letteratura |
Giuseppe Tomasi di Lampedusa (Palermo 1896 - Roma 1957),di famiglia aristocratica (quella dei principi di Lampedusa, duchi di Palma e Montechiaro) ,prese parte alle due guerre mondiali e compì lunghi viaggi in Europa. Appassionato lettore di libri storici e di romanzi stranieri, soprattutto francesi, si dedicò alla narrativa negli ultimi anni della sua vita. Il suo più famoso successo, 'Il Gattopardo', pubblicato dopo la sua morte nel 1958 , costituì un "caso letterario", sia per la personalità allora misteriosa dell'autore, sia per la sua ironica rappresentazione dei mutamenti storici-sociali del periodo risorgimentale. Altre opere postume, di minore importanza, sono : 'Lighea', 'Lezioni su Stendhal' , 'Invito alle lettere francesi del Cinquecento'.
Trama
Don Fabrizio Salina è un ricco siciliano appartenente ad una nobile casata che da secoli gode del rispetto indiscusso degli abitanti dei propri feudi , nemmeno la notizia dello sbarco a Marsala di Garibaldi sembra intaccare la dura scorza del Principe, che è ben consapevole del carattere avverso a ogni mutamento dei siciliani. La vita sua e quella della sua numerosa famiglia scorre monotona e tranquilla : per i suoi familiari il Principe prova persino un lieve sentimento di disprezzo per la loro piattezza morale , con la sola eccezione di Tancredi, il nipote, preferito allo stesso primogenito Paolo per vivacità, imprevedibilità e prontezza di spirito : un vero, giovane Gattopardo, così com'era stato lui in passato. E' alla residenza dei Salina nel feudo di Donnafugata che si snodano gran parte delle vicende del romanzo : qui Don Fabrizio deve affrontare l'ascesa di Don Calogero Sedara, il sindaco, che in breve tempo aveva saputo raccogliere, grazie alla propria arguzia , un patrimonio tanto vasto da sfiorare quello del Principe. La affronta, a dire la verità, con un pizzico di sdegno per quell'omino tanto piccolo ma tanto intelligente, ma tant'è : di lì a poco , inoltre, Tancredi conoscerà Angelica, la lia di Don Calogero, e se ne innamorerà follemente. Il Principe, che voleva bene a Tancredi e rispettava le sue scelte, non se la sente di impedire questo amore e a poco a poco comincia a scoprire nel rozzo Sedara delle qualità di amministrazione non comuni, oltre che a godere della bellezza della splendida Angelica.. Il sentimento di stima e rispetto è naturalmente reciproco anche da parte dei Sedara. D'altronde il matrimonio fra Tancredi e Angelica rappresenta il mutamento dei tempi, cioè l'unione di un nobile di stirpe e una popolana , tra l'altro - dato non trascurabile - ' a dote invertita ': Tancredi è infatti squattrinato per la scellerata gestione del patrimonio del defunto padre ( cognato del Principe ), Angelica invece gode di una più prospera situazione economica . Tutto ciò sarebbe stato impensabile solo fino a qualche anno prima.
Una digressione è poi dedicata a Padre Pirrone, sacerdote di casa Salina. Prima del suo ritorno al paese natale di S.Cono, non si può dire certo che l'autore lo presenti in modo molto positivo : sembra infatti condurre una vita piuttosto sciatta, senza nerbo , passata a concedere assoluzioni al Principe per le sue scappatelle notturne. E invece, a sorpresa, la sua ura è di molto rivalutata a S.Cono, quando grazie alla sua proverbiale sagacia (o piuttosto grazie al caratteristico spirito di conciliazione tipico di un sacerdote ), riesce a dirimere un' intricata lite familiare fra popolani.
