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FRANCESCO PETRARCA
La novità di Petrarca
Petrarca può essere legittimamente considerato il fondatore della lirica moderna. Tale fondazione avviene in stretto rapporto con la 'scoperta' della coscienza moderna, cioè di unha forma di interiorità nuova, rispetto al Medioevo e al mondo antico, segnata dalla complessità, dall'ambivalenza, dalla conflittualità interna. Con Petrarca, anzi, la lirica afferma di fatto il proprio primato all'interno del sistema dei generi letterari, sancendo la superiorità del momento soggettivo dell'espressione artistica. A Petrarca può essere anche attribuita la fondazione di un nuovo tipo di intellettuale, ormai escluso dalla reale partecipazione alla vita sociale e politica, e che pertanto è diventato uno specialista della cultura.
Di fatto Petrarca contribuisce a gettare le basi della nascente civiltà umanistica, all'interno della quale l'attività artistica e culturale è ritenuta superiore rispetto all'impegno politico.
Lo stesso rivolgimento storico che porta Dante all'esilio determina la nascita di Petrarca già in esilio. Anche questo dato può essere considerato simbolico. Infatti Petrarca inaugura un tipo di intellettuale- artista la cui condizione psicologica e sociale è quella appunto di esiliato, di senza patria. La possibilità di una reintegrazione civile non è garantita a priori. Per questo diviene così intenso il rapporto con il passato, cioè soprattutto con la classicità.
Nel momento in cui la coscienza e l'interiorità assurgono al vertice della nuova gerarchia dei valori, la poesia si incarica di rappresentare questa nuova condizione. Essa non tende più, come in Dante, al coinvolgimento nei complessi aspetti del reale, ma fonda un proprio linguaggio specifico e autonomo, elabora una disciplina rigorosa e chiusa, in grado di favorire e proteggere la separatezza e di autoproclamarsi superiore.
Con Petrarca viene fondata una tradizione antisperimentalista (o classicità), concorrente e in gran parte alternativa a quella dantesca.
La valorizzazione dell'attività intellettuale come attività autonoma e separata determina la ricerca di una artistica estranea al coinvolgimento pratico, cioè non realistica, la ricerca di una classicità che vada al di là della contingenza storica. Lo sforzo di esprimere un modello formale armonioso e perfetto, capace di proporsi come solido e duraturo, se non eterno, indica il tentativo di ricomporre i conflitti e le contraddizioni tanto della realtà esterna quanto della coscienza in se stessa.
Tra orientamento generale della coscienza alla spiritualità e alla sublimazione e desiderio umano per Laura e per i beni del mondo si apre una contraddizione violenta. E' questa contraddizione che alimenta il fuoco creativo del Canzoniere. Nelle sue ragioni essa mostra una dipendenza da forme di morale e da modelli culturali ancora legati al Medioevo; nei suoi effetti laceranti sulla psiche del soggetto essa mostra una dimensione nuova, originale e moderna.
La vita
Il padre di Francesco Petrarca, notaio di parte bianca, venne esiliato da Firenze nel 1302. Due anni dopo da lui e dalla moglie Eletta Canigliani nasce ad Arezzo il primogenito Francesco. Dal nome del padre, Pietro detto Petracco (o anche Petraccolo), Francesco è chiamato Petracchi (lio di Petracco). Solamente in seguito il poeta modificò il patronimico nella forma Petrarca, più armoniosa.
Francesco trascorre la prima infanzia a Incisa in Valdarno, poi la famiglia si sposta a Pisa e l'anno seguente ad Avignone.
Francesco fu avviato agli studi sotto la guida di Convenevole da Prato, un esule toscano anch'egli notaio come il padre del poeta.
Il padre avviò entrambi i li agli studi giuridici presso l'Università di Montpellier e presso l'Università di Bologna. La morte del padre li costrinse a rientrare ad Avignone; mentre già da alcuni anni era morta la madre.
Ad Avignone Petrarca trascorse, ancora con il fratello, alcuni anni di vita spensierata. Nella chiesa di Santa Maria intanto avviene l'incontro decisivo, secondo la testimonianza del poeta, con Laura: è l'alba del 6 aprile 1327.
Il patrimonio paterno era pressocchè dissipato quando Francesco pensò di sistemarsi intraprendendo la carriera ecclesiastica. Prese così gli Ordini minori, che gli imponevano il celibato ma lo esoneravano da altre incombenze. Si apre quindi un periodo di viaggi: a Parigi, in Germania, infine a Roma. Qui crebbero l'amore per il mondo classico e l'avversione per Avignone, indegna usurpatrice della sede papale. Ciò favorì, al rientro in Provenza, la decisione di ritirarsi in camna, in una casetta in Valchiusa.
Intanto gli è nato il lio Giovanni.
Nel 1340 gli giunge l'invito a ricevere la corona poetica sia dall'Università di Parigi, sia dal Senato di Roma. Scelta Roma, si reca a Napoli per essere preventivamente esaminato dal colto re Roberto d'Angiò. Infine è incoronato grande poeta e storico in Roma.
Si apre quindi un periodo di profonda crisi spirituale.
Nel '43 gli nasce una seconda lia naturale, Francesca.
Sono anni in cui il poeta si sposta continuamente, alternando permanenze ad Avignone (e soprattutto in Valchiusa) e brevi soggiorni presso alcuni signori suoi ammiratori.
A Parma lo raggiunge la notizia della morte, a causa della peste, di alcuni suoi cari amici e di Laura stessa (morta il 6 aprile 1348).
Decide infine di abbandonare la Provenza e di stabilirsi in Italia.
Sceglie, fra le varie opportunità, Milano. Qui l'arcivescovo Giovanni Visconti, signore della città, gli assicurava protezione e libertà di studio e di pensiero.
Il periodo milanese è interrotto nel '61 per sfuggire al diffondersi della peste. Petrarca andò a Padova e, l'anno seguente, si stabilì a Venezia
Nel '68 accetta l'ospitalità a Padova del signore Francesco da Carrara e si fa costruire una casa in un terreno avuto in dono da questi ad Arquà sui Colli Euganei.
Il poeta si dedica soprattutto agli studi.
La salute diviene malferma negli ultimi anni, e Petrarca è spesso assalito da attacchi di febbre. In una crisi più violenta muore ad Arquà, la notte tra il 18 e il 19 luglio 1374. Viene sepolto ad Arquà, dove ancora riposa.
La formazione culturale e il bilinguismo
La formazione culturale di Petrarca dipende assai più da letture private di testi che non da frequentazioni di maestri.
La biblioteca petrarchesca era di eccezionale vastità per l'epoca, superando certamente i duecento titoli. Più rilevante ancora è la rarità di alcuni dei testi che appartenevano al poeta.
La netta preferenza accordata da Petrarca alla lingua latina - della quale egli si serviva in tutte le circostanze, anche private - dipende proprio, in primo luogo, dal confronto serrato con il modello culturale latino e dal profondo rispetto per il suo valore. Ma più conta, poi, lo stacco netto tra il latino di Petrarca e quello praticato nelle scuole medievali. Nutrendosi direttamente alla fonte dei classici, Petrarca eliminò dal proprio latino ogni influenza del volgare, restituendolo all'equilibrio e alla dignità dei maggiori scrittori cristiani e classici.
