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ATTO E NEGOZIO GIURIDICO
L’atto e il negozio giuridico
Si parla di atto giuridico in generale quando un comportamento umano è preso in considerazione in quanto tale, cioè come una azione imputabile ad una persona.
Gli atti umani sono quindi presi in considerazione dall’ordinamento giuridico, nel senso che ad essi la legge collega determinate conseguenze. Questo accade quando un comportamento è riferibile alla sfera di responsabilità di un soggetto, ovvero a lui imputabile secondo i vari criteri previsti dalla legge.
Una prima importante distinzione è sicuramente quella tra atto lecito ed atto illecito.
Atto lecito
Sono anzitutto i comportamenti (o atti materiali), che consistono in modificazioni del mondo esterno, e la grande categoria delle dichiarazioni . Quest’ultime possono consistere in meri atti con i quali si comunica di essere a conoscenza di un comportamento oppure possono consistere in manifestazioni di volontà con le quali i privati esprimono la volontà a costituire, regolare o estinguere rapporti giuridici. Nel primo caso avremo le c.d. dichiarazioni di scienza, mentre nel secondo caso, di dichiarazione intesa come manifestazione di volontà, avremo il c.d. negozio giuridico. Rientrano, infine gli atti consapevoli e volontari che non sono negozi giuridici e che sono rilevanti in quanto compiuti spontaneamente da un soggetto capace di intendere e di volere, come ad esempio il amento o una diffida, si parla in tal senso di atti giuridici in senso stretto.
Atto illecito
Una condotta umana è giuridicamente illecita quando viola una regola di diritto, cioè quando corrisponde ad un comportamento vietato o quando non corrisponde ad un comportamento dovuto e perciò quando lede gli interessi protetti da una norma. In rapporto al tipo di regola violata si avranno vari tipi di illecito: un illecito penale, un illecito amministrativo.
Nel campo del diritto privato occorre distinguere tra atto illecito in generale e Illecito civile:
Atto illecito in generale.
Bastano le condizione già indicate: è contrario alla legge un atto che viola una norma giuridica e perciò stesso lede gli interessi da essa protetta;
Illecito civile
Ci si riferisce ad un comportamento che:
1 – lede direttamente un interesse particolare protetto da una norma giuridica
2 –provoca perciò un pregiudizio per il soggetto leso.
Come tale l’illecito civile è fonte di responsabilità ed obbliga a risarcire il danno cagionato
Come accennato, tra le dichiarazioni rientra il c.d. negozio giuridico. Questo è definito come manifestazione di volontà diretta a costituire, regolare o estinguere rapporti giuridici. Il privato tramite il negozio giuridico è in grado di perseguire i propri interessi espandendo al massimo il potere di autonomia privata, infatti:
si parla di autoregolamento impegnativo nel senso che è il soggetto stesso che crea la regola per disciplinare gli interessi che intende perseguire, in modo tale che gli effetti che ne scaturiscono non potranno non coincidere con l’intento del soggetto. Si badi che l’ordinamento non dà protezione cieca a tutti i negozi, ma la protezione è accordata qualora gli interessi siano leciti e considerati meritevoli di tutela. Nel caso di atto non negoziale il soggetto non crea la regola per disciplinare i propri interessi ma si limita a scegliere il mezzo offerto dall’ordinamento giuridico; se nel caso di atto negoziale si parla di autonomia, nel caso di atto non negoziale si parla di eteronomia
La categoria di negozio giuridico è fonte di elaborazione dottrinale, nata con lo scopo di creare una ura unitaria che ruoti intorno alla dichiarazione di volontà e di stabilirne in modo uniforme requisiti e disciplina. Si noti che il nostro codice non ha una parte generale e non ha un gruppo di regole destinate alla manifestazione di volontà in generale. Inoltre, il pensiero giurid ico italiano è stato molto influenzato da quello tedesco e proprio da questo ha importato la ura unitaria di negozio giuridico, nata nell’ottocento in Germania.
Questa importazione non è stata recepita a livello scritto, il nostro codice regolamenta il contratto, il testamento, e le varie ure negoziali ma non il negozio giuridico in generale.
Per quanto riguarda gli elementi del negozio giuridico si distingue tra elementi essenziali, senza i quali il negozio è nullo, ed elementi accidentali che le parti sono libere di apporre o meno; si parla anche di elementi naturali, ma in realtà ci si riferisce agli effetti naturali del negozio che conseguono automaticamente in forza della disciplina alla quale è assoggettato il negozio in questione.
Per quanto riguarda le possibili classificazioni dei negozi giuridici si distingue tra:
- negozi inter vivos e mortis causa (testamento)
- negozio unilaterale (il negozio si perfeziona con la dichiarazione di una sola parte) e bilaterale (contratto) o plurilaterale (più parti)
- negozi di diritto familiare e negozi patrimoniali che a loro volta si suddistinguono in negozi di attribuzione patrimoniale e negozi di accertamento
- negozi a titolo gratuito, in cui un soggetto acquisisce un vantaggio senza alcun sacrificio, e negozi a titolo oneroso, in cui il vantaggio acquisito dal soggetto è legato ad un sacrificio da un nesso di causalità.
Tra le dichiarazioni unilaterali rientra la rinunziache si può definire come un negozio abdicativo che consiste nel perdere un diritto soggettivo spontaneamente senza trasferirlo a terzi.
I negozi unilaterali non possono produrre effetti modificativi del patrimonio altrui in senso negativo. Da questo punto di vista si distinguono i negozi recettizi da quelli non recettizi. Mentre quest’ultimi producono effetti immediatamente, cosicché perfezionamento ed efficacia vengono a coincidere temporalmente, i primi devono essere portati a conoscenza dell’oblato e solo quando questo onere è adempiuto il negozio, già perfetto strutturalmente, produrrà gli effetti nella sfera del terzo.
La dichiarazione di volontà
Abbiamo visto che il negozio giuridico appartiene alla categoria delle dichiarazioni e che è una ura dottrinale che ruota attorno alla dichiarazione di volontà. Definiamo innanzitutto la dichiarazione di volontà come mezzo rappresentativo del fatto interiore (cioè appunto della volontà del soggetto); come tale essa può essere diretta o desunta da un comportamento o da un contegno, ed in quest’ultimo caso si definisce comportamento concludente.
In ogni caso la dichiarazione di volontà è rilevante per l’ordinamento giuridico in quanto deriva per il dichiarante un impegno
Segue: il silenzio e il comportamento concludente
Annosa questione è se il silenzio possa valere come dichiarazione di volontà e se la risposta è positiva in quale senso. Nell’ambito amministrativo è affermato il c.d. principio del silenzio assenso con il quale se l’amministrazione competente non risponde alla domanda dell’interessato entro un certo arco di tempo, la domanda dell’interessato si intende accolta. Ma al di fuori dell’ambito amministrativo, nel diritto privato il silenzio come va interpretato? La certezza dei rapporti giuridici imporrebbe che il silenzio non possa essere considerato come dichiarazione di volontà positiva, che si ricondurrebbe al principio popolare “chi tace acconsente”, in quanto una dichiarazione di volontà positiva esplicita sarebbe di gran lunga preferibile, anche al fine di dirimere possibili equivoci fonti di liti future.