Don Fabrizio intanto sente a poco a poco affievolirsi il suo spirito vitale : probabilmente l'ultimo momento di apparente felicità è rappresentato dal ballo concessogli da Angelica, in cui, per l'ultima volta, si tuffa in un mondo, quello dei giovani, che non gli apparterrà più. Inizia dunque la parabola discendente del romanzo : il Principe, dopo delle brevi considerazioni sulla sua vita, in cui afferma di averne vissuta veramente poca, spira acciaccato dai malanni ma circondato dai parenti. La descrizione da anziane delle tre lie del Principe, Concetta, Caterina e Carolina, rimaste signorine per via del loro carattere riservato , un tempo elogiato e ormai divenuto antiquato e scorbutico, ricorda al lettore il lento ma inesorabile trascorrere del tempo ; e infine, l'ordine da parte di Concetta di buttare la carcassa imbalsamata di Bendicò, cane dei Salina un tempo fedele e gioioso, facendola precipitare nel vuoto e riducendola a un mucchio di polvere, ricorda mestamente la triste natura dell'uomo, destinata alla ssa e all'oblio. Si chiude così il romanzo, in netta contrapposizione con come era iniziato, vale a dire con il farso e il lusso della residenza palermitana dei gloriosi Salina.
Don Fabrizio Corbera Principe di Salina
E' il protagonista del romanzo. L'autore ce
lo descrive subito fisicamente, come un uomo di grande forza e di dimensioni
spropositate, anche se non era affatto grasso; all'inizio del romanzo ha quarantacinque anni, una pelle bianchissima e
i capelli biondi, per le sue chiare
origini tedesche. Una prova della sua forza ci viene data quando nel primo
modulo viene detto che le sue dita sanno accartocciare come carta velina le
monete da un ducato e che le posate di casa Salina necessitano frequentemente
di riparazioni a causa della sua contenuta ira, che gli fa piegare forchette e
cucchiai. Anche durante l'incontro con Chevally le
sue mani sono lo specchio del suo turbamento: afferrano una piccola cupola di
San Pietro, la cui croce, che stava sulla sommità, venne poi trovata
spezzata. Le sue dita, però, sono anche dotate di un tocco molto
delicato nel carezzare e maneggiare. I suoi occhi sono chiari e fanno trapelare
tutto l'orgoglio che è in lui. La personalità del Principe
è caratterizzata da un temperamento autoritario, da una rigidità
morale e da una propensione per le idee astratte: tutti i suoi comportamenti
sono un po' in antitesi con quelli di una società che pecca di scarsa
coerenza morale. Contrariamente ai suoi antenati, Don Fabrizio possiede forti e
reali inclinazioni alle scienze matematiche che applica all'astronomia
traendone sufficienti riconoscimenti pubblici e gustosissime gioie private,
probabilmente legate alla scoperta di due pianetini: Salina e Svelto. Il suo
orgoglio e la sua inclinazione all'astronomia sono talmente legate che la
precisione dei calcoli matematici con cui riesce a prevedere i movimenti degli
assi, fa credere all'orgoglio del principe che quei moti siano regolati dai
suoi calcoli. L'astronomia è molto importante per il Principe
perchè ha su di lui non solo il potere di estraniarlo dalle occupazioni
quotidiane, ma anche quello di elevare il suo spirito ad una visione
rasserenante dell'universo. Lo studio dell'astronomia fa dimenticare al
Principe tutti gli aspetti più meschini della vita, infatti anche al
ballo a palazzo Ponteleone, Don Fabrizio desidererebbe andare all
'osservatorio, perché non si trova a suo agio tra quelle persone che lo
considerano uno 'stravagante' proprio per il suo interessamento alla
matematica.
Don Fabrizio ha sette li, ma a loro preferisce il nipote Tancredi del quale
è tutore. La sua predilezione lo porta non solo a difendere la
reputazione del nipote, mediante l'appoggio di alte autorità borboniche,
ma lo porta anche a negare che il giovane possa avere delle vere colpe.
La vita del principe è caratterizzata da un continuo quasi perpetuo
scontento che lo porta ad osservare la rovina del proprio ceto, che tuttavia
non fa nulla per evitare. Questa coscienza della realtà in dissoluzione
lo rende scettico, ed il suo è uno scetticismo che si manifesta in un
gusto dissacratore delle cose, capace tuttavia di 'compassione':
'il suo disgusto cedeva il posto alla compassione per tutti questi
effimeri esseri che cercavano di godere dell'esiguo raggio di luce accordato
loro fra le due tenebre, prima della culla, dopo gli ultimi strattoni. Come era
possibile infierire contro chi, se ne è sicuri, dovrà
morire?'
