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Elio Vittoriani
Elio
Vittorini, scrittore italiano, è nato a Siracusa nel 1908. lio di un
ferroviere e primo di quattro fratelli, passò l'infanzia in varie
località della Sicilia seguendo gli spostamenti del padre; poi, nel
1924, fuggì improvvisamente dall'isola (utilizzando i biglietti omaggio
cui avevano diritto i familiari dei dipendenti delle ferrovie) per andare a
lavorare in Friuli Venezia Giulia come edile. Manifestò la propria
vocazione letteraria precocemente collaborando, fin dal 1927, a diverse riviste
e, grazie all'amicizia con il già affermato Curzio Malaparte, anche al
quotidiano 'La Stampa'.Il 10 settembre 1927, dopo una fuga
architettata per potersi sposare subito, viene celebrato il matrimonio
'riparatore' con Rosa Quasimodo, la sorella del celebre poeta
Salvatore. Nell'agosto del '28 nascerà il loro primo lio, chiamato,
in omaggio a Curzio Malaparte, Giusto Curzio. Più avanti, in un
intervento del '29, intitolato 'Scarico di coscienza' e pubblicato
sull''Italia letteraria', già delineava le proprie scelte
culturali, difendendo i nuovi modelli novecenteschi, contro gran parte della
tradizione letteraria italiana. Un suo primo racconto fu pubblicato su
'Solaria', e per le edizioni della rivista uscì, nel '31, una
prima raccolta di brevi narrazioni, recante il titolo 'Piccola
borghesia'; nel '32 scrisse 'Viaggio in Sardegna', pubblicato
quattro anni dopo insieme a 'Nei morlacchi' (ristampato nel 1952 col
titolo 'Sardegna come infanzia'). Così Vittorini diviene un
'solariano' e - come racconta egli stesso in un suo scritto-
'solariano negli ambienti letterari di allora, era parola che significava
antifascista, europeista, universalista, antitradizionalista'.
Vittorini comincia dunque ad essere considerato 'uno scrittore tendenzialmente
antifascista' (anche per il suo oggettivo impegno contro il regime). Nel
30, intanto, era uscita l'antologia, da lui curata insieme a Enrico Falqui,
'Scrittori nuovi' mentre in contemporanea avviene la pubblicazione a
puntate, sempre sulla rivista fiorentina, del suo primo romanzo, 'Il
garofano rosso' (1933-34), testo che provocò il sequestro del
periodico per oscenità (il romanzo fu poi edito in volume nel 1948).
Intanto, Vittorini sviluppa il suo famoso amore per l'America e la sua
produzione artistica. Anche se il suo rapporto con l'inglese non fu mai
completo, nel senso che malgrado lo studio assiduo di questa lingua non
riuscì mai a parlarla correttamente ma solo a leggerla, in quella lingua
tradurrà decine di libri, che vanno dalla opere di Lawrence a Edgar
Allan Poe, da Faulkner al Robinson Crusoe. Questa sua funzione di traduttore e
di divulgatore della letteratura d'oltreoceano ha giocato un ruolo
importantissimo per lo svecchiamento della cultura e della letteratura
italiana, asfitticamente rivolta al proprio 'particulare' anche e
soprattutto a causa della politica soffocante del regime mussoliniano. Nello
stesso tempo, parallelamente all'analogo lavoro che stava svolgendo Cesare
Pavese nella stessa direzione, l'introduzione di moduli narrativi estranei alla
nostra tradizione e l'irrompere dello stile di vita americano attraverso i
romanzi, produrrà il mito appunto dell'America, vista come una
civiltà avanzata e culturalmente progredita, pur con tutte le sue
contraddizioni; laddove il panorama italiano risultava ancora rurale e ancorato
a vecchie e superate tradizioni. Sulla scia di queste convinzioni e di queste
influenze culturali, negli anni 1938-40 scrisse il suo romanzo più
importante 'Conversazione in Sicilia' (apparso a puntate su
'Letteratura' tra il '38 e il '39 e poi pubblicato nel 1941), al
centro del quale pose il tema del 'mondo offeso' dalle dittature e
quello delle responsabilità individuali dell'uomo di cultura. Quei temi
furono poi ripresi nel romanzo 'Uomini e no' (1945), nel quale Vittorini
rielaborò la propria esperienza di combattente nella Resistenza. Durante
la guerra, infatti, svolse attività clandestina per il partito
comunista. Nell'estate del '43 Vittorini era stato arrestato, ma rimase nel
carcere milanese di San Vittore fino a settembre. Tornato libero, si
occupò della stampa clandestina, prese parte ad alcune azioni della
Resistenza e partecipò alla fondazione del Fronte della Gioventù,
lavorando a stretto contatto con Eugenio Curiel. Recatosi nel febbraio del '44
a Firenze per organizzare uno sciopero generale, rischiò la cattura da
parte della polizia fascista; in seguito si ritirò per un periodo in
montagna, dove, tra la primavera e l'autunno, scrisse appunto 'Uomini e
no'. Finita la guerra, tornò a Milano con Ginetta, la sua comnia
di questi ultimi anni. Infatti, chiese fra l'altro anche l'annullamento del suo
precedente matrimonio. Nel '45 diresse per alcuni mesi
'L'Unità' di Milano e fondò per l'editore Einaudi la
rivista 'Il Politecnico', periodico impegnato a dar vita ad una
cultura capace di fondere tra loro cultura scientifica e cultura umanistica e
potesse essere strumento di trasformazione e di miglioramento della condizione
dell'uomo, non solo quindi forma di 'consolazione'dei suoi mali.