Se si intende però la dichiarazione di volontà come dichiarazione rappresentativa dell’intenzione del soggetto, ecco che, in concomitanza di particolari circostanze, anche il silenzio può avere una sua rilevanza. O meglio:
Quando il soggetto era tenuto ed avrebbe potuto parlare, il silenzio può valere come dichiarazione espressa di consenso
Per quanto riguarda il comportamento concludente, questo può consistere in un contegno o in una dichiarazione:
Si ha la dichiarazione tacita quando da un comportamento o da una dichiarazione espressa si desume di necessità la presenza di un’altra dichiarazione non espressa
Come esempi di un contegno qualificabile come comportamento attuativo si prenda in considerazione l’esecuzione del contratto che vale accettazione o la distruzione del testamento olografo.
Segue: la forma
La dichiarazione di volontà è quindi il centro motore del negozio e come tale deve essere ben riconoscibile all’esterno. Il modo in cui essa deve essere riconoscibile all’esterno è la forma che l’ordinamento giuridico esige per far si che l’atto sia perfettamente valido e produca i suoi effetti.
Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà della forma
L’ordinamento non impone rigidi formalismi per riconoscere effetti giuridici agli atti dei privati. Pertanto le parti possono liberamente scegliere il modo in cui manifestare la propria volontà, ma per determinati atti la legge prevede la forma scritta ad substantiam che è necessaria per la validità dell’atto. Quando è richiesta la forma scritta ad substantiam il contratto è valido solo se è stipulato in forma solenne (cioè con atto pubblico che richiede l’intervento di un pubblico ufficiale come nella donazione o nella costituzione di società per azioni ) o con scrittura privata.
Altre volte il nostro ordinamento richiede la forma scritta ad probationem che non incide sulla validità dell’accordo, ma ai fini della prova nel senso che l’accordo può essere provato solo con atto scritto e non con testimoni come nel caso dell’assicurazione o della transazione.
Le forme convenzionali si hanno quando sono le parti che con un preciso accordo impongono una forma non richiesta dalla legge.
La pubblicità:
All’esigenza di conoscibilità dei fatti giuridici, l’ordinamento assolve innanzi tutto predisponendo un complesso sistema di pubblicità, che si articola secondo modelli diversi che hanno in comune il dato della necessaria completezza della notizia.
A tale scopo la legge, pone a carico di determinati soggetti, ad es. notai o cancellieri, un preciso obbligo di pubblicare, nelle forme fissate dalla legge, gli atti ricevuti, mentre per i membri della collettività sussiste unicamente un onere e mai un obbligo.
Fatta questa premessa, vediamo i vari tipi di pubblicità in relazione alle funzioni che essa assolve:
pubblicità notizia – a sua funzione è di rendere noti determinati fatti o atti ai terzi, ma è irrilevante ai fini della validità o dell’efficacia dell’atto che rimane anche opponibile ai terzi (es. registri dello stato civile);
pubblicità dichiarativa – la sua funzione è di rendere opponibile il negozio ai terzi. L’omissione non determina l’invalidità dell’atto che produce egualmente i suoi effetti inter partes.
pubblicità costitutiva - In questo caso la pubblicità è elemento costitutivo della fattispecie, è requisito per la perfezione del negozio: senza la pubblicità, il negozio non soltanto non si può opporre ai terzi, ma non produce effetti nemmeno tra le parti (es. la pubblicità ipotecaria)
I vizi della volontà:
Gli artt. 1427 – 1440 c.c. disciplinano i vizi del consenso. Il primo art. fornisce in qualche modo una spiegazione di questa espressione: Art 7c.c.: “il contraente, il cui consenso fu dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo, può chiedere l’annullamento del contratto secondo le disposizioni seguenti”
C’è stato quindi un accordo, frutto dell’incontro di 2 o più volontà, ma il consenso di una parte è la conseguenza di un processo viziato: la parte si trova legata ad un contratto al quale non avrebbe consentito se non si fosse verificato un suo errore, o l’altrui violenza o il dolo della controparte
Si noti che l’art. 1427 c.c. non dispone la nullità per il consenso viziato, ma l’annullabilità che deve essere richiesta dalla parte caduta in errore, vittima della violenza o carpita con dolo.
L’errore:
L’errore viene inteso secondo il significato comune della falsa rappresentazione della realtà; sebbene non si definito dal codice, questo considera 2 diverse tipologie di errore:
Errore vizio (errore motivo)
Cioè di errore che vizia la formazione della volontà o che motiva che determina a contrarre.
Errore ostativo
Cioè l’errore cui si inciampa nella manifestazione della volontà o nella sua trasmissione (per es. voglio vendere un bene a 1000€ e la mia segretaria scrive10.000€). è questo il caso in cui si forma divergenza tra volontà e dichiarazione.
Affinché l'errore, nelle sue due forme, produca annullabilità del negozio giuridico, dev'essere essenziale e riconoscibile. La materia è disciplinata dagli artt. 1429 e 1431 c.c. con riferimento al contratto.
L'art. 1429 considera essenziale l'errore che cade su taluno degli elementi in esso indicati: per es. sull'oggetto (credevo di acquistare crusca, mentre la controparte intendeva farina), o su una sua qualità (volevo farina di grano, non di mais).
L'art. 1431 considera invece riconoscibile l'errore che, avuto riguardo al contenuto, alle circostanze del contratto o alla qualità dei contraenti, poteva essere rilevato da una persona di normale diligenza.
L’errore di calcolo dà invece luogo a rettifica e non, come nelle altre ipotesi, ad annullabilità (art. 1430 c.c.).
Entrambi i criteri proteggono l’interesse di chi riceve una dichiarazione ed in buona fede confida sulla attendibilità di essa, ma assicurano, al tempo stesso, una generale sicurezza e fluidità dell’ambiente contrattuale.
L’annullabilità per errore è infine limitata dall’art. 1432 c.c.
art. 1432 c.c.:” la parte in errore non può domandare l‘annullamento del contratto se, prima che ad essa possa derivarne pregiudizio, l’altra offre di eseguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto che quella intendeva concludere”.
La violenza:
La violenza disciplinata dagli art.1434 – 1438 c.c. è la c.d. violenza morale che è causa di annullamento del contratto. Nonostante anche qui manchi una definizione del legislatore, dagli artt. 1435 e ss. si evince che l’espressione indica la minaccia portata dall’altra parte o anche da un terzo (art. 1434 c.c.) per estorcere il consenso al contratto (art. 1427 c.c.). Dagli art. 1435 e 1436 c.c. la minaccia deve essere:
. tale da fare impressione ad una persona sensata (avendo riguardo all’età al sesso alle condizioni della persona)
. riguardare un male ingiusto e notevole alla persona o ai beni del minacciato; il timore quindi, se è alterazione psicologica non in relazione con una minaccia altrui non è rilevante come vizio del volere nell’ ambito del contratto
Il timore non è quindi causa di annullamento del contratto ma se la controparte se ne accorge e ne approfitta si ha violazione del dovere di correttezza nelle trattative
Il dolo:
Si può definire come il raggiro usato da uno dei contraenti per carpire il consenso, cioè per indurre
l’altra parte a contrarre (art. 1439 c.c. e 1427 c.c.).