Tra i pensieri più ricorrenti del Principe c'è la morte, che
viene considerata come desiderio di staccarsi dalle noie, dalle angosce e dalle
inquietudini della vita e di trasferirsi in un mondo più puro e
più sereno. Il tema della morte diventa il più importante nel
settimo modulo intitolato 'La morte del Principe': la morte non
è sentita dal protagonista come un totale annullamento della persona, né
come un passaggio nell'oltretomba cristiano, sebbene non manchi il prete con le
ultime preghiere rituali. La morte, invece, che è sempre stata un
miraggio per il Principe, viene percepita come uno sgretolarsi della
personalità legato ad un vago presagio di una vita non terrena. Il
Principe muore all'età di 68 anni e la morte gli si presenta con le
sembianze della 'creatura bramata da sempre' che amorosamente si
avvicina a lui .
Concetta Corbera
All'inizio del romanzo Concetta ci appare come una signorinetta
orgogliosa e innamorata del cugino. Il padre intuisce i suoi sentimenti durante
il pranzo, subito dopo la partenza di Tancredi: parlando di lui, sul volto
della lia nota una certa ansia.
Concetta riceve le attenzioni del conte milanese che accomna il generale
garibaldino, invitato da Tancredi alla villa per vederne gli affreschi; ma ella
è preoccupata esclusivamente della 'brutta cera' del cugino.
Nei confronti del padre ha una 'perpetua sottomissione', piegandosi
ad ogni manifestazione della volontà paterna. Ma un 'bagliore
ferrigno' brilla nei suoi occhi quando le bizzarrie alle quali ubbidisce
sono davvero troppo vessatorie.
Non osa confessare al padre il proprio innamoramento per Tancredi e ne incarica
padre Pirrone: le attenzioni, gli sguardi, le mezze parole del cugino l' hanno
convinta a tale decisione. Non è lieto della notizia Don Fabrizio a cui
sembra stare più a cuore il destino di Tancredi di quello della lia:
'timida, riservata, ritrosa, con tante virtù passive, sarebbe stata
sempre la bella educanda che era adesso, una palla di piombo ai piedi del
marito'.
Durante il primo pranzo a Donnafugata Concetta sente che il cugino è
attratto dalla bellezza di Angelica e spera che egli noti i suoi difetti, la
sua differente educazione.
Quando il cugino racconta l'episodio dell'assalto ad un convento di clausura,
Concetta, con le lacrime agli occhi, ha parole molto dure nei suoi confronti,
quasi si sia ormai resa conto della rottura di ogni sentimento fra loro.
A Donnafugata Concetta incontra nuovamente il conte milanese Carlo Cavriaghi, che le rivolge molte attenzioni essendo
innamorato di lei. Lei però delude le speranze amorose del conte. Tiene
lo stesso atteggiamento gelido in occasione del ballo a casa Ponteleone, tanto
da allontanare i giovanotti più cortesi.
Alla morte del padre è l'unica a non versare alcuna lacrima, risentita
ancora di essere stata da lui sacrificata per il 'bene' del
'suo' Tancredi.
Assieme alle sorelle Caterina e Carolina diviene proprietaria della villa
Salina e, dopo aspre lotte per l'egemonia della famiglia, assume il rango di
padrona di casa.
E' ormai sulla settantina: 'Nella persona di lei emergevano ancora i
relitti di una passata bellezza: grassa e imponente nei suoi rigidi abiti di
moire nera, portava i capelli bianchissimi rialzati sulla testa in modo da
scoprirne la fronte quasi indenne; questo, insieme agli occhi sdegnosi e ad una
contrazione astiosa al di sopra del naso, le conferiva un aspetto autoritario
quasi imperiale'.