Il latino umanistico si fonda proprio sulla proposta petrarchesca, scavalcando la mediazione delle scuole medievali e riallacciandosi, attraverso la mediazione di Petrarca, ai modelli originali.
D'altra parte il rapporto con i classici latini è inteso da Petrarca in tutta la sua responsabilità storico- critica. La coscienza della specificità linguistica non andava disgiunta dalla coscienza della specifica dignità storica e critica delle varie opere: nasce cioè con Petrarca una prima esigenza di riordinamento storiografico del mondo classico, non più inteso come un universo compatto e astorico. In questo modo si afferma la percezione di una distanza da quel mondo e da quei modelli. L'esaltazione petrarchesca della virtus antica in opposizione alla degradazione presente è un modo attraverso il quale si esprime la consapevolezza di una differenza essenziale tra mondo antico e mondo moderno.
Meno nutrita era la sezione della biblioteca petrarchesca dedicata alle nuove letterature romanze.
Il contatto con le maggiori esperienze liriche delle nuove letterature fu certamente profondo e meditato, benchè Petrarca si cimentasse poi nella composizione in volgare solamente per i testi lirici del Canzoniere e per i Trionfi, e cioè per una porzione quantitativamente minima della propria opera.
A lungo si è anzi insistito sullo scarso valore attribuito dal poeta a questa sua attività; e in effetti egli stesso definisce nugae, cioè 'inezie, cosette', i propri testi volgari, mentre il titolo attribuito all'insieme dei testi lirici volgari potrebbe alludere anch'esso a una marginalità e quasi a una incompiutezza.
Inifine, il bilinguismo di Petrarca segna una divisione di competenze tra latino e volgare senza che ciò implichi una svalutazione di una delle due lingue.
Il latino è per lo scrittore la lingua pubblica, la lingua degli intellettuali europei, la lingua capace di bloccare, eternandola, la funzione prestigiosa del dotto. Il volgare è invece una lingua privata, o anche, se si vuole, la lingua del privato, dell'interiorità, della coscienza. Se un'insicurezza poteva avere il poeta sulla validità di questo secondo mezzo espressivo, si tratta di un'insicurezza che riguarda piuttosto la liceità e il valore degli ambiti ad esso riservati: l'ideologia di Petrarca infatti si riconosceva piuttosto nell'immagine pubblica ed esemplare dell'intellettuale che non nella ura complessa, lacerata e contraddittoria dell'interiorità soggettiva. Questa poteva spaventare per la sua sconcertante novità. Ma è proprio in questa novità che risiede la primaria ragione di grandezza dell'esperienza petrachesca.
L'epistolario
L'epistolario di Petrarca conta oltre cinquecento lettere in latino, comprese in cinque raccolte, alcune delle quali suddivise in numerosi libri. La vastità di tale corpus e la cura dedicata dall'autore alla sua organizzazione interna e alla sua revisione formale ne fanno il modello di epistolario cui gli intellettuali guarderanno dall'Umanesimo in poi.
La scrittura di lettere è un'attività assai confacente allo spirito di Petrarca. Infatti attraverso i contatti epistolari egli può coltivare numerosi rapporti, soddisfacendo il proprio fortissimo bisogno di relazioni umane e culturali, anche nei lunghi ritiro nella altrettanto amata solitudine.
Le lettere più antiche appartengono alla prima giovinezza del poeta, e datano alla metà circa degli anni Venti; le ultime risalgono agli ultimi mesi di vita. L'epistolario petrarchesco testimonia dunque, attraverso circa mezzo secolo, l'intero percorso della vita del poeta, offrendo indispensabili notizie sulla sua biografia, sulle sue letture e riflessioni, sulle sue vicende psicologiche e affettive, sui suoi rapporti umani e culturali.
Da una parte, nelle lettere Petrarca tende dichiaratamente alla immediatezza e alla semplicità, cioè alla confessione diretta e spesso allo sfogo esplicito. Ma d'altra parte è assai più forte la ricerca di equilibrio, di perfezione formale, di esemplarità umana e morale. Il poeta concepisce fin dall'inizio le proprie lettere come vere e proprie opere letterarie, e dedica a esse le stesse cure che agli altri propri lavori di scrittura.
Infine concepisce l'idea di pubblicare le lettere in raccolte organiche divise in libri secondo un criterio cronologico e tematico. Questa decisione è senz'altro incoraggiata dal ritrovamento di alcune lettere (Epistolae) di Cicerone presso la Biblioteca modulare di Verona. Accanto al modello di Cicerone si nota l'influenza delle lettere di Seneca; mentre è peculiare dell'epistolario petrarchesco la tendenza a fornire un'interpretazione delle proprie vicende personali e della propria stessa personalità complessiva in chiave di esemplarità. Il poeta tende a fornire cioè una rappresentazione sublimata e ideale di sè e della propria vita, puntando piuttosto sulle qualità di dotto e di moralista che non sulle insicurezze psicologiche e morali (il tema dell'amore per Laura è per esempio sistematicamente censurato). In tal senso le lettere costituiscono l'espressione, per lo più, dell'aspetto pubblico di Petrarca.
L'epistolario petrarchesco è compreso in cinque raccolte: quattro d'autore e una messa insieme dopo la sua morte.
La raccolta maggiore, e la prima cui l'autore lavorò come a un'opera organica, è quella delle Familiares o Familiari. Essa comprende 350 lettere suddivise in ventiquattro libri. Le lettere abbracciano un periodo che va dal 1325 circa al 1361.
L'ultimo libro delle Familiari comprende lettere rivolte ai maggiori scrittori dell'antichità, fra cui lo stesso Cicerone.
Diciannove delle lettere scritte in questo periodo furono escluse dalla raccolta maggiore e pubblicare a sè con il titolo Sine nomine in quanto prive del nome dei destinatari. Esse infatti sono dedicate a scottanti questioni politiche (per lo più alla critica della corruzione papale): la censura dei nomi dei destinatari vale a metterli in salvo da eventuali ritorsioni.
Dopo il 1361 Petrarca si dedicò a organizzare le lettere che veniva scrivendo in una nuova opera, intitolata Seniles o Senili. L'autore non arrivò a darle una forma definitiva ed essa restò incompiuta. Consta di diciassette libri comprendenti 125 lettere. Era volontà del poeta che l'opera fosse conclusa dall'epistola Posteritati, contenente il racconto della propria vita, o meglio una propria autobiografia ideale.
Una quarta raccolta fu realizzata, dopo la morte del poeta, con le lettere da lui scartate (circa 75), prendendo il titolo di Variae.
A parte deve essere considerata una quinta raccolta di lettere, comprendente le 66 Epistolae metricae, divise in tre libri. Si tratta infatti, come dice il titolo, di lettere scritte in forma poetica, cioè in esametri (la lingua è anche in questo caso il latino). Le lettere in versi differiscono dal restante epistolario in prosa per lo spazio concesso al tema dell'amore per Laura, non trattato invece altrove.
I Trionfi
Accanto al Canzoniere, l'unica altra opera di Petrarca composta in volgare sono i Triumphi [Trionfi]. A essa il poeta lavorò a lungo, dal 1351 o forse già dal decennio precedente; mentre in fondo all'ultimo 'trionfo' ura la data esatta 12-2-l374, di poco precedente la morte dell'autore.