Richiedere il raggiro vuol dire che una parte si sia data positivamente da fare per ingannare l’altra,
pertanto occorre:
- il raggiro o artifizio che porta a trarre in inganno la vittima;
- l’errore del raggirato a causa del menzionato raggiro;
- la provenienza dell’inganno dalla controparte (se i raggiri provengono da terzi l’atto è
impugnabile solo se il contraente ne era a conoscenza e ne ha approfittato).
Costituisce dolo anche la c.d. reticenza o dolo omissivo quando vengono ad arte taciute
circostanze del contratto
Si parla, infine di dolo determinante quando senza i raggiri l’altra parte non avrebbe contatto; se il
raggiro ha solo indotto la parte ingannata a condizioni diverse si ha il c.d. dolo incidente:
Nel caso di dolo incidente il contratto è valido ma il contraente in mala fede risponde dei danni (art. 1440 c.c.)
La causa del negozio giuridico:
La causa è uno dei requisiti del contratto, secondo l’art. 1325 c.c. Alla causa sono dedicati 3 art del
c.c. riguardanti l’illiceità della causa tenendola ben distinta dalla illiceità dei motivi.
La menzione della causa tra i requisiti essenziali del contratto significa anzitutto che la funzione
giuridica del contratto deve sempre essere collegata ad una funzione economico – sociale.
Chiariamo subito il significato di questa espressione
Nel nostro ordinamento un diritto non può, di regola, essere trasferito o una obbligazione essere assunta se non nel quadro ed in ragione di un regolamento di interessi tra le parti
nel quale si possa riconoscere una funzione economico sociale, intendendosi con tale espressione l’assetto di interessi che il contratto mira a realizzare.
Più precisamente
L’art. 1322 c.c. consente ai privati di concludere contratti diversi dai tipi previsti dalla legge (contratti atipici) purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. L’approvazione cade dunque sull’assetto di interessi che il contratto mira a realizzare ed in questo senso sulla funzione economico - sociale: il contratto deve servire ad una funzione che sia tale da poter giustificare la forza di legge che l’ordinamento attribuisce agli accordi che hanno per oggetto rapporti patrimoniali. Ovviamente quando lo schema contrattuale è disegnato dallo stesso legislatore, questa condizione è senz’altro presente in astratto, in concreto, però, le parti possono distorcere la funzione del contratto, come vedremo a proposito della causa illecita.
Da quanto detto si evince, quindi, che l’ordinamento dovrà dare un giudizio di meritevolezza su quanto i privati intendono realizzare nel caso di contratti atipici: Il contratto atipico è soggetto alle norme generali in materia di contratto, dopo che sia stato valutato meritevole di tutela alla stregua del giudizio di conformità all’ordinamento e ai suoi principi
La meritevolezza indica quanto sia applicabile lo strumento atipico scelto dai privati, in una
prospettiva idoneità al raggiungimento degli interessi ma anche alla salvaguardia delle parti. Ci
si chiede dunque se lo strumento privatistico scelto sia idoneo a derogare lo schema tipico.
In generale, si osservi come la giurisprudenza sia sempre alla ricerca della tipizzazione, che rende possibile non solo l’inquadramento, ma soprattutto l’applicazione di regole ben definite, a costo di manipolare, in un eccesso di elasticità, i tipi legali, ciò a dimostrazione di come l’atipicità pura non esista
La nozione di causa rileva nei casi di mancanza o di illiceità.
La causa manca in concreto quando il contratto non può fin dall’origine produrre i suoi effetti essenziali, perché ne mancano i presupposti giuridici;
Art. 1322 c.c.: “Nei negozi atipici la causa manca quando il negozio non è diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela”. Il risultato è la nullità del negozio giuridico.
Per quanto riguarda l’illiceità:
un contratto tipico può essere illecito e quindi non tutelabile dall’ordinamento anche se vengono osservati tutti i criteri proposti dallo schema tipico. Difatti l’illiceità riguarda la causa, lo scopo perseguito dalle parti che, può essere contrario a norme imperative, all’ordine pubblico, al buon costume. C’è chi distingue tra negozio illegale, contrario alle norme imperative e all’ordine pubblico, e negozio immorale, contrario al buon costume; ma è lo stesso legislatore che parla di causa illecita per il contratto in frode alla legge in cui una funzione di per se lecita è distorta in concreto per servire a scopi pratici disapprovati dalla legge. Le parti, quindi, non mirano al risultato vietato, ma lo aggirano, ad es. con l’inserzione di clausole per ottenere un risultato equivalente a quello vietato.
I contratti misti
Spesso lo schema prescelto presenta una serie d’elementi riconducibili entro diversi tipi legali. Il contratto misto quindi, a differenza di quello atipico, non ha una propria individualità ed autonomia
È misto il contratto in cui si fondono le cause di due o più contratti tipici, non valutabili tuttavia in modo autonomo e separato l’uno dall’altro. In questo caso:
La teoria della combinazione prevede di applicare in una combinazione ad hoc le regole dei vari tipi legali.
La teoria dell’assorbimento applica la disciplina dello schema contrattuale prevalente
I negozi astratti
Sono così chiamati perché la legge ammette che il problema dell’esistenza o non esistenza della causa, cioè delle ragioni per cui sono costituiti i rapporti che nascono da questi negozi, non venga in considerazione.
negozio astratto è per esempio la promessa cambiaria: se io acquisto un’opera d’arte fuori commercio (che non può formare oggetto di contratto tra privati), come un’opera trafugata da uno scavo archeologico, il contratto è nullo. Supponiamo che io abbia rilasciato al venditore una cambiale e che il venditore l’abbia girata ad un terzo. Ebbene verso questo terzo la mia promessa di are funziona come un negozio astratto, perché io non posso rifiutare il amento eccependo la nullità del contratto che costituisce la ragione della mia promessa. Dovrò quindi are e poi rivalermi verso il venditore (c.d. astrazione sostanziale).
Discorso diverso va fatto per la astrazione processuale che in realtà è solo una inversione dell’onere della prova
La rappresentanza
La rappresentanza è senz’altro l’ipotesi più importante di sostituzione nell’attività giuridica: si tratta di un intervento caratterizzato dall’incarico attribuito dal rappresentato al rappresentante in vista della gestione di interessi propri del primo.
La legge o l’interessato attribuisce un apposito potere di sostituzione ad un altro soggetto affinché agisca per conto del rappresentato e con effetti che ricadano nella sfera giuridica di costui.