La visita di Tassoni, ospite di Angelica, le rivela
che l'episodio dell'assalto al convento narrato da Tancredi è falso:
comprende allora che il suo avvenire è stato ucciso dalla propria
imprudenza, dal suo impeto rabbioso, caratteristico dei Salina. Ancora una
volta riceve una grande delusione: le viene a mancare la consolazione di poter
attribuire ad altri la propria infelicità. Perdono così di
significato anche le lunghe ore passate 'in saporosa degustazione di
odio' dinanzi al ritratto del padre. Crede di scoprire qual è stato
lo sbaglio commesso nei confronti di Tancredi, suo grandissimo e perduto amore:
l'orgoglio che ha deciso della sua vita e l'ha consegnata ad una lunga
esistenza di solitudine.
Si ritira così nella sua camera, che ora le sembra un mondo noto ma
estraneo; chiama la cameriera e le ordina di portare via Bendicò, il
cane imbalsamato, caro al padre. Anche lui 'insinua ricordi amari'.
Tancredi Falconeri
Suo padre, che aveva sposato la sorella di Don Fabrizio, aveva
sperperato quasi tutto il suo patrimonio e poi era morto. Successivamente
morì anche la madre, così all'età di 14 anni, Tancredi
rimase orfano e il Re conferì al Principe la tutela del nipote. A 21
anni Tancredi è un giovane dal volto magro, dagli occhi azzurro-grigio, dalla voce leggermente nasale che porta una
carica di brio giovanile.
Il giovane Falconeri è un ragazzo dal
temperamento frivolo, a momenti interrotto da improvvise crisi di
serietà; è descritto come un giovane dalla condotta poco
esemplare; mostra simpatie per i liberali che a quel tempo si organizzavano
segretamente.
E' un ragazzo intelligente che fa uso dell'arte di accattivarsi il favore del
popolo per meglio dominarlo ed è capace dei più gustosi giochi di
parole.
Si pensa che il personaggio di Tancredi Falconeri
possa essere stato ispirato da Corrado Valguarnera,
l'unico patrizio palermitano che seguì i Mille. Infatti Tancredi si
distingue subito da tutti gli altri protagonisti che ruotano attorno a Don
Fabrizio, per la sua decisione di schierarsi tra i garibaldini, pur
appartenendo all'aristocrazia palermitana. Il giovane spiega di voler partire
perché teme di venire imprigionato al primo scoppio di un'insurrezione,
tuttavia il vero motivo è un altro: lui stesso dice che 'se
vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi'.
Tancredi ha capito che la rovina più grande per gli aristocratici non
è la conquista dei Savoia, ma la caduta della monarchia e
l'instaurazione della repubblica, che verrebbe accomnata da un profondo
cambiamento sociale. Per questo motivo decide di partecipare al movimento
rivoluzionario. In breve tempo Tancredi viene promosso, anzi 'creato capitano
sul campo', e il giovane ottiene una licenza di un mese grazie alla quale
parte con gli zii per Donnafugata. In questo paesino si innamora della bella
Angelica Sedara, dimenticando i sentimenti che provava per la cara cugina
Concetta. Tancredi riparte dopo pochi giorni per l'esercito. Quando scrive allo
zio per chiedergli di domandare la mano di Angelica, si comporta con
presuntuosa sicurezza di sé, considerando già accettato, da Angelica, il
suo desiderio. Da questo momento in poi, Tancredi sembra divenire un bravo
ragazzo legato ad Angelica da profondo amore e non particolarmente preoccupato
della classe sociale a cui appartiene la sua futura moglie.
Tancredi dà molte gioie a Don Fabrizio in quanto è dotato di un
carattere che incarna l'ideale del Principe: è affettuoso, beffardo
('e nelle persone del carattere e della classe di don Fabrizio le
facoltà di essere divertiti costituisce i quattro quinti
dell'affetto'), intelligente, adattabile. Don Fabrizio, rivedendo il passato,
capisce che Tancredi fa parte dell'attivo della sua vita, anche grazie alla sua
ironia unita alla comprensione, che sono il segno di una superiorità
d'ingegno e di una capacità di aristocratico distacco.
