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"I PROMESSI SPOSI" - L'INNOMINATO

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"I PROMESSI SPOSI"

L'INNOMINATO



Nel romanzo del Manzoni, l'Innominato è un terribile uomo, del quale l'autore scrive : " .di costui non possiamo dare né il nome, né il cognome, né un titolo, e nemmeno una congettura sopra nulla di tutto ciò.", e più in basso " .ma per tutto un grande studio a scansarne il nome, quasi avesse dovuto bruciar la penna, la mano dello scrittore.". Nel romanzo "Fermo e Lucia" dello stesso autore, il suggestivo personaggio dell'Innominato, aveva il soprannome di Conte del sagrato, datogli in seguito ad un omicidio perpetrato sul sagrato di una chiesa. Costui era un grande, potente e ricco tiranno ; certamente è personaggio storico, per dichiarazione dello stesso romanziere egli è da identificare con Francesco Bernardino Visconti, feudatario di Brignano nella Ghiara d'Adda, colpito da varie gride dei governatori di Milano. Egli aveva bravi in tutta la regione, che usava per controllare i propri e gli altrui affari, ma con il solo interesse di comandare. Chiunque doveva commettere atti illegali si rivolgeva a lui, e così era sicuro di essere ben protetto. Tutti i tiranni, prima o poi, erano costretti ad incontrare quest'uomo , e dovevano in seguito decidere se essere dalla sua parte, o schierarglisi contro. In un periodo non indicato sul testo, causa la grande quantità di atti impuri commessi e nonostante i vani sforzi di mascherare il proprio nome da parte del parentado e degli amici, l'Innominato fu costretto ad uscire dallo stato. Non si sa quanto tempo dopo, quell'uomo riuscì a rimpatriare, ma non tornò a Milano dove aveva abitato in precedenza, ma bensì in un castello nel bergamasco.