Questo potere è appunto il potere di rappresentanza cioè il potere che legittima la persona ad incidere direttamente sui rapporti giuridici altrui. Vediamo adesso il potere di rappresentanza:
Secondo l’art. 1387 c.c. il potere di rappresentanza può essere:
a) conferito dalla legge
b) conferito dall’interessato
Nel primo caso si parla di rappresentanza legale
Nel secondo caso si parla di rappresentanza volontaria
la procura (rappresentanza volontaria)
La procura è un atto unilaterale di attribuzione del potere di rappresentanza, diretto ai terzi: non si tratta di un accordo tra rappresentante e rappresentato; l’accordo tra i due, se c’è, da origine ad un contratto – per esempio di mandato, di società . - che regolerà i rapporti tra le parti. Ma il contratto non riguarda i terzi, gli estranei al rapporto che esso regola: verso i terzi occorre investire il rappresentante del potere di agire in nome e per conto (cioè nell’interesse) del rappresentato.
La procura è quindi un negozio unilaterale, a carattere autorizzatorio, e ha lo scopo di rendere edotti i terzi dell’esistenza di un rapporto di rappresentanza. La forma è variabile tranne il caso in cui sia richiesta una forma ad substantiam per il negozio da concludere; può essere peraltro espressa o tacita, qualora si desuma da fatti concludenti.
La procura qualora riguardi una serie varia e vasta di attività è generale,se invece è diretta al compimento di un singolo atto è speciale.
Talvolta il sostituto ha solo il potere di trasmettere una dichiarazione del rappresentato. Si tratta allora del messo, un nuncio: la volontà espressa è solamente quella del rappresentato.
Il vero rappresentante non è solo un messo ma una persona che ha il potere di dare il suo consenso con effetti per il rappresentato. --- Si dice perciò che il rappresentante è parte formale dell’atto (è sua la dichiarazione di volontà) mentre parte sostanziale (titolare dei rapporti regolati dall’atto, o destinatario degli effetti) è il rappresentato.
Il potere acquisito non è cedibile se non con il consenso del rappresentato: in questo caso si ha la sub-procura.
Accanto alla procura si evidenzia un altro rapporto inerente al contatto dei soggetti rappresentato e rappresentante: il rapporto interno difatti determina il c.d. rapporto di gestione.
Tuttavia i due elementi hanno vita propria: può ipotizzarsi una procura senza contratto o un contratto senza procura: ad eccezione del mandato ex art. 1704 c.c. la disciplina della procura e del contratto con cui si obbliga alla gestione dell’affare sono assolutamente differenti
Molto importante quanto attiene alla pubblicità della procura, nell’interesse delle parti e dei terzi; modificazioni e revoca della procura sono opponibili ai terzi se portate loro a conoscenza con mezzi idonei e qualora il terzo esiga giustificazione dei poteri il rappresentante deve esibire la procura nonché restituirla quando il rapporto cessa.
La procura si fonda su un rapporto di fiducia: --- a morte del rappresentato o del rappresentante determinano di regola la cessazione del rapporto, così come la nomina di un nuovo rappresentante per lo stesso affare o il compimento dell’affare.
Rappresentanza legale -- il potere di rappresentanza è conferito dalla legge.
n realtà, l’attribuzione del potere è prevista dalla legge ma deriva sempre da una fattispecie: è questa che, a voler essere precisi, conferisce il potere:
o Così la rappresentanza legale dei genitori per i li minori è basata sull’esistenza di un rapporto giuridico di filiazione che implica la potestà sui li
o In altri casi la rappresentanza è conferita in situazioni previste dalla legge, da un provvedimento del giudice: così per il tutore di un minore, o di un interdetto. Anche qui la rappresentanza è legale, perché il potere non è conferito dall’interessato, ma d’autorità: però è necessario il provvedimento del giudice
Si noti che l’espressione rappresentanza legale non vuol dire soltanto che il potere non è attribuito dall’interessato, ma anche che l’esercizio del potere non è sotto il controllo dell’interessato, ma si applica secondo norme particolari, dirette a proteggere l’interesse del rappresentato, e con il controllo del giudice;
Perciò la revoca del potere è legata alla violazione dei propri doveri o all’abuso di potere da parte del rappresentante, ed è disposta dal Tribunale dei minorenni nel caso dei genitori e dal giudice tutelare nel caso del tutore;
Rappresentanza organica Una particolare ipotesi di rappresentanza è quella che si realizza nelle collettività, in particolare provviste di personalità giuridica e nelle istituzioni, sia private che pubbliche
Quando il potere attribuito ad un organo consiste nel compiere atti giuridici in nome e nell’interesse
della collettività o dell’ente, si parla di rappresentanza organica;
La differenza con la comune rappresentanza sta in ciò che nella rappresentanza ordinaria si distinguono 2 soggetti, il rappresentante ed il rappresentato, ciascuno portatore di una distinta volontà; nella rappresentanza organica, invece, c’è un solo soggetto, l’ente, che agisce tramite l’organo.
la rappresentanza diretta ed indiretta Si parla di rappresentanza diretta per distinguerla da quella indiretta
Rappresentanza diretta: é caratterizzata dall’agire in nome e per conto dell’interessato, spendendone il nome;
Agire in nome altrui significa compiere un atto giuridico assumendo, di fronte alla controparte o ai destinatari dell’atto, il ruolo di chi agisce non per se ma in vece di un altro soggetto, del quale spende il nome;
Agire per conto altrui significa, invece, semplicemente compiere un atto giuridico nell’interesse di altro soggetto;
Se chi agisce per altri ha il potere di agire in nome dell’interessato (come accade nella procura) gli atti giuridici compiuti hanno effetti diretti nella sfera del rappresentato;
Rappresentanza indiretta: la spendita del nome non avviene: c.d. interposizione gestoria
In tal caso l’atto compiuto ha effetti immediati nella sfera di chi stipula (il c.d. rappresentante indiretto) e non in capo all’interessato, il quale se necessita di un atto di trasferimento (dal rappresentante indiretto al rappresentato);
In questo caso il soggetto agisce per conto di altri (cioè nell’interesse altrui), ma in nome proprio (cioè senza qualificarsi come rappresentante compiendo l’atto come un soggetto che agisce per se.;
Conflitti tra il rappresentante ed il rappresentato:
Il rappresentante, qualora decida di perseguire un interesse proprio o di un terzo in via esclusiva, compie un abuso che comporta la cessazione della rappresentanza.