Padre Pirrone
Nato a S. Cono, un piccolo paese vicino a Palermo, aveva lasciato la
casa paterna a 16 anni, quando era andato nel seminario arcivescovile. Al paese
natale era ritornato solo per le nozze delle due sorelle e per la morte del
padre.
Ciò che più lo preoccupa dello sbarco dei garibaldini in Sicilia
è la requisizione dei beni della Chiesa, che con essi sostenta
moltitudini di infelici.
Per interessamento di un generale amico di Tancredi, non gli viene applicato
l'ordine di espulsione stabilito per i gesuiti.
Per sette anni aveva tentato di insegnare il latino a Tancredi, subendone i
capricci e gli scherzi. Anch'egli aveva sentito il fascino del giovane, ma non
condivideva i suoi nuovi atteggimenti politici.
E' sempre timoroso nei confronti del Principe Salina e si preoccupa di non
offenderlo. Gli è affezionato, nonostante alcune volte abbia
sperimentato la sua collera o la sua impudenza, come quando è costretto
ad accomnarlo nel viaggio per Palermo, dove il principe incontra Mariannina.
A padre Pirrone si rivolge Concetta per affidargli l'incarico di comunicare al
padre il proprio innamoramento nei confronti del cugino Tancredi.
Quando, dopo molti anni, padre Pirrone torna al paese per il quindicesimo
anniversario della morte del proprio padre Gaetano, viene accolto da tutti
festosamente. Alla sera si mette a parlare di politica con alcuni amici, che
desiderano conoscere le novità, dato che lui vive tra i
'signori': per le notizie ricevute, finiscono con l'andarsene assai
più accigliati di quando erano venuti.
Rimasto solo con il compaesano don Pietrino,
approfittando anche del fatto che quest'ultimo, di fronte ai suoi astratti
ragionamenti, ha finito per addormentarsi, espone esplicitamente la propria
concezione sugli aristocratici: come vivono, come la pensano i
'signori'. In realtà sono le idee di Lampedusa, messe in bocca
strumentalmente a padre Pirrone.
Durante la permanenza a S. Cono il gesuita deve pure occuparsi del matrimonio
'riparatore' fra la nipote Angelica ed il cugino Santino. I giovani
appartengono a due famiglie rivali, per vecchi rancori sul possesso di un
mandorleto. Padre Pirrone riesce a risolvere la 'questione' con
intelligenza ed astuzia, riportando l'armonia anche fra le due famiglie.
Il sacerdote se ne ritorna a Palermo lieto, ma con una amara considerazione:
'I gran signori sono riservati e incomprensibili, i contadini espliciti e
chiari; ma il demonio se li rigira entrambi attorno al mignolo,
egualmente'.
Don Calogero Sedara
Ha sempre le guance mal rasate, accento plebeo, abiti bislacchi, un
persistente olezzo di sudore, ma una rara intelligenza. Infatti molti problemi
che al Principe appaiono insolubili, vengono da lui risolti lestamente:
'Liberato dalle cento pastoie che l'onestà, la decenza e magari la
buona educazione impongono alle azioni di molti altri uomini, egli procedeva
nella foresta della vita con la sicurezza di un elefante che, svellendo alberi
e calpestando tane, avanza in linea retta non avvertendo neppure i graffi delle
spine e i guaiti dei sopraffatti' (.163).
Ha per moglie Donna Bastiana, una bella donna, che
esce soltanto per andare alla prima messa delle cinque. Non sa leggere, non sa
scrivere, non conosce l'orologio, quasi non sa parlare. Per questo Don Calogero
non la porta mai con sé.
Egli arriva al pranzo a Villa Salina in frac: il panno è finissimo, il
modello recente, ma il taglio mostruoso.
A Donnafugata è riuscito ad impossessarsi, in breve tempo e con poco, di
molte terre. Ora le sue rendite sono quasi uguali a quelle di Don Fabrizio.
Insieme alla ricchezza però cresce anche la sua influenza politica,
tanto da dargli la certezza di diventare deputato a Torino.
Egli rappresenta l'uomo nuovo, il borghese che sorge dalla rovina della
nobiltà feudale. Non si da però delle arie, perché troppo
intelligente per farlo.