I Trionfi sono un poema incompiuto diviso in sei parti, alcune delle quali in più canti (o moduli). Il metro adottato è la terzina incatenata (o dantesca).
L'evidente modello della Commedia di Dante determina l'impalcatura allegorica e la rigida struttura dell'insieme, mentre la recente Amorosa visione di Boccaccio influenza la scelta di organizzare in una serie di visioni successive la materia narrativa.
Nell'anniversario del suo innamoramento, il poeta è addormentato in Valchiusa, quando gli si presenta una serie di sei visioni. Queste rappresentano lo scontro successivo tra termini antitetici e il conseguente trionfo di uno di essi. Apre il Trionfo di Amore (Triumphus Cupidinis, in quattro moduli); segue il Trionfo della Pudicizia (Triumphus Pudicitiae, in un modulo), poi il Trionfo della Morte (Triumphus Mortis, in due moduli). Sulla Morte trionfa la Fama (Triumphus Famae, in tre moduli); in seguito il Trionfo del Tempo (Triumphus Temporis, in un modulo) distrugge la Fama stessa. Infine giunge il Trionfo dell'Eterno (Triumphus Eternitatis, in un modulo): la vanità di tutte le cose mondane è riscattata dalla forza rasserenante di Dio, verso il quale il poeta si protende nell'attesa, anche, di rivedervi la bellezza di Laura definitivamente beata.
La vicinanza al modello del poema allegorico è mostrata dall'intento enciclopedico ed erudito dell'opera, che ne appesantisce il racconto con lunghe elencazioni di personaggi famosi, storici e fantastici. D'altra parte il riferimento alla Commedia dantesca è testimoniato anche dalla fiducia di poter ricostruire un significato generale del mondo e della cultura a partire dalla propria personale vicenda terrena, presentata in termini di esemplarità.
Mancano però in Petrarca la continuità dell'ispirazione dantesca e una solida capacità narrativa o realistica. La materia appare dunque per lo più statica e astratta, quando non noiosa e ripetitiva.
I Trionfi sono stati preferiti fino al Quattrocento rispetto al Canzoniere, proprio per la più solida struttura esterna (che risultava più tradizionale) e per il carattere colto e raffinato (che piaceva soprattutto agli umanisti).
Il Secretum
La più importante delle opere in prosa di Petrarca è senz'altro il Secretum (il titolo originale è però De secreto conflictu curarum mearum). Insieme all'epistolario è questa la fonte più attendibile e completa per conoscere il mondo interiore del poeta. In più, rispetto all'epistolario è assente nel Secretum l'intento di costruire una ura pubblica dotata di caratteristiche esemplari. Per questa ragione quest'opera risulta, infine, la più originale ed autentica di Petrarca accanto ovviamente al Canzoniere.
Il Secretum fu probabilmente composto nel 1347, benchè l'ideazione e la crisi spirituale da cui l'opera muove possono essere attribuite al 1342-l343. Vi furono comunque vari rimaneggiamenti successivi. L'opera non era destinata alla pubblicazione, ma a una funzione personale di confessione e di diario autobiografico.
Il Secretum ha la forma di un dialogo tra il poeta stesso e sant'Agostino, svolto alla presenza della Verità, sempre muta testimone e garante della sincerità delle affermazioni fatte. Il dialogo si stende lungo l'arco di tre giorni ed è suddiviso in tre libri, con riferimento al simbolo della Trinità.
Nel primo libro è affrontato il problema dell'ansia che affligge Francesco e ogni uomo. Agostino ne addita la causa nell'eccessivo attaccamento ai beni della terra, con la conseguente insoddisfazione causata dalla loro inadeguatezza e dalla loro deperibilità. Solamente la riflessione sulla morte può mettere nella giusta prospettiva. Ma Francesco si dichiara lacerato dalla contraddizione tra la coscienza di questi fatti e l'attaccamento al mondo.
Nel secondo libro il carattere di Francesco viene analizzato sulla base dei peccati capitali della morale cattolica. Di alcuni Francesco si riconosce subito colpevole; ma Agostino gli dimostra come egli si sia in realtà macchiato di tutti, tolta l'invidia. In particolare lo affliggono la superbia per il proprio successo intellettuale e per la propria bellezza fisica, e la lussuria, provocata dall'amore per le bellezze terrene. Più grave di tutti si rivela infine il vizio dell'accidia, cioè della debolezza di volontà nell'impegno morale: Francesco si scoraggia facilmente e facilmente attribuisce al mondo quelle mancanze che dipendono solo da lui stesso. E' da questa debolezza della volontà che deriva la più profonda insoddisfazione di Francesco, incapace di intraprendere con decisione la via del bene, che pure riesce in qualche modo a individuare.
Nel terzo libro Agostino addita i due maggiori vincoli che ostacolano il riscatto morale di Francesco: l'amore per Laura e l'attaccamento alla gloria. Francesco riconosce la forza di tali vincoli, ma si impegna a dimostrarne la validità anche in senso spirituale e religioso: Laura è espressione e simbolo della bellezza di Dio e l'amore per lei lo ha avvicinato alla verità; anche il desiderio di gloria ha molti aspetti positivi, costituendo un tentativo di innalzarsi al di sopra dei limiti terreni, trascendendoli. Ma Agostino mostra impietosamente i limiti di entrambi gli ambiti: l'amore per Laura lo distoglie, attraverso un legame con il valore fuggevole della bellezza fisica, dal vero amore per Dio: il desiderio di gloria provoca in lui vanità e superbia, mettendolo in lotta contro il tempo, che comunque distruggerà ogni opera umana. I due punti di vista si affrontano, senza che Francesco possa fare del tutto proprio quello di Agostino. Il dialogo si conclude così in modo aperto, con la fiducia che un futuro ulteriore approfondimento della conoscenza di sè consenta al poeta di raccogliere gli sparsi frammenti della sua anima e di essere pronto a una vera conversione.
La principale ragione di interesse e di modernità dell'opera consiste proprio nella sua natura aperta e problematica.
Come nel Canzoniere, si assiste qui a una conflittualità interna (o a un'ambivalenza) che non può trovare soluzione. La voce di Agostino non è la voce di un vero confessore, cioè di un punto di vista esterno e superiore, cui la personalità dell'interlocutore Francesco possa resistere o cedere. Anche la voce di Agostino è piuttosto una parte della complessa psicologia petrarchesca, al pari di quella di Francesco che più direttamente la rappresenta. I due dialoganti esprimono, estremizzandoli se si vuole, gli aspetti complementari e antitetici della personalità dell'autore. Solamente la Verità è portatrice, in qualche modo, di un punto di vista veramente 'altro' e potenzialmente unificante; ma ella è una presenza silenziosa.
La natura diaristica e di sfogo autobiografico del Secretum si ispira alle Confessioni e ai Soliloqui di sant'Agostino, non senza risentire dei modelli di Cicerone e soprattutto di Seneca. Ma in Petrarca mancano sia il conclusivo, risolutivo abbandono alla voce di Dio che è in Agostino, sia la fiducia nel potere taumaturgico della filosofia e della scrittura che è ancora negli scrittori classici. Anche da questo punto di vista, la sua problematicità aperta inclina piuttosto verso il tormento della coscienza moderna, della quale Petrarca si conferma nel Secretum annunciatore e battistrada.