L'apertura culturale della rivista e soprattutto le posizioni assunte da
Vittorini in merito alla necessità di una ricerca intellettuale autonoma
dalla politica, suscitano la famosa polemica con i leader comunisti Mario
Alicata e Palmiro Togliatti che portarono alla sua prematura chiusura nel '47.
Sempre nel '47 esce 'Il Sempione strizza l'occhio al Frejus', mentre
nel '49 escono 'Le donne di Messina' (apparso poi, in una nuova
veste, nel '64) e la traduzione americana di 'Conversazione in
Sicilia', con prefazione di Hemingway. Nel '50 riprende la sua
collaborazione a 'La Stampa'.
Nel 1951 lasciò il PCI per dedicarsi all'attività editoriale.
Salutato polemicamente da Togliatti con un articolo su 'Rinascita'
(firmato pseudonimo di Roderigo di Castiglia), il pezzo rimase emblematico anche
negli anni successivi come esempio dell'arroganza del potere e
dell'ottusità delle gerarchie di sinistra. Già il titolo
dell'articolo rappresentava uno sfregio, riportando, a caratteri cubitali:
'Vittorini se n'è ghiuto, e soli ci ha lasciato!'. In seguito
Vittorini si avvicinerà a posizioni di liberalismo di sinistra ma,
eletto nel '60 consigliere comunale di Milano nelle liste del Psi, si
dimetterà subito dall'incarico. Nel '55 la sua vita privata è
lacerata dalla morte del lio Giusto. La sua attività editoriale
rimane comunque saldamente in testa alle sue preferenza, tanto che inaugura,
per Einaudi, la collana 'I gettoni', importantissima per il suo ruolo
di scoperta dei nuovi narratori più interessanti della nuova generazione;
inoltre curò, sempre per lo stesso editore, opere di Ariosto, Boccaccio
e Goldoni. Nel 1957 pubblicò 'Diario in pubblico', che
raccoglieva i suoi interventi militanti, politico-culturali; nel '59
fondò e diresse, insieme a I. Calvino, 'II Menabò',
importante per l'avvio del dibattito sullo sperimentalismo letterario degli
anni Sessanta. Passato a dirigere collane editoriali per la Mondadori,
continuò a scrivere, negli ultimi anni della sua vita, un romanzo che
doveva rompere un lungo silenzio creativo ma che non vedrà mai la luce lui
vivente.
Nel '63 si ammala gravemente e viene sottoposto a un primo intervento
chirurgico. Malgrado la malattia, fittissima rimane la sua attività
editoriale, avendo assunto nel frattempo la direzione della collana di
Mondadori 'Nuovi scrittori stranieri', e quella di Einaudi
'Nuovo Politecnico'.Il 12 febbraio 1966 muore nella sua casa milanese
di via Gorizia. Postumo escono il volume critico 'Le due tensioni'
(1967), una raccolta di brevi saggi (in realtà, frammenti, appunti,
riflessioni) e il suddetto romanzo incompiuto scritto negli anni cinquanta,
'Le città del mondo' (1969).
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