Frequentando Don Fabrizio impara che il fascino scaturisce anche dalle buone
maniere e si rende conto di quanto un uomo beneducato sia piacevole. Ha
imparato che 'un pasto in comune non deve di necessità essere un
uragano di rumori masticatori e di macchie d'unto; che una conversazione
può benissimo non rassomigliare ad una lite fra cani; che dare la
precedenza ad una donna è segno di forza e non, come ha creduto, di
debolezza; che da un interlocutore si può ottenere di più se gli
si dice <non mi sono spiegato bene> anziché <non hai capito un
corno>, e che adoperando simili accorgimenti, cibi, donne, argomenti ed
interlocutori vengono a guadagnarci a tutto profitto anche di chi li ha
trattati bene' (.166).
Pur non approfittando subito di quanto appreso, Don Calogero da allora impara a
radersi un po' meglio ed a spaventarsi meno della quantità di sapone
adoperato nel bucato. Grazie al fidanzamento della lia Angelica con
Tancredi, viene invitato al ballo dai Ponteleone.
Entra nel palazzo 'nella di lei (di Angelica) scia, sorcetto
custode di una fiammeggiante rosa; negli abiti di lui non vi era eleganza ma
decenza sì, questa volta; solo suo errore fu quello di portare
all'occhiello la croce della Corona d'Italia conferitagli di recente; essa, per
altro sve presto in una delle tasche clandestine del frac di
Tancredi' (.257). Sedara contempla il fasto del palazzo Ponteleone:
'i suoi occhietti svegli percorrevano l'ambiente, insensibili alla grazia,
attenti al valore monetario'.
Angelica Sedara
Alta, ben fatta, occhi verdi un po' crudeli, ha studiato in un collegio
a Firenze Va in giro per il paese con la veste rigonfia e i nastri di velluto
che le pendono dal cappellino, dandosi molte arie per la posizione raggiunta
dal padre.Partecipa al pranzo ufficiale di
Donnafugata in sostituzione della madre ed il suo ingresso al palazzo lascia i
Salina 'con il fiato in gola'. La principessa la ricordava quando
ancora aveva tredici anni, poco curata e bruttina.
La sua voce bella, bassa di tono, forse un po' troppo sorvegliata. Il collegio
fiorentino aveva cancellato lo strascichio dell' accento girgentano. Sotto
l'impeto della sua bellezza gli uomini sono incapaci di notare, analizzandoli,
i non pochi difetti che questa bellezza ha. A tavola siede a fianco di
Tancredi, che si innamora di lei. Si avvicina a Tancredi nei limiti del proprio
carattere: possiede troppo orgoglio e troppa ambizione per essere capace di
quell'annullamento, provvisorio, della propria personalità, proprio
dell'amore. Tuttavia è innamorata di lui, dei suoi occhi azzurri, della
sua affettuosità scherzosa, di certi toni improvvisamente gravi della
sua voce.
A lei importa poco dei tratti di spirito, dell'
intelligenza di Tancredi. In lui vede la possibilità di avere un posto
eminente nel mondo nobile della Sicilia, mondo che considera pieno di meraviglie
e che in realtà è assai differente da quello che immagina. In
Tancredi desidera anche un vivace comno di 'abbracciamenti'. Se
per di più è anche intellettualmente superiore, tanto meglio.
Ritroviamo questa sua concezione quando il conte Cavriaghi
si innamora di Concetta, che non accetta il corteggiamento del giovane
ufficiale. Angelica, abituata al comportamento del padre, che agisce senza
scrupoli per raggiungere i propri obiettivi, non capisce l'atteggiamento delle
due giovani sorelle di Concetta, Carolina e Caterina, che 'guardavano Cavriaghi con occhi di pesce morto e fricchicchiavano,
si dislinguivano tutte quando lui le
avvicinava'. Angelica non capisce 'perchè una delle due non
cercasse di distogliere il contino da Concetta a proprio profitto. Sono delle
stupide: a forza di riguardi, divieti, superbie,
finiranno si sa già come'.