Altre opere
L'instancabile attività di scrittura esecitata da Petrarca durante la sua vita lo portò a intraprendere numerose opere, molte delle quali egli non ebbe il tempo o l'interesse di completare. Accanto al capolavoro del Canzoniere e ai nuclei rilevanti del Secretum, dei Trionfi e dell'epistolario, è necessario dunque dar conto di questa massa di scritti, che aiutano a farsi un'idea della complessità di interessi e di occupazioni intellettuali dell'autore.
Tutti gli scritti in questione sono in latino.
E' utile distinguere gli scritti in poesia da quelli in prosa; e dividere questi ultimi in tre gruppi: opere di erudizione storica, opere di argomento morale, scritti occasionali e polemici.
SCRITTI IN POESIA
Occupa una posizione di rilievo il poema incompiuto in esametri intitolato Africa.
Nonostante una continua attività di correzione e di risistemazione, l'opera resterà incompiuta. Il poema narra le vicende della seconda guerra punica. La Roma repubblicana è innalzata a modello universale di virtù e di coraggio, il cui campione è il condottiero Scipione l'Africano.
Il modello cui l'autore si ispira è quello dell'Eneide virgiliana. Ma il poema ha un'impostazione complessiva troppo rigida ed estrinseca.
Dall'Africa Petrarca si riprometteva gloria immortale più che da qualsiasi altra opera.
Ancora ispirato al modello virgiliano, con riferimento questa volta alle Bucoliche, è il Bucolicum carmen. Esso è composto da dodici egloghe. L'allegoria pastorale offre al poeta modo di trattare le questioni più diverse, di carattere storico, politico, morale e perfino personale.
In versetti di tipo biblico sono composti i sette Psalmi penitentiales. Sono preghiere fortemente segnate dal modello liturgico e scritturale.
SCRITTI IN PROSA
A. Opere di erudizione storica
Il De viris illustribus fu iniziato contemporaneamente all'Africa, e la laboriosa compilazione occupò a varie riprese la vita dell'autore, senza che mai si giungesse a una forma definitiva e completa. L'opera raccoglie trentasei biografie di uomini antichi, appartenenti per lo più alla storia romana ma anche alla tradizione biblica.
Nei Rerum memorandarum libri, in quattro libri, è presentata una serie di exempla morali. Petrarca lasciò l'opera incompiuta.
Una vera e propria guida ai luoghi della Terra Santa è l'Itinerarium syriacum, composto per un amico che vi si recava in pellegrinaggio.
B. Opere di argomento morale
Il più importante degli scritti petrarcheschi di argomento morale è il De vita solitaria. Esso fu composto a Valchiusa. Il dedicatario dello scritto era l'amico Filippo di Cabassoles.
Il trattato è suddiviso in un proemio e due libri. Il primo libro è dedicato ad esaltare il modello della vita solitaria e ha un taglio teorico e autobiografico; il secondo libro, che ha invece un'impostazione storico- erudita, allega una serie di esempi di vita solitaria, ricavati sia dalla tradizione cristiana sia da quella classica. Al fondo dell'opera sta l'esaltazione di un modello umanistico di vita, in cui l'intellettuale vive appartato rispetto agli avvenimenti storici e sociali, circondato dal proprio culto per i grandi antichi, il colloquio con i quali si affianca a quello con i pochi amici vivi. Il valore dell'otium intellettuale è avvicinato al rifiuto della città e all'adesione alla appartata vita di camna.
Mentre il De vita solitaria presenta un modello laico di vita e associa all'esaltazione del ritiro ascetico la confessione di non sentirsi adatto ad aderirvi, il De otio religioso concentra sulla scelta monacale il proprio interessa. L'opera è dedicata al fratello Gherardo.
Un'ampia raccolta di dialoghi è il trattato De remediis utriusque fortunae. Il primo dei due libri contiene 122 dialoghi volti a definire i rimedi ai pericoli determinati dalla fortuna favorevole; il secondo libro contiene 131 dialoghi sui rimedi contro i danni provocati dalla cattiva fortuna. La ragione è innalzata a garante della libertà umana, minacciata continuamente dai rovesci della sorte.
C. Scritti occasionali e polemici
Le Invectivae contra medicum, in quattro libri, furono ispirate dalla risposta di uno dei medici curanti di Clemente VI alla dichiarazione di sfiducia rivolta da Petrarca al papa. Lo spunto polemico consente al poeta di sostenere, insieme alla ignoranza dei medici, la inferiorità in generale delle scienze pratiche e meccaniche rispetto alla letteratura, confermando uno dei temi centrali del proprio pensiero.
Nel 1355 fu scritta l'Invectiva contra quendam magni status hominen sed nullius scientiae et virtutis, in risposta a un cardinale che lo aveva criticato.
Di maggiore rilievo culturale è il De sui ipsius et multorum ignorantia. L'opera fu composta per replicare a quattro giovani filosofi averroisti padovani che avevano definito il poeta uomo buono ma ignorante. L'occasione offre a Petrarca modo di negare la validità della tradizione aristotelica, cioè il ricorso al principio di autorità e alla logica del sillogismo. Il primato nella ricerca della verità spetta secondo il poeta alle scienze morali, e nessuna sapienza può essere ricavata al di fuori dell'illuminazione della fede: alla tradizione della Scolastica, Petrarca contrappone un filone agostiniano secondario ma non assente nel pensiero medievale, decisivo per la sua posizione.
Contro il frate francese Jean de Hesdin - che difendeva la permanenza della sede papale ad Avignone e denigrava l'Italia - è rivolta infine l'Invectiva contra eum qui maledixit Italiae.
IL CANZONIERE
La composizione: struttura, datazione, titolo
Il Canzoniere si presenta come una raccolta ordinata di 366 componimenti poetici: 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali. Le varie forme metriche sono liberamente alternate. La struttura nella quale oggi leggiamo l'opera non è l'unica che essa abbia assunto; è quella definitiva, orgaizzata da Petrarca nell'ultimo anno di vita, tra il 1373 e il 1374.
Il Canzoniere raccoglie testi composti durante un arco di tempo assai esteso, dalla giovinezza alla vecchiaia. E' pur vero che dopo la metà del secolo tende progressivamente a diminuire la creazione originale mentre si incrementa l'attività correttoria su testi preesistenti. Ma il dato più rilevante è la scelta dell'autore di collocare testi tanto distanti nel tempo all'interno di un unico libro, e anzi la scelta di assegnare al libro nel suo insieme e alla sua struttura una decisiva importanza generale.
Il titolo dato dall'autore all'opera è Francisci Petrarche laureati poete Rerum vulgarium fragmenta. E' invalso però nella tradizione, già anticamente, il titolo generico di Canzoniere, accanto al quale si trovano anche altri titoli, quali Rime e Rime sparse.
Il riferimento ai «frammenti» contenuto nel titolo petrarchesco allude innanzitutto al carattere appunto frammentario della narrazione quale viene presentata al lettore attraverso i testi poetici, dotati ciascuno di autonomia poetica.
D'altra parte il riferimento ai «frammenti» comporta anche l'identificazione di un tema centrale della ricerca petrarchesca: la ricostruzione e la ricomposizione della personalità psicologica e morale del poeta, lacerato da esperienze e passioni contrastanti, diverse nel tempo e spesso anche conviventi. In questo senso il Canzoniere rappresenta il tentativo di dare un senso complessivo e un'unità ai vari momenti frammentari della vita.