Il danno nei confronti del rappresentato può essere anche solo potenziale e consiste nel perseguimento di un interesse contrastante con quello originario. Vediamo la disciplina del codice:
Art. 1394 c.c.: “Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo”
Il conflitto attuale o potenziale determina la possibilità dell’annullabilità dell’atto, sempre che il rappresentato non ratifichi comunque l’operato del rappresentante;
Il conflitto di interessi è quindi irrilevante se il rappresentato, essendone a conoscenza, autorizzi il rappresentante ugualmente a concludere il negozio;
la gestione di affari altrui
Il principio di autonomia dei privati implica che ciascuno sia signore dei propri interessi. Di regola, quindi, nessuno può intromettersi di sua iniziativa negli affari di un’altra persona; una eventuale ingerenza sarebbe priva di effetti nei confronti dell’interessato, fonte di responsabilità verso i terzi se chi agisse spendesse, senza averne il potere, il nome altrui
Rappresentanza senza potere Art. 1398 c.c.: “colui che ha contratto come rappresentante senza averne i poteri, o eccedendo i limiti della facoltà conferitagli, e responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto”
Sarebbe poi fonte di responsabilità verso lo stesso interessato per i danni eventualmente provocati dalla intromissione non autorizzata. Continua . 20/C
Il contratto per persona da nominare:
Quando si giunge alla conclusione del contratto, una parte può ris ervarsi la facoltà di nominare successivamente la persona nei cui confronti si produrranno gli effetti nascenti dal contratto: in mancanza di nomina gli effetti si produrranno tra i contraenti originari
Non c’è un effetto diretto del contratto in capo al terzo, perché l’accordo è efficace nei suoi confronti solo per effetto di una sua manifestazione di volontà. Infatti la dichiarazione di nomina non fa “uscire” dal contratto la persona che lo ha stipulato, ed “entrare” il nominato se:
Prima della stipulazione del contratto il terzo non ha dato la procura allo stipulante – Art. 1402 2° C.C. Il nominato non accetti.
Le teorie e le correnti dottrinarie hanno esaminato la questione definendo il contratto per persona da nominare come fattispecie a formazione progressiva, rappresentanza in incertam personam, contratto condizionato all’atto di nomina, contratto per conto di chi spetta.
In realtà il contratto nasce tra i contraenti originari e vi è una facoltà alternativa di sostituzione nel rapporto.
Si ritiene preferibile la definizione concettuale di rappresentanza eventuale in incertam personam o rappresentanza innominata:
il terzo dichiara di agire in nome altrui senza rivelare il nome – da cui rappresentanza in incertam personam- e se manca la procura anteriore alla conclusione del contratto o la accettazione contemporanea alla dichiarazione di nomina la ura della rappresentanza viene a mancare producendosi effetti nei confronti degli originari ed unici contraenti,
Per la validità della nomina si richiede la piena capacità di agire; il termine di tre giorni o quello deciso dalle parti deve essere necessariamente osservato e la comunicazione della nomina deve essere portata a conoscenza della controparte.
La forma dovrà essere la stessa utilizzata per il contratto anche se non prescritta come forma ad substantiam, non si possono apporre condizioni o termini.
Alla nomina segue l’accettazione affinché il procedimento possa produrre i suoi effetti tipici; l’accettazione ha natura negoziale e la funzione è quella di chiudere la fase finale del rapporto.
Gli elementi accidentali
Gli elementi accidentali del negozio giuridico, come sappiamo, possono esserci o non esserci, tutto dipendendo dal fatto che chi pone in essere il negozio desideri inserirveli o meno. Essi sono la condizione, il termine e il modo.
La condizione consiste in un evento futuro e incerto dal quale si fanno dipendere gli effetti o la cessazione degli effetti di un negozio giuridico, parlandosi, rispettivamente, di condizione sospensiva e di condizione risolutiva. Un esempio di condizione sospensiva: ti venderò l'appartamento se e quando ti sposerai. Un esempio di condizione risolutiva: ti vendo l'appartamento, a patto che me lo restituisca, previo rimborso del prezzo, se mi sposerò nei prossimi tre anni.
Ancora, la condizione può essere:
- potestativa, se dipende dalla volontà del destinatario: se domani andrai al mare ti presterò la barca;
- casuale, se dipende da circostanze estranee al destinatario: se domani farà bel tempo di presterò la moto;
- mista, se dipende in parte dal destinatario e in parte da circostanze a lui estranee: se vincerai la gara ti offrirò un pranzo.
Per quanto riguarda il termine, esso è un punto di riferimento temporale (per es. ora, giorno, mese) a partire dal quale (termine iniziale) o fino al quale (termine finale) un negozio giuridico è destinato a produrre i suoi effetti.
In particolare, per quanto riguarda il calcolo del termine fissato in giorni, il termine iniziale -o, come si dice con espressione latina, il dies a quo- non si considera, mentre si considera il termine finale o dies ad quem: così, se dico tre giorni da oggi, lunedì, il termine scadrà giovedì.
Se il termine scade di giorno festivo è automaticamente prorogato al giorno feriale successivo; in particolare, per quanto riguarda le cambiali, il termine è prorogato al lunedì anche se la scadenza cade di sabato: giornata, questa, com'è noto festiva per le banche, organismi attraverso i quali avviene generalmente il amento di questi titoli di credito.
Se invece il termine è espresso in mesi, si considera il giorno del mese corrispondente a quello in cui il termine viene fissato; così, se oggi, 26 aprile, dico fra quattro mesi, il termine scadrà il 26 agosto.
E veniamo al modo, elemento accidentale, questo, tipico dei negozi giuridici a titolo gratuito: si pensi a una donazione.
Il modo si sostanzia in una limitazione -il termine deriva dal latino modus, che significa appunto limitazione- concernente i vantaggi che il negozio arreca al beneficiario: come se Tizio donasse un terreno a Caio, con l'intesa che questi gli regali i prodotti del primo raccolto.
Come già detto in apertura di modulo, il negozio giuridico, per essere perfetto, dev'essere caratterizzato dalla presenza di tutti gli elementi esenziali.
Un negozio giuridico, però, ancorché perfetto, potrebbe non essere efficace, ossia in grado di produrre i suoi effetti per il diritto, magari perché non si è ancora verificata una condizione o non è ancora scaduto un termine. Lo stato del negozio giuridico perfetto ma non ancora efficace è tecnicamente conosciuto come pendenza.
GLI EFFETTI DEL NEGOZIO GIURIDICO
Negozio Giuridico - Una manifestazione di volontà diretta a regolare rapporti giuridici
Contratto - L’accordo fra due o più parti per costituire, regolare o estinguere rapporti giuridici patrimoniali
L’interpretazione del negozio giuridico
Per stabilire quali effetti debba produrre un negozio giuridico, occorre determinare anzitutto il contenuto dell’accordo, cioè delle convergenti manifestazioni di volontà delle parti.
Nasce quindi il problema dell’interpretazione.
Le norme inerenti l’interpretazione sono dettate per il contratto, ma come si evince dall’ art.1324 c.c. valgono, in quanto compatibili anche per gli altri negozi giuridici:
Norme applicabili agli atti unilaterali: “salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale” (art.1324 c.c.).