E' Don Fabrizio che richiede a Don Calogero la mano della lia a nome di
Tancredi, arruolatosi fra i garibaldini. Quando il giovane torna a Donnafugata,
con un biglietto si premura di avvertire del suo arrivo Angelica, che in fretta
raggiunge casa Salina: 'Nella fretta e nell'emozione non aveva trovato di
meglio per ripararsi dalla pioggia dirotta che mettersi uno scapolare, uno di
quegli immensi tabarri, da contadino di ruvidissimo panno: avviluppato nelle
rigide pieghe bleu-scure, il corpo di lei appariva
snellissimo; sotto al cappuccio bagnato gli occhi verdi erano ansiosi e
smarriti; parlavano di voluttà'. Tancredi alla vista di Angelica
rimane estasiato per il forte ed incantevole contrasto 'fra la bellezza
della persona e la rusticità del mantello'.
Da questo momento le visite alla Villa Salina divengono sempre più
frequenti e permettono ad Angelica di conoscere tutto il palazzo nel suo
complesso inestricabile di foresterie, di appartamenti smessi e disabitati,
abbandonati da decenni e che formano un intrico labirintico e misterioso.
Tancredi ed Angelica, 'vicinissimi ancora all'infanzia, prendevano piacere
al gioco' di inseguirsi, perdersi e ritrovarsi tra i vari locali del
palazzo: 'Quelli furono i giorni migliori della vita di Tancredi e di
quella di Angelica, vite che dovevano poi essere tanto variegate, tanto
peccaminose sull' inevitabile sfondo di dolore. Ma
essi allora non lo sapevano ed inseguivano un avvenire che stimavano più
concreto benchè poi risultasse formato di fumo
e di vento soltanto. Quando furono divenuti vecchi e inutilmente saggi i loro
pensieri ritornavano a quei giorni con rimpianto insistente: erano stati giorni
del desiderio sempre presente perchè sempre vivo, dei letti, molti, che
si erano offerti e che erano stati respinti, dello stimolo sessuale che appunto
perchè inibito si era, un attimo, subblimato
in rinunzia, cioè in vero amore. Quei giorni furono la preparazione a
quel matrimonio che, anche eroticamente, fu mal riuscito'.
Angelica fa un'altra rilevante sa: nel ballo a palazzo Ponteleone. Anche
lì suscita una scontata ammirazione. In tale occasione la ragazza mette
in pratica gli insegnamenti di Tancredi sul modo di comportarsi nell'ambiente
aristocratico, assumendo un contegno adeguato, che le permette di 'mietere
allori'. La sua 'naturale vanità' e la 'tenace
ambizione' in questa circostanza vengono soddisfatte in modo particolare
durante il ballo con lo 'zione' Don
Fabrizio.
La sua vita con Tancredi però non è senza screzi e
incomprensioni; ella talvolta tradisce il marito, per esempio con Tassoni. Alla morte di Tancredi, gestisce con disinvoltura
le glorie passate del coniuge: 'Parlava molto e parlava bene; quaranta
anni di vita in comune con Tancredi, coabitazione tempestosa e interrotta ma
lunga a sufficienza, avevano cancellato da tempo fin le ultime tracce
dell'accento e delle maniere di Donnafugata; essa si era mimetizzata al punto
da fare, intrecciandole e storcendole, quel gioco leggiadrodi
mani che era una delle caratteristiche di Tancredi. Leggeva molto e sul tavolo
del suo salotto i più recenti libri di France
e di Bourget si alternavano con quelli di D'Annunzio
e della Serao'.
Una malattia, latente da tempo, la colpisce improvvisamente e 'la
trasforma in una larva'.