Il libro: diario e autobiografia
Nella sua forma definitiva il libro si presenta come un diario. Infatti i testi sono scritti in prima persona e si riferiscono a esperienze, sentimenti, idee di un unico personaggio, coincidente con la persona dell'autore. La disposizione dei vari testi segue un criterio prevalentemente cronologico. La cronologia che interessa all'autore non è però quella relativa alla composizione delle liriche.
I continui interventi di Petrarca sulla struttura dimostrano che il poeta ha intenzioni più complesse. Egli vuole ricostruire davanti al lettore un itinerario che trasmetta sia il senso dell'immediatezza dell'esistenza, sia un esempio morale. I testi definiscono la cronologia dei fatti narrati, non quella della scrittura. In pratica, per fare un esempio, è possibile che un sonetto composto in anni tardi sia collocato nella parte iniziale dell'opera, se tratta temi particolarmente legati al periodo cui si riferisce quella parte del libro.
Il senso dell'immediatezza è affidato a puntuali indicazioni temporali, misurate di continuo sull'evento decisivo del primo incontro con l'amata Laura, e poi su quello risolutivo della morte di lei. La puntualizzazione temporale determina la natura diaristica dell'opera.
D'altra parte, poichè l'insieme dei testi vuole disegnare una parabola che abbia un valore ideale, l'opera è, oltre che un diario, un'autobiografia; contiene cioè un disegno immaginato dal punto di vista della conclusione e attivo nell'organizzazione della struttura.
La natura di diario è data dal riferimento puntuale a fatti e situazioni. La natura autobiografica è data dalla costruzione generale dell'opera.
Dal punto di vista microstrutturale (cioè gurdando i testi singolarmente) prevale il taglio diaristico. Dal punto di vista macrostrutturale (cioè considerando i testi nella loro globalità, come sono organizzati nel libro) prevale il taglio autobiografico.
Il libro: narrazione e struttura
Il Canzoniere ha un tema principale, accanto al quale prendono posto, in via nettamente marginale, alcuni temi secondari. Il tema principale è l'amore del protagonista per una donna di nome Laura. Il racconto ripercorre le varie fasi dell'innamoramento, soffermandosi lungamente sulle minime vicende di un amore infelice: nè il poeta sa dichiararlo adeguatamente all'amata, nè questa si mostra disposta ad accoglierlo e ricambiarlo. Tuttavia questa medesima situazione viene di continuo variata e sottoposta a verifica. A volte pare anzi che un incontro tra i due divenga possibile, come suggeriscono minimi segni del comportamento di Laura; ma prevale sempre, infine, la negazione. Preceduta da oscuri presentimenti si verifica a un certo punto la morte di Laura. La reazione del poeta è dapprima di disperazione. Poi, gradualmente, la ssa dell'amata apre la possibilità di rielaborare la sua ura, esaltandone la virtù sul modello della Beatrice dantesca. L'amore del poeta giunge quindi ad una nuova maturazione: si affermano la coscienza dei limiti della propria passione e il rimpianto per la sua mancata realizzazione. Finchè il desiderio di segnare un distacco dai valori terreni per aderire ai valori religiosi non introduce il tema risolutivo del pentimento e della conversione.
La struttura del Canzoniere è articolata in due parti: 'rime in vita di Laura' e 'rime in morte di Laura'.
Uno degli impegni dell'autore è quello di stabilire nessi tra realtà e finzione letteraria, ovvero di trasportare dentro la costruzione poetica i dati simbolicamente rilevanti della realtà in essa narrata.
Il ritorno del numero sei ne fa un numero consacrato a Laura, così come il nove alla Beatrice di Dante. Tale numero sei è contenuto due volte, non casualmente, nel numero totale dei componimenti che formano l'opera (366), così come due volte esso ha avuto una funzione decisiva nella vita di Petrarca. In tal modo tra contenuto referenziale e struttura formale dell'opera è stabilita una relazione di reciprocità. La struttura del Canzoniere è caricata di numerose altre valenze simboliche. Il totale dei testi, 366, coincide con il numero dei giorni dell'anno (escludendo il sonetto iniziale, con funzione introduttiva). I vari testi sono dunque interpretabili come i giorni esemplari di un anno di vita.
Ancora. L'innamoramento avvenne, dichiara il poeta, il giorno della Passione di Cristo (6 aprile). L'innamoramento coincide dunque con il momento simbolico di caduta e di colpa dell'umanità, con l'allontanamento dalla via della salvezza (non è probabilmente casuale la coincidenza con lo smarrimento di Dante nella Commedia, collocato anch'esso il giorno di venerdì santo). Se si fanno corrispondere ai testi del Canzoniere i vari giorni dell'anno partendo dal 6 aprile, giorno dell'innamoramento, il primo testo della seconda parte dell'opera viene a coincidere con il 25 dicembre, Natale. Mentre dunque la nascita dell'amore è concomitante alla morte di Cristo, e per ciò stesso si presenta come errore e deviazione, la sezione dedicata alla morte della donna, premessa indispensabile al ravvedimento finale, si inaugura nel giorno della nascita del Salvatore.
Gli altri temi del Canzoniere hanno uno spazio nettamente marginale e secondario. Tra questi temi spiccano quello politico e quello religioso: Petrarca caldeggia una rinascita del valore italiano, in opposizione agli antagonismi che contrappongono gli Stati regionali; e condanna la corruzione della Chiesa, invocando il ritorno del papa a Roma e l'abbandono della sede avignonese. Tra gli altri temi si segnala l'attenzione rivolta in più occasioni al cardinale Giovanni Colonna, amico e protettore del poeta in Avignone, la cui morte è contemporanea a quella di Laura. Anche il tema degli studi e della gloria viene in qualche occasione in primo piano.
L'io e Laura
Il tema dell'amore del poeta per Laura è trattato, in apparenza, secondo i modi tipici della tradizione cortese e stilnovistica. La donna è oggetto di una spiritualizzazione che ne fa spesso una ura astratta e sovraumana; l'esperienza dell'amore è rappresentata come momento totalizzante e nobilitante. Anche le caratteristiche fisiche dell'amata messe maggiormente in rilievo sono quelle tradizionali: gli occhi e lo sguardo, i capelli, il modo di muoversi e soprattutto di camminare.
E però più che la continuità rispetto alla lirica d'amore precedente contano la novità e la rottura. Queste riguardano in primo luogo la ura del soggetto, che è rappresentato come autentica complessità psicologica, come esperienza realistica dell'interiorità, e non più come soggettività stilizzata e astratta, come origine istituzionalizzata del discorso. In Petrarca l'io si presenta percorso da contraddizioni e coinvolto in conflitti interiori. La soggettività statica e unitaria della tradizione lirica lascia il posto a una soggettività frantumata, sempre costretta a dialogare con se stessa, a rivolgersi moniti e suggerimenti, a dichiararsi contesa tra due intenzioni opposte, a dividersi nelle voci dei discordi dei propri desideri e delle proprie convinzioni. E' un io nuovo e rivoluzionario, le cui armi sono l'autoanalisi e l'introspezione.