L’esigenza di interpretazione di un contratto esiste in quanto:
o I modi in cui si può manifestare la volontà delle parti di concludere un certo contratto sono molti e possono variare al variare delle zone e dell’ambiente sociale.;
o Nel contratto poi, ci sono sempre interessi in contrasto; ciascuna parte sopporta sacrifici e ha vantaggi, che dipendono dal regolamento di interessi che nasce dal contratto: questo regolamento dipende in maggiore o in minore misura dal significato delle dichiarazioni o, comunque, dalle manifestazioni di volontà che le parti scambiano
L’interpretazione è quella operazione con cui si attribuisce un significato alle parole, ai gesti, ai comportamenti usati dalle parti per manifestare il consenso al contratto.
Attribuendo un significato alle manifestazioni di volontà delle parti, si ricostruisce il contenuto dell’accordo, si individuano gli effetti essenziali previsti dal contratto, e insieme la sua funzione economico sociale.
Le regole sull’interpretazione dei contratti sono vere e proprie norme giuridiche rivolte sia al giudice, sia a tutti i consociati.
Il codice si occupa dell’interpretazione del contratto in una decina di articoli (dal 1362 al 1371) che affrontano prevalentemente i problemi propri ai contratti conclusi mediante dichiarazioni espresse e in particolare dichiarazioni scritte.
Si passa cioè da una serie di criteri di interpretazione soggettiva (Artt. 1362 – 1365 c.c.) --- A criteri di interpretazione oggettiva (Artt. 1367 – 1371 c.c.)
Comune ai due ordini di criteri è però il principio ispiratore e cioè la buona fede (art. 1366 c.c.) e cioè l’interpretazione di buona fede. “Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede.”
Ciò vuol dire che al testo del contratto, o alle dichiarazioni che le parti scambiano, o anche ai comportamenti con cui tacitamente si manifesta l’accordo deve essere dato quel significato che ad essi attribuirebbe una persona corretta e leale.
Scopo dell’interpretazione non è la ricerca di una interna volontà o di una volontà non espressa o non manifestata ma è la ricerca di quale significato questi segni potevano avere in considerazione del tempo, del luogo, delle circostanze in cui sono stati usati. Questa è la prima regola: non si deve dare un peso esclusivo al significato letterale delle parole – come risulterebbe da un dizionario – ma occorre tener conto della loro connessione, cioè del contesto (art 1362 comma 1).
Il 2° comma impone di tener conto di tutto il comportamento della controparte, sia nella fase delle trattative, che in quella dell’esecuzione del contratto:
“Per determinare la comune intenzione delle parti si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto” (2° comma art. 1362 c.c.)
Questa regola che impone di identificare il significato dell’atto in base a elementi estrinseci, il comportamento complessivo, cioè, delle parti, va applicato in via sussidiaria, tale comportamento può essere formato sia da atti materiali si da atti giuridici l’interpretazione letterale e logico – sistematica siano insufficienti
Con l’espressione comportamento complessivo la legge si riferisce sia alla fase anteriore alla stipulazione sia a quella della conclusione sia alla fase posteriore al contratto; tale comportamento può essere formato sia da atti materiali si da atti giuridici
L’art. 1363 c.c. riguarda poi l’interpretazione complessiva delle clausole:
“Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto.” (art. 1363 c.c.)
Esistono però dei casi in cui le parti, secondo i criteri che abbiamo fino ad ora considerato, potrebbero legittimamente attribuire due significati diversi alle stesse espressioni.
Altre regole interpretative sono
o Si attribuisce a una espressione dubbia il significato che da qualche effetto al contratto o alla clausola, piuttosto che quello che toglierebbe loro effetto Art. 1367 c.c Conservazione del contratto: “nel dubbio il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello in cui non ne avrebbero alcuno”
o Si attribuisce il significato che le espressioni hanno secondo gli usi interpretativi del luogo in cui il contratto è concluso ovvero –se una delle parti è imprenditore – del luogo in cui ha sede l’impresa Art. 1368 c.c Pratiche generali interpretative: “le clausole ambigue si interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso. Nei contratti in cui una delle pari è un imprenditore, le clausole ambigue si interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui è la sede dell’impresa.”
o Si attribuisce il significato più conveniente alla natura ed all’oggetto del contratto Art. 1369 c.c. Espressione con più sensi: “Le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto.”
o Si attribuisce il significato meno favorevole a chi ha predisposto la clausola Art. 1370 c.c. Interpretazione contro l’autore della clausola: “le clausole inserite nelle condizioni generali del contratto o in moduli o in formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro.”
o Come regola finale, se tutte le altre fallissero, si sceglie quel significato che realizza un equo contemperamento degli interessi delle due parti (nel contratto a titolo oneroso) o il minimo sacrificio per l’obbligato (nei contratti a titolo gratuito). Art. 1371 c.c. Regole finali: “qualora, nonostante l’applicazione dello norme contenute in questo capo, il contratto rimanga oscuro, esso deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato, se è a titolo gratuito, e nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti, se è a titolo oneroso.”
Risultato finale dell’applicazione di tutti i criteri interpretativi è la determinazione del significato delle manifestazioni di volontà delle parti, che costituisce il contenuto dell’accordo è possibile che, compiuta l’interpretazione, si debba constatare che le due manifestazioni non convergono in un accordo: i loro significati restano divergenti, il consenso non si è formato. Da questo punto di vista, l’interpretazione può precedere l’accertamento della conclusione del contratto, anzi talvolta ne è lo strumento.
Quando invece i significati convergono, l’accordo si è formato con quel contenuto che corrisponde alla c.d. “comune intenzione” delle parti: cioè al significato complessivo che si deve attribuire, secondo i criteri esposti, alle manifestazioni scambiate tra le parti.
Effetti del negozio giuridico:
L’efficacia del contratto viene definita all’art. 1372 c.c.:Il contratto , una volta concluso, ha tra le parti la stessa forza vincolante della legge e può sciogliersi solo per mutuo consenso o per cause eccezionali ammesse dalla legge (annullabilità, rescissione, risoluzione, recesso).
Il contratto produce effetti solo tra le parti. Eccezionalmente può produrre effetti nei confronti di terzi come nel contratto a favore di terzi.(stipulante e promettente stipulano un contratto a vantaggio di un terzo . Lo stipulante deve avere interesse a procurare beneficio al terzo ed il terzo ha l’onere di dichiarare se vuole approfittare del beneficio e fino a quel momento può revocare o modificare il contratto. In caso di revoca dello stipulante o di rifiuto del terzo, la prestazione viene fatta allo stipulante.
INEFFICACIA: si ha nei casi in cui il contratto non può produrre i suoi effetti
Il contratto e valido ma non produce effetti nei confronti di tutti ( inefficacia assoluta) o nei confronti di alcuni soggetti (inefficacia relativa)
Invalidità: Nullità, annullabilità e rescindibilità
Effetti reali ed effetti obbligatori
Per quanto riguarda i diversi tipi di efficacia che può produrre un negozio giuridico avente contenuto patrimoniale, si distingue tra efficacia reale ed efficacia obbligatoria.
Efficacia reale (funzione traslativa): ex art. 1376 c.c. sono quei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determ inata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale o il trasferimento di un altro diritto.