A lui, come a esecutore di temerarie ribalderie, si rivolse don Rodrigo per il ratto di Lucia. Egli partì alla volta del castello dell'Innominato con alcuni dei suoi bravi. Durante il tragitto si fermò all'osteria della Malanotte, che precedeva l'ultima parte del sentiero, conducente al castello. Ivi trovò alcuni sgherri dell'Innominato. Posò lo schioppo, rese omaggio a quest'ultimi e con il Griso si avviò su per il sentiero. Poco dopo fu raggiunto da un'altro bravo dell'Innominato. ".il castello era a cavaliere a una valle angusta e uggiosa, sulla cima d'un poggio che sporge in fuori da un'aspra giogaia di monti, ed è, non si saprebbe dir bene, se congiunto ad essa o separatone, da un mucchio di massi e di dirupi, e da un andirivieni di tane e di precipizi, che si prolungano anche dalle due parti. Dall'alto del castellaccio, come l'aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava all'intorno tutto lo spazio dove piede d'uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in altodalle finestre, dalle feritoie, poteva il signore contare a suo bell'agio i passi di chi veniva, e spianargli l'arme contro, cento volte.".Una volta arrivato al castello, don Rodrigo lasciò il Griso all'entrata e, dopo esser passato per un andirivieni di corridoi bui, e per varie sale tappezzate di moschetti, di sciabole e di partigiane (lance a lama ricurva), e in ognuna delle quali c'era di guardia qualche bravo, e dopo aver alquanto aspettato, fu ricevuto. ".l'Innominato era un uomo grande, bruno, calvo ; bianchi i pochi capelli che gli rimanevano ; rugosa la faccia : a prima vista, gli si sarebbe dato più sessant'anni che aveva ; ma il contegno, le mosse, la durezza risentita lineamenti, il lampeggiar sinistro, ma vivo degli occhi, indicavano una forza di corpo e d'animo, che sarebbe stata straordinaria in una giovine."Espose la questione all'Innominato, e, mischiandovi un nome a lui noto e odiosissimo, quello di fra Cristoforo, nemico aperto dei tiranni, il proprietario del castello, come se un demonio nascosto nel suo cuore gliel'avesse comandato, interruppe subitamente, dicendo che prendeva l'impresa sotto di se. Anche perché, a detta di don Rodrigo, doveva mantenere delle promesse, e questo era il momento per congedarsene. Salutato don Rodrigo e rimasto solo, l'Innominato quasi si pente della scelta fatta ; infatti, già da tempo provava un certo disgusto per queste azioni, come se ne sentisse il peso. A volte, nel suo pensiero si affaccia l'idea della morte come un nemico reale che non può essere sconfitto, insieme alla paura della resa dei conti davanti al giudice supremo. Egli cerca di nasconderli mostrando agli altri maggiore ferocia. Ora, come per reagire a questi turbamenti, l'Innominato chiamò il Nibbio, uno dei suoi bravi più fidati, dicendogli di dire al suo collega Egidio, che abitava vicino al monastero dove era situata Lucia, del suo impegno contratto e se poteva contare su di lui. Quando giunse la risposta affermativa, l'Innominato fece partire subito una carrozza con il Nibbio e altri due bravi alla volta del monastero. Per poterla rapire, Lucia, allontanata dal convento con un inganno, si imbatté nella carrozza con i bravi, che la agguantarono, la portarono sulla loro carrozza e iniziarono il lungo viaggio di ritorno al castello. Quando la carrozza giunse alla taverna della Malanotte, osservando la scena, l'Innominato ordinò alla vecchia donna del castello di andare con una bussola a prelevare Lucia, condurla al castello, e, durante la permanenza nel medesimo, e durante il breve tragitto, di incoraggiarla e di consolarla. Una volta eseguiti gli ordini, la vecchia condusse Lucia nella sua stanza. Nel frattempo giunse il Nibbio che andò dall'Innominato e gli riferì ciò che era accaduto durante il viaggio. Disse che tutto quel tempo trascorso con quella donna piagnucolante, con certi occhi e gran parte del tempo passato a pregare lo aveva mosso a compassione. Alla domanda dell'Innominato di cosa fosse la compassione, seguì la risposta del Nibbio, secondo il quale essa è come la paura : quando uno la lascia prender possesso non è più un uomo. Intanto il tiranno pensava che era stato una bestia ad impegnarsi con don Rodrigo e non voleva trattenere la ragazza. Quindi ordinò al Nibbio di dire a don Rodrigo di venire a prendere Lucia, ma subito. Quando giunse a far visita nella stanza l'Innominato, la giovine risiedeva rannicchiata. Al che, l'Innominato si arrabbiò con la vecchia, che si scusò dicendo che ella vi si era buttata per propria volontà. Egli le disse che era un brav'uomo e non le avrebbe mai fatto del male. La ragazza, stordita e impaurita da tutto quel rumore domandava del suo destino e nominava continuamente Dio. Infastidito, l'Innominato disse che coloro che non hanno la forza o non possono difendersi cercano l'aiuto in Dio, quasi ci avessero parlato ; e chiese a Lucia cosa pretendeva di fargli con codesta parola. Quindi ordinò che la fanciulla giacesse nel letto e che le fosse portato il pasto ; quindi se né andò. Dopo aver fatto una visita consueta ad alcuni posti nel castello, in fretta e furia, quasi avesse voluto trincerarsi contro una squadra di nemici, con ancora quell'immagine e quelle parole vive nella mente, l'Innominato andò nella sua camera a dormire. Si assillò per tutta la notte con inutili domande, non si riconosceva più in se stesso : ripensava a quando né pianti, né lamenti di donna lo avevano smosso dalla sua promessa. Per scacciare questi pensieri, cercò di tenere occupata la mente con qualcuno di quelli. Ma non trovò nulla. Egli non si riconosceva più : le cose che prima lo tenevano fortemente occupato adesso non lo interessavano. Sentiva quasi una tristezza, quasi uno spavento degli atti già compiuti. Pensò di rilasciare all'indomani la giovine ; pensò a don Rodrigo ma non ricordò più chi era. Cercava una risposta, pensava alle ragioni che senza timore, senza odio lo avevano spinto ad accettare. L'orrore di questi pensieri lo aveva spinto a impugnare una pistola e ad uccidersi, quando si accorse che stava commettendo un'idiozia, perché non poteva liberarsi dei problemi come un vigliacco, e perché la tanto attesa "miglior vita", forse, non esisteva. Stanco e stremato, l'Innominato, alla fine, cedette al sonno e si addormentò. La mattina, al risveglio, notò che nella strada in fondo alla valle una gran quantità di persone che cantava e correva per i campi, felice. Inviò subito un suo fedele ad informarsi sul perché di tanta euforia. Al ritorno del citato, l'Innominato scoprì che tanta euforia era destata dall'arrivo del cardinale Federigo Borromeo in paese.

Andò nella camera della giovine, e, costatando che ella era sempre in terra, e dopo aver ricevuto le solite scuse dalla vecchia, ordinò che nessun altro che non fosse l'altra donna Marta, che doveva esaudire le richieste di Lucia, doveva entrare in camera. Lasciò detto che se l'ospite avesse chiesto di lui, le se doveva rispondere che era partito per poco tempo. Dopo di che, incuriosito dalla presenza del cardinale Borromeo, per curiosità e per chiarire la vicenda accadutagli la notte, l'Innominato partì alla volta del paese. Entrò in un palazzo ove erano seduti in riunione un gruppo di preti. Chiese del cardinale e dopo poco un cappellano crocifero esaudì la sua richiesta. Nel colloquio con il cardinale, l'Innominato capì di aver sbagliato, si pentì dei peccati commessi e disse che sarebbe stato più buono. Capì il perché della reazione di Lucia all'accaduto e decise di liberarla. Convocò don Abbondio ed una amica di Lucia e con essi si avviò al castello. Giunto nella camera di Lucia entrò con i comni e chiese perdono a Lucia per tutto ciò che le aveva fatto. Ella accettò la richiesta dell'Innominato e lo perdonò. Al dunque, i quattro si incamminarono per riportare Lucia a casa. Una volta giunti a destinazione l'Innominato, dopo poco, tornò al castello, ma con una felicità diversa dal solito.

In conclusione, possiamo dunque dire che i gravi delitti compiuti un tempo dall'Innominato, mantengono attorno alla sua ura un'ombra, una macchia, che la conversione non riesce interamente a cancellare : resta a circondarlo un alone di mistero, che gli rende difficile stabilire con gli altri dei rapporti confidenziali.





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