letteratura |
I SOMMERSI E I SALVATI
'La vergogna' è un brano tratto da 'I Sommersi e i Salvati', testo saggistico scritto nel 1986 da Primo Levi.
Il brano letto parla soprattutto della vergogna provata dal 'salvato' nel momento in cui ripensa all'esperienza del lager, oppure quando deve rispondere alle domande di chi non ha vissuto direttamente quell'esperienza eppure pretende di giudicarla.
L'autore si propone di farci capire che chi si è salvato dal lager ha provato un sentimento, irrazionale di vergogna, per non aver fatto nulla, anche quando era impossibile intervenire, per salvare gli altri comni.
Nella maggior parte dei casi l'ora della liberazione non è stata lieta, né spensierata, ma ha coinciso con una fase di angoscia.
Quelli che sono sopravvissuti provano un senso di vergogna, la stessa che provavano dopo le selezioni e ogni volta che assistevano che assistevano a un oltraggio, per non aver fatto niente per resistere, per difendersi e per difendere gli altri.
Questa vergogna, però, come dice l'autore, è un sentimento irrazionale visto che, anche i milioni di prigionieri militari russi, caduti in mano tedesca dopo il 1941, giovani, forti e addestrati a combatterre, non furono in grado di organizzare una resistenza contro i tedeschi.
uriamoci quindi come gli ebrei, dopo anni di segregazione, umiliazione, maltrattamenti, migrazioni forzate e anni di lager avrebbero potuto resistere.
Comunque la vergogna restava ugualmente soprattutto davanti ai pochi esempi di chi aveva avuto il coraggio e la forza di resistere.
Levi racconta, ad esempio, la storia di un resistente che aveva distrutto il forno crematorio di Birkenau e che era stato impiccato pubblicamente, davanti ad una folla apatica ed atterrita di prigionieri.
Gli unici al riparo della vergogna erano probabilmente, i prigionieri politici, che hanno avuto la forza e la possibilità di agire all'interno del lager a difesa e a vantaggio dei loro comni. Levi, infatti, racconta che nel maggio del 1944 arrivo un nuovo kapo per la sua squadra. Questi picchiava in modo convulso, maligno e perverso sul naso, sugli stinchi e sui genitali. Un collega, un ebreo comunista croato, aveva detto a Levi che questo Kapo non sarebbe durato molto. Infatti dopo una settimana il picchiatore spari. Solo anni dopo, in un convegno di reduci, Levi seppe che alcuni prigionieri politici addetti all'ufficio del lavoro del campo, avevano il potere di sostituire i numeri di matricola sugli elenchi dei prigionieri destinati alla camera a gas.
Levi, e gli altri ebrei deportati avevano vissuto per mesi o per anni ad un livello animalesco, sia per le condizioni in cui erano costretti a vivere, ma soprattutto perché il loro metro morale era mutato. Inoltre vivevano ristretti al momento del presente.
Levi ricorda, ad esempio che nell'agosto del 1944, faceva molto caldo. La sua squadra era stata mandata in una cantina a sgomberare i calcinacci, e tutti soffrivano per la sete. A Levi era stato affidato un angolo della cantina, attiguo ad un locale occupato da impianti chimici. Lungo il muro c'era un tubo che terminava con un rubinetto poco sopra il pavimento. Levi lo aprì a si accorse che usciva dell'acqua a gocce. Scelse di dividere l'acqua con il suo conno Alberto, amico fin dall'infanzia. Di nascosto in due bevettero, alternandosi sotto il rubinetto.
Ma nella marcia di ritorno al campo Levi si trovo accanto a Daniele, tutto grigio di polvere di calcinacci con le labbra spaccate e gli occhi lucidi e si sentì colpevole.
Daniele li aveva visti e glielo disse alcuni mesi dopo la liberazione avvenuta. Chiese perchè non avesse potuto bere anche lui. Era il codive morale 'civile' che riemergeva.
Inoltre tutti avevano rubato: alle cucine, alla fabbrica, al campo; addirittura alcuni erano perfino arrivati a rubare il pane al proprio comno.
La regola principale del campo, infatti, era badare prima di tutto a se stessi. Levi ricorda di aver più volte negato il suo aiuto ad altri. Con sollievo ricorda solo di aver ridato coraggio una volta ad un giovane diciottenne appena arrivato al campo.
Sono pochi a sentirsi colpevoli di aver danneggiato, derubato, percosso un comno, per contro però quasi tutti si sentono colpevoli di omissione di soccorso.
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