Al centro del Canzoniere non c'è tanto quella Laura che di continuo è oggetto esplicito dei testi, quanto l'io del poeta. Attraverso l'amore per la donna, il soggetto verifica la propria consistenza interiore, sollecitandola al massimo.
Non bisogna però credere che Laura non abbia nessuna personalità specifica, che sia insomma solamente l'occasione perchè il poeta eserciti la propria interiorità, mostrandone le intrinseche debolezze e le nuove potenzialità. Al contrario, Laura rappresenta, per molti aspetti, una ura a sua volta nuova rispetto alla tradizione lirica d'amore precedente. Ella si mostra infatti dotata di una propria specifica personalità, definita dalle tappe biografiche, dalle notizie anafriche, dalla concezione morale e ideologica. Inoltre Laura è portatrice di alcune decisive variabili narrative, non limitate, come in gran parte della tradizione precedente, all'alternanza presenza/assenza.
Tra la Laura viva inutilmente amata dal poeta e la Laura morta, da questi rimpianta e sublimata, si compie una significativa trasformazione. La donna, morta, collabora alla ricomposizione faticosa del mondo psichico e affettivo del poeta, è il riferimento fondamentale per la sua difficile identità. La morte introduce d'altra parte il tema decisivo dell'assenza, al quale si congiunge quello delmemoria - I processi di memorizzazione dall'acquisizione al richiamo - Studi comparati" class="text">la memoria, tra i più importanti e originali del Canzoniere.
A Laura si associa una complessa serie di riferimenti culturali, veicolati soprattutto dal nome stesso della donna. Il 'lauro' (o alloro) è un eco (o senhal) del nome dell'amata che richiama sia la sacralità dell'arte (in quanto pianta sacra al dio ano delle arti, Apollo) sia la 'laurea' poetica conseguita da Petrarca a Roma (e affidata appunto, tradizionalmente, a un'incoronazione di lauro).
Petrarca fondatore della lirica moderna
Petrarca è il fondatore della lirica moderna. Suoi meriti specifici sono state la prontezza e la profondità con le quali ha saputo rispondere alle grandi trasformazioni sociali intervenute nel Trecento in relazione alla ura dell'intellettuale e al ruolo dell'arte.
Alle spalle di Petrarca si stende una tradiozione lirica che attraverso l'esempio recente degli stilnovisti risale alla Scuola siciliana e alla lirica cortese dei provenzali: sono questi due secoli che stanno dietro il Canzoniere a consentirne la maturità espressiva e perfino la novità; solamente all'interno di una civiltà letteraria raffinata e matura poteva nascere il capolavoro petrarchesco.
Il Canzoniere ha posto le basi per l'affermazione della superiorità della poesia lirica su tutte le altre forme di scrittura. Ciò rovescia il sistema dei generi trasmesso dalla classicità al Medioevo, entro il quale il primato spettava all'epica, ovvero, nella rielaborazione in chiave stilistica delle poetiche medievali, alla tragedia.
Le altre novità, specifiche, del Canzoniere, in nome delle quali è lecito parlare di una fondazione della lirica moderna riguardano sia il piano delle forme e della poetica, sia il piano psicologico e ideologico.
Sul piano delle forme e della poetica è una novità sostanziale la costruzione narrativa ed esemplare di un insieme di soli testi poetici. Dante aveva fatto qualcosa di analogo con la Vita Nova, ma ricorrendo alla forma più tradizionale del 'prosimetro', cioè collocando i testi lirici all'interno di una struttura affidata alla prosa. Le raccolte di testi lirici prima di Petrarca sono aggregate secondo criteri tematici, cronologici, stilistici o francamente casuali; con Petrarca l'ordine della disposizione acquista un'importanza tale da non permettere più neppure di parlare di 'raccolta' , ma di 'opera'. La stessa valorizzazione della struttura si ritrova, da quel momento in poi, in tutti i più importanti poeti lirici.
Anche le altre novità delle forme e della poetica presenti nel Canzoniere possono essere ricondotte alla creazione di un modello istituzionale, anzi alla istituzionalizzazione della lirica. Il prestigio della canzone e del sonetto è confermato definitivamente consacrato da Petrarca; mentre riceve un decisivo incoraggiamento, tra le forme metriche, il madrigale, destinato a grande fortuna nel Rinascimento. Restando all'ambito della metrica, Petrarca opera d'altra parte una restrizione, rispetto alla libertà per esempio dantesca, che diverrà norma fino al Novecento: l'endecasillabo è accolto nel Canzoniere solo nelle varianti di accentazione più eleganti e musicali.
Accanto alla specializzazione delle forme metrico- prosodiche si assiste a una specializzazione dello stile e del lessico. Al pluristilismo e al plurilinguismo di Dante, Petrarca sostituisce un vocabolario e un ventaglio di opzioni stilistiche assai ridotti. Nasce così quell'idea della lirica come espressione pura che resiste ancora oggi in molti poeti.
Ma novità altrettanto rilevanti e fortunate riguardano la ura del soggetto lirico. Questa da un lato acquista concretezza e verità psicologica, venendo a coincidere con la persona dell'autore; dall'altro si definisce a sua volta come nuovo istituto, anzi come l'istituto centrale della lirica moderna.
Con Petrarca raggiunge la sua definita formulazione storica una ura di artista, anzi di intellettuale- artista, di fatto separato dalla vita politica, estraneo all'elaborazione del potere, e però capace di valorizzare una sfera di competenza (l'interiorità) presentata come valore superiore e assoluto (autonomo dai condizionamenti sociali e politici). Questa esaltazione della poesia come valore supremo (separato e autonomo) attraversa i secoli successivi. Essa è innanzitutto una reazione alla specializzazione della vita politica e alla espulsione degli intellettuali dalla gestione del potere effettivo.
L'io lirico. Un'autenticità che si istituzionalizza
Il tema che domina il Canzoniere è l'amore per Laura. La ura della donna amata è costantemente al centro dell'attenzione. Eppure c'è un personaggio ancora più importante, ed è l' 'io' poetante, il soggetto lirico. Laura non è più una ura stilizzata e priva di spessore psicologico, come in gran parte della tradizione lirica precedente; ma è tuttavia di gran lunga meno caratterizzata, agli occhi del lettore, di quanto non sia il soggetto protagonista. Nell'opera vengono presentati e minutamente analizzati i vari aspetti della personalità di esso. La tematica esistenziale risulta in linea di massima quella di maggior rilievo, e a essa è assegnata una specie di funzione aggregante. Ma il protagonista è rappresentato nelle sue ansie religiose e morali, nelle sue specificità ideologiche e culturali, perfino nella sua ricerca continua di perfezionamento letterario.
Con un po' di esagerazione si potrebbe addirittura affermare che l'amore per Laura, da un certo punto di vista, è la condizione necessaria a consentire questa verifica della personalità del poeta. In ogni caso, la passione assume anche questa funzione decisiva.
E' significativo che il centro di gravità non sia più, come per esempio in Dante, collocato nella specificità culturale ma nella specificità psicologica. Il terreno dell'introspezione è quello sul quale devono misurarsi anche gli altri aspetti della personalità petrarchesca.