La Sicilia del 1860
1860: I democratici con la spedizione garibaldina in Sicilia rilanciarono con successo la via rivoluzionaria per il raggiungimento dell'unità italiana. L'occasione per la conquista garibaldina del Regno delle Due Sicilie, dove dal 1859 regnava il giovane Francesco II, si presentò in seguito al fallimento dell'insurrezione di Palermo del 4 aprile del 1860. Il moto fu infatti facilmente domato, ma l'agitazione si diffuse nelle camne, mentre un gruppo di intellettuali di orientamento democratico, tra cui Francesco Crispi e Rosolino Pilo, chiesero a Garibaldi di intervenire militarmente in Sicilia. Ebbe così inizio la preparazione materiale della spedizione dei mille volontari garibaldini, che all'alba del 6 maggio 1860 salpò da Quarto, in Liguria, e l'11 maggio approdò a Marsala (inizio del romanzo).
Interni:
All'interno del palazzo dei Salina tutto era fastoso. Suggestivo
è l'affresco del soffitto nella sala in cui si recita il rosario, dove
gli Dei maggiori (Giove, Marte, Venere) sorreggono lo stemma azzurro col
Gattopardo.
La stanza dell'amministrazione, in cui si svolgevano i colloqui del Principe,
era caratterizzata da pareti in calce e da un pavimento lucidissimo nel quale
si riflettevano quadri che rafuravano i feudi di casa Salina, protetti dallo
stemma del Gattopardo.
L'osservatorio era il luogo in cui il Principe si rifugiava per riflettere e
per dedicarsi alle sue grandi passioni: gli studi di matematica ed astronomia.
La stanza occupata da due telescopi, tre cannocchiali e da sectiune su cui vi
erano formule algebriche ed altri calcoli matematici era avvolta da una grande
luce azzurra.
La sala da pranzo era assai ricca e decorata: la tavola imponente, ricoperta da
una tovaglia finissima splendeva sotto la luce del lampadario di Murano.
Massiccia l'argenteria e splendidi i bicchieri recanti sul medaglione liscio le
cifre di F.D. (Ferdinandus Dedit),
in ricordo di una munificenza regale. I fianchi della zuppiera erano argentei e
sul coperchio appariva il Gattopardo danzante.
Nella camera matrimoniale si trovava un altissimo letto di rame, e si poteva
respirare un odore di valeriana, usata solitamente per calmare la principessa.
All'interno della villa di Donnafugata si trovavano quadri pesanti appesi alle
pareti, rilegature antiche dorate, porte che avevano i bordi di marmo grigio.
Passando dalla scala interna si vedevano il salone degli arazzi, quello
azzurro, quello giallo, lo studio del Principe con le persiane alle finestre.
Lo studio era piccolo con ai muri, sotto una teca di vetro, animali
imbalsamati. Una parete della stanza era occupata da una libreria di riviste
matematiche; su una mensola erano appoggiati i ritratti della famiglia.
La sala da ballo era rivestita tutta d'oro,' che conferiva all'ambiente un
significato orgoglioso di scrigno'. Lo stesso soffitto era d'oro con
rafurati degli dei che guardavano in basso sorridenti e inesorabili.
Esterni:
Il giardino di palazzo Salina era racchiuso tra tre mura e un lato
della villa, aveva un aspetto cimiteriale accentuato dai monticciuoli paralleli
delimitanti i condotti d'irrigazione e che sembravano tumuli di smilzi giganti.
Sul terreno rossiccio le piante crescevano in fitto disordine, i fiori spuntavano
ovunque e le siepi di mortella sembravano disposte per impedire più che
dirigere i passi. Nel fondo una flora chiazzata di lichene giallo-nero esibiva
rassegnata i suoi vezzi secolari; ai lati, due panche di marmo grigio e in un
angolo l'oro di un albero di gaggia.
Per accedere al giardino della villa di Donnafugata, invece, bisognava
percorrere il viale principale e scendere tra le alte siepi di alloro
incornicianti anonimi busti di dee senza naso; dal fondo si udiva la dolce
pioggia degli zampilli che ricadevano nella fontana di Anfitrite. Su di un
isolotto al centro del bacino rotondo, modellato da uno scalpello inesperto ma
sensuale, un Nettuno sorridente abbrancava un'Anfitrite vogliosa. L'innesto dei
gettoni tedeschi per le pesche forestiere, era riuscito perfettamente. Le
pesche erano poche ma erano grandi, vellutate e fragranti; giallognole con
sfumature rosee.
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