Efficacia obbligatoria: il legislatore non detta norme generali per i contratti ad efficacia obbligatoria: i loro effetti sono regolati dalle norme previste per i singoli contratti e dalle norme generali sull’obbligazione. Sono comunque contratti che fanno sorgere un rapporto obbligatorio.
Invalidità ed inefficacia del negozio giuridico
Il termine invalidità indica l’esistenza di un difetto originario dell’atto, ovvero la mancanza o il vizio che il legislatore giudica essenziale perché l’atto sia idoneo a produrre conseguenze giuridiche
Non bisogna confondere l’alternativa tra validità ed invalidità con quella tra efficacia ed inefficacia: dicendo che un contratto è efficace o inefficace ci limitiamo ad affermare che l’atto effettivamente produce o non produce i suoi effetti e non diciamo nulla circa la presenza o meno di un vizio dell’atto.
Una atto valido – che è dunque in astratto idoneo a produrre effetti giuridici – può ben essere inefficace, perché soggetto a condizione o a termine, o perché compiuto da un soggetto che non ha il potere di disporre; viceversa un atto invalido – di per se idoneo a regolare gli interessi delle parti può essere efficace.
Il codice civile non contiene norme dedicate, in generale, alla invalidità del contratto; il nostro legislatore disciplina separatamente la nullità (artt. 1418 c.c. e ss.) e l’annullabilità del contratto (artt. 1425 c.c. e ss.).
Nullità. Si ha
Nei casi previsti dalla legge
Quando manca uno degli elementi essenziali (accordo,oggetto,causa e forma)
Quando l’oggetto è impossibile, illecito, indeterminato o indeterminabile
Contratto illecito quando la causa è illecita.quando il motivo illecito è comune ad entrambe le parti e nel contratto in frode alla legge (lecito in apparenza ma illecito nella sostanza)
Conseguenze:
Non produce effetti né tra le parti né nei confronti di terzi e se è stato eseguito le prestazioni devono essere rese
Può essere fatta valere da chiunque ed essere rilevata dal giudice
E’ imprescrittibile
E’ insanabile. Tuttavia si può convertire in altro contratto che consenta di conseguire lo scopo delle parti purchè abbia i requisiti di forma e di sostanza (es. usufrutto e locazione in riferimento alla forma scritta)
Vi può essere nullità parziale quando sono nulle solo alcune clausole a meno che le parti non lo avrebbero concluso senza d esse.In questo caso la nullità diventa totale. C’è in ogni caso la sostituzione automatica delle clausole nulle con norme imperative cioè inderogabili. Tutto ciò in base al principio di conservazione del negozio giuridico.
La nullità impedisce quindi il trasferimento della proprietà ad eccezione della regola “possesso vale titolo” in riferimento alle cose mobili.
Annullabilità. Si ha nei casi
Incapacità di agire la capacità di agire, che si acquista con la maggiore età, è l’attitudine a costituire, regolare o estinguere rapporti giuridici. La capacità di intendere e volere è un minimo di attitudine a rendersi conto delle conseguenze della propria condotta e se manca produce l’annullabilità solo se provoca grave danno all’incapace e c’è mala fede del terzo.
Vizi della volontà
Errore: deve essere essenziale (sulla natura del contratto,sull’identità o qualità dell’oggetto, sull’identità o qualità personali dell’altro contraente, sulle qualità giuridiche dell’oggetto o della persona dell’altro contraente) e riconoscibile dall’altro contraente. Anche l’errore ostativo (nella espressione della volontà) porta all’annullamento solo se essenziale e riconoscibile. L’errore di calcolo produce la rettifica
Violenza: consiste nella minaccia di un male ingiusto (cioè illecito) e notevole per la persona
del contraente e/o per i suoi beni.
Dolo: quando un contraente è spinto a concludere il contratto per l’inganno o i raggiri dell’altro contraente. Il dolo è determinante se il contraente che lo subisce non avrebbe stipulato il contratto, è incidente se lo avrebbe stipulato a condizioni diverse (in questo caso il contratto non è annullabile ma il contraente ingannato ha diritto al risarcimento del dann) Se l’inganno è fatto da un terzo il contratto è annullabile solo se il contraente che ne ha tratto vantaggio ne era a conoscenza..
Conseguenze:
Produce i suoi effetti come se fosse valido ma il contraente incapace o la cui volontà è stata viziata può ricorrere al giudice per fare dichiarare l’annullamento del contratto. Dichiarato l’annullamento l’efficacia del contratto cessa e vengono eliminati gli effetti prodotti (efficacia retroattiva dell’annullamento)
L’azione di annullamento si prescrive in 5 anni dal momento dell’acquisto della capacità di agire o dal momento in cui sono stati scoperti l’errore o il dolo, o è cessata la violenza
L’annullamento se non deriva da incapacità di agire non pregiudica i diritti acquistati da terzi di buona fede a titolo oneroso.
Differenze tra nullità ed annullabilità |
|
Nullità |
Annullabilità |
Il contratto non produce effetti |
Il contratto produce effetti che cessano con la dichiarazione di annullamento |
La nullità si ha oltre che nei casi espressamente previsti anche quando il codice parla genericamente di invalidità |
L’annullabilità si ha solo nei casi espressamente previsti dalla legge |
La nullità opera di diritto ed è rilevabile d’ufficio |
Per l’annullamento occorre la domanda di parte e non è rilevabile d’ufficio |
L’Azione di nullità può essere esercitata da chiunque |
L’azione di annullamento può essere esercitata solo dalla parte a protezione della quale è prevista |
L’azione di nullità è imprescrittibile |
L’azione di annullamento si prescrive in 5 anni |
La nullità è insanabile |
L’annullabilità si sana con il decorso di 5 anni o con la convalida |
La nullità è opponibile ai terzi |
L’annullabilità non è opponibile ai terzi salvo che nei confronti dei terzi di malafede. |
La prova dei fatti giuridici:
Nel giudizio civile, tutte le volte che su una circostanza – rilevante ai fini della decisione – vi sia divergenza tra le parti, il giudice è tenuto per arrivare a definire la lite, a scegliere tra le contrapposte versioni.
Ovviamente, questa scelta deve essere motivata dal giudice.
Nel giudizio civile, peraltro, sono le parti che devono preoccuparsi di indicare quali siano i mezzi di prova (testimonianza, ispezione, confessione etc.) in base ai quali ciascuna di esse ritiene che la propria versione dei fatti litigiosi risulti più convincente di quella della controparte.
Il giudice dovrà compiere una indagine sulla.
- Ammissibilità dei mezzi di prova per accertarne La conformità alla legge
– Rilevanza dei mezzi di prova per accertarne La inerenza ha fatti che possano incidere sulla decisione della controversia
Dopo aver ammesso (con ordinanza) e assunto le prove (cioè ad es. ascoltato i testimoni), il giudice valuterà, con la sentenza, la loro concludenza, ossia:
la loro idoneità o meno a dimostrare i fatti sui quali vertevano.
Ma su quale parte deve gravare il compito di esibire una prova, al fine di sottoporre al giudice un elemento su cui esprimere una valutazione circa la veridicità di quanto si vuole dimostrare in giudizio?
In termini giuridici si parla di onere della prova e la regola posta dall’art. 2697 c.c. è assolutamente logica:
Art. 2697 c.c.: onere della prova. “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.
Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”
L’onere della prova, è quindi una regola da applicare al termine del giudizio, risolvendosi nel rischio che sia accolta la versione sostenuta dalla controparte, se il soggetto gravato dall’onere della prova non riesce ad offrire al giudice elementi di prova sufficientemente convincenti.
Il principio dell’onere della prova è derogabile dalle parti (inversione convenzionale dell’onere della prova), a meno che non si tratti di diritti indisponibili e, purché, la modificazione non abbia per effetto di rendere eccessivamente difficile ad una delle parti l’esercizio del diritto.
I mezzi di prova
Il mezzo di prova è qualsiasi elemento idoneo a formare il libero convincimento del giudice circa i fatti.
Il giudice, infatti deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento ( art. 116 cod. proc. civ.)
Il principio fondamentale è quindi quello del libero convincimento del giudice e della libera valutazione delle prove, discrezionalità che è temperata dal obbligo di motivazione.
Su talune prove (prove legali) è lo stesso legislatore ad imporre al giudice la valutazione:
L’atto pubblico
La confessione
Il giuramento decisorio
La rilevanza di queste prove è già determinata per legge, pertanto ill giudice non ha alcuna discrezionalità nel valutarne.
Esse, si dice, fanno piena prova
In generale i mezzi di prova si dividono in:
Prova precostituita (o documentale) E’ la prova che esiste già prima del giudizio es. atto pubblico, scrittura privata. – Prova costituenda E’ la prova che si forma nel corso del giudizio. Es. presunzione, confessione, prova testimoniale, giuramento.
la prova documentale
Nell’ambito delle prove precostituite assume fondamentale importanza la prova documentale. Questa comprende:
- l’atto pubblico L’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede dove l’atto è stato formato (art. 2699 c.c.).
L’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso,della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (art. 2700 c.c.)
L’atto pubblico, ove nullo come tale per difetto di qualche formalità, può avere la stessa efficacia della scrittura privata (si parla in tal caso di conversione formale ), se sottoscritto da una o più parti (art. 2701 c.c.)
- la scrittura privata- La scrittura privata è il documento redatto per iscritto e sottoscritto dalle parti con firma autografa. Essa fa piena prova della provenienza (ma non anche della veridicità del contenuto) delle dichiarazioni da chi la ha sottoscritta, se colui contro il quale è prodotta ne riconosce la sottoscrizione ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta, salvo che la scrittura sia impugnata con querela di falso (art. 2702 c.c.).
La sottoscrizione è legalmente considerata come riconosciuta se autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (art. 2703 c.c.).
Il telegramma ha l’efficacia probatoria della scrittura privata, se l’originale consegnato all’ufficio di partenza è sottoscritto dal mittente, ovvero se è stato consegnato o fatto consegnare dal mittente medesimo, anche senza sottoscriverlo (art. 2705 c.c.).
Particolare importanza può assumere la data del documento per il noto principio prior in tempore potior in jure. Tra le parti, in mancanza di data, il tempo della scrittura può essere provato liberamente (anche mediante presunzioni). Se, invece, una data è stata apposta, essa vale fino a prova contraria. Ai terzi, invece, è opponibile senza riserve la data risultante da un atto pubblico o da scrittura privata autenticata, mentre quella risultante da una scrittura privata è opponibile solo se certa. In mancanza di registrazione o d'autenticazione, la legge stabilisce che la data è quella in cui si verifica un fatto che stabilisca in modo incontestabile che il documento è stato formato anteriormente (art. 2704 c.c.).
Le copie d'atti pubblici e scritture private depositate presso pubblici uffici hanno la stessa efficacia dell’originale, se spedite nelle forme prescritte da pubblici depositari autorizzati (art. 2714-2715 c.c.).
Le riproduzioni fotografiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti o di cose, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime (art. 2712).
Le copie fotografiche (alle quali vanno assimilate quelle fotostatiche) di scritture private hanno la stessa efficacia dell’originale, se la loro conformità con l’originale stesso è stata attestata da pubblico ufficiale competente, ovvero non è espressamente disconosciuta (art. 2719 c.c.).
Il telefax rientra nella previsione dell’art. 2719 c.c. (ossia delle copie fotografiche) e non dell’art. 2712 c.c..
Infine, negli atti processuali che si trasmettono i difensori, la disciplina della sua conformità all’originale è fissata dalla legge n. 183/1993.
la prova costituenda
Le prove costituende sono:
a) la testimonianza - La testimonianza è la narrazione fatta al giudice da una persona estranea alla causa in relazione a fatti controversi di cui il teste abbia conoscenza. (disciplinata dagli artt. 2721 ss. c.c. per quanto riguarda gli aspetti sostanziali e dagli artt. 244 ss. c.p.c. per quanto riguarda la sua assunzione in giudizio) Non è ammessa la prova testimoniale nei seguenti casi:
esiste un principio di prova per iscritto;
il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta;
il contraente ha , senza sua colpa, perduto il documento che gli forniva la prova.
b) la confessione - La confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte (art. 2730 c.c.). La confessione è giudiziale se resa in giudizio o stragiudiziale se resa fuori dal giudizio. In quest’ultima ipotesi, fa piena prova se rilasciata alla parte o a chi la rappresenta, mentre è liberamente apprezzabile dal giudice nel caso in cui sia fatta ad un terzo (art. 2735 c.c.). a confessione può essere revocata soltanto se sia stata da errore di fatto o da violenza.
c) il giuramento.
Il giuramento è di due specie:
- decisorio - Il giuramento decisorio, è il giuramento che una parte deferisce all’altra per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa, ma se i fatti sono comuni ad entrambe le parti, la parte che dovrebbe giurare può riferire il giuramento a colui che lo aveva deferito, chiedendogli di giurare sopra i medesimi fatti. Colui che rifiuta il giuramento (deferito o riferito) soccombe. Il giuramento decisorio prestato ha il carattere dell’incontrovertibilità ossia la parte soccombente non è ammessa a provare la falsità in sede civile. Tuttavia, quando il giuramento sia stato dichiarato falso in sede penale, potrà chiedere il risarcimento dei danni (art. 2738 c.c.).
- suppletorio - Il giuramento suppletorio, è quello deferito d’ufficio dal giudice ad una delle parti al fine di decidere la causa quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova.
Una particolare specie di giuramento suppletorio è quello estimatorio ovvero quello che è deferito d’ufficio dal giudice al fine di stabilire il valore della cosa domandata se esso non può essere accertato altrimenti, in tal caso però il giudice fisserà il valore entro il quale il giuramento potrà essere efficace.
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