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Per la loro educazione filosofica e letteraria, gli antichi erano portati a dare molto spazio alla descrizione dell'uomo, dei suoi costumi, delle sue usanze, in una sola parola, all'etnografia. Tale approfondimento diveniva ancora più ampio e interessato se la cultura osservata era sostanzialmente diversa da quella a cui loro stessi appartenevano. Specie nella cultura latina ci è possibile trovare delle analisi assai approfondite di civiltà con le quali i romani, volenti o nolenti, si trovarono a confrontarsi.
Si deve fare attenzione, tuttavia, a non inquadrare la ricerca etnografica in un ben determinato periodo della storia romana, in quanto essa fu una caratteristica che ne distinse ogni singola fase.
Già molto
presto, quasi agli inizi di quella letteratura che avrebbe illuminato quasi
settecento anni di storia, G. Giulio Cesare si prodigava, nel I secolo a.C.,
nella composizione della sua opera C.
Iulii Caesaris commentarii rerum gestarum, meglio conosciuta come Commentarii de bello Gallico. In essa a
Cesare, sin dal primo libro, sta a cuore presentare la guerra in Gallia come un
evento improrogabile e inevitabile, una necessità di difesa da quei
popoli che, nella loro diversità, potevano risultare nocivi per Roma. <<[]
i Germani erano uomini dal fisico imponente, incredibilmente valorosi e avvezzi
al combattimento (spesso li avevano affrontati, ma non erano neppure riusciti a
sostenerne l'aspetto e lo sguardo)>> (ingenti
magnitudine corporum Germanos, incredibili virtute atque exercitatione in armis
esse praedicabant (saepe numero sese cum his congressos ne vultum quidem atque
aciem oculorum dicebant ferre potuisse , <
In maniera nettamente contrastante rispetto alla ideologia cesariana si pone Publio Cornelio Tacito. Nato nel 55 d.C., l'autore umbro, fu costretto, nell'88, ad allontanarsi da Roma per un incarico in Germania. Questa esperienza gli fornì il materiale necessario per la stesura della sua opera De origine et situ Germanorum (più comunemente nota come Germania), pubblicata nel 98.
Essa è
un'opera interamente incentrata su interessi etnografici: le descrizioni di usi
e costumi dei popoli germanici sono il tema preponderante dell'opera; in
particolar modo, la visione che Tacito da dei popoli oltre il Reno appare un'esaltazione
di una civiltà ingenua e primordiale, non ancora corrotta dai vizi
raffinati di una società decadente, come quella romana. Tacito
<
In tal senso diventa evidente un continuo parallelismo tra i Germani e i Romani: i primi pieni di forze, vitalità, ed energie pure; i secondi in fase di decadimento e soggetti alla corruzione della vita cittadina.
Si evince che, dall'opera tacitiana, i Germani escono come il popolo che, essendo ancora incontaminato, risulta, nella sua diversità, "migliore" dei Romani.
Indubbiamente, oltre che un apprezzamento nei confronti dei "barbari", l'opera vuole essere una sorta di monito ai costumi decadenti della società cui egli appartiene. La "integritas" morale che contraddistingue i barbari, potrebbe essere, in un futuro non molto lontano, nociva per i Romani stessi. Al fine di prevenire tale disgrazia, gli ideali, divenuti più importanti in una società deviata dalla giusta via, devono essere sostituiti, magari fondandosi sugli ideali puri delle popolazioni ritenute, erroneamente, inferiori.
Tacito può dunque essere considerato come un autore "maturo", che riesce a trarre dal confronto con una cultura totalmente diversa degli spunti per un miglioramento della società che veramente gli sta a cuore: quella romana.
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