Ciò conura una tensione verso l'autenticità. Anche la subordinazione del momento intellettuale (consapevole) a quello affettivo (pulsionale) spinge in tale direzione. Ma bisogna fare molta attenzione a non semplificare troppo questo aspetto del problema. In verità il privilegiamento dell'io lirico è a sua volta una scelta culturale. Essa è il frutto di una civiltà che affonda le radici nel patrimonio classico e nella elaborazione cristiana, e che può contare ormai su alcuni secoli di storia. La centralità dell'io lirico sancita dal modello petrarchesco è tutt'altro che un dato istintivo: è piuttosto la risposta più audace e conseguente alla crisi di un modello di arte e alla crisi, più in generale, di una specifica funzione dell'intellettuale.
Il paesaggio-stato d'animo
La centralità del soggetto lirico, cioè della voce che dice io all'interno dei testi, pone al proprio servizio ogni altro elemento della costruzione poetica. Ciò vale innanzitutto per il paesaggio naturale. Questo perde ogni autosufficienza e ogni possibile e residua casualità. La sua descrizione e la sua rappresentazione non sono più il contorno o lo sfondo della vicenda personale del poeta, ma entrano a farne parte in modo organico e completo. Il paesaggio diviene anch'esso un'espressione o una manifestazione della interiorità del poeta. Nasce il paesaggio- stato d'animo: il paesaggio diviene cioè l'equivalente dello stato d'animo del soggetto lirico, nel senso che tra condizione dell'io e caratteri del paesaggio si dà corrispondenza. Il soggetto si specchia nel paesaggio e vi riconosce la propria geografia interiore; ovvero: il soggetto proietta all'esterno la propria interiorità e insegue o costruisce un paesaggio che ne sia l'equivalente naturale.
Questa novità in qualche modo resuscita il simbolismo medievale, fornendone una versione laica e mondana: il rapporto diretto di corrispondenza tra paesaggio naturale e Dio che segna la cultura del simbolismo medievale è rilanciato come rapporto diretto di corrispondenza tra paesaggio naturale e io lirico: la poesia (e l'arte) si apprestano a prendere di fatto il posto della religione trascendente; il che avverrà compiutamente con l'Umanesimo e il Rinascimento. In Petrarca è invece ancora assai violento il conflitto tra vecchi valori schiettamente religiosi e nuovi valori letterari e mondani. Il Canzoniere si conura anzi come un tentativo generale di inserire l'effettivo dominio dei secondi entro una struttura che assegni il primato ancora ai vecchi valori trascendenti. Si può dire dunque che il concreto prevalere di una nuova forma di simbolismo all'interno dei singoli testi è riscattata, nel complesso, dalla costruzione allegorica del libro nel suo insieme.
Metrica e stile. La lirica come specializzazione dell'espressione
La metrica del Canzoniere è già indizio valido di una restrizione volta al fine del perfezionamento estremo: dominano il sonetto e la canzone, ogni metro diverso dall'endecasillabo e dal settenario è bandito, l'endecasillabo stesso, metro in ogni caso privilegiato, è ridotto a pochi tipi fondamentali ( i più musicali e armoniosi).
Ma la semplificazione metrica va spiegata nell'interdipendenza con le scelte lessicali e soprattutto stilistiche. E' infatti l'insieme del risultato petrarchesco a definirne la novità e il senso.
Il vocabolario è ridotto notevolmente rispetto al vertiginoso allargamento di Dante. Lo stile evita tanto le discese verso il registro comico- basso quanto le impennate verso il tragico- sublime, attestandosi piuttosto in una totalità media. Questa è però tutt'altro che quotidiana o comune: l'esclusione programmatica di elementi realistici, definiscono la ricerca di una forma pura e come distinta da ogni ricordo del parlare comune. Quella del Canzoniere è una medietà sempre raffinata e tesa verso l'assoluto; l'equilibrio domina nonostante le tensioni interne, anche violente, in quanto espressione di un mondo - quello poetico - separato e astratto.
La perdita di complessità che questo atteggiamento potrebbe determinare, rispetto al precedente dantesco, è compensata dalla straordinaria ricchezza delle variazioni operate da Petrarca con i suoi ridotti ingredienti metrici e lessicali. La ricerca di sinonimi o di antitesi, di alternanze e di ripetizioni valorizza il rapporto tra i singoli elementi discorsivi e il loro contesto via via cangiante, così che ogni vocabolo e ogni situazione moltiplicano il proprio potenziale allusivo e polisemico. D'altra parte la ristrettezza dei mezzi ne accresce, con i continui ritorni e le calcolate riprese, il potere evocativo ed emozionale, fino al caso clamoroso del nome di Laura, utilizzato come pura eco fonica in una catena di associazioni fondata sul significante: lauro, l'aura (cioè l'aria), l'auro (cioè l'oro).
La proposta di Petrarca sconta l'avvenuto distacco tra gestione del potere politico e intellettuali, cioè la subordinazione dei 'chierici' ai signori; ed è la risposta a una condizione, sociale e culturale, definitivamente mutata. Il Canzoniere istituisce una tradizione poetica secondo la quale la lirica è una specializzazione dell'espressione, presentata come vertice del discorso umano. In questo modo sono stabiliti confini e competenze nuove, nel tentativo di difendere e di sostenere, nella separatezza e nella autonomia, quel prestigio e quella autorevolezza che Dante, per ultimo e nella forma più impegnativa, aveva difeso e sostenuto attraverso il coinvolgimento.
Coscienza, desiderio, memoria
La grande 'scoperta' del Canzoniere è quella della coscienza. Tale scoperta consente a Petrarca di rilanciare la funzione della poesia al di fuori dei coinvolgimenti sociali che ne avevano caratterizzato la storia fino allo Stil novo e oltre. Il mondo intimo del poeta prende il posto del suo ruolo sociale di guida o di riferimento etico. Alla rappresentazione dell'universo sociale proposto dalla Commedia dantesca, il Canzoniere sostituisce una rappresentazione dell'interiorità.
Questo passaggio può essere considerato, nei fatti, una sconfitta e addirittura una degradazione. Ma poichè esso non avviene senza una profonda ridiscussione dei valori e della loro gerarchia, ecco che in effetti Petrarca può considerare la propria funzione assai più pertinente e fattiva, anche rispetto alla comune morale cristiana, di quella dantesca. In altri termini, il dominio della coscienza è promosso al vertice della nuova gerarchia dei valori; e il mondo dell'interiorità è appunto quello entro il quale il poeta opera e sul quale anzi egli accampa pretese di competenza e di esclusività.
Inedito, rispetto alla tradizione lirica d'amore precedente, è il conflitto tra amore e morale. Proprio al contrario, l'amore si conurava come complemento della religiosità, non solo nello Stil novo. In Petrarca, però, l'amore acquista i tratti del desiderio, mettendo in gioco l'integrità del soggetto, diviso tra la pulsione erotica e la fedeltà ai propri riferimenti morali. Accanto all'amore prendono posto, per la prima volta in modo così organico e inquitante, le categorie cattoliche della trasgressione morale e del peccato. Esse si sposano con il conflitto tra l'ideale classico - stoico e ciceroniano soprattutto - del saggio e l'abbandono alla sregolatezza della passione.
Quel che soprattutto conta, in queste contrapposizioni, è la presenza, e anzi la radicatezza, di ciascuno dei due termini antitetici all'interno del medesimo mondo affettivo e psicologico. La grande novità della coscienza in Petrarca è la sua conflittualità interna, cioè la compresenza degli elementi antitetici, contro la successione e il reciproco scalzamento che caratterizza i modelli precedenti, da Guittone a Dante.
Con il Canzoniere crolla l'integrità del mondo interiore, che era a fondamento di gran parte della cultura classica e della cultura medievale. L'esempio più audace di complessità consegnato a Petrarca dalla tradizione cristiana, sant'Agostino, è portato a conseguenze nuove e irreparabili: mentre nelle Confessioni di Agostino l'identità del soggetto si definisce in un contrasto che viaggia verso la finale ricomposizione, nel Canzoniere convivono, di fatto, interessi e intenzioni diverse e opposte; senza che nessuno dei due termini via via in conflitto possa veramente escludere l'altro e prevalere su di esso. Semplicemente, la coscienza non si definisce più nell'unità ma nella molteplicità; non più nel superamento delle contraddizioni e dei conflitti interni ma nella loro persistenza; non più nella soluzione ma nella problematicità.
Privato dei privilegi sociali attivi nella società feudale e nella civiltà dei Comuni, l'intellettuale moderno scopre, con Petrarca, il grande mondo dell'io, la sua interiorità misteriosa e complessa; e si avventura a fare di questa regione il proprio nuovo dominio e il proprio nuovo privilegio.
Una funzione analoga a quella del desiderio è svolta dalla memoria, la categoria più nuova e originale della poesia petrarchesca. Anche la memoria costituisce una forza non del tutto sottoponibile al controllo della ragione e dell'ideologia. Tanto più che la memoria si viene conurando come la traccia del conflitto permanente tra desiderio e volontà, ovvero tra tutte le forme assunte dall'uno e dall'altra.
Come doloroso e insanabile è lo scontro tra desiderio e mondo ideologico e razionale, così lo è quello tra memoria e presente. Il passato è nel Canzoniere una fonte di attrito con il presente e un oggetto di rivisitazioni inesauste. Non è un caso che il libro sia costruito attorno a un dato clamoroso, la morte dell'amata, che ne spezza temporalmente in due l'arco narrativo, enfatizzando il rapporto tra 'prima' e 'dopo', cioè offrendo una visione del tempo francamente tragica.
Il tempo non è presentato come un processo di autorealizzazione iscritto nel disegno divino, ma come una feroce dinamica distruttiva, che se svela la vanità dei beni mondani nondimeno consegna intatto il sentimento doloroso della loro perdita. La memoria rappresenta appunto il rifiuto da parte del soggetto di adeguarsi alla cancellazione di ciò che non conta, cioè dell'immanente, il rifiuto, evidentemente colpevole, di adeguarsi ai valori (divini) della trascendenza. In questo modo la memoria è l'altra faccia del desiderio, ovvero la sua persistenza dopo la frustrazione e il fallimento. Ricordare vuol dire non aver accettato la perdita, restare vicini a ciò che la superiore volontà divina ha voluto allontanare da noi. Petrarca non beve, come Dante prima di accedere al Paradiso, l'acqua smemoratrice del Lete.
La seconda parte del Canzoniere, in morte di Laura, definisce per intero il tentativo di adeguare il ricordo alla realtà presente, cioè di fare anche del ricordo di Laura il ricordo di una morta, dando a esso il significato stabilito dall'evoluzione successiva dei fatti. Quando questo lungo e doloroso processo di rielaborazione del lutto appare compiuto, o almeno efficacemente abbozzato, la conversione alla Vergine può essere tentata. La conclusione dell'opera si presenta però tutt'altro che chiusa; così come avviene nel Secretum, il soggetto non è più in grado di proporre un itinerario di conversione felicemente realizzata, quale è quello di Dante, ma al massimo un voto propositivo per il futuro.
Una nuova concezione della letteratura: lutto e risarcimento
Non è un caso che la prima forma di struttura prossima al risultato finale del Canzoniere viene definendosi negli anni che seguono la grande peste del 1348, dopo la morte di Laura e del protettore e amico cardinale Colonna e dopo il conseguente abbandono di Avignone da parte di Petrarca. Il libro nasce dunque sulle macerie di un'intera epoca dell'esistenza del poeta, quella collocabile sotto la triade Laura, Avignone, Colonna; nasce perciò come tentativo di inserire gli eventi luttuosi e in generale il sentimento della perdita e della fuga temporale dentro una struttura narrativa che in qualche modo dia loro significato. In questo modo Petrarca instituisce una funzione, per la letteratura, già presagita da Dante e destinata a grande fortuna in tutta la tradizione successiva: una funzione di consolazione, ovvero di risarcimento del lutto e di ricomposizione dei conflitti aperti dentro il soggetto innanzitutto dalle frustrazioni agite dal tempo e dalla sua furia distruttiva. Questo bisogno di ricomporre e di armonizzare lutti e conflitti si esplica in primo luogo nella valorizzazione del momento formale, nella ricerca continua di perfezionamento sul piano elaborativo, nella instancabile ricollocazione e variazione dei medesimi limitati elementi compositivi. La compatta e semplice armonia del risultato apante risarcisce i vuoti e le disarmonie tragiche della esistenza reale. Alla letteratura protesa a realizzarsi come 'doppio' coraggioso dell'intera vita reale, quale è dato rilevare in Dante, Petrarca sostituisce una letteratura come universo parallelo e separato, dove le mancanze e i conflitti della vita reale possano colmarsi e accogliersi in apante armonizzazione.
E' questa, naturalmente, una scommessa che non è possibile mai vincere in modo completo o definitivo. La grandezza del Canzoniere consiste anzi nel perpetuo scontro tra orientamento apante ed equilibratore della forma e irruzione incontrollabile e segreta di impulsi minacciosi e distruttivi. E anche in questo modo con Petrarca avviene la fondazione legittima della lirica moderna.
L'ideologia del Canzoniere: il nuovo intellettuale cristiano
Affermando la continuità della civiltà e la positiva integrità della cultura, Petrarca sancisce come centrale l'interesse per l'uomo, dando un valido sostegno teorico alla propria valorizzazione dell'interiorità e della coscienza. L'interesse per l'uomo implica la centralità della questione morale. La religiosità sofferta di Petrarca vive all'interno di un terreno squisitamente morale almeno tanto quanto con Petrarca il colto, il poeta, diviene l'esperto di problemi morali: esperto a prezzo del proprio coinvolgimento diretto, ed esperto in nome della propria competenza culturale. Il non- coinvolgimento nelle vicende pratiche consente il distacco e la superiorità del giudizio; ed è questa la funzione che il poeta si attribuisce.
Il nuovo intellettuale cristiano vive entro questo orizzonte ricco di contraddizioni e di fermenti. Questi è l'esperto dei valori morali dell'umanità, colui che unisce nella propria cultura la sapienza e l'equilibrio del mondo antico e la rinnovata spiritualità del verbo cristiano. Questi vive ai margini della storia, potenzialmente anzi contro di essa; e opera nel margine che compete al giudizio, fornendo una visione sempre problematica del rapporto tra valori e realtà, tra significato e vita. Il suo compito non è quello di fornire verità ma quello di sperimentare lacerazioni e rinnovare dubbi, compiendo opera di mediazione tra la forza della storia e le difficili idealità classiche e cristiane.
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