva, che tu a casa non c'eri: tu non mi credi lo stesso?'.
Cerere
Le genti dell'Italia credevano Cerere madre dei frutti, degli alberi, delle erbe e padrona delle agricolture. Infatti una volta Cerere secondo il parere della gente comune istruì con l'agricoltura e donò il frumento agli uomini. Perciò negli antichi tempi c'erano molti templi per Cerere, c'erano statue fatte d'argilla o di marmo con la testa ornata con una corona fatta di spighe. Insieme poi celebravano riti religiosi per Cerere, dedicavano aratri e altri arnesi, i sacerdoti invocavano la dea con molte preghiere, e chiedevano molte grazie per i campi, per gli agricoltori e per gli animali. Allora gli agricoltori donavano ai buoi le corone, ornavano con i suoi fiori, percorrevano le misure e chiamavano la dea con buone parole, perché desideravano molta grazia, la grande abbondanza di biade, molta pioggia e frutteti abbondantemente, anche bora conservano molti degli antichi templi religiosi di Cerere.
Cicerone ad Attica
Sappi che, mentre erano consoli Giulio Cesare e Marcio ulo mi è noto un liolo con buona salute di Terenzia. Da parte tua tanto a lungo nessuna lettera! Io scrissi prima diligentemente circa le mie faccende a te. In questo periodo pensiamo di difendere Catilina, nostro rivale. Abbiamo i giudici con grandissima volontà di accusare. Spero, se sarà assolto, che quello sarà più legata a noi nella questione della candidatura; se invece accadrà diversamente, ci comporteremo diversamente. Noi abbiamo bisogno di un tuo rapido arrivo, infatti abbiamo assolutamente bisogno di uomini che i tuoi pensieri(sono) di uomini nobili, e che saranno avversari presso la nostra carica. Di questi per unire la mia intenzione ti vedrò utile. Perciò nel mese di Gennaio, come contasse, affinché abbi cura di Roma.
Fetonte
Fetonte, lio di Lole e di Chimene, salì di nascosto sul carro del padre, perciò volò dalla terra più alto di tutti gli uomini. Per colpa di una paura cadde giù nel fiume Euridiano, poi giove,il dio padre, lo colpì con un fulmine con una forza maggiore che in terra. Giove che desiderava togliere di mezzo tutto il genere umano con i vizi e la lussuria fingendo di estinguere l'incendio, condusse i fiumi da tutte le parti, provocò le tempeste più violente, distrusse tutto il genere umano eccetto Pirro e Deucalione. Ma affidò le sorelle di Fetonte al popolo, infatti ( . ).
Marco Aurelio
Dopo Antonino Pio, Marco Aurelio tenne da solo l'impero. Dal principio molto tranquillo di vita, a tal punto che anche in volto non immutava ne per gioia, ne per tristezza. Dedito alla filosofia storica non per le usanze di vita ma anche filosofo per studio fu avvicinato alla filosofia da Apollonio Calcedonio; alla letteratura dei greci da Sesto Ceronense, nipote di Plutarco; poi Frontone, oratore mobilissimo gli insegnò la letteratura latina. Si comportò a Roma con equo diritto con tutti, alzato a nessuna arroganza dalla ricchezza dell'impero: di grandissima liberalità trattò le province con grande benevolenza e moderazione. Contro i Germani compì imprese felicemente.
Mosse una sola guerra Marcomanna non tanto da essere paragonata ai Punici: infatti lì accadde che più gravemente tutti gli imperi Romani erano morti. Solo costui infatti ci fu un così grande caso di Pestilenza che a Roma, per l'Italia e per le province una grandissima parte di uomini quasi tutto di truppe di soldati vennero meno per fiochezza nell'allestimento dei festeggiamenti fu magnifico a tal punto che si tramanda che esibì 100 leoni contemporaneamente sebbene dunque ricreò uno stato prosperoso sua per virtù sua per la mansuetudine morì nel diciottesimo anno d'impero, nel sessantunesimo anno di vita e venne annoverato tra gli Dei.
Morte di Crasso
Poiché Cesare faceva straordinarie imprese in Gallia, da esprimere con molti volumi, non contento delle moltissime e felicissime vittorie avendo trasportato l'esercito in Britannia, cercando (di ottenere) il mondo sotto il suo e il nostro impero, la vecchia coppia di Consoli Pompeo e Crasso entrarono nel consolato. Le province a Cesare furono prorogate con una legge per un periodo di tempo, a Crasso fu attribuita la Siria; ma questo uomo, santissimo e immune dai piaceri e non aveva conosciuto limite nel denaro né nella gloria né in termine. Il re Orode circondato da molte truppe di cavalieri, uccise Crasso con la maggior parte dell'esercito Romano. Cassio conservò il resto delle regioni e mantenne la Siria sotto il potere del popolo Romano così che mise in fuga e sbaragliò i Parti.
Pausania
Pausania fu un grande uomo Spartano, ma volubile in ogni circostanza della vita; infatti come brillò per le virtù, così si fece conoscere con molti vizi. Di questi è famosissima la battaglia di Pausania presso Platea, dove vinse il generale Mardonio, satrapo legale, genero del re, cacciò e mise in fuga il suo esercito di 200.000 fanti non con una così grande schiera. Lo stesso Mardonio morì nella battaglia. Dopo la battagli gli Spartani mandarono a Pausania la flotta degli alleati a Cipro e nell'Elesponto, affinché cacciasse la difesa dei barbari dalle regioni. Ma dopo strinse un patto con Serse, re dei Persiani e tradì la sua patria. Infatti quando a Bisanzio catturò alcuni nobili della Persia e alcuni parenti del re, di nascosto li rispedì indietro a Serse, dicendo che lui desiderava fare sazietà con il re dei Persiani. Allora gli Efori lo chiusero nel tempio di Minerva, dove morì per la fame, così Pausania marchiò la grande gloria delle battaglie con una brutta morte.
Publio Decio
Publio Decio sotto il console Valerio fu un tribuno militare, poiché l'esercito Romano fu chiuso in luoghi angusti. Decio guardò l'alto colle in vicinanza degli accampamenti nemici. Occupò il vertice, spaventò i nemici e diede tempo al console di spostare la schiera nello stesso luogo. Durante la notte fonda fra alcune guardie dei nemici opresse di sonno evase incolume. Perciò gli fu donato dall'esercito la corona civica, poiché nell'assedio liberò i cittadini. Durante la guerra Latina fu console con Malio Torquato. Allora, quando il console venne a sapere che sarebbe stato vincitore il popolo, del quale comandante fosse deceduto in battaglia, si accordarono la cui ala soffrisse in battaglia, si offrisse agli Dei mali. L'armato balzò a cavallo e si lanciò nel mezzo dei nemici. Cadde coperto dalle frecce e dette ai suoi la vittoria.
I Persiani sbarcano nell'Attica
Dario poi, quando ritornò dall'Europa all'Asia, per riportare sotto il suo potere la Grecia, allestì una flotta di 500 navi e a questi mise a Capo Dati e Artaferne diede 200.000 fanti e 10.000 cavalieri, dicendo che egli era nemico degli Ateniesi, poiché con il loro aiuto gli Ioni avevano espugnato Sardi e avevano ucciso i loro presidi. I prefetti del re, approdate le flotte a Eubea, giunsero alla famosissima Eretria. Poi si avvicinarono nell'Attica, e in campo a Maratona fece scendere le sue truppe. Questo dista dalla città circa 10.000 passi. L'attacco così vicino tuttavia prendeva un gran pericolo, non chiedevano aiuto se non agli Spartani, e Filippo, corriere che compì un lungo viaggio in un giorno, per dire che gli Spartani dovevano mandare e per annunciare quanto ci fosse bisogno di un aiuto veloce. In casa, poi eleggono 10 pretori affinché stessero a capo, tra questi (c'era) Milziade. Ma la lotta fu grande, se si difendessero con le mura, o se combattessero con una schiera contro i nemici. Il solo Mitridate pensava di mettere gli accampamenti al più presto: infatti riteneva che si sarebbe accresciuto il coraggio ai cittadini per la battaglia perché vedevano che loro non si davano disperazione e a proposito della virtù e che i nemici sarebbero stati più lenti e in fine che sarebbero stati vinti.
La riforma dell'anno solare
Dividemmo l'anno solare in 12 mesi: Gennaio, Marzo, Maggio, Luglio, Agosto, Ottobre e Dicembre di 31 giorni; Aprile, Giugno, Settembre, Novembre di 30; Febbraio di 28. Giulio Cesare nel quarantesimo anno a.c. stabilì che ogni 4 anni il mese di Febbraio doveva avere 29 giorni; ormai Giulio Cesare pose la mutazione dell'anno in 365 giorni e 6 ore. Perciò Gregorio terzo pontefice massimo ( . ). Nell'anno 582 corresse i fasti, così non aggiungeremo nessun giorno nell'ultimo anno del secolo. L'anno, allora fu bisestile nel 1600, per nulla affatto nel 1700, ne il 1800, ne il 1999;ma sarà bisestile il 2000.
Il regno di Romolo
L'impero Romano, che la memoria umana ne può ricordare uno che dalle origini più piccole, e ne più ampio di sviluppo in tutto il mondo, ha origine da Romolo, il quale fu considerato lio di Rea Silvia, vergine Vestole e addirittura di Marte, fu generato col fratello Remo in un solo parto. Questi, quando aveva 18 anni, faceva scorrerie fra i pastori e fondò una piccola nuova città sul colle Palatino, il 20 Aprile, dopo l'uscita di Troia nel trentesimo anno delle seste olimpiadi, affinché mandassero la maggioranza e la minoranza, nel 393esimo anno. Fece all'incirca queste cose, dopo che aveva costruito la città, che chiamò Roma dal suo nome. Accolse una moltitudine di confinanti nelle città, scelse 100 fra i vecchi, con il consiglio dei quali faceva ogni cosa, i quali chiamò senatori per l'anzianità.
Sacrificio del re Codro
C'erano vecchie rivalità fra i Dori e gli Ateniesi, che saranno vendicate con la guerra, i Dori consultarono gli oracoli per l'avvenimento della guerra. La risposta fu che sarebbero stati superiori, se non avessero ucciso il re degli Ateniesi. Quando si giunse alla battaglia, prima di tutto viene ordinato ai soldati la sorveglianza del re. In quel tempo gli Ateniesi avevano come re Codro, il quale, sia per l'oracolo di Dio, sia per i comandi dei nemici senza l'abito del re, cencioso, indossando sul collo rami secchi, avanza negli accampamenti dei nemici. Qui nella confusione dei presenti da un soldato, che con una falce e con l'astuzia aveva ferito, e ucciso. Quando ebbero riconosciuto il corpo del re, i Dori allontanano senza battaglia. E così gli Ateniesi per il valore del comandante sono liberati dalla guerra, che per la salvezza della patria si offre alla morte.
Sacrificio di Ienia
Le navi dei Greci si riunirono nel porto di Aulide per espugnare Troia, ma i venti contrari impedivano la partenza.
I Greci avevano aspettato per lungo tempo e invano una tempesta favorevole, infine l'indovino Calcante annunziò che la partenza era impedita dall'ira di Diana, poiché una cerva sacra che era stata uccisa per la dea dal re Agamennone. Allora i Greci appresero che essi avrebbero ottenuto il perdono di Diana con i sacrifici, soprattutto di Ienia, la lia più grande del re Agamennone. Veramente prima il re negò che mai avrebbe eseguito il delitto, dopo obbedì alla minaccia degli altri. Quando invece, la fanciulla già era davanti all'altare, la dea placata, mise una cerva per immolarla invece di Ienia.
Sicilia
La Sicilia è la più grande e la più fertile delle moltissime isole del mar Mediterraneo. L'isola ha una forma triangolare, i laterali di essa sono pieni di bellissime ville, di abbondantissime case, di antichi templi. La cima dell'Etna fuma in mezzo alla candidissima neve ed è il più fertile degli altri colli della Sicilia. Dicono che l'isola Sicilia è la più ricca di vigneti, di olivi e di ogni genere di frutta. In Sicilia il cielo è il più sereno e il più mite che nelle restanti regioni d'Italia; infatti la primavera è eterna, crescono moltissimi fiori e il raccolto biondo sotto i raggi del sole è abbondante. Nell'isola i Greci, i Cartaginesi e i Romani combatterono ardentemente, perché la ricchezza delle regioni e la ricchezza delle città li attiravano molto. Le città di Siracusa, Catania, Palermo, Messina, Enna, Agrigento sono molto note a tutte: narrano che la Sicilia ha i più antichi monumenti quante le altre isole del mar Mediterraneo, distinte statue, celebri monumenti.
Tito lio di Vespasiano
A questo successe il lio Tito, e anch'egli fu detto Vespasiano, uomo mirabile in ogni genere di virtù, a tal punto che era chiamato amore e delizia del genere umano, molto eloquente, molto valoroso, molto equilibrato. Condusse cause in lingua Latina, compose poemi e tragedie in Greco. Nell'assedio di Gerusalemme, essendo militante sotto il padre, trafisse 12 combattenti con 12 colpi di frecce. Nel comando a Roma fu di tanta mitezza, che (non) punì nessun uomo, lasciò andare i rei convinti di congiura o li tenne in amicizia. Fu di tanta indulgenza e di generosità, che rispose che nessuno doveva allontanarsi triste dall'imperatore. Costruì l'anfiteatro a Roma e uccise nell'inaugurazione 5000 bestie feroci accolto con una straordinaria benevolenza morì nella villa con una malattia, 2 anni e 8 mesi, 20 giorni, da quando fu fatto imperatore, nel quarantunesimo anno di età. Tanto fu il lutto pubblico che tutti provarono dolore come in un proprio lutto. Il senato corsero di notte nella curia e portò insieme a lui morto quante non ne avevano portato mai ai vivi ne ai presenti. Fu riportato fra gli dei.
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