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" A Zacinto"

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" A Zacinto"


Questo sonetto fu composto fra l'agosto del 1802 e l'aprile del 1803 ed è dedicato all'isola dove il poeta nacque, Zante, nel Mar Ionio.

Al motivo autobiografico del ricordo dell'infanzia, egli intreccia quello dell'esaltazione della poesia.

La Grecia per Foscolo non è solo la terra materna perduta ma anche la terra d'origine della poesia e dei miti, e perciò luogo sacro, unico, incantato: così ce la dipinge nel sonetto, con freschezza e splendore di immagini.

Essa appartiene infatti ad una terra verso la quale egli si protendeva con nostalgia struggente, come altri romantici europei, che nella Grecia classica vedevano l'incarnazione suprema d'un ideale di bellezza, di piena e totale armonia umana. Ma soprattutto, rievocando gli antichi miti della patria, il Foscolo vede in essi preurati la sua vocazione e il suo destino.

Venere, infatti, rafura l'ideale della bellezza, di una cosmica armonia; Omero è la poesia, esternatrice dell'eroismo e dei valori umani più alti; in Ulisse, infine, "bello di fama e di sventura", il poeta adombra l'immagine di se stesso, esule magnanimo, avversato dagli uomini e dalla fortuna, proprio per la sua superiore nobiltà spirituale.

La sognante evocazione della patri si conclude col presentimento di una sepoltura "illacrimata" in terra straniera; ma sollevando la sua travagliosa esistenza nell'immobile splendore di quei grandi miti, il Foscolo ritrova in essa un significato e un valore che la riscattano dal dolore e dal nulla eterno.



Nasce da qui la composta e virile accettazione del proprio destino di sofferenza che troviamo negli ultimi versi, dolenti ma senza lacrime, intimamente confortati dalla fede della propria grandezza e in una propria missione nel mondo.


Metro: sonetto costituito da quartine a rima alternata (ABAB, ABAB) e da terzine a rima invertita (CDE, CED).


La struttura metrico-sintattica del componimento è del tutto nuova rispetto alla tradizione del sonetto italiano solitamente caratterizzato dalla coincidenza fra strofe e periodo.

Esso presenta infatti un primo periodo ampio e sinuoso che si distende per ben tre strofe (le due quartine e la prima terzina) e uno più breve che occupa la seconda terzina.

La differente costruzione è funzionale all'articolazione del contenuto, infatti, nel primo periodo il susseguirsi delle preposizioni relative che scaturiscono l'una dall'altra (ove il mio corpo fanciulletto giacque . che te specchi . da cui vergine nacque . onde non tacque . che l'acque cantò . per cui bello . ) evoca l'idea del vagabondaggio, del diverso esilio di Ulisse e di Foscolo e al tempo stesso ricrea l'atmosfera incantata del mito.

Il tono assertivo del periodo finale invece segna il brusco passaggio dal mito alla realtà e sottolinea la ferma e orgogliosa accettazione da parte del poeta del suo destino da esule.

All'inizio del sonetto i tre monosillabi accettati (ne, più, mai) scandiscono fortemente il verso e ribadiscono a livello ritmico l'impossibilità del ritorno.

Il verso finale, con gli accenti sulla seconda, sesta, e decima sillaba, risulta anch'esso fortemente scandito in sintonia con il tema della morte in terra straniera e dell'illacrimata sepoltura.

Vi è una netta prevalenza dei tempi verbali passati, in particolare del passato remoto, nella parte centrale del sonetto nella quale viene rievocato un passato lontanissimo, addirittura mitico.

Nei versi 1 e 12, che aprono rispettivamente la prima e l'ultima strofa, troviamo invece due futuri introdotti entrambi da una negazione, più forte e incisiva quella del primo (né più mai), attenuata quella del v.12 (non altro che).

E' evidente che in contrapposizione al passato mitico, che è solare, sereno e armonico anche quando è travagliato dalla sofferenza, la realtà e il futuro si presentano per il poeta all'insegna della negatività.

Un valore particolare assume in questo contesto il verbo prescrisse che allude all'oscura presenza del fato che, prima ancora della nascita, sembra aver decretato al poeta l'esilio e l'illacrimata sepoltura.


Le parole chiave del sonetto si possono raggruppare in due serie:


sponde giacque

onde    nacque

feconde    tacque

fronde  acque


Le parole della prima serie racchiudono tutte il termine onde e quelle della seconda il termine acque; nel primo caso prevalgono le connotazioni positive, richiamano nel poeta l'idea della vita e della fecondità e si collegano al motivo di Venere, dea dell'amore, che nasce dal mare e con il suo sorriso vivifica la natura.

Le acque invece appaiono come il luogo dell'esilio e della sciagura, dove si è consumato il fatale errore di Ulisse.

Anche a livello lessicale ritorna il bipolarismo vita-morte, mito-realtà, eroe classico-eroe romantico che percorre l'intero sonetto